Storico greco. Figlio di Licorta, noto uomo politico e stratega della Lega
achea, la federazione degli Stati del Peloponneso, ricoprì fin da giovane
importanti cariche politiche e militari, fino ad essere nominato ipparco,
comandante della cavalleria. Nel 168 a.C., con la vittoria dei Romani a Pidna, a
causa dell'ambiguo atteggiamento tenuto dalla Lega achea verso i vincitori,
P. fu incluso nei 1.000 ostaggi achei inviati a Roma e distribuiti in
varie città d'Italia. Dal 167 a.C. fino al 150 a.C.
P. fu
trattenuto in casa di Emilio Paolo, come maestro e amico di suo figlio Publio,
cioè di Scipione Emiliano; ebbe la possibilità di frequentare i
più autorevoli personaggi di Roma, di studiare e conoscere a fondo la
società romana, nonché di compiere viaggi in Gallia, Spagna e
Africa settentrionale. Nel 150 a.C. poté ritornare in patria con gli
ostaggi superstiti, ma scelse di seguire Scipione nella terza guerra punica,
assistendo alla distruzione di Cartagine e poi a quella di Corinto (146 a.C.).
Dopo la definitiva sconfitta della Lega achea, fu designato a provvedere
all'assetto della futura provincia di Achaia, incarico che svolse con
soddisfazione dei suoi connazionali che gli eressero numerose statue. Si
dedicò alla politica attiva, ricoprendo le cariche di legislatore,
arbitro delle leggi e mediatore fra vincitori e vinti. Morì in patria,
all'età di 82 anni per una caduta da cavallo. Fra le sue opere giovanili,
perdute, si ricorda un
Elogio di Filopemene, generale della Lega achea, e
un
Trattato di tattica. La fama di
P. è tuttavia legata
alle
Storie, in 40 libri, nelle quali erano narrati gli avvenimenti dal
220 a.C. al 145-44 a.C. Integri sono rimasti i primi cinque libri, il XVII
è andato completamente perduto, degli altri rimangono degli estratti.
L'opera è organizzata cronologicamente secondo il calcolo delle
Olimpiadi. I primi due libri sono di introduzione e rappresentano una panoramica
degli eventi dalla prima guerra punica al 220 a.C., riallacciandosi alla fine
dell'opera storica di Timeo. I rimanenti libri sono dedicati agli avvenimenti
politici e militari fino al 146 a.C., anche se il programma originario prevedeva
la conclusione alla battaglia di Pidna (168 a.C.). Intervallate alla narrazione
storica sono alcune monografie: il libro VI è dedicato al problema
dell'importanza delle Costituzioni e alla Costituzione romana; il XII contiene
la discussione dei criteri storiografici di
P.; l'ultimo consiste in un
riassunto di tutta l'opera. Nel proemio egli enuncia il carattere della sua
opera: una storia “pragmatica”, basata, cioè, sui fatti
politici e militari contemporanei, e universale. L'intento è quello di
capire come, e valendosi di quale struttura politica, i Romani, nell'arco di
pochissimo tempo, siano diventati i signori del mondo. I principi ispiratori
dell'opera sono ribaditi più volte: rifacendosi al modello tucidideo,
P. sostiene l'esigenza di una storiografia rispondente a criteri di
dimostrazione scientifica, dunque basata su un accurato studio delle cause degli
eventi, sulla ricognizione dei luoghi e sulla specifica competenza di problemi
politici e di tecnica militare. In aperta polemica con i suoi predecessori, in
particolare con lo storico Filarco, autore di una storiografia
“tragica”, e con Timeo, che rivela incompetenza geografica e
politico-militare,
P. rifiuta il carattere retorico e drammatico della
storiografia del IV sec. a.C. e della sua stessa età ellenistica.
Nell'utilizzo delle fonti si avvale, per la storia romana, di Fabio Pittore,
Filino, Postumio Albino; per quella greca segue in genere la tradizione achea
(Arato), servendosi, dove possibile, di fonti documentarie scritte. Il libro VI
è dedicato alle forme costituzionali, un argomento già presente
nella riflessione filosofica del mondo greco, teorizzato da Platone e
Aristotele. Partendo dal presupposto che la storia di uno Stato si identifica
con quella della sua Costituzione, e per spiegare l'inarrestabile ascesa dello
Stato romano,
P. analizza le diverse forme di organizzazione politica.
Monarchia, aristocrazia, democrazia rappresentano tre forme naturali di regime
politico alle quali corrispondono altrettante forme degenerate (tirannide,
oligarchia, oclocrazia) che si alternano in un ciclo ripetitivo e necessario (la
monarchia degenera in tirannide; questa viene rovesciata dall'aristocrazia, che
poi si muta in oligarchia, a sua volta travolta dalla democrazia, poi destinata
a diventare oclocrazia, fino alla ripetizione del ciclo). L'unica
possibilità di arrestare la degenerazione consiste nella Costituzione
mista, in cui i poteri siano equilibrati; come esemplificazione della sua teoria
P. fa riferimento alla Costituzione romana, a cui dedica un'analisi
dettagliata, illustrando la distribuzione delle competenze fra i vari organi
dello Stato romano. Rispetto alla teoria aristotelica, la Costituzione mista
teorizzata da
P. è fondata sull'equilibrio dei poteri, non delle
classi sociali, probabilmente per la sua esperienza del principio della
collegialità insito nel sistema romano. Il concetto di equilibrio e
stabilità della Costituzione mista, sembra, tuttavia, contraddetto in
altri passi della trattazione di
P., dove si afferma che la Costituzione
romana ebbe il suo maggior splendore all'epoca della seconda guerra punica,
avviandosi ormai a una svolta sotto la pressione del popolo. Si è cercato
di spiegare tale incongruenza riferendosi a un'evoluzione del pensiero di
P. successivamente alla rivoluzione di T. Gracco. Nonostante l'influenza
esercitata sulla teoria storiografica, la fortuna di
P. come storico fu
abbastanza modesta, forse anche a causa dell'impiego di uno stile narrativo
tecnico e sostanzialmente freddo, nonché privo di indagine psicologica
(Megalopoli 205 circa a.C. - 120 circa a.C.).