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Natura morta.

(dal francese nature morte). Espressione indicante un genere di pittura che abbia come soggetto oggetti di natura inanimata o appartenenti al mondo vegetale e animale (oggetti d'uso, fiori, frutta, cacciagione, alimenti, ecc.). La definizione di n.m., risalente al XVII sec., quando questo genere artistico acquisì autonomia, deriva dall'espressione di origine fiamminga still-leven, o tedesca Stilleben (vita silenziosa, quieta). Testimonianze di questo tipo di rappresentazione si trovano già nei monumenti funerari egizi, che riportano dipinti, o in rilievo, gli oggetti familiari o necessari al defunto. Nel periodo ellenistico e romano, con particolare riferimento alle decorazioni parietali e ai mosaici di Pompei, Ercolano, Stabia, e Roma, questo genere decorativo ha grande diffusione e rappresenta il prodotto più tipico del naturalismo dell'epoca, in netta opposizione all'impostazione antropocentrica del periodo classico. Questo tipo di arte era chiamata rhopographia, rappresentazione di oggetti modesti, o rhyparographia, pittura di cose ordinarie; xenia, o doni di ospitalità, erano definite le riproduzioni dei piatti offerti all'ospite durante il banchetto. Recenti studi hanno sottolineato il carattere religioso di questo genere di rappresentazioni, legate ai culti domestici, secondo cui le ombre si nutrivano dei resti del cibo caduto a terra. In età bizantina e medioevale, la rappresentazione di episodi biblici è spesso accompagnata da riproduzioni, talora con valore simbolico, di oggetti quotidiani, come le vivande nelle cene o gli strumenti per la scrittura. Nella seconda metà del Trecento, la diffusione di temi di n.m. riguarda prevalentemente la decorazione degli ambienti di corte. Anche nel Quattrocento, ad eccezione della pittura fiamminga di interni, l'impiego della n.m. è piuttosto limitato; gli esempi migliori sono quelli delle tarsie lignee prodotte nelle regioni settentrionali dell'Italia, che daranno origine ad una fiorente tradizione locale. Le n.m., raffigurazioni di animali o di oggetti, vengono inserite dentro riquadri riproducenti architetture dipinte che creano giochi prospettici. La n.m., come tema autonomo, compare fra i secc. XV e XVI, per la diminuita richiesta di quadri di soggetto religioso e per lo sviluppo di una committenza borghese; la curiosità per il mondo naturale, alimentata dalle sperimentazioni scientifiche, determinò, inoltre, una richiesta crescente di opere riproducenti fiori e frutti. La tavola con Pernice, manopole d'armatura e bolzone (1504) di Jacopo de' Barbari viene spesso considerata il primo esempio di n.m. come genere autonomo. Un tema tipico delle n.m. è quello della vanitas: la presenza di un teschio, di un fiore appassito o di un frutto marcio richiamano allegoricamente il motivo della caducità della vita. Nel Rinascimento italiano, anche in seguito alla scoperta delle grotte della Domus Aurea, che inaugurano il repertorio delle grottesche di fiori e frutti, si assiste a uno sviluppo della n.m. fantastica; Raffaello affresca le decorazioni a festoni nella Loggia della Farnesina e Giovanni da Udine quelle delle logge del Vaticano. L'interesse per l'elemento naturale, interpretato come valore formale espressivo e fantastico, tipico della sensibilità analitica fiamminga, si ritrova nelle riproduzioni estremamente dettagliate, fino a raggiungere un descrittivismo, quasi scientifico, della natura nei suoi minimi particolari. Da qui i vasi di frutta di J. Brueghel dei Velluti e quelli di Bosschaert il Giovane. Brueghel dei Velluti lavorò a Milano per il cardinal Federico Borromeo, lasciando nella città una serie di dipinti raffiguranti ghirlande di fiori e frutta e varie allegorie dei quattro elementi naturali. In Olanda prevale la rappresentazione di interni, specialmente tavole imbandite, soggetti uniti talora a riferimenti biblici, che però rimangono in secondo piano rispetto all'elemento principale del quadro costituito dalla n.m. Parallelamente la nuova pittura di Rembrandt coinvolge anche il genere della n.m. In Spagna, dove per questo genere di arte si impiega il termine bodegòn, si ricordano le opere di J. Sanchez Cotán, J. van der Hamen e F. Zurbaran, i cui quadri si distinguono per l'attenta ricerca volumetrica e luministica. L'età barocca decreta il massimo successo della n.m., anche per i presupposti stessi della Controriforma che vede, nella semplice immediatezza della rappresentazione della natura, uno stimolo alla devozione religiosa. In Italia, la pittura di Caravaggio presenta la natura mostrandone l'energia vitale; a Napoli risentono dell'influenza della pittura fiamminga i quadri di animali e sottobosco di P. Porpora, quelli di fiori e pesci di G.B. Ruoppolo e di G. Recco. In Emilia e in Lombardia la n.m. alterna i soggetti musicali di E. Baschenis e di B. Bettera, le asettiche porcellane di C. Monari, le macellerie di F. Boselli. Nell'Ottocento, la n.m. viene riscoperta quale visione sobria e poetica della natura, in opposizione al freddo accademismo del Classicismo e alla retorica del Romanticismo. Anche gli impressionisti, soprattutto Renoir e Manet, lasciano esempi di n.m., così come Cézanne, Gaugain, Van Gogh. Le vicende della n.m., nel Novecento, sono legate a tutti i grandi nomi della pittura contemporanea: da Picasso, Braque e Gris a De Pisis, Mafai e Morandi, ai metafisici e ai surrealisti e, infine, agli esponenti della pop-art. La n.m. diventa, quindi, puro pretesto formale per dare sfogo alla libera espressione creatrice, al di là di ogni significato contingente.