(dal greco
peripatetikós, der. di
peripatós:
passeggiata). Relativo alla scuola filosofica aristotelica, i cui membri si
intrattenevano a discutere nel Peripato. ║ Di cosa che si fa passeggiando.
• Filos. -
Scuola p.: dopo la morte di Aristotele (322 a.C.),
già con lo scolarcato di Teofrasto fecero ingresso nel Peripato le
scienze naturali, le analisi e le classificazioni dei fatti particolari, il
gusto della ricerca empirica, a discapito delle scienze teoretiche e della
dimensione puramente speculativa. Nel III sec. il Peripato, sotto lo scolarcato
di Lico, diventò una scuola di retorica e di grammatica. Interessi
prevalentemente naturalistico-eruditi ebbero Teofrasto, Eudemo, Aristosseno di
Taranto, Dicearco di Messina, Clearco di Soli. La dispersione del pensiero
più propriamente teoretico di Aristotele va spiegata anche con il destino
degli scritti aristotelici. Mentre i dialoghi continuarono ad avere larga
diffusione, i trattati di scuola conobbero, fra il III e I sec. a.C., un oblio
quasi completo. Infatti Teofrasto, morendo, affidò la biblioteca che
conteneva tutte le opere non pubblicate di Aristotele a Neleo di Scepsi, che la
trasferì in Asia Minore, lasciandola poi ai suoi eredi; costoro, per
evitare che i manoscritti cadessero nelle mani dei re Attalidi, li nascosero in
una cantina, dove rimasero fino a che un bibliofilo, Apellicone, li
riportò ad Atene. Nell'86 a.C. furono confiscati da Silla e affidati, a
Roma, al grammatico Tirannione. Un'edizione completa e ordinata di questi
scritti fu fatta solo nel I sec. a.C. da Andronico di Rodi (decimo successore di
Aristotele). Il Peripato, dunque, rimase privato per molto tempo di quella
produzione aristotelica consistente negli appunti e nel materiale delle lezioni,
che conteneva il messaggio più profondo e speculativo del maestro.
L'età ellenistica conobbe quasi esclusivamente le opere che Aristotele
aveva pubblicato; così, il Peripato non fu in grado di esercitare un
influsso filosofico di rilievo rispetto alle altre scuole del tempo.