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Cotone.

(dall'arabo qutūn). Bot. - Nome con cui si designano varie specie del genere gossypium, della famiglia delle Malvacee. I c. si presentano come piante erbacee o arbustive, di tipo perenne quelle allo stato selvatico, per lo più annue quelle coltivate. Sono caratterizzate da fusto e foglie glabri o pubescenti, che raggiungono dimensioni assai diverse secondo la specie (da 50 cm a 7 m); tutte sono alquanto ramificate, con foglie palmato-lobate e fiori solitari, forniti di brattee intere o dentate, bianchi, gialli o rosei, con ovario a 3-5 loculi. Il frutto è una capsula divisa in 3-5 valve, ognuna delle quali contiene numerosi semi oblunghi, muniti di peli più o meno lunghi. Le specie coltivate industrialmente sono all'incirca un migliaio; tra queste, citiamo: Gossypium barbadense, diffusa nell'America del Nord; Gossypium herbaceum, presente in India, Asia Minore e Sud-America; Gossypium arboreum e hirsutum, varietà dell'Estremo Oriente e dell'America. La coltivazione della pianta del c. richiede climi caldo-umidi ed è alquanto semplice: la preparazione del terreno si effettua in febbraio-marzo; in aprile-maggio si semina; da agosto a dicembre si effettua la raccolta, che si spinge talvolta fino a gennaio. ● Ind. tess. - Fibra tessile vegetale, ricavata dalla peluria dei semi maturi delle piante del genere gossypium. Le fibre del c. sono contenute in una capsula, divisa in logge, che si apre a completa maturazione. La fibra si presenta come un nastro tubolare, schiacciato, fornito di circonvoluzioni. I c. migliori hanno un elevato numero di circonvoluzioni per unità di lunghezza; grande importanza industriale ha, infatti, la lunghezza delle fibre, in quanto, al suo crescere, cresce anche il titolo del filato che se ne può ricavare. Le fibre più corte, che restano attaccate ai semi dopo la separazione del c. propriamente detto, costituiscono i linters, utilizzati per imbottiture, ovatte e per la fabbricazione degli esteri cellulosici. Il fiocco del c., strappato dalle capsule sui campi di raccolta, viene portato alle sgranatrici, che staccano i semi dalle fibre. Dalle ginnerie (stabilimenti di sgranatura) il c. passa alle centrali di raccolta, dove viene confezionato in balle. Per compensare le inevitabili differenze esistenti fra una balla e l'altra, si prelevano da varie balle alcune bracciate di c., che vengono immesse in un apriballe, allo scopo di rompere gli ammassi compatti di fibre. Queste ultime passano attraverso gli apritoi e i battitoi, che hanno la funzione di perfezionare l'opera dell'apriballe, liberare il c. dalle impurità e formare le tele, spessi strati di ovatta che debbono presentare un titolo quanto più uniforme possibile. Il trasporto delle fibre da una macchina all'altra avviene pneumaticamente, per mezzo di ventilatori. Con quattro tele vengono alimentate le carde, le quali separano a una a una le fibre, formando il velo di carda. Questo viene riunito a formare uno stoppino che, unito ad altri e stirato, dà luogo a uno stoppino di titolo uguale a quello uscito dalla carda, ma più uniforme e con tutte le fibre quasi parallele. La riunione di diversi stoppini compensa le inevitabili variazioni di titolo che si verificano in ognuno di essi, dando però luogo a uno stoppino di titolo minore, cioè a un nastro più grosso; il successivo stiro, allungando il nastro, lo riconduce al titolo iniziale. Questa operazione è effettuata con macchine dette stiratoi, dalle quali lo stoppino esce con tutte le fibre parallele e con un titolo praticamente costante. Una successiva macchina, detta pettinatrice, elimina le fibre aventi lunghezza minore di una misura prestabilita. Il nastro uscente dalla pettinatrice passa attraverso i banchi a fusi, che hanno lo scopo di aumentare il titolo del filato. Di solito si hanno 3 o 4 banchi a fusi in serie: banco in grosso, banco intermedio, banco in fino ed eventualmente quello sopraffino, attraverso i quali si provvede a un progressivo aumento del titolo. Lo stoppino passa, poi, attraverso un filato ad anello o ad un filatoio intermittente, nel quale gli viene impartito l'ultimo energico stiro e la torsione definitiva. I filati elementari possono essere riuniti per formare i ritorti e i cucirini, oppure passano alla tessitura. ║ Cascami di c.: sia quelli di raccolta, costituiti dalla peluria aderente ai semi, che quelli di lavorazione, usati nella preparazione di nitrocellulose. ║ C. recuperato: ottenuto, sfilacciando con macchine speciali (dette lupi), gli stracci di c. ║ Olio di c.: si estrae dai semi del c. Appena estratto è bruno-rossastro; depurato, ha colore giallo pallido. È inodore e insapore. ║ Fig. - Tenere qualcuno nel c.: allevarlo con mille riguardi, viziarlo; vivere nel c.: vivere negli agi; avere il c. nelle orecchie: non ascoltare per disattenzione o perché non si vuole. ● Encicl. - Coltivato originariamente in Egitto, il c. venne introdotto in Sicilia dai Fenici, in Spagna dagli Arabi e, per altre vie, in tutto il mondo. La lavorazione di questa fibra tessile iniziò in Europa nel Medioevo. I primi opifici sorsero a Milano e Venezia, e poco più tardi si diffusero in Germania, Francia e Inghilterra, mentre in America giunsero alla fine del Settecento. Da merce di lusso, i capi di c. si affermarono per gli usi più svariati solo all'inizio dell'800, con l'introduzione di macchine per la filatura. Verso gli inizi del XX sec. il c. costituiva l'80% della produzione mondiale di fibre tessili; tale predominio durò a lungo e scese solo dopo la metà del secolo, a causa della concorrenza delle fibre sintetiche, per altro successivamente ridimensionata. ● Chim. - C. fulminante: esplosivo potente, detto anche pirossilina, ottenuto trattando il c. ordinario con acido nitrico e acido solforico. ║ C. idrofilo: c. sgrassato, bianco, morbido. Sterilizzato, si utilizza in chirurgia e per medicazioni varie. Si trova in commercio in forma di compresse, arrotolato, oppure in falde ravvolte in mussola. ║ C. medicato: c. idrofilo, preparato con sostanze medicamentose. ║ C. mercerizzato: trattato con soda caustica, ha lucentezza serica ed è usato per fissare i coloranti.