Proprio del sommo pontefice della Chiesa cattolica o a lui relativo. ║
Legato p.: V. LEGATO APOSTOLICO. ║
P. accademia delle scienze: V. ACCADEMIA DELLE SCIENZE. ║
P. Accademia romana di
archeologia: V. ACCADEMIA DI ARCHEOLOGIA.
║
Scrittura p.:
denominazione generica che identifica
le diverse scritture (carolina, cancelleresca, italica, ecc.) utilizzate per la
redazione degli atti
p. anteriormente al XVI sec., quando fu introdotta
la scrittura
bollatica (V. BOLLATICO).
║
Casa p.: nuova definizione dell'antica
corte p.,
secondo il
motu proprio Pontificalis domus emanato da Paolo VI nel
1968. Essa comprende la
cappella e la
famiglia p. I membri della
prima hanno il compito di assistere il papa durante le cerimonie liturgiche,
quelli della seconda costituiscono il corteggio papale in cerimonie, udienze e
atti pubblici. Organizzazione e disciplina della c
asa p. sono affidate
alla omonima
Prefettura, in base alle disposizioni della costituzione
apostolica
Regimini Ecclesiae, che regola la struttura e le funzioni
dell'intera Curia romana (V. CURIA). • St. -
Stato p.: l'origine del potere temporale del Papato risale all'epoca di
decadenza dell'Impero bizantino in Italia (fine VII sec.), quando più che
il duca romano, dipendente dall'esarcato di Ravenna, era il vescovo a esercitare
funzione di governo su Roma e Lazio (l'antico
Ducatus romanus) e sulla
loro popolazione e aristocrazia. Ciò era possibile sia per
l'autorità spirituale attribuita al papa, sia in forza dei diritti e
privilegi a lui accordati dalla
Prammatica sanzione
(V.) emanata da Giustiniano nel 554, sia per il
già notevole potere economico della Chiesa, che si esprimeva anche in
opere e servizi di pubblica utilità. A partire dal 727, Costantinopoli
cessò di eleggere tanto il duca romano quanto il prefetto della
città e spettò dunque a papa Gregorio II, in quanto unica
autorità pubblica riconosciuta, fermare le truppe longobarde che dopo
l'Esarcato avevano invaso anche i territori del ducato romano. Con la donazione
del castello di Sutri al pontefice da parte del re Liutprando (728), si indica
per tradizione la data di nascita dello Stato
p. Tale cessione
territoriale, cui seguirono altre numerose donazioni (Orte, Amelia, Bieda,
Bomarzo, ecc.), era tuttavia una semplice restituzione di proprietà
illegalmente occupate; il primo costituirsi di un autonomo dominio politico e
territoriale per la Chiesa si realizzò solo con la
promissio carisiaca
(V.) formulata da Pipino il Breve a papa
Stefano II, nel 754. Di fronte alla riottosità dell'aristocrazia romana e
alla rinnovata espansione dei Longobardi nei territori dell'Esarcato, infatti,
il pontefice si era rivolto per aiuto ai Franchi, offrendo al loro re
legittimazione con la nomina a patrizio romano e ricevendone in cambio la
promessa di ampi territori nell'Italia settentrionale e meridionale, in aggiunta
a quelli del ducato romano, considerati già possessi
p. In
realtà, dopo due vittoriose campagne contro i Longobardi, Pipino si
limitò a ingiungere al loro re Astolfo di cedere al pontefice Esarcato e
Pentapoli (756); questa parziale disattesa della
promissio, però,
non ne ridusse la portata innovativa, che inaugurò la sovranità
papale su territori, in precedenza non
posseduti dalla Chiesa, che
andavano dall'Adriatico al Tirreno. Inoltre Stefano II, per la prima volta,
ottenne l'assegnazione di questi domini direttamente e definitivamente alla
Chiesa, senza rimetterli
ad partem rei publicae, conquistando così
al nucleo dello Stato
p. base giuridica. In seguito i pontefici vennero
in conflitto con Desiderio, al cui Regno pose fine Carlo Magno nel 774-75;
questi confermò le donazioni alla Santa Sede dei territori circostanti
l'Urbe, dell'Emilia, della Tuscia, dei ducati di Spoleto e di Benevento.
Tuttavia, in molte di tali regioni la sovranità papale rimase lettera
morta, come si evince anche dall'orientamento di papa Adriano I che curò
di stabilire un'autorità saldamente centralizzata, ma limitatamente al
Lazio. Con l'incoronazione imperiale di Carlo Magno, nell'800, il papa
acquisì il potere di controllo sulla scelta dell'imperatore, accrescendo
di molto la propria rilevanza sul piano internazionale, a prezzo però di
un'analoga possibilità di influenza da parte dell'imperatore dei Franchi
sulla scelta dei pontefici. Il re franco Lotario emanò, nell'824, la
Constitutio romana, in base alla quale tanto il pontefice quanto il
popolo e l'aristocrazia cittadina dovevano giurare fedeltà all'imperatore
e nella città veniva insediato un
missus imperiale. Tuttavia,
quando con Carlo il Calvo (incoronato nell'875 e morto due anni dopo) la
presenza dell'Impero si fece meno cogente in Roma, papa Giovanni VIII diede vita
a un governo autonomo dello Stato
p. (che coincideva in pratica con il
Lazio attuale), pur trovandosi in breve a dover contendere il potere effettivo
all'aristocrazia locale. Caduta la dinastia carolingia, infatti, il pontefice
constatò la propria debolezza politica, una volta privato della
protezione esterna dell'Impero, e in Roma tornarono a prevalere le famiglie
gentilizie, che subentrarono nella sovranità temporale al pontefice e
insieme arrogarono al popolo e alle forze armate della città il diritto a
determinare l'elezione stessa del papa (
età ferrea del Papato).
Dalle file compatte dell'aristocrazia emersero, sul principio del X sec., le
famiglie dei Teofilatto, dei Tuscolani e dei Crescenzi, i cui membri si
alternarono alla guida dello Stato, controllando sia il tesoro papale sia le
milizie, con il titolo di
patricius. Con l'affermarsi del potere
imperiale degli Ottoni di Sassonia, il pontefice, nella persona di Giovanni XII,
ricorse di nuovo all'aiuto politico e militare esterno, in quanto unica forza in
grado di affrancarlo dalla stretta tutela dell'aristocrazia romana. Nel 962
Ottone I fu incoronato imperatore e ripristinò in Roma la
Constitutio di Lotario. Tuttavia l'effettivo potere degli Ottoni
nell'
urbe non fu continuativo e ciò lasciò spazio a lotte
tra la famiglia dei Crescenzi (che prevalse nella seconda metà del X
sec.) e quella dei Tuscolo (che subentrò a partire dal 1012). Il
pontefice, che in questo periodo era scelto nella cerchia della potente
famiglia, riconquistò un ruolo anche politicamente significativo,
benché l'aristocrazia e gli imperatori si disputassero il controllo dello
Stato e il diritto di eleggere i papi. Niccolò II nel 1059, sorretto da
diffuse istanze riformatrici, riuscì a emanare una riforma delle norme
per l'elezione del pontefice, riservandone la scelta al collegio cardinalizio,
escludendo ingerenze imperiali e limitando quelle del popolo romano
all'approvazione dell'eletto. Grazie a ciò fu arginato il potere
aristocratico e fu possibile organizzare la struttura e l'azione della curia
p. tanto sul piano ecumenico quanto locale, anche con l'appoggio di
notabili e casate emergenti, tuttavia subordinate alla Santa Sede. Gregorio VII,
papa dal 1073, riuscì a volgere a proprio favore gli esiti della
"lotta per le investiture" in cui erano rimasti coinvolti vari Paesi:
egli si valse in tal senso dell'aiuto della nascente potenza normanna cui erano
già state concesse in feudo le regioni italiane meridionali, fatto per
cui il Papato rivendicò sempre una sorta di prelazione su quelle terre.
Gregorio rese esplicito ed esecutivo il principio di indipendenza degli ordini
ecclesiastici dai Governi locali, stabilì ed esercitò la suprema e
ultima autorità
p. rispetto al potere imperiale e a quello delle
fazioni cittadine (
libertas Ecclesiae), tanto da ripristinare la piena
sovranità temporale del pontefice sullo Stato della Chiesa. Fino a tutto
l'XI sec., i territori compresi nel
Patrimonium Sancti Petri
(V. PATRIMONIO DI SAN PIETRO) corrispondevano
a quelli del ducato romano, con l'aggiunta di parte della Sabina, parte della
Toscana meridionale, l'Umbria fino al Trasimeno e parte della Campania; su tali
regioni - e sui feudi lasciati alla Chiesa da Matilde di Canossa
(V.) - la sovranità
p. era effettiva
già sul finire del secolo. Durante il XII sec. la politica della Santa
Sede mirò all'affermazione della propria autorità rispetto ai
feudatari e alle prime realtà comunali, impresa particolarmente
difficoltosa nella città di Roma, a causa di alcune sommosse popolari -
come quella del 1143, appoggiata dalla predicazione di Arnaldo da Brescia
(V.). All'epoca di Innocenzo III (1198-1216), lo
Stato
p. fu gravemente minacciato dalla fusione, per via matrimoniale,
del Regno di Sicilia con quello d'Italia e, perciò, con l'Impero di
Svevia. Costanza d'Altavilla, erede normanna della Sicilia e madre del futuro
imperatore Federico II, volle affidarne la tutela al pontefice, che
utilizzò gli anni della minore età di Federico per avviare una
politica
p. che sarà poi detta delle
recuperationes. Essa
consisteva in rivendicazioni territoriali giustificate dalle antiche donazioni
imperiali (a partire da quella costantiniana, peraltro già riconosciuta
come apocrifa) e miranti ad acquisire allo Stato
p. territori sufficienti
a bilanciare il pericolo connesso all'unione fra i possedimenti delle due
Corone. L'ordinamento statale
p., tuttavia, continuò a essere
molto fluido e vario nelle sue forme istituzionali (feudi, circoscrizioni,
piccoli comuni, signorie laiche, ecc.) e privo di concrete possibilità di
centralizzazione. La lotta contro i ghibellini caratterizzò la politica
p. anche dei successori di Innocenzo, ma dopo la sconfitta subita dai
guelfi a Montaperti nel 1260, la Santa Sede ricorse ancora una volta al sostegno
di una potenza estera e chiamò in proprio soccorso il francese Carlo
d'Angiò (V. ANGIÒ): questi scese in
Italia, sconfisse Manfredi di Svevia nella battaglia di Benevento (1266),
Corradino a Tagliacozzo (1268) e si insediò sul trono di Sicilia,
riconoscendo l'alta sovranità della Chiesa su di esso. In forza della
presenza angioina e dell'egemonia guelfa nella penisola, lo Stato
p.
estese i propri territori anche al ducato di Spoleto, alla marca d'Ancona e alla
Romagna, assumendo i confini che in pratica mantenne fino al 1860, mentre le
rivendicazioni avanzate sulla Toscana da Bonifacio VIII fallirono per
l'opposizione di Filippo il Bello. Al principio del XIV sec., il Patrimonio di
San Pietro costituiva uno degli Stati più vasti e complessi della
penisola, ripartito in province (Campagna, Marittima, Patrimonio, Sabina, Ducato
di Spoleto, Marca d'Ancona e di Romagna, vicariati di Bologna, Massa Trabaria e
Terra Molfa). Inizialmente per molti di questi territori la sottomissione alla
sovranità del papa era solo formale, ma gradualmente ai Governi originari
si sostituirono rettori di nomina
p., con piena giurisdizione e
affiancati da giudici e consiglieri. La classe dirigente dello Stato era
espressa quasi esclusivamente dal collegio cardinalizio, vera e propria
oligarchia. Anche il Comune di Roma, dopo l'avocazione da parte del pontefice
della nomina del senatore unico, rinunciò con Bonifacio VIII alla propria
autonomia. Il processo di organizzazione dello Stato fu interrotto bruscamente
dalla cattività avignonese (1308-77), voluta da Filippo il Bello con
l'elezione del cardinale di origine francese che prese il nome di Clemente VII.
A Roma ciò comportò la ripresa delle lotte tra fazioni (Orsini,
Colonna, Caetani, Savelli, ecc.), in cui si inserirono i due brevi tentativi di
restaurazione della Repubblica romana da parte di Cola di Rienzo
(V.) nel 1347 e nel 1354. Nelle province
l'autorità dei rettori
p. tornò a essere solo nominale,
mentre ogni comune si amministrava autonomamente. Intorno alla metà del
XIV sec., però, il legato papale Albornoz restaurò con vigore ed
efficacia il potere centrale sulle multiformi realtà locali:
reinsediò i funzionari
p., pretese la sottomissione dei Governi
signorili, riconoscendo in cambio ai loro governanti la nomina a vicari
apostolici
in temporalibus (cioè per l'ambito politico-economico),
costituì una serie di guarnigioni e presidi militari stabili e comandati
da un castellano. Ad Albornoz, inoltre, si deve l'emanazione delle
Constitutiones aegidianae (primo
corpus unitario di leggi dello
Stato
p., rimasto in vigore fino all'età napoleonica), che
consentirono il riordino amministrativo dei territori. Gran parte dei risultati
ottenuti da Albornoz, tuttavia, andarono persi alla sua morte, alla vigilia del
rientro della corte
p. a Roma, quando Firenze e le città toscane
(in lega con i Visconti di Milano) promossero una ribellione interna allo Stato
della Chiesa.
A tale difficoltà si aggiunsero ulteriori e gravi
problemi: lo scisma d'Occidente (per il quale si ebbe l'investitura
contemporanea di tre papi); i successi militari di Galeazzo Visconti che,
già signore di Perugia, Assisi e Spoleto, si apriva la strada verso Roma;
gli interventi di Ladislao di Durazzo che, ottenuto il titolo di protettore
della città, occupò Roma militarmente (1408), facendone la base
per l'ulteriore espansione verso Umbria e Toscana. Anche dopo la morte di questi
condottieri, la sovranità
p. fu restaurata solo di nome. Fu
necessario infatti attendere la fine dello scisma e l'elezione di Martino V
(1418) perché si avviasse un recupero di potere effettivo: dapprima a
Roma (dove la funzione di senatore unico fu ridotta all'ambito amministrativo),
poi nelle Marche e in Romagna e infine sulle città umbre fino ad allora
controllate da Braccio da Montone. Papa Eugenio II rintuzzò gli ultimi
tentativi di espansione dei Visconti verso le Marche, mentre Niccolò V
risollevò le finanze dello Stato e dell'amministrazione provinciale.
Mentre l'autorità dei papi in Roma (al di là di episodi minori
come i moti guidati da Stefano Porcari, del 1453) si stabilizzava, molti dei
restanti territori
p. si configurarono come signorie di fatto
,
anche se mascherate dal titolo di vicariati (i Baglioni a Perugia, i
Malatesta a Rimini, i Bentivoglio a Bologna, i Manfredi a Imola, Forlì e
Faenza, ecc.), o stabilirono addirittura giuridicamente la propria indipendenza
(i Montefeltro a Urbino, gli Estensi a Ferrara). Il
grande nepotismo
inaugurato da papa Sisto IV (1471-84), e cioè la prassi di assegnare
privilegi e signorie a membri della famiglia del pontefice, sembrò
inizialmente una risposta efficace al particolarismo territoriale sopra
descritto (sostituendo una sorta di centralismo dinastico a quello statuale, di
più difficile realizzazione), ma finì invece con l'incentivarne le
tendenze disgregatrici. L'apice di tale politica fu raggiunto sotto il
pontificato di Alessandro VI Borgia (1492-1503), quando suo figlio Cesare
costituì un principato assoluto con base territoriale in Romagna e
comprendente Urbino, Senigallia e Perugia. Giulio II (1503-13), svincolandosi da
interessi nepotistici, perseguì nuovamente una politica di accentramento
recuperando nel 1506 le signorie di Perugia e Bologna, e ottenendo, con la sua
adesione alla lega di Cambrai, la restituzione di Cervia e Ferrara da parte di
Venezia. La crisi che interessò al principio del Cinquecento tutti gli
Stati della penisola non risparmiò neppure la Santa Sede: dopo il
Congresso di Bologna (1530) i suoi territori furono inclusi nella sfera di
influenza spagnola in Italia, proprio nel momento in cui la Riforma protestante
ridimensionava il prestigio spirituale e il peso politico della Chiesa in Europa
centrale. In cambio dell'incoronazione imperiale, Carlo V garantì il
passaggio di Parma e Piacenza (possessi milanesi) alla Santa Sede, che comunque
rimase da quel momento marginale nella determinazione della politica
internazionale. Benché improntata in senso antispagnolo durante i
pontificati di Clemente VII, Paolo III Farnese e Paolo IV Carafa, la politica
p. si incentrò, per la seconda metà del XVI sec. e per il
XVII sec., sull'azione controriformista. Per quanto riguardava le rivendicazioni
territoriali, esse furono limitate ai possessi già legalmente e
ufficialmente riconosciuti al Patrimonio di San Pietro (riacquisto di: Ferrara
all'esaurirsi della linea maschile degli Este, nel 1598; Urbino, per
l'estinzione della casata dei Della Rovere, nel 1631; Castro, dopo un conflitto
armato, nel 1649). Sul piano interno, Sisto V (1585-90) riorganizzò
l'amministrazione istituendo 15 commissioni cardinalizie, variamente competenti
in campo temporale o spirituale; Clemente VIII (1592-1605) insediò la
Congregazione del Buon Governo, preposta al controllo in materia patrimoniale di
comuni e province (dal 1704 tale sorveglianza fu estesa da Innocenzo XI anche
alle comunità baronali); Urbano VIII (1623-44) fondò l'organo
della Segreteria di Stato. Il XVII fu anche il secolo del cosiddetto
piccolo
nepotismo che, rispetto al grande, sostituì ai privilegi politici e
territoriali altri di natura fondiaria e finanziaria e portò
all'affermazione di nuove famiglie, quali Barberini, Chigi, Pamphili; tale
costume fu decisamente soppresso da papa Innocenzo XI. Durante il XVIII sec. la
Santa Sede non riuscì a esprimere un disegno organico e continuativo e ad
affrancare lo Stato
p. da una endemica arretratezza economica,
tecnologica, demografica, pur conservando Roma un'oggettiva preminenza culturale
nella penisola. Al segretario di Stato cardinal Alberoni (1730-40) si deve
l'ultimo tentativo di unificazione delle province sotto l'autorità
p.
Lo scontro con le truppe della Francia rivoluzionaria sembrò
destinato a cancellare per sempre lo Stato della Chiesa: in seguito al Trattato
di Tolentino (siglato da Pio VI nel 1797) esso fu privato delle Legazioni di
Romagna, Ferrara e Bologna, dei possedimenti avignonesi; una sommossa popolare
(1798) proclamò decaduto il potere
p. e instaurò la
Repubblica romana, estesa poi a Marche e Umbria. Nel 1799 lo Stato
p. fu
ricostituito, anche se la pace di Lunéville negò i territori delle
Legazioni, assegnati alla Repubblica Cisalpina. Nel 1808, inoltre, le Marche
furono annesse al Regno italico, mentre i rapporti tra il pontefice e Napoleone
si deteriorarono al punto che l'anno seguente l'imperatore dichiarò
decaduto il potere temporale di Pio VII (V.) e lo
costrinse alla prigionia. Lo Stato
p. fu ripristinato nel 1815 dal
Congresso di Vienna, pur mutilato dei possedimenti in terra francese e del
Ferrarese e sostanzialmente impotente sul piano politico-militare ed economico.
I pontificati di Leone XII (1823-29) e Gregorio XVI (1831-46) assunsero un
indirizzo sostanzialmente conservatore e reazionario, tanto da suscitare un
continuo stillicidio di congiure e ribellioni, tra cui ricordiamo i moti del
1831, che sortirono il breve Governo delle Province Unite
(V. PROVINCE UNITE). L'elezione al soglio
p.
di Pio IX (V.) nel 1846 sembrò in un
primo tempo orientare diversamente la politica dello Stato. Tuttavia gli eventi
del 1848, la fuga del papa a Gaeta, la proclamazione della Repubblica romana e
la restaurazione del potere temporale dei pontefici nel 1850, grazie
all'appoggio di Austriaci e Francesi, riportò la politica di Pio IX nel
solco dell'assolutismo (V. anche QUESTIONE ROMANA). Ciò nonostante lo Stato
p. non poté opporsi a lungo al movimento unificatore dei territori
italiani, perdendo prima l'Emilia e la Romagna, che furono annesse al Regno di
Sardegna in seguito a un plebiscito, poi, con la seconda guerra d'indipendenza,
Marche e Umbria. In pratica, alla Santa Sede rimase il possesso del solo Lazio.
Tuttavia, grazie al sostegno prestato al papa dalle truppe francesi, ancora per
un decennio il neonato Regno italiano fu privato della sovranità su Roma.
I tentativi garibaldini del 1862 e del 1867 fallirono e solo nel 1870, in
coincidenza con la guerra franco-prussiana che costrinse i Francesi a lasciare
la città, le truppe italiane penetrarono a Porta Pia e posero fine alla
storia del millenario Stato
p. e al potere temporale dei papi. Per gli
eventi successivi si rimanda alle voci questione romana;
lateranensi, patti; concordato e
vaticano, città del.