Scrittore latino. Vissuto in epoca neroniana, è generalmente identificato
con il
P. di cui Tacito riporta un celebre ritratto: raffinato
aristocratico, era stato proconsole in Bitinia e poi ammesso alla corte di
Nerone in qualità di
arbiter elegantiarum, maestro di buon gusto;
caduto in disgrazia perché sospettato di aver partecipato alla congiura
pisoniana (66), preferì darsi volontaria morte e si tagliò le
vene, dopo aver intrattenuto gli amici su argomenti frivoli e aver aggiunto al
testamento alcuni codicilli in cui descriveva le dissolutezze della corte
neroniana. Si tratta dell'unica testimonianza che, insieme con la descrizione
della sua morte, spiegherebbe alcuni tratti della personalità di
P. Tacito, comunque, non si riferisce a lui come a uno scrittore. I
manoscritti che ci hanno conservato il
Satyricon attribuiscono l'opera a
un
Petronius Arbiter o
Caius Petronius Arbiter, ma nulla su di lui
ci dicono i primi eruditi del III sec. Oltre che sulla persona dell'autore, di
cui è incerta anche la patria (si è ipotizzato che fosse romano, o
campano, o marsigliese), dubbi restano anche sul titolo, variamente riportato
dalla tradizione manoscritta:
Petroni Arbitri Satirarum libri, Petroni
Arbitri Satyricon. Nonostante la presenza, all'interno della "questione
petroniana", di tesi contrapposte, è accettata ormai comunemente
l'identificazione fra il
P. di Tacito e il
P. autore del
Satyricon, anche se rimangono tuttora incerti sia il titolo sia
l'ampiezza originaria dell'opera. Del
Satyricon possediamo diversi
estratti, conservatisi per due vie: una tramanda l'episodio della
Cena
Trimalchionis, contenuto in un manoscritto del Quattrocento ritrovato in
Dalmazia nel XVII sec.; l'altra la prima parte della Cena e quanto la segue e la
precede (in tutto 141 capitoli, un terzo circa dell'opera originaria). Definito
generalmente un romanzo, il
Satyricon appartiene al genere della "satira
menippea": è un'alternanza di parti in prosa e in versi di argomento
avventuroso, erotico, satirico. Indicata come la prima grande opera veristica
della letteratura mondiale, è effettivamente un'opera di rottura degli
schemi tradizionali, che non trova confronti nell'antichità. È la
rappresentazione ironica e partecipe allo stesso tempo, priva di qualsiasi
intento moralistico, della società dell'epoca, fatta di liberti
insolenti, furfanti, imbroglioni, gente senza gusto né amore per la
bellezza, che non si perde a filosofare, ma usa il grossolano buon senso, la
furbizia, l'ambizione. Lo stile impiegato, attraverso un linguaggio volgare,
ricco di barbarismi, alterazioni lessicali, solo apparentemente naturale,
è estremamente caratterizzante e artisticamente efficace. La
"modernità" dell'opera è provata innanzitutto dalla sua
leggibilità: rivela una conoscenza spregiudicata del mondo nei suoi
aspetti più fisici, in questo distinguendosi dalla maggior parte dei
testi classici dall'atmosfera più rarefatta (I sec.).