Poeta italiano. L'ambiente familiare e culturale in cui
L. si
formò ebbe per il poeta grandissima importanza. Suo padre, il nobile
Monaldo, era un gentiluomo provinciale, con molti ideali che, nella pratica
attuazione, ebbero tuttavia l'aspetto di manie orgogliose e cocciute. Pessimo
amministratore dei beni di famiglia, dovette cedere il governo della casa nelle
mani della moglie, Adelaide dei marchesi Antici. Della madre, dipinta nello
Zibaldone, il ricordo più corrente è una stilizzazione di
egoismo, di freddezza, di bigottismo insensibile. A nove anni, Giacomo fu
affidato alle cure di un sacerdote, che lo istruì fino al 1812. A
quattordici anni scriveva già il sonetto
La morte di Ettore, che
l'autore stesso ricorderà come il suo primo componimento in versi.
Impegnatosi con ardore nello studio, dall'applicazione su diversi rami di
letteratura, filologia e storia, nascono saggi di ricerca e di versione:
l'
Arte poetica di Orazio, tradotta in ottave; gli
Scherzi
epigrammatici (raccoltina di odi greche adattate in versi italiani); la
versione in latino della
Vita di Plotino scritta dal greco Porfirio, ecc.
I frutti migliori di questa attività erudita furono la
Storia
dell'Astronomia del 1813 e il
Saggio sopra gli errori popolari degli
antichi, di due anni dopo. Meno importanti, agli inizi di questo periodo, i
casi di libera invenzione: la tragedia
Pompeo in Egitto, l'abbozzo di
un'altra
Maria Antonietta sono un divertimento privato e acerbo;
più notevoli certi brevi componimenti:
Le Rimembranze, per
esempio, e meglio ancora la cantica
Appressamento della morte, il sonetto
ispirato dalla recentissima lettura della
Vita di Vittorio Alfieri e
l'
Elegia I. Ma le ultime due poesie appartengono già alla vena di
un
L. più maturo. Un avvenimento di questi anni venne a maturare e
a liberare dai soli effetti della erudizione la sensibilità del poeta;
l'arrivo come ospite, nella sua casa, della bella cugina Gertrude Cassi Lazzari;
Giacomo, sconvolto dalla novità della reazione, conobbe la pena di un
sentimento amoroso fatto più di sbigottimento che di desiderio. Sono del
1817 le pagine di prosa poi intitolate dagli editori
Memorie del primo
amore, in cui il
L. imparò per la prima volta a sfogare in
parole gli impulsi più intimi della sua anima. Fra il 1817 e il 1819
compose le prime canzoni,
All'Italia e
Sul Monumento di Dante. Nel
1819 Giacomo tentò la fuga da casa, ma l'imprudenza di chi si era
incaricato di fornirgli il passaporto consentì al padre di impedire
l'attuazione del progetto. Pochi mesi dopo compose
L'infinito.
L.
non abbandonò tuttavia l'idea di lasciare Recanati; cercò invano
un ufficio presso la Biblioteca Vaticana (1821), e nel 1822 si recò a
Roma. Aveva, intanto, composto altri versi, che poi chiamerà
idilli, la canzone
Ad Angelo Mai e, forse,
La sera del
dì di festa. A Roma stette poco più di cinque mesi: tutto
quanto vide, salvo l'eccezione di qualche conoscenza e l'emozione di visitare la
tomba del Tasso, lo deluse amaramente. Tornato a casa nel 1823, disperato dalla
perdita delle illusioni che potevano ancora promettergli gioie sconosciute, si
diede completamente alla stesura delle
Operette morali. In queste prose
la rinuncia al canto, le sottigliezze del pensiero, l'amara argomentazione di un
mondo fantastico, compongono un ritratto penoso e sfiduciato dell'autore, che
sente la superiorità del suo pessimismo sull'ottimismo degli altri. Nel
1825 lasciò di nuovo Recanati per trasferirsi a Milano, dove si
accordò con l'editore Stella, per il quale pubblicò lavori
notevolissimi, come il commento al canzoniere petrarchesco e le due
Crestomazie di prosatori e poeti italiani d'ogni tempo. Fu poi a Bologna
e Firenze, malato. La vena poetica sembrava inaridita, ed egli, in certi
momenti, pareva sopravvivere quasi unicamente per la dispettosa curiosità
di assistere all'aggravarsi della condizione fisica e morale. Nel 1827, per
sfuggire al freddo di Firenze, si recò a Pisa e fu lì che
ritornò a scrivere. Nel 1828, dopo
Il Risorgimento, compose
A
Silvia; l'ombra della giovinetta, Teresa Fattorini, scomparsa tanti anni
prima (1818) è il simbolo delle speranze giovanili perdute, e l'idea
della morte predomina cupa. Nel 1828 tornò a casa. È il momento
dei grandi idilli (
Il sabato del villaggio; La quiete dopo la tempesta);
le nuove esperienze concedono ora al poeta di rivedere i luoghi dell'infanzia
con il distacco più favorevole a uno sdoppiamento:
L. di ora
rivede
L. della giovinezza. Nacquero così le
Ricordanze, in
cui è sempre presente l'idea del dolore, dell'infelicità di
vivere; ma la polemica si è addolcita, e la felicità perduta non
è più causa di acerbo pessimismo, bensì di tenera
commozione. Anche lo sconsolato
Canto notturno di un pastore errante
dell'Asia ha un valore nella più positiva consapevolezza di uno
strumento poetico abilissimo che nella plausibilità dello schema
ideologico. Nel 1830
L. ritornò a Firenze, dove si innamorò
di Fanny Targioni Tozzetti; dopo aver negato con ogni argomento possibile la
sopravvivenza delle illusioni alla disincantata saggezza dell'uomo esperto, egli
si illuse ancora sulla possibilità che la donna ricambiasse il suo
sentimento. Quando si accorse che Fanny, nella superficialità volubile
degli incontri, non si era neppure accorta della passione, la delusione,
amarissima, fu quasi come la reazione a un inganno. Tutta la serie delle poesie
ispirate da questo rapporto, da
Consalvo fino
A se stesso,
è un ideale diario amoroso, che registra i momenti più intensi del
dramma vissuto interiormente. Ma le invettive finali, la contemplazione
dell'orgoglio schiantato e inutilmente gonfio di istinti vendicativi, si
traducono infine in qualcosa di vitale, di utile: negli anni successivi al ciclo
di
Aspasia, così egli chiama la donna, la sua ispirazione ha un
orizzonte più liberamente aperto alla sensibilità. Fu poi a
Napoli, insieme con Antonio Ranieri, affidato alle amorose cure della sorella di
questo, Paolina. Qui, nel 1835, compose le due canzoni funerarie (
Sopra un
bassorilievo, Sopra il ritratto di una bella donna). L'idea della morte
è qui intensamente patetica, e le si accompagna un sentimento nuovissimo
nell'opera leopardiana: la pietà fraterna, la considerazione del dolore
come stimolo di solidarietà fra compagni di sventura. Da questa posizione
il poeta ricavò gli elementi per il periodo intellettualmente e
poeticamente più felice di tutta la sua carriera artistica. Negli ultimi
anni, stremato nel fisico, lo spirito aveva energie agili e pronte.
La
Palinodia al marchese Gino Capponi (1835) e la definitiva elaborazione dei
Paralipomeni della Batracomiomachia, sono l'esempio di una polemica che
non allenta il vigore dei motivi, anzi, che aumenta di efficacia con il
rasserenarsi dello stato d'animo. La
Ginestra, del 1836, è il
culmine di tutta l'opera leopardiana; qui gli impegni poetici raggiungono un
meraviglioso equilibrio di elementi ideologici fantastici e musicalmente
elegiaci, fino allora presenti isolatamente o sovrapposti. L'ultima sua opera fu
il
Tramonto della luna, completata negli ultimi versi da Antonio Ranieri.
L'ideale sopravvivenza di
L. nella nostra civiltà culturale
dall'Ottocento fino ad oggi e la sua presenza ricca di stimoli sono motivate dai
riconoscimenti di
L. grande filologo-erudito, poeta risorgimentale,
filosofo, di
L. precursore degli Ermetici e progressista; e a partire da
certi riconoscimenti di Schopenhauer e di de Musset è da aggiungere il
mito suggestivo del pessimista. Sono stati pubblicati postumi:
Cento undici
pensieri nel 1845; l'
Epistolario nel 1849; lo
Zibaldone,
raccolta di pensieri e meditazioni scritta tra il 1817 e il 1832, pubblicato da
una commissione presieduta dal Carducci con il titolo di
Pensieri di varia
filosofia e bella letteratura fra il 1890 e il 1900 e riedito poi con il
titolo originale nel 1938. Infine, nel 1972 con il titolo
Entro dipinta
gabbia è stata pubblicata una raccolta degli scritti giovanili
(Recanati 1798 - Napoli 1837).
"Leopardi e i "Canti" di Cesare Angelini