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Personalità.

(dal latino personalitas, der. di personalis: personale). L'insieme delle caratteristiche individuali (qualità psichiche, morali, intellettuali), che rendono ben distinta una persona rispetto alle altre. La p. è il nucleo individuale irriducibile che tende a permanere stabilmente attraverso la molteplicità delle situazioni. ║ Persona che gode di grande stima per la posizione di prestigio occupata in un determinato campo. • St. - Culto della p.: ossequio eccessivo verso un personaggio pubblico, determinato dal ruolo ricoperto più che dalle sue doti personali. L'espressione nacque con il XX congresso del Partito comunista sovietico (1956), per stigmatizzare l'acritico ed esagerato ossequio alle direttive politiche espresse non dallo Stato nella sua interezza, ma da un singolo governante, nella fattispecie Stalin. • Dir. - P. giuridica: condizione di chi è persona giuridica (V.), e gode dunque dei diritti che l'ordinamento giuridico riconosce ai suoi soggetti. ║ Diritti della p.: diritti che attengono alla tutela della persona in quanto tale. Giurisprudenza e dottrina sono orientate a considerare l'unicità dei diritti della p., specificantesi in molteplici aspetti. Significative per una definizione del loro ambito sono le storiche dichiarazioni dei diritti americana e francese, o i pronunciamenti degli organismi internazionali (Consiglio d'Europa, Organizzazione delle Nazioni Unite, ecc.). L'ordinamento italiano definisce alcuni aspetti di tutela della p.: il diritto all'integrità fisica, al nome, all'identità sessuale, all'integrità morale, all'immagine, all'intimità della vita privata (artt. 5-10 Cod. Civ.). I diritti della p. sono inalienabili, imprescrittibili e tutelabili in sede penale, amministrativa, e con azioni civili, collegandosi alla questione della risarcibilità del danno non patrimoniale (art. 2.059 Cod. Civ.). ║ Delitti contro la p. individuale: V. PERSONA. ║ Delitti contro la p. dello Stato: comprendono tutti i delitti che ledono interessi politici dello Stato o del cittadino. Sono raggruppati sotto quattro capi: i delitti contro la p. internazionale dello Stato, che comprendono le minacce all'integrità politico-territoriale, all'indipendenza, alla pace, alla sicurezza, alla normalità dei rapporti dello Stato con le altre Nazioni, nonché alla sua efficienza e al suo prestigio, come pure i delitti comuni determinati in tutto o in parte da motivi politici (artt. 241-275 Cod. Pen.); i delitti contro la p. interna dello Stato, che comprendono i delitti contro la persona del capo dello Stato, la Costituzione e gli organi costituzionali dello Stato, i poteri dello Stato e, infine, il prestigio della Nazione (artt. 276-293); i delitti contro i diritti politici dei cittadini; i delitti contro gli Stati esteri, i loro capi e i loro rappresentanti, comprendenti gli attentati e le offese contro i capi e i rappresentanti degli Stati stranieri, nonché le offese alla bandiera e agli altri emblemi degli Stati medesimi. ║ P. del diritto: l'inesistenza di una legge territoriale unica valevole per tutti i soggetti rispetto a uno stesso ordinamento giuridico, che possono così regolarsi con le leggi proprie della Nazione o stirpe cui appartengono. Molto diffuso nel mondo antico, tale sistema trovò la più ampia applicazione durante i Regni barbarici: i popoli germanici consentirono ai Romani assoggettati di usufruire delle norme del diritto romano. Durante il Sacro Romano Impero si ricorse alla professio juris con cui veniva dichiarata la legge, secondo cui si intendeva vivere o compiere negozi. Chierici ed ecclesiastici erano vincolati alla legge romana, a prescindere dalla Nazione di appartenenza. Il sistema venne abbandonato a favore del principio della territorialità del diritto con l'affermarsi della società comunale. ║ P. internazionale: quella che investe enti esplicanti un ruolo effettivo nell'ambito internazionale e che dunque sono soggetti all'ordinamento internazionale. Gli enti investiti dalla p. internazionale sono principalmente Stati, ma anche organizzazioni internazionali, movimenti insurrezionali, qualora siano in grado di esplicare effettivamente il controllo su almeno una porzione del territorio. La p. viene attribuita non attraverso atti giuridici formali, ma automaticamente, come conseguenza dell'esistenza effettiva di uno Stato nuovo, in grado di recepire le norme del diritto internazionale. • Filos. - Nel mondo antico non compare una riflessione sistematica sul concetto di p. che, in quanto legato all'individualità, non trova una giusta collocazione nell'ambito dell'universalità razionale, assunta ad elemento distintivo della verità. Solo in età ellenistica e imperiale, con il prevalere dell'interesse per l'etica, si accentuò il carattere intimistico della filosofia e, dallo Stoicismo prima, dal Cristianesimo poi, venne riconosciuto il valore della p. individuale, mediante l'introduzione della categoria della volontà (Seneca) e del concetto di responsabilità del singolo di fronte a Dio. Sant'Agostino individuò drammaticamente la condizione di dubbio e incertezza della coscienza individuale. In età moderna, Cartesio, ma soprattutto Kant riconobbero, nella coscienza di sé, il principio di ogni giudizio teoretico e il principio organizzatore di tutta la realtà conosciuta. Non compare, tuttavia, ancora in Kant, che si riferisce a una coscienza in generale, il problema della p. come principio morale avente valore universale e intesa, nello stesso tempo, come assolutamente particolare e irripetibile. La riflessione critica sulla condizione umana fu condotta soprattutto dalla filosofia esistenzialista, per la quale l'esistenza non è mai oggetto esterno passibile di trattazione scientifico-obiettiva, ma è invece il nostro stesso modo di essere. L'essere persona, ossia avere p., significa essere liberi, originali, creativi ed esistere in modo autentico e significa emergere dalle situazioni con atti di scelta che creano nuovi valori. Compito fondamentale della p. nell'Esistenzialismo cristiano di K. Jaspers e G. Marcel è quello di aprirsi alla trascendenza, tagliando i ponti con il pensiero obiettivo e razionale. Il difetto costituzionale dell'Esistenzialismo è un'inadeguata considerazione per quei processi di obiettivazione per cui l'individuo si fa persona e si mette in grado di operare storicamente, superando le astrattezze dell'ineffabile. Il riconoscimento che la storia ha come suoi protagonisti uomini portatori di idee e di valori, categorie sussistenti oltre la realtà empirica dei loro portatori, trasforma la filosofia in antropologia: l'uomo reale, finito, storico, diviene il problema centrale della filosofia. • Psicol. - Il concetto di p., a causa della complessità dei fenomeni ad essa legati, varia a seconda delle diverse scuole psicologiche. Sono state formulate diverse teorie della p. che sottolineano, per esempio, l'importanza dei fattori biologici rispetto a quelli ambientali, oppure l'apprendimento in contrapposizione alla percezione, ecc. La teoria comportamentista individua nell'abitudine, cioè nell'associazione stabile fra determinati stimoli e determinate risposte, l'elemento caratteristico della p. La concezione di G.W. Allport sottolinea l'unicità e l'irripetibilità intrinseca di ogni persona, che vanificherebbe qualsiasi tentativo di classificazione in tipi o categorie psicologiche degli esseri umani; il concetto centrale di questa teoria è quello di proprium, l'essenza della p., vista nel suo costante divenire. H.A. Murray considera la p. il fattore in grado di mediare fra i bisogni dell'individuo e le richieste ambientali. La teoria "bio-sociale" di L.B. Murphy armonizza le influenze biologiche e quelle sociali nella strutturazione della p., sottolineando il valore della motivazione sia sul piano dell'interiorità, sia su quello della percezione. Secondo H. Eysenck "la p. è la più o meno stabile e duratura organizzazione del carattere, del temperamento, dell'intelletto e del fisico di una persona: organizzazione che determina il suo che determina il suo adattamento totale all'ambiente''. Elementi caratteristici della p. sono l'unità, l'identità e la continuità: unità, in quanto le reazioni e i comportamenti di ciascuna persona si manifestano come un tutto unico e non come una somma di più elementi, mentre, d'altra parte, la mancanza di unità si rivela in taluni stati patologici; identità, intesa in senso relativo e in rapporto con la continuità, in quanto la stessa persona che prima era bambino diviene poi adulto e quindi anziano, per cui alla base della formazione di ogni esperienza intellettuale e affettiva vi è la p. e, quindi, la possibilità di una continuità. I fondamenti psicosomatici (temperamentali) dell'individuo sono più evidenti nella p. del neonato, in quanto essa non è stata ancora arricchita e modificata dall'ambiente e dall'esperienza. Compito della psicologia genetica è quello di illustrare le leggi secondo le quali la p. varia nell'età evolutiva, in rapporto ai problemi dell'ereditarietà. A partire dai primi mesi di vita, la p., in quanto processo evolutivo, inizia la sua formazione, per cui già in questo periodo precoce le influenze ambientali plasmano le innate reazioni dell'organismo psichico, considerato sul piano puramente biologico. È ipotesi comune che, nel periodo di passaggio dal primo al secondo anno, il bambino manifesti già dei tipici modi di reazione, che formeranno il nucleo della sua p. Nonostante la grande importanza rivestita dalle prime esperienze infantili sulla formazione della p., l'interazione fra individuo e ambiente determina una continua evoluzione della p., anche se, come è stato largamente dimostrato dalla psicoanalisi, le fondamentali esperienze psichiche dell'età infantile sono in grado di condizionare le esperienze successive. Nel tentativo di superare la bipolarità esistente fra la teoria "biologica" della p., che accentua l'importanza dei fattori costituzionali, e quella ambientale, che sottolinea il peso dei fattori sociali, la psicologia sociale prende in considerazione, contemporaneamente, alcune premesse sociologiche e i risultati delle ricerche psicoanalitiche. Secondo quest'ottica, qualunque studio sulla formazione della p. non può prescindere dall'analisi dei diversi tipi di ambiente, con i quali l'individuo entra in contatto, nel corso della sua vita. In genere, si distinguono tre stadi di sviluppo, corrispondenti ad altrettanti modi di percepire il mondo sociale. Il primo è uno stadio autistico, in cui il neonato ha soltanto impulsi e non motivazioni, ed è completamente distaccato dalla realtà circostante, per cui i suoi desideri sono legati esclusivamente all'immediata soddisfazione dei suoi impulsi, senza considerazione alcuna per la possibilità di una soddisfazione maggiore, attraverso mezzi indiretti o ritardati. Lo stadio successivo è quello in cui il bambino comincia a prendere in considerazione il mondo esterno; il fatto di incontrare delle resistenze ambientali alle proprie richieste autistiche, lo spinge all'inibizione di alcuni dei suoi impulsi e, successivamente, a compiere delle discriminazioni, soprattutto fra le persone. Il risultato è l'acquisizione di forme sempre più distinte e complesse di motivazioni, verso individui membri della sua famiglia. Durante questo periodo, indicato come "assolutistico", il bambino comincia a praticare, per finzione, i ruoli prescritti dalla società, copiando le forme di comportamento che ha osservato. Tale acquisizione dei "ruoli" comporta il riconoscimento della "reciprocità" tra se stessi e gli altri. Matura così la capacità di compiere più sottili discriminazioni e di acquisire nuove motivazioni. Il risultato finale sarà la percezione degli altri come persone con punti di vista e motivazioni diverse dalle proprie. Per quanto sia possibile precisare l'adattamento graduale alla vita sociale attraverso lo sviluppo cronologico delle potenzialità innate, avendo come strumento di misurazione lo sviluppo bio-fisico, non sempre sviluppo fisico e sviluppo della p. procedono parallelamente. Particolarmente importante, nello sviluppo della p., è lo sviluppo delle attitudini interpersonali nella fase della prima adolescenza, in quanto è mediante tale sviluppo che l'individuo diviene capace di attribuire a qualcun altro la stessa importanza che attribuisce a se stesso. • Psicol. - P. psicopatica: V. PSICOPATICO. ║ Tipi di p.: la letteratura psicoanalitica distingue i vari tipi di p. come caratteri, classificandoli in rapporto al normale sviluppo della p. e da un punto di vista clinico. Nel primo caso si fa riferimento allo sviluppo libidico, dal quale si desume derivino le caratteristiche individuali. Si distinguono pertanto caratteri orali, anali, genitali. I caratteri clinici sono classificati con riferimento alle analogie e somiglianze che essi presentano con certe condizioni psichiatriche. Di qui la classificazione di p., o carattere, depressiva, fobica, isterica, maniacale, ossessiva, schizoide.