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Plàstico.

(dal latino plasticus, der. del greco plastikós, da plássein: plasmare). Che è in grado di plasmare. ║ Arti p.: V. PLASTICA. ║ Detto di opera d'arte che raggiunga effetti di particolare risalto: i valori p. di un bassorilievo. ║ Che è plasmato in modo armonioso: corpo p. ║ Fig. - Che ottiene, evoca, suggerisce impressioni quasi fisiche, dando l'idea della pienezza delle forme, del movimento armonico, ecc.: descrizione p.; valore p. delle parole. • Chir. - Chirurgia p.: branca della chirurgia che si occupa della ricostruzione di parti anatomiche malformate o lesionate, della sostituzione e del rimodellamento dei tessuti, e del ripristino dei normali rapporti tra organi. Può operare attraverso innesti di materiale cutaneo, cartilagineo, osseo, ecc. oppure servendosi di sostanze inerti come il silicone e le resine acriliche. Di origine antichissima, la chirurgia p. o riparatrice ha oggi raggiunto un notevole sviluppo, costituendo una branca specialistica della chirurgia; il perfezionamento delle tecniche si è reso necessario in seguito al diffondersi, a partire dalle guerre mondiali, di situazioni traumatiche di vario tipo, causate particolarmente dallo sviluppo industriale e dalla meccanizzazione moderna. Sua modalità operativa principale è il trapianto dei tessuti che, a seconda che vengano prelevati dall'individuo medesimo, da individuo della stessa specie, o da individuo di specie diversa, si definiscono rispettivamente auto-innesti, omo-innesti e etero-innesti. • Med. - Alimenti p.: sostanze alimentari (soprattutto protidi) che concorrono alla formazione e ricostruzione dei tessuti. • Mil. - Esplosivo p.: miscuglio di materiali esplosivi che formano una massa p. • Mecc. - Deformazioni p.: deformazioni permanenti di alcuni materiali che comportano una modificazione nella forma senza rotture o disgregazioni. • Geol. - Coltre p.: sinonimo di olistostroma. • Chim. - Materie p.: composti organici (contenenti carbonio, idrogeno, ossigeno, cloro, fluoro, zolfo, ecc.) artificiali di natura macromolecolare (megameri), cioè formati da catene molecolari di notevole peso, che si possono facilmente plasmare sotto l'azione del calore o della pressione. La deformazione subita dalle materie p. è permanente e questo le differenzia dagli elastomeri (polimeri elastici) che, cessata l'azione deformante, ritornano alla forma originaria. • Encicl. - Già nel 1838 H.V. Regnault riuscì a far polimerizzare spontaneamente alla luce del sole il cloruro di vinile ottenendo una sostanza p. Nel 1869 lo statunitense J.W. Hyatt ottenne la celluloide, mescolando nitrato di cellulosa e canfora. In Germania, nel 1897, venne prodotta la galatite, materia p. derivata dal latte. Poco più tardi W. Smith, facendo reagire glicerina e anidride ftalica, preparò le prime resine alchidiche (1901), e nel 1907 L.H. Baekeland ottenne, per condensazione del fenolo con formaldeide, la bachelite, prima resina fenolica. La celluloide, altamente infiammabile, fu soppiantata nel 1927 dall'acetato di cellulosa. In seguito si affermarono i monomeri vinilici e verso il 1930-31 si prepararono industrialmente resine acriliche, delle quali il tipo più importante fu commercializzato nel 1936 sotto forma di lastre trasparenti simili al vetro, e nel 1938 sotto forma di masse da stampaggio. Intorno al 1937 comparvero le prime resine polistiroliche (già brevettate nel 1928) pure, limpide, con buone caratteristiche meccaniche, e nello stesso periodo l'Imperial Chemical Industries (ICI) brevettò il processo di polimerizzazione dell'etilene; il polietilene comparve nel 1938 e presto le sue proprietà fecero sì che la produzione fosse ampliata su scala industriale. Nello stesso anno fu introdotto il derivato fluorurato del polietilene, dotato di notevoli proprietà di resistenza chimica e termica. Tra il 1929 e il 1936 lo statunitense W.H. Carothers preparò le poliammidi e nel 1937 entrarono in commercio le fibre tessili da esse derivanti, ovvero i filati di nailon. Intanto negli Stati Uniti la società Du Pont metteva a punto i prodotti di policondensazione di diammine con acidi bicarbossilici e in Germania si produssero poliammidi dalla policondensazione del caprolattame. Nel 1942 fecero la loro comparsa i polimeri silico-organici (siliconi) e nel 1943 i poliesteri saturi. Nel 1946 Ciba e Shell commercializzarono le resine epossidiche. L'italiano G. Natta realizzò (1954) il polipropilene, grazie a un processo di polimerizzazione stereospecifica. I prodotti industriali del polipropilene sono noti col nome di moplen (prodotto su scala industriale dalla Montecatini), usato per lo stampaggio di oggetti e di film, e meraklon, fibra di qualità particolari. Intorno al 1959 la Bayer in Germania e la General Electric negli Stati Uniti intrapresero la produzione industriale di policarbonati. Successivamente furono introdotte le poliimmidi (1962), le resine polisolfonammidiche e le resine contenenti il gruppo fenossi- (1967). La conoscenza sempre più approfondita dei meccanismi di polimerizzazione portò poi alla realizzazione di altre materie p. dotate di proprietà, tali da poter sostituire i metalli (tecnopolimeri, superpolimeri). Infine, negli anni Ottanta furono immessi sul mercato nuovi materiali: un termoplastico biodegradabile e, ad opera della BASF, dei polimeri conduttori a base di polipirroli. Parallelamente si andarono affermando le miscele polimeriche, che hanno il duplice vantaggio di soddisfare determinate esigenze applicative, evitando altresì ulteriori investimenti per la ricerca di nuovi materiali. ║ Classificazione: diversi sono i metodi di classificazione delle materie p.: in base alle caratteristiche fisico-chimiche, ai metodi di preparazione, ecc. Se si assumono come parametro le caratteristiche fisico-chimiche, si distinguono materie p. propriamente dette e materie p. con proprietà elastiche. Se invece si assume come parametro l'origine, si hanno materie p. naturali, che derivano da sostanze naturali già macromolecolari e materie p. sintetiche, che si ottengono per policondensazione o poliaddizione. Le materie p. propriamente dette si dividono in termoplastiche e termoindurenti. Queste ultime, che comprendono la maggior parte delle resine poliesteri, le resine epossidiche, melamminiche, poliuretaniche, alliliche, i fenoplasti, induriscono sotto l'effetto del calore assumendo una rigidità permanente: si formano infatti legami chimici trasversali che uniscono le macromolecole polimeriche in un reticolo senza soluzione di continuità. La plasticità iniziale non può più essere ripresa, anche se sotto l'azione del calore esse possono rammollirsi o subire alterazioni. Le materie termoplastiche invece, tra le quali ricordiamo il polietilene, il polistirene, il polipropilene, il polivinilcloruro, a caldo mantengono la loro plasticità, induriscono per raffreddamento e possono riprendere, almeno entro certi limiti, la plasticità iniziale. La loro consistenza solida, infatti, è data da una struttura cristallina fatta di macromolecole polimeriche tenute insieme da legami deboli (per esempio, legami a idrogeno, eteropolari, valenze residue) che scompaiono con l'aumento della temperatura. Le caratteristiche fisico-meccaniche (resistenza a trazione e compressione, all'urto, all'abrasione; flessibilità o rigidità, ecc.), la lavorabilità e il comportamento funzionale dipendono da un insieme di fattori che vanno dalla struttura chimica dei polimeri, al peso molecolare, all'ingombro sterico, alla presenza di anelli aromatici, ecc. ║ Lavorazione: le materie p. ottenute attraverso i processi di poliaddizione o policondensazione non sono ancora adatte per essere trasformate in manufatti. Occorre prima procedere all'aggiunta di additivi (compounding), grazie ai quali si ottiene un materiale, in polvere, granulo, ecc. che si adatta al trasporto pneumatico e ai dispositivi di dosaggio delle macchine utilizzate nel processo di lavorazione. Tra gli additivi più usati ricordiamo gli agenti stabilizzanti, gli agenti scivolanti, gli agenti flessibilizzanti, gli agenti ritardanti alla fiamma, gli agenti antistatici e quelli riempitivi. Diverse sono le tecniche di lavorazione impiegate a seconda del tipo di polimero utilizzato e del manufatto da produrre. Fondamentalmente il metodo impiegato dipende dal comportamento del polimero alla deformazione, dalla temperatura di rammollimento e dalla stabilità termica. Posta la differenza tra materie termoplastiche e termoindurenti, i metodi differiscono per il trattamento termico a cui si sottopone il polimero e per le condizioni in cui tale trattamento viene attuato. Tra i metodi fondamentali vi sono lo stampaggio, la formatura, la colata, la calandratura e la spalmatura, oltre ad alcuni adattamenti di questi metodi per ottenere laminati, espansi, ecc. ║ Stampaggio: processo di foggiatura delle materie p. entro stampi che danno loro la forma desiderata. Tale tecnica, che consente la realizzazione di un singolo manufatto alla volta, comporta l'immissione di masse pulverulente in uno stampo, in modo da ottenere un manufatto tridimensionale stabile nella forma. Gli stampi possono essere di tre tipi: aperti (maschio o femmina), quando la superficie da definire è una sola; due semistampi femmina appaiati per produrre oggetti cavi; due semistampi maschio e femmina appaiati, quando l'oggetto deve essere realizzato riempiendo l'impronta dello stampo. La conformazione dell'oggetto si ottiene per pressione; acquistano quindi grande rilievo il materiale con cui è costruito lo stampo, la temperatura e il grado di finitura dell'impronta. Esistono diversi sistemi di stampaggio: sistema per compressione, in cui lo stampo contenente il materiale p. è posto tra i piatti di una pressa verticale e riscaldato; sistema del trasporto, che si differenzia dal precedente solo perché la massa da stampare viene riscaldata in una camera separata e poi trasferita sotto pressione nello stampo attraverso un canale; sistema per iniezione, il metodo più diffuso nella lavorazione delle materie p., in particolare di quelle termoplastiche, che consente una produzione a ritmo elevato di pezzi di foggia e dimensioni molto diverse. La materia p. viene iniettata nella cavità dello stampo dove si solidifica per raffreddamento oppure reticola per riscaldamento. Le macchine per lo stampaggio ad iniezione sono formate da alcune unità principali: un'unità di plastificazione, un'unità di serraggio, che serve a sostenere e chiudere lo stampo, un'unità di controllo del processo e infine un'unità di controllo della temperatura che riscalda e raffredda lo stampo. Quest'ultimo è il cuore dello stampaggio a iniezione e qualora presenti dei difetti, essi si ripercuoteranno sulle prestazioni del manufatto. Dal momento che le materie p. hanno visto una rapida diffusione in tutti i campi, si è reso necessario ottimizzare i criteri di progettazione e messa a punto degli stampi, ad esempio introducendo, tra gli strumenti di controllo, dei programmi di simulazione del ciclo di stampaggio supportati dal calcolatore. Questi programmi riproducono le fasi dello stampaggio, con i fenomeni fisici ad esse correlati, su modelli della cavità dello stampo discretizzati in un certo numero di elementi. Si cerca così di prevedere, in una fase precedente alla progettazione vera e propria dello stampo, le modalità di reazione dell'intero processo. Al metodo dello stampaggio a iniezione è stato possibile introdurre, negli ultimi anni, alcune varianti rispetto al processo tradizionale. Così, nel caso di pezzi sottili o grandi superfici, si ricorre al metodo dell'inietto-compressione, ovvero si esercita una pressione relativamente bassa sullo stampo nella fase di riempimento in modo che lo stampo si apra leggermente. Si completa poi il riempimento alla massima pressione così che l'unità di chiusura agisca come una pressa su tutta la superficie dello stampo. Si possono poi ottenere pezzi rivestiti con tessuti, inseriti nello stampo prima dell'introduzione della materia p. oppure decorati direttamente nello stampo, grazie all'utilizzazione di decalcomanie che, sotto l'effetto della temperatura e della pressione, rimangono sulla superficie del pezzo. La coiniezione consente di iniettare nello stampo due materiali diversi, ma che abbiano buona adesione e ritiri simili, in modo da ottenere una superficie multistrato. Qualora uno dei due componenti sia un gas si ottiene un manufatto cavo. Infine, per realizzare pezzi di spessore elevato, si usa il metodo dell'iniezione per intrusione consistente nell'introdurre lentamente (a bassa pressione) il materiale nello stampo, facendo lavorare la vite della macchina come quella di un estrusore fino al completo riempimento dello stampo. Successivamente si esercita una pressione di compattamento del materiale. ║ Estrusione: per preparare pezzi in cui prevale una dimensione, come tubi, profilati, guarnizioni, ecc. si usa il metodo detto estrusione o trafilatura. Sotto effetto del calore e della pressione il polimero, passando attraverso una filiera, viene modellato con continuità secondo la forma voluta. Per ottenere una qualità ottimale del manufatto è molto importante scegliere la temperatura appropriata a quel materiale e servirsi di una vite adatta (dispositivo che spinge innanzi la materia p.), valutando i parametri diametro/lunghezza, profondità del canale d'uscita e passo del filetto. Nella realizzazione di un buon estruso gioca un ruolo importante anche la progettazione dell'ugello di estrusione. Prima della formatura del polimero nell'ugello, vi è una fase in cui il materiale passa nella filiera, che deve essere realizzata in modo da evitare che si formino zone di ristagno del flusso di materiale. Per scegliere le dimensioni della filiera bisogna tener conto del ritiro del materiale, del rigonfiamento all'uscita dall'orifizio e dello stiramento che gli si vuole dare per determinarne lo spessore. L'estrusione dei film presenta alcune differenze rispetto a quella dei profilati: sono diversi la testa di estrusione (fenditura circolare o rettilinea a seconda che si vogliano realizzare film tubolari o piani) e i sistemi di raffreddamento e avvolgimento dei film. Nella produzione di film tubolari (o per soffiaggio) il materiale fuso viene spinto attraverso la testa con flusso uniforme attraverso tutta la circonferenza. All'uscita della testa il materiale viene gonfiato con una pressione d'aria interna al tubo, che dà al film le dimensioni desiderate. La realizzazione di film piani avviene con il raffreddamento del film in acqua o per contatto con un rullo avente una camera d'acqua interna. Le proprietà meccaniche dei film vengono ottimizzate attraverso uno stiro longitudinale (in direzione dell'estrusione) e trasversale (perpendicolare alla direzione dell'estrusione). La realizzazione di film piani può essere seguita dall'accoppiamento a supporti di vario tipo. Inoltre è possibile rivestire i conduttori elettrici di materiale p. fuso utilizzando apposite teste a croce disposte ad angolo rispetto all'asse orizzontale dell'estrusore e sincronizzando la velocità di uscita del polimero con quella del conduttore. Si chiama filatura quel processo di estrusione modificata utilizzato per ottenere filati; mentre la coestrusione è quel processo che consente di combinare in una struttura multistrato (laminato coestruso) materie p. differenti, provenienti da diversi estrusori. ║ Soffiaggio: metodo di lavorazione utilizzato per realizzare corpi cavi in materiale termoplastico. Si distingue in estrusione-soffiaggio e iniezione-soffiaggio. La prima è un processo continuo o discontinuo. Nell'estrusione-soffiaggio continua, un tubo di materiale fuso (parison) prodotto dall'estrusore entra in uno stampo dove, sottoposto a una pressione interna, si espande fino a toccare le pareti dello stampo per poi solidificarsi. Il parison viene formato da un estrusore che genera un flusso continuo di materiale e alla medesima velocità con cui il pezzo viene formato, raffreddato ed espulso. Nell'estrusione-soffiaggio discontinua, il metodo più utilizzato è quello a testa di accumulo, in cui l'estrusore accumula il materiale p. fuso in un serbatoio tubolare da cui un pistone lo spinge nello stampo a formare il parison, che viene poi pompato, raffreddato ed espulso. L'iniezione-soffiaggio è un processo unicamente discontinuo che si differenzia per le modalità di preparazione del materiale di partenza, chiamato preforma. Quest'ultima si ottiene per stampaggio a iniezione e durante il soffiaggio viene stirata sia nel senso della circonferenza sia in senso longitudinale. ║ Stampaggio rotazionale: anche questo metodo viene utilizzato per produrre corpi cavi. Lo stampo, posto dentro un forno, viene fatto ruotare lungo due assi, in modo che il polimero si distribuisca uniformemente sulle pareti dello stampo stesso. Esistono due varianti dello stampaggio rotazionale: lo slush molding e lo stampaggio per centrifugazione. Nel primo, lo stampo viene riempito completamente e mantenuto fermo durante il riscaldamento. Il secondo si differenzia dallo stampaggio rotazionale unicamente perché lo stampo ruota lungo un solo asse e a velocità più elevata. ║ Termoformatura: metodo di lavorazione che utilizza un semilavorato (termoplastico) in forma di lastra dello spessore variabile da qualche decimo di mm fino a 10-12 mm. Nel caso della formatura semplice in negativo, la lastra preriscaldata viene risucchiata sullo stampo dal vuoto; la forza massima di deformazione è quella relativa alla pressione atmosferica e la superficie estetica è quella concava, ovvero quella che non è a contatto con lo stampo. Nella formatura in positivo, la lastra preriscaldata è deformata da uno stampo positivo in movimento; quindi con il vuoto la lastra viene fatta aderire allo stampo; la superficie estetica sarà quella convessa. Nella formatura a pressione, si utilizzano stampi pressurizzati con valori di pressione superiori alla pressione atmosferica. Nella formatura per soffiaggio la lastra viene deformata da un getto d'aria in pressione; si ottengono così manufatti con entrambi i lati estetici. Infine nella formatura positiva-negativa, la lastra preriscaldata viene introdotta in uno stampo maschio-femmina con bordi coincidenti. ║ Rivestimento: esistono vari metodi di rivestimento, di cui il più utilizzato è il cosiddetto dipping: il manufatto da rivestire viene immerso in soluzioni, paste, dispersioni, polveri fondenti di materia p., che viene poi portata al suo stato finale per riscaldamento, evaporazione o solidificazione. L'immersione in letto fluido si usa nel caso di polveri e superfici metalliche: si utilizzano due camere separate da un setto poroso su cui viene collocato uno strato di polvere. Attraverso il setto viene soffiata dell'aria che solleva una nube di polvere che rimane sospesa in equilibrio tra gravità e spinta ascendente dell'aria. Il manufatto da rivestire viene preriscaldato e immesso nella camera, dove uno strato di polvere si deposita sulla sua superficie; successivamente viene completato da una cottura in forno. Se gli oggetti da rivestire sono troppo grandi per il letto fluido, si procede al rivestimento della superficie preriscaldata attraverso un getto di polvere applicata a spruzzo con pistole semplici o elettrostatiche. Se l'oggetto da rivestire non è rigido (tessuti, feltri e simili) la polvere viene applicata facendo passare le superfici attraverso un sistema di distribuzione (a vaglio, a scosse, a coltello livellatore) che le riveste con uno strato di polvere. È necessario poi far passare il manufatto in un tunnel di riscaldamento e poi raffreddarlo. Nel caso in cui le materie p. usate per il rivestimento siano liquide, i manufatti non rigidi sono rivestiti da macchine chiamate spalmatrici. ║ Materie p. espanse: hanno una struttura cellulare con fori aperti e chiusi, con bassa densità apparente ed elevate proprietà isolanti e meccaniche. Sono impiegate soprattutto nell'imballaggio, nell'isolamento (pannelli termoisolanti e fonoassorbenti), per la realizzazione di boe, strutture galleggianti, imbarcazioni, e negli allestimenti interni delle autovetture. Le più diffuse sono quelle a base di poliuretani, cloruro di polivinile, polistirene, poliolefine nonché di resine epossidiche, fenoliche, ecc. Si ottengono con procedimenti diversi, quali l'aggregazione per compressione e sinterizzazione di particelle a granuli uniformi oppure la formazione di piccolissime bolle gassose nella materia p. allo stato pastoso. ║ Materie p. rinforzate: polimeri nella cui struttura vengono inserite inclusioni di varia natura e dimensione: in questo modo il manufatto unisce le proprietà del polimero a quelle delle fibre aggiuntive, in genere più resistenti e rigide rispetto alla matrice. Vengono impiegate per realizzare imbarcazioni, sedie, serbatoi, parti di carrozzeria delle automobili, ecc. Nella maggior parte dei casi le inclusioni sono rappresentate da fibre ottenute per trafilatura che sono contenute nel polimero in una percentuale che può arrivare fino al 60%. Si chiamano plastici rinforzati quei polimeri in cui le fibre inserite sono corte e non orientate in modo prestabilito; si parla invece di materiali compositi quando le fibre sono lunghe e distribuite secondo uno schema predefinito. Una delle unioni più comuni è quella tra resine poliesteri e fibre di vetro, impiegate sotto forma di feltro a fibre di varia lunghezza (mat) o di tessuti. Altri materiali di rinforzo sono il kevlar e il carbonio. Assai vari sono i metodi di preparazione dei manufatti in materia p. rinforzata che variano in base al tipo di rinforzo impiegato. Se le fibre sono corte si usa lo stampaggio ad iniezione oppure ad iniezione con reazione; mentre se le fibre sono lunghe o continue si può ricorrere allo stampaggio di semilavorati, chiamati sheet molding compound, nel caso di resine termoindurenti e glass mat thermoplastic, nel caso di materie termoplastiche: con lo stampaggio a compressione si ottengono poi i manufatti. Si chiama RIM strutturale (structural reaction injection molding) una tecnica consistente nell'introdurre una resina molto reattiva in uno stampo dove si trova la struttura di rinforzo in modo da ottenere, dopo la polimerizzazione, un manufatto ad elevato contenuto di rinforzo.