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Edonismo.

(dal greco edoné: piacere). Dottrina morale che identifica la virtù col piacere. Essa, infatti, fa consistere il bene, ossia il fine delle azioni umane, nel piacere, per cui non concepisce altro male che il dolore e altro bene che il piacere, goduto nel momento presente, senza riferimento alcuno né col passato, che non è più, né col futuro che, forse, non sarà mai. L'e. nega pertanto l'oggettività del bene e considera come unico fine della volontà un soggettivismo basato esclusivamente sul piacere. Infatti, secondo Aristippo (n. 435 a.C.), fondatore della scuola dei Cirenaici, il fine è nell'atto stesso del piacere; "il bene è soltanto nel presente" e perciò bisogna godere pienamente dei piaceri presenti, senza curarsi di ricercare quelli assenti. L'e. cirenaico si presenta anche come utilitarismo, in quanto i beni sono da esso considerati in funzione della loro utilità per il piacere. Teodoro, uno dei continuatori di Aristippo, parlava infatti, più che di piaceri particolari, di un "sommo bene" e proclamava l'assoluta indipendenza del saggio e il suo diritto a considerarsi "cittadino del mondo". L'utilitarismo si distingue tuttavia nettamente dall'e. dei Cirenaici e non va con questo confuso, in quanto si occupa di un piacere razionalmente calcolato e non meramente individuale, ma piuttosto collettivo, secondo una concezione che, però, ritroviamo solo in età moderna e che s'allontana nettamente dall'etica classica. Con Egisia, secondo il quale la felicità è irraggiungibile, per cui la vita finisce col valere quanto la morte, l'e. si converte in pessimismo e subisce un'ulteriore trasformazione con Anniceri, l'ultimo dei Cirenaici, secondo cui il saggio non può fare a meno di sperimentare il dolore, ma deve sopportarlo per altruismo, benevolenza, partecipazione sociale. Alla morale edonistica, si riallaccia, sia pure con notevoli variazioni, l'epicureismo, secondo cui il fine supremo della vita morale altro non è che il piacere. L'e. si ripresenta inoltre, in varie forme, in età rinascimentale e nel pensiero moderno. Nel Rinascimento, lo ritroviamo soprattutto come richiamo ai valori mondani e, in tale senso, finisce con lo sfociare, come già nell'antichità, nel pessimismo e nello scetticismo. Lo troviamo inoltre espresso come utilitarismo economico e politico (Machiavelli e Guicciardini), cioè quale esigenza dell'attività pratica e quale opposizione individuale all'universalità dei valori etici, in nome dell'utile personale o della necessità politica. In età moderna lo troviamo soprattutto unito all'arte. Nella storia dell'estetica è infatti largamente presente una concezione edonistica dell'arte, secondo cui il piacere estetico, e la sua progressiva purificazione dalla realtà sensibile e dall'immediatezza erotica, rappresentano la prova indiscutibile della progressiva tendenza della natura e dell'uomo verso un'armonia sempre più organica.