Stats Tweet

Concorrenza.

Econ. - Particolare forma di mercato in cui ogni consumatore e ogni produttore opera su una quantità di beni talmente piccola da non poter influire sul prezzo delle merci o dei fattori di produzione considerati, ma deve ad esso adeguare la sua domanda o la sua offerta. Ogni individuo acquista e consuma successive dosi di un bene, fino al punto in cui il rapporto fra l'utilità dell'ultima dose acquistata del bene e l'utilità dell'ultima dose di moneta offerta in cambio (rapporto detto anche prezzo di domanda) si eguaglia al prezzo di mercato. Ogni individuo produce e offre successive dosi di un bene, fino al punto in cui il rapporto tra il costo da sopportare per l'offerta dell'ultima dose (disutilità marginale) del bene e l'utilità marginale della moneta (rapporto detto anche prezzo di offerta) diventa eguale al prezzo di mercato. In conseguenza presso ciascun individuo, sia egli consumatore o produttore, che in tale rispettiva qualità effettui scambi di moneta contro merce nel domandare la merce, o di merce contro moneta nell'offrire la merce, viene a stabilirsi un rapporto (eguale a quello esistente presso ogni altro individuo) tra l'utilità, se è consumatore, o la disutilità, se è produttore marginale della merce, in relazione alla quantità acquistata, o prodotta, e l'utilità marginale della moneta, anch'essa in relazione alla quantità posseduta da ciascuno. Ossia, nel concorso di coloro che domandano merce e offrono moneta e di coloro che offrono merce e domandano moneta viene a stabilirsi sul mercato un prezzo della merce in moneta, identico presso tutti i consumatori e i produttori di quella merce. Sta in ciò la legge di indifferenza del prezzo, che prende il nome dal Jevons. Dallo scambio, sia il compratore sia il venditore ottengono un guadagno; per il primo è pari alla differenza tra il prezzo che egli sarebbe disposto a pagare per la quantità di merce che acquista e il minor prezzo che egli effettivamente paga; per il secondo è pari alla differenza tra il prezzo che egli realizza per la quantità di merce che vende, e il prezzo, ovviamente minore, a cui egli sarebbe disposto a cedere la stessa quantità. Questi guadagni, o rendite, sia del compratore sia del venditore, sono massimi in un mercato concorrenziale: qualunque spostamento da questi valori di equilibrio può aumentare la rendita del compratore o del venditore ma rende minore la loro somma. Inoltre, in regime di libera c., il prezzo vigente sul mercato tende al costo marginale di produzione. Ma questa concezione di mercato in equilibrio, in cui ogni prezzo renda eguale la domanda e l'offerta effettiva di ogni bene o servizio, potrebbe realizzarsi in una società stazionaria, dove non fosse operante alcuna causa di perturbazione, la c. fosse assoluta, la popolazione e il capitale si presentassero in flussi eguali, senza crescere nè diminuire, pur rinnovandosi di continuo. In tal modo la situazione che si configura in un regime di libera c., cioè un prezzo di vendita eguale al costo di produzione, rimane teorica; perciò, se pure si riesca a realizzare un regime di libera c. assoluta, il prezzo di un bene oscillerà di continuo intorno al costo, senza adeguarvisi che per brevi istanti, durante i quali appunto dovrebbero concretarsi i casi di equilibrio. Una situazione di perfetta libera c. si realizza su un mercato allorché: venditori e compratori sono liberi di vendere e comprare le quantità che vogliono, a un dato prezzo; nessuno di essi è in grado di modificare la situazione che ne risulta sul mercato; le singole unità di un prodotto sono tutte identiche e sostituibili fra loro; non si frappongono ostacoli alla loro perfetta mobilità, ossia alla trasferibilità della loro domanda e della loro offerta da un punto all'altro del mercato; esiste simultaneità così nei processi produttivi delle diverse unità del bene, come nelle fasi della vendita relativa. È notevole che un mercato siffatto rappresenti la migliore soluzione economica possibile, perché in esso vengono a verificarsi alcuni fenomeni importanti, e cioè: impone a ciascuna azienda, che relativamente alle altre risulta produrre a costo più elevato, di ricercare il limite del minimo costo, ottenendo cioè il massimo utile possibile dai fattori produttivi; riparte i fattori produttivi fra le aziende producenti al minimo costo e in grado di rimunerarli meglio delle altre; attiva in ogni azienda la ricerca di un costo via via minore, per vincere la c. delle rivali, creando sul mercato una tendenza del prezzo del prodotto al costo più basso; permette alla collettività un massimo di utilità. In caso di libera c., ad un prodotto, la cui offerta venga meno, è dato sostituire mediante opera produttiva un nuovo prodotto, cioè: l'offerta è riproducibile e l'ascesa del prezzo del prodotto resta raffrenata dalla possibilità che un prodotto eguale venga offerto a minor prezzo che, in un lungo periodo, non può discendere al di sotto del costo di produzione. Ciò non si verifica nel regime di monopolio, il cui carattere essenziale è proprio la non riproducibilità di un bene o di un servizio. Dicesi monopolista l'unico detentore di una quantità di merce o di servizio, quantità che è fissa per ubicazione e limitazione dei fattori produttivi. In pratica non si riscontra mai né regime assoluto di irriproducibilità di un bene, né regime assoluto di libera c. ║ C. operativa: espressione adottata da una corrente americana di studi economici per indicare l'indirizzo stesso di questa corrente (workable competition), non molto dissimile dall'orientamento degli studiosi europei fautori dell'economia del benessere. La c. operativa tende a stabilire un corretto rapporto tra iniziativa privata e intervento pubblico, tra regime di c. e controllo del mercato, tra grande e piccola impresa. • Dir. - Rispetto ai limiti legali o extracontrattuali, è affermato il principio che la c. deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell'economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge (art. 2595 del c.c.). Si vietano, per tal guisa, quei deplorevoli eccessi che, obbedendo ad una concezione prettamente egoistica dell'attività produttiva, danneggiano gli interessi generali. La sanzione per i trasgressori potrà avere, secondo i casi, carattere amministrativo o anche civile che giustificherebbe, da parte del leso, un'azione giudiziaria. Quanto ai limiti contrattuali, stipulati individualmente (art. 2596 del c.c.), si è inteso anzitutto rendere consapevoli i contraenti della serietà del vincolo, e si è richiesta, pertanto, la prova scritta del patto che limita la c., per bandire altresì facili questioni e cavilli sulla portata e sull'interpretazione di quello. Riguardo al contenuto del negozio, va notato che questo è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, qualora non oltrepassi la durata di cinque anni. In mancanza di una determinazione di tempo o di durata eccedente il suindicato limite, il patto si ritiene valido per la durata di un quinquennio. Una norma speciale è dettata in vista della particolare situazione di soppressione della c. che dia luogo all'esercizio di una impresa in regime di monopolio legale (trasporti, fornitura di energia elettrica, ecc.). A difesa del consumatore è imposto l'obbligo di contrattare a chi esercita un'impresa appunto in condizione di monopolio legale, con chiunque richieda le prestazioni che dell'impresa formano oggetto, osservando parità di trattamento (art. 2597 del c.c.). La c. trova inoltre importanti limiti legislativi nel divieto di porre in essere atti lesivi delle sfere concorrenti in quanto, venendo meno ai criteri del corretto e onesto agire nell'esercizio dell'attività imprenditoriale e professionale, costituiscono c. sleale. Non si richiede né l'estremo del dolo, né quello della colpa: se gli atti di c. sleale sono compiuti con dolo e con colpa, l'autore è tenuto al risarcimento del danno. Peraltro, accertati gli atti di c. sleale, la colpa si presume, talché incomberebbe all'autore dei medesimi l'onere della malagevole prova contraria; quanto al danno, basta che esso sia potenziale, e non effettivamente arrecato. La c. sleale è individuata e repressa dal vigente c.c. (art. 2598) con riferimento a una serie di azioni, aventi come fattore comune l'intento di sviare la clientela delle imprese concorrenti: tale l'uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con quelli usati da altri; l'imitazione servile dei prodotti; il compimento in genere di atti idonei a produrre confusione con i prodotti o l'attività del concorrente; la diffusione di notizie e apprezzamenti su codesti prodotti o attività per determinarne il discredito (anche se connessi a fatti veri); l'appropriazione di pregi di prodotti altrui; l'impiego generico anche indiretto di ogni mezzo non conforme alla correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'impresa concorrente. L'accertamento della c. sleale, in sentenza, comporta l'inibizione degli atti di c. e, se del caso, l'eliminazione dei loro effetti; inoltre in caso di dolo o di colpa, che come già detto determinano l'obbligo del risarcimento del danno, può essere ordinata la pubblicazione della sentenza. Se gli atti di c. sleale pregiudicano gli interessi di una categoria professionale, l'azione per ottenere la repressione di quella può essere promossa anche dalle associazioni professionali e dagli enti che rappresentano la categoria (art. 2601 del c.c.). Speciali norme che vietano la c. sono poste per gli amministratori delle società rispetto all'attività di quest'ultima; a carico dell'imprenditore che aliena l'azienda, per cinque anni, in favore dell'acquirente; del socio della società in nome collettivo; del lavoratore nei confronti dell'attività dell'impresa da cui dipende. La limitazione della c. può infine essere oggetto di una convenzione tra imprenditori, avente per fine la creazione di un consorzio tra più aziende per la coordinazione e la disciplina dell'attività economica. In mancanza di una disciplina giuridica specifica a tutela della libera c. si applicano in Italia le norme che tutelano la libertà di c. nei paesi della Comunità economica europea. In reazione allo sviluppo economico e alla frequente violazione delle norme di legge in materia di c. sleale, le norme vigenti risultano in molti casi insufficienti a reprimere reati economici di notevole gravità e attinenti più al diritto penale che a quello civile. Il problema della c. sleale si riallaccia a quello, più vasto, della necessità di un maggiore intervento del legislatore per meglio tutelare gli interessi legittimi dell'imprenditore che opera sul piano della c. e gli interessi del consumatore nella scelta della merce.