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Polìtica.

In generale, teoria delle forme di governo e di Stato desunta dall'osservazione e dalla descrizione delle forme di governo e degli Stati esistenti. ║ Linea di condotta riguardante ogni sistema di relazioni. ║ Teoria e pratica del governare. ║ L'ambito dell'attività politica comprende l'intera struttura e i rapporti che, ai vari livelli, regolano la vita pubblica di un Paese, dalle relazioni tra individuo e Stato alle formazioni intermedie, come i partiti, sino ai rapporti che i diversi organismi statali intrattengono tra loro, nonché le relazioni internazionali. La p. rappresenta inoltre la riflessione su tali strutture finalizzata alla ricerca delle regole sulle quali esse si basano o delle linee di tendenza del loro sviluppo storico. • Encicl. - Di vera e propria anatomia e fisiologia politica si può parlare solo quando una società abbia raggiunto un certo grado di maturità, per quanto non sia possibile fissare storicamente il momento in cui una determinata società si organizza politicamente. Le ipotesi antropologiche del secolo scorso, tendenti a scoprire e a ricostruire la storia dell'uomo sin dai suoi primordi, partivano dal presupposto che l'umanità, nel primo stadio della sua evoluzione, fosse spoglia di ogni assetto sociale e quindi priva di qualsiasi struttura politica. Le ricerche più recenti tendono a invalidare tali ipotesi, pur riconoscendo che è prematuro parlare di istituzioni politiche per i gruppi primitivi, soprattutto se nomadi e dediti alla caccia e alla pesca. Si riconosce tuttavia che ogni società presuppone un sistema politico, anche se le documentazioni etnografiche sulle piccole società isolate non sono in grado di chiarire il significato del termine. È comunque certo che la p., come arte del governo, è andata sviluppandosi attraverso l'evolvere dell'umanità, dal primitivo consorzio gentilizio al clan, alla tribù e, attraverso la polis e la civitas, sino ai moderni Stati nazionali. L'insieme degli istituti politici rappresenta infatti l'esigenza per cui si procede dal primitivo atomismo a una struttura sempre più complessa. Antropologi e sociologi, studiando i primi aggregati e mettendo a confronto società prive di organizzazione politica con altre che ne sono provviste, non hanno mancato di mettere in rilievo i benefici che ogni organizzazione strutturata comporta, soprattutto per quanto attiene alla cooperazione e al funzionamento della società. Gli interessi particolaristici, infatti, sono costretti a sottostare alla disciplina e ai limiti dettati da esigenze più generali. In realtà, nel mondo antico non esisteva una vera e propria distinzione tra la società civile e lo Stato e tutti gli aspetti inerenti la convivenza costituivano un fenomeno naturale e unitario, regolato dall'immanenza dell'ordine naturale. In un tale contesto sociale la p. veniva di fatto a coincidere con la morale e le azioni umane venivano inquadrate esclusivamente alla luce della loro minore o maggiore bontà ai fini del benessere dello Stato. Fu solo attraverso un lungo processo storico che emersero le diverse componenti che caratterizzano una società politicamente matura. Infatti, per quanto i primi grandi organismi statali si fossero costituiti prima del III millennio a.C., in Asia, Egitto e Arabia, raccogliendo sotto un'unica direzione centrale vasti territori, essi fornirono in realtà scarsissimi apporti alla dottrina politica. Assai ricco è invece il patrimonio dottrinario trasmesso dai Greci. Dalla filosofia della natura dei pensatori presocratici, attraverso la critica sofista, il pensiero greco elaborò una filosofia dell'uomo che, con Platone e Aristotele, assunse la fisionomia di una vera e propria dottrina politica. Gran parte degli ideali politici moderni, come i concetti di giustizia, libertà, Governo costituzionale, democrazia, traggono origine dalla riflessione dei pensatori greci intorno alle istituzioni vigenti nella città-Stato. In quel contesto, e in modo diametralmente opposto a quanto accade ai nostri giorni, quando lo Stato è ritenuto semplicemente il mezzo per garantire il benessere individuale, era il singolo individuo che aveva la funzione di strumento finalizzato al raggiungimento del bene comune della società-Stato. Platone, nell'idealizzazione della sua Repubblica, affidava il compito di governo a un sovrano-filosofo che, libero dalle passioni e da ogni interesse particolare o individualistico, si appoggiava esclusivamente alla ragione e al rispetto delle leggi. L'immenso patrimonio dottrinario della classicità greca fu accolto dai Romani che ne ampliarono i risultati sia sul piano teorico, in particolare nell'ambito giuridico, sia sul piano pratico, realizzando un sistema politico che si allargava a comprendere gran parte dell'Europa, dell'Asia e dell'Africa settentrionale. Il mondo classico, nella sua globalità tese in realtà a non operare una netta distinzione fra morale e politica così come fra sacro e profano, avvertendo invece una continua e immanente commistione dei diversi elementi. Se il pensiero classico, sia greco sia romano, fu sostanzialmente unitario da questo punto di vista, l'ideologia cristiana proiettò l'ideale etico al di là della p., contribuendo a dare nuova dignità all'uomo, accomunato agli altri suoi simili dalla comune fratellanza di fronte a Dio. Pur trattandosi di una dignità puramente religiosa, essa consentì tuttavia di cominciare a definire in qualche modo gli ambiti operativi, e anche a porre le basi per la successiva contrapposizione, del potere spirituale e di quello temporale, che si verificò in epoca medioevale. La reale svalutazione del mondo della p. fu retaggio del pensiero patristico, e venne riaffermata con decisione da sant'Agostino, laddove asseriva che le istituzioni politiche possedevano un valore secondario e affatto relativo. Il periodo dei Padri della Chiesa, che si estende sino ai secc. VI-VII, appartiene ancora all'antichità e il pensiero si svolge ancora in buona parte nell'ambito delle concezioni politiche romane. Nei secoli seguenti la situazione politica generale divenne tale da non consentire una grande attività teoretica e almeno fino alla fine dell'XI sec., quando ebbe inizio la grande polemica tra l'autorità spirituale e quella temporale, non ci fu un'attiva discussione di idee politiche. Ciò nonostante, l'urto tra Stato e Chiesa che ne derivò servì a sancire ancora una volta il primato della religione sulla p., garantendo comunque all'uomo la strada che lo avrebbe condotto alla conquista della vera felicità solo una volta oltrepassata la soglia dell'aldilà. Una grande rinascita intellettuale, centrata prevalentemente sulla contrapposizione tra la dottrina della sovranità papale e quella imperiale, ebbe inizio verso la fine del XII sec. ed ebbe come principali centri le università di Oxford e di Parigi, attraverso le elaborazioni di Guglielmo d'Occam (che per primo teorizzò la separazione tra ragione e fede e tra potere laico ed ecclesiastico), Marsilio da Padova (che subordinò la Chiesa all'imperatore in quanto solo rappresentante legittimo del popolo) e J. Bodin (che definì le origini e i limiti della sovranità). Fu tuttavia soltanto con l'avvento di N. Machiavelli che si giunse al riconoscimento definitivo dell'autonomia e della sovranità dello Stato, inteso come vero Stato nazionale; la p. assunse dignità e dimensione totalmente autonome rispetto alla morale e alla religione. Con Machiavelli si giunse non solo a studiare i meccanismi di esercizio e a sfrondare la p. di qualsiasi sovrastruttura ideologica o trascendente, ma anche e soprattutto a considerarla sulla base di criteri puramente empirici e realistici: la p. poteva a pieno titolo trasformarsi in scienza politica. Postulati caratteristici dell'età moderna sono l'ampliamento e la definitiva affermazione dei principi di sovranità popolare e di uguaglianza giuridica, che ebbero tra i primi assertori Locke, Montesquieu e Rousseau. Dal tronco unitario dello Stato moderno, il XX sec. ha visto articolarsi esperienze politiche differenti (sistema liberal-capitalistico, regimi autoritari di tipo fascista, democrazie laburiste, democrazie popolari o socialiste) e una ricca fioritura di dottrine prevalentemente pessimistiche per quanto riguarda il funzionamento politico e la p. stessa, intesa come pratica del governo. Studiosi come M. Weber, F. Meinecke, E. Leone giungono a parlare della p. come di un fenomeno diabolico, e del tutto negativo è il giudizio di pensatori come lo spagnolo Ortega y Gasset, che definisce la p. come un'attività spirituale secondaria, una pura ricerca dell'utile. Per quanto il suo esercizio concreto comporti transazioni e compromessi, essa, tuttavia è anche, e soprattutto, ricerca di valori universali, come la giustizia, la libertà, il diritto. Secondo la definizione di B. Croce, "l'azione politica non può dirsi né morale né immorale. Essa infatti è guidata dal senso dell'utile e indirizzata a un fine di utilità: quando si parla di un senso politico, si pensa subito al senso della convenienza, dell'opportunità, della realtà, di ciò che è adatto allo scopo e simili". Privi di senso politico sono invece, secondo Croce, coloro che mancano di senso della realtà e che finiscono con l'essere maldestri e inopportuni, pur animati da intenti morali e da nobili ideali. La p., secondo Croce, è un momento ineliminabile nella vita, non solo della società, ma anche dei singoli. Infatti, "se si richiede abilità politica per governare lo Stato o per capitanare un partito, ce ne vuole parimenti per governare la propria famiglia, ce ne vuole per annodare e coltivare relazioni d'amore e di amicizia..." (da Etica e Politica, 1931).
"Politica e persona" di Flaminio Piccoli