(dal latino
pater, con riferimento ai Padri della Chiesa). Complesso
della produzione letteraria, sia greca sia latina, in cui consiste la più
antica riflessione teologica cristiana. In senso proprio il termine sarebbe da
riferire alle opere dei soli Padri della Chiesa; in senso lato è
però comprensivo degli scritti di tutti gli autori cristiani vissuti tra
il II e il VII sec. Lo studio scientifico di tale letteratura fu definito, in un
primo momento,
patrologia; l'intima connessione tra l'aspetto dottrinale
e quello filologico-letterario ha però condotto all'unificazione delle
due nozioni e dei due ambiti nel termine
p. I limiti cronologici della
p. sono stati fissati all'epoca della Riforma, quando si distinsero nel
corpo della letteratura cristiana periodi fra loro autonomi: la cosiddetta
letteratura
apocrifa (V. APOCRIFO)
rappresentò il termine
post quem e la
scolastica
(V.) il termine
ante quem della
p.
stessa. Nelle loro opere, gli autori di questo periodo mirarono a sviluppare in
modo organico, da un lato lo studio delle Sacre Scritture e dei dati della
Rivelazione in esse contenuti, dall'altro gli aspetti inerenti il sorgere delle
prime comunità (organizzazione, gerarchia, disciplina, liturgia, azione
missionaria, ecc.). Questo intento pratico caratterizzò in particolare
misura, a scapito di quello teologico, il primo momento (sul finire del I sec.)
della
p., quello dei "padri apostolici", così chiamati
perché ebbero rapporti con gli apostoli o si rifacevano a una diretta
tradizione orale del loro insegnamento. Fra loro ricordiamo Clemente, vescovo di
Roma, Ignazio di Antiochia, Policarpo, vescovo di Smirne, che indirizzarono
numerose lettere a diverse comunità cristiane per dirimere contrasti,
spronare alla virtù, indirizzare alla disciplina, ecc. Già dopo i
primi decenni del II sec., però, gli interessi dottrinali si imposero
nella
p., prima in Oriente e poi in Occidente, con gli
apologeti
(V. APOLOGETICA). Le loro opere avevano carattere
schiettamente polemico, sia nei confronti dell'ambiente culturale esterno
(paganesimo, cultura ufficiale e statale, ecc.), sia verso il degrado interno
segnalato dalle prime eresie. Per quanto riguarda il primo aspetto, era
necessario che il Cristianesimo si affrancasse dal sospetto popolare (che
attribuiva alla nuova religione colpe odiose quali l'infanticidio, l'incesto,
ecc.), dalla persecuzione delle autorità e dall'opposizione culturale
pagana. Tale compito fu svolto soprattutto da filosofi e letterati, ex pagani
convertiti che, muovendo dalle categorie culturali proprie ai detrattori del
Cristianesimo, compirono un'efficace opera di chiarificazione e divulgazione
della nuova fede. Le loro argomentazioni comprendevano la confutazione delle
accuse sul piano dottrinale, religioso, morale anche mediante la ritorsione
delle stesse contro i pagani, ma svolgevano contemporaneamente una dimostrazione
positiva della verità del Cristianesimo (profezie, miracoli, collegamento
dei contenuti della Rivelazione con elementi della cultura greco-romana,
indicata come una sorta di "rivelazione naturale"). Tra questi autori, numerosi,
citiamo Giustino per la lingua greca e Tertulliano per quella latina. Tale
filone si sviluppò particolarmente nelle regioni dell'Africa romana,
abbracciando anche il III sec., nelle opere di Cipriano, Minucio Felice e
Lattanzio. Per quanto riguarda la coeva produzione antiereticale, essa fu
stimolata principalmente dalla diffusione in Oriente delle dottrine gnostiche
(V. GNOSTICISMO) che, fornendo risposte eterodosse
a problematiche di natura teologica e filosofica, spinsero gli apologeti a
contrastarle a tale livello. La figura di maggior rilievo in questo ambito fu
Ireneo di Lione con la sua opera
Adversus haereses, che confutò lo
gnosticismo in tutte le sue manifestazioni e sette e affermò
l'unicità dell'ispirazione divina nella composizione di Antico e Nuovo
Testamento, secondo una visione teleologica e ottimistica della storia. Contro
la gnosi e altre eresie (montanismo, modalismo, ecc.) si mosse anche Ippolito di
Roma. Durante il III sec. assunsero maggior rilievo la teologia dogmatica e
l'esegesi biblica, che furono particolarmente sviluppate nella scuola
alessandrina del
didaskáleion. I due maestri Clemente e Origene
lavorarono a un dialogo profondo tra Cristianesimo ed Ellenismo e perseguirono
una sintesi speculativa e dottrinale, fondata su un imponente lavoro esegetico
in chiave allegorica, di orientamento spiritualista e platonico. Agli indirizzi
alessandrini si contrappose presto un'altra scuola, quella di Antiochia e della
teologia asiatica, più incentrata sull'aspetto salvifico della religione
cristiana (in particolare nella riflessione di Ireneo) e sostenitrice
dell'esegesi letterale dei testi sacri. I secc. IV e V videro una fioritura
letteraria di grande livello dovuta, oltre che al percorso dei secoli
precedenti, anche alle mutate condizioni storiche per cui il Cristianesimo,
resistendo alle persecuzioni, nel giro di breve tempo fu tollerato, poi
riconosciuto, protetto e infine proclamato culto ufficiale dell'Impero
(cesaropapismo). Essendo ormai libera la Chiesa dalla clandestinità e
dalla necessità di legittimarsi sul piano religioso e culturale, anche la
produzione letteraria mutò nelle forme (ebbero grande diffusione raccolte
storiche celebrative o agiografie e composizioni liturgiche) e nei contenuti,
impegnandosi nei grandi quesiti dogmatici trinitari (IV sec.), cristologici e
relativi alla Grazia (V sec.). Alla fine del V sec., comunque, la
p.
aveva contribuito a fissare la teologia dogmatica in tutti i suoi punti
fondamentali. Tra gli autori di questo periodo ricordiamo Alessandro di
Alessandria, Atanasio (
Discorsi contro gli Ari), Ilario di Poitiers
(
De trinitate), Ambrogio di Milano (
De officiis; Inni), Gregorio
di Nazanzio (
Orazioni), Basilio (
Intorno allo Spirito Santo),
Gregorio di Nissa (
Grande discorso catechetico). Per quanto riguarda
l'esegesi, condotta in questi secoli secondo il metodo letterale, spicca l'opera
di Giovanni Crisostomo (m. 407), raccolta nelle
Omelie. La
p.
latina ebbe il suo apogeo nel V sec. con Girolamo (m. 420), Agostino (354-430) e
Prudenzio (348 - dopo il 405). Girolamo, con la sua opera di traduttore
elegante, assicurò all'Occidente la conoscenza della tradizione
p.
orientale. Agostino, in particolare, raccolse nella sua opera l'intera
tradizione speculativa precedente in una sintesi originale ed elevata, che
esercitò la sua influenza per tutto il Medioevo; a lui si deve in
particolare la chiarificazione linguistica e concettuale del dogma trinitario e
cristologico (
De trinitate), del problema della grazia (
De gratia et
libero arbitrio), lo sviluppo dell'apologetica in una positiva prospettiva
teologica (
De civitate Dei), oltre alla testimonianza della sua personale
esperienza umana raccolta nelle
Confessioni. Il VI sec. segnò il
principio della decadenza della
p. dovuto, in particolare,
all'affievolirsi della riflessione originale, a una generalizzata tendenza a
rifarsi al pensiero delle età precedenti come a una dottrina intoccabile
e non perfettibile, alla preferenza per attività di compendio ed
enciclopediche piuttosto che di speculazione autonoma (l'opera di Isidoro di
Siviglia in Occidente e di Giovanni Damasceno in Oriente). Non mancarono
eccezioni a queste impostazioni, ad esempio in Massimo il Confessore (m. 622) o
in Gregorio Magno (m. 604).