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Comunismo.

(dal francese communisme, der. di comune). Sistema sociale fondato sulla proprietà comune dei beni. Varie sono le forme in cui storicamente tale sistema è stato impostato sul piano teorico come su quello pratico. A differenza delle concezioni e delle attuazioni del c. moderno, in cui è fondamentale l'esigenza della proprietà dei mezzi di produzione, le forme primitive di c. si presentano prevalentemente in senso extra-economico, quali semplici manifestazioni di solidarietà. Secondo la classificazione fatta da Max Weber (Wirtschaft und Gesellschaft, 1922) storicamente il c. si presenta: 1) come c. domestico della famiglia (su base tradizionale e affettiva); 2) come c. cameratesco dell'esercito (su base soprattutto emotiva, carismatica); 3) come c. di amore della comunità religiosa (su base emotivo-carismatica). Queste forme si presentano: a) in antitesi all'ambiente circostante, come una comunità di persone che lavorano da sé o che sono mantenute mediante mecenatismo (caso tipico è quello delle economie comunistiche di carattere religioso o delle comunità monastiche o del socialismo utopistico); b) come gruppo domestico di persone mantenute su basi mecenatistiche o liturgiche (caso tipico quello delle comunità militari e di quelle monastiche che vivono di elemosina); c) come un'amministrazione di consumatori che deriva il proprio reddito dall'impresa produttiva da cui è però separata (caso tipico quello delle amministrazioni domestiche, familiari, nell'ambito dell'economia di mercato). ║ Dottrina politica. Tra le elaborazioni dottrinali dell'antichità, particolare importanza riveste la dottrina comunista presentata da Platone nella Repubblica. Egli non prevede l'estensione del c. all'intera società, ma solo alla classe dirigente, ossia ai governanti e ai guerrieri. Convinto degli effetti dannosi della ricchezza sul governo, Platone non vedeva modo migliore di abolire i danni se non eliminando la ricchezza stessa per la classe dei governanti e dei guerrieri: per correggere l'avidità dei capi non c'è altro modo, per il filosofo, che quello di negare il diritto alla proprietà. Il c. di Platone assume due espressioni fondamentali che conducono entrambe all'abolizione della famiglia. La prima è l'abolizione per i governanti della proprietà privata e l'obbligo per essi di vivere in caserme e di consumare i pasti a una mensa comune. La seconda è l'abolizione del legame sessuale monogamico permanente e la sua sostituzione con accoppiamenti regolati in modo da assicurare la migliore prole possibile. In parte Platone si rifaceva all'esempio di Sparta dove ai cittadini era negato l'uso della moneta. Il suo c. inoltre, non nasceva dall'esigenza di abolire le disuguaglianze, ma dalla convinzione dell'incompatibilità tra proprietà privata e interesse pubblico, e quindi dall'esigenza di ottenere una maggiore unità politica. Lo scopo del c. di Platone era non sociale, ma esclusivamente politico, dato che egli non intendeva, come i teorici moderni del c., servirsi dello Stato per livellare la ricchezza, bensì livellare la ricchezza per eliminare la sua influenza perturbatrice sullo Stato. La proposta di abolire il matrimonio nasce da un'eguale esigenza. Egli considera infatti l'affetto familiare, diretto verso persone particolari, un altro pericoloso rivale dello Stato. Inoltre l'abolizione della famiglia avrebbe consentito di sottrarre molte donne alla loro condizione di inferiorità; anziché badare alla casa e a crescere i figli, sottraendo così allo Stato la collaborazione della metà di coloro che costituiscono potenzialmente la sua difesa, liberate dalle cure strettamente domestiche, le donne avrebbero partecipato, al pari degli uomini, alla vita politica e anche a quella militare, ricevendo lo stesso tipo di educazione. Di tipo comunistico è anche la dottrina dei Cinici, considerata come la filosofia del "proletariato" greco. I Cinici andavano predicando la fratellanza umana, l'amicizia per i vinti e per i reietti, il disprezzo per la fama, la gloria, la ricchezza. Essi condannavano la schiavitù, negavano ogni distinzione sociale e nazionale, esaltavano la povertà. L'ideale comunistico dei Cinici fu in parte assorbito dallo stoicismo, attraverso il quale passò ad alcuni pensatori minori di età ellenistico-romana. Nell'ambito strettamente religioso, l'ideale comunistico si associa ad altre esigenze religiose ispirate all'ideale distacco dai beni terreni. Si ha così nella Chiesa del periodo apostolico la "comunione dei beni". Il cristianesimo introduce il concetto fondamentale dell'unione di tutti gli uomini in Cristo. Si è parlato soprattutto di un c. di Sant'Ambrogio con riferimento alla sua concezione della vita in comune. L'ideale comunistico si ritrova anche nei secoli successivi ed è presente in varie sette e nelle rivendicazioni di quegli oscuri sollevatori, di quei capipopolo che venivano alla ribalta quando il disagio economico portava a sollevazioni popolari e a lotte sanguinose. Il principio da cui questi "comunisti" partivano era la credenza cristiana, diffusa in tutto il Medioevo, che il possedere in comune costituisse una forma di vita più perfetta di quella basata sulla proprietà privata, non considerata come fatto naturale, ma come risultato dell'ingiustizia umana. Un preciso significato sociale assunsero i movimenti di rinascita religiosa e di educazione politica popolare capeggiati da John Wycliffe (1320-1384) in Inghilterra e da John Huss (1373-1414) in Boemia. Il pensiero centrale di entrambi questi riformatori era l'opposizione al monopolio dell'autorità spirituale da parte della gerarchia e al potere assoluto del Papa. Essi identificavano la Chiesa nel complesso di tutti i cristiani e al di sotto della filosofia politica vera e propria dei due pensatori andò sviluppandosi una specie di dottrina proletaria di eguaglianza sociale, solo parzialmente connessa con la questione religiosa. Tali idee egualitarie sono presenti nelle rivolte di contadini del XIV sec. in Germania (1324-25), in Francia (1351), in Inghilterra (1381), nelle quali è possibile individuare un certo grado di antagonismo di classe. Esso era caratterizzato da una forte coloritura religiosa, quale espressione della fede popolare negli ideali di fratellanza e di eguaglianza umana. Tra gli aderenti alla setta dei Lollardi inglesi e in quelle boeme dei seguaci di Huss era presente l'idea che la legge evangelica prescrivesse una società di tipo comunista, in cui i cristiani vivessero tutti in uno stato di libertà e di eguaglianza, senza distinzioni di rango e di privilegio. Ma è soprattutto nei movimenti inglesi dei Livellatori e degli Zappatori del XVII sec. che le idee comuniste si fecero più chiaramente politiche. Il nome stesso di "livellatori" (levellers) indicava come questo movimento si proponesse di distruggere le differenze di posizione sociale, politica ed economica. Tuttavia, la filosofia politica dei Livellatori, più che all'ideale comunista, si avvicinava a quello della filosofia radicale. All'interno del movimento, tuttavia, si distinse un piccolo gruppo, di orientamento comunista, detto dei "veri livellatori", secondo cui la rivoluzione politica offriva un mezzo adatto per giungere all'eguaglianza economica e alleviare la povertà delle masse. Questi "comunisti" si fecero conoscere nel 1549 quando un gruppo tentò di mettere in pratica le loro idee, impossessandosi di un terreno pubblico non cintato per metterlo a coltura e distribuire i prodotti ai poveri. Da ciò il nome di "Zappatori" con cui furono indicati. L'esperimento, di breve durata, fu accompagnato e seguito dalla pubblicazione di vari opuscoli, in gran parte redatti da G. Windstanley, che in uno di essi esponeva il progetto di un governo comunista inglese. Il suo ideale di comunismo aveva origini mistiche e religiose, e si riallacciava in parte alle idee comuniste già diffuse nel Medioevo. L'attacco alla proprietà privata veniva però condotto su basi del tutto nuove. La proprietà privata viene indicata dal Windstanley come la principale fonte del male, essendo causa di tutte le forme di abuso e di corruzione sociale. La proprietà privata ha portato alla supremazia dell'uomo sull'uomo, alla schiavitù delle masse, ridotte alla povertà dal sistema del salario e costrette, col lavoro, a sostenere quello stesso potere che le rende schiave. Pertanto, gran parte dei mali sociali possono essere eliminati con la distruzione della proprietà privata, in particolare quella fondiaria. Decisamente anticlericali, ma profondamente religiosi, gli Zappatori affermavano che Cristo era stato il primo "livellatore" e come molti utopisti, erano pacifisti dichiarati. La dottrina comunista degli Zappatori è esposta con una certa sistematicità nell'opera La legge della libertà (1652) di G. Windstanley il cui pensiero fondamentale è che ogni schiavitù deriva dalla povertà e che vera libertà significa parità di diritti e accesso per tutti ai mezzi di produzione, ossia "alla terra e ai suoi frutti". Pertanto, la riforma deve soprattutto consistere nel vietare la vendita e l'acquisto: non ci può essere eguaglianza che non sia eguaglianza di beni, dato che il denaro dà il potere, e potere significa oppressione. La vera libertà esige che la terra sia posseduta in comune e la produzione posta in riserve comuni da cui tutti possano attingere secondo i loro bisogni. Tutte le persone abili debbono essere obbligate al lavoro, almeno sino all'età di quarant'anni. Il c. di Windstanley, in quanto autentica voce dell'utopia proletaria, si distacca nettamente dalla filosofia politica del suo tempo, e per quanto utopistico, si basa su una chiara intuizione della dipendenza inevitabile della libertà e dell'eguaglianza dall'economia. In genere si tende a includere tra le concezioni comuniste anche quelle esposte nei "romanzi di Stato" del XVI e XVII sec., noti come "utopie", dal titolo dell'opera più famosa di Tommaso Moro. Tali "romanzi di Stato" si rifacevano, in gran parte, alla Repubblica di Platone e gli esempi più famosi sono quelli costituiti, oltre che dall'Utopia (1516) di T. Moro, dalle opere di F. Bacone, New Atlantis (1629) di T. Campanella, La Città del sole (1623) di J. Harrington, Oceana (1656). Rispetto a queste forme diverso è il significato che, sulla base dell'espressione marxista "socialismo utopistico", il termine "utopia" è andato assumendo. Infatti, secondo la definizione di F. Engels, sono da considerarsi utopistiche, in contrapposizione al "socialismo scientifico", quelle teorie che non sono connesse con un effettivo movimento di massa e che non sono fondate su una prova dell'esistenza di forze economiche che tendano a realizzare quelle idee. In Francia, il cinquantennio che precedette la Rivoluzione produsse vari schemi di c. utopistico e a questo complesso di idee si riallaccia vagamente l'attacco alla proprietà privata fatto da Rousseau nel suo Discorso sull'ineguaglianza. Jean Meslier, prima di Rousseau, e Mably e Morelly, dopo di lui, delinearono dei progetti di società "naturali" in cui i beni, e in particolare la terra, dovevano essere posseduti in comune e il prodotto diviso. Nel corso della Rivoluzione, le idee comuniste andarono meglio precisandosi soprattutto con Marechal e Babeuf, il cui Manifesto degli eguali (1796) nasceva dall'idea che la libertà politica fosse un rimedio superficiale se non accompagnata dall'eguaglianza economica. Il compito di realizzare questa "eguaglianza sociale" spetta all'azione rivoluzionaria del popolo lavoratore; essa cioè deve essere attuata da una rivoluzione sociale che, distruggendo la società borghese, sostituirà ad essa una società comunista. Si andarono così sviluppando, soprattutto in Francia, teorie socialiste e comuniste, di tipo utopistico, in quanto non connesse con un largo movimento di massa. Molta importanza per la diffusione delle idee comuniste, dopo la rivoluzione del 1830, ebbe il libro di Filippo Buonarroti sulla Cospirazione degli Eguali, in cui veniva esposta la dottrina egualitaria del Babeuf e che divenne il testo-base delle società segrete rivoluzionarie, in particolare della "Società delle Stagioni" del Blanqui. La differenza tra le dottrine socialiste e comuniste sviluppatesi nei primi decenni del XIX sec. era dovuta al fatto che esse difendevano interessi di classe divergenti. Alla vigilia della pubblicazione nel 1848 del Manifesto di K. Marx e F. Engels, col nome di socialisti venivano indicati i seguaci di dottrine utopistiche come quelle di R. Owen in Inghilterra e di F. Fourier in Francia. Il nome indicava inoltre quei riformisti che si rifacevano a dottrine come quelle di Considérant, Louis Blanc, Proudhon, che esprimevano le aspirazioni della piccola borghesia oppressa dal grande capitale, e che intendevano migliorare le condizioni della classe operaia, salvaguardando la proprietà privata. Col nome di "comunisti" venivano invece indicati coloro che tendevano a impegnare il proletariato, o erano essi stessi dei proletari, convinti dell'insufficienza di semplici rivolgimenti politici e dell'esigenza di una trasformazione radicale della società. Pertanto le dottrine comuniste, per quanto di tipo utopistico, esprimevano gli interessi di classe del proletariato e miravano non già a riformare la società borghese, ma a liquidarla con l'abolizione della proprietà privata. Tra i teorici comunisti, alcuni come F. Cabet (che aveva elaborato il sistema "icariano") intendevano realizzare il c. in modo pacifico con la propaganda e l'educazione; altri, in particolare A. Blanqui, influenzati dalla dottrina babuvista esposta da F. Buonarroti, intendevano attuare il c. mediante la rivoluzione sociale e la dittatura del proletariato. Le idee rivoluzionarie comuniste trovarono un terreno favorevole nelle società segrete francesi, in particolare nella "Società delle Stagioni" diretta da Barbès e Blanqui. L'influenza di queste dottrine si fece sentire anche nella "Lega dei Giusti", la società operaia tedesca con sede a Parigi e che manteneva stretti contatti con la "Società delle Stagioni". Il teorico e l'esponente di maggior prestigio della "Lega dei Giusti" era W. Weitling che nel 1838 aveva redatto il primo "manifesto" comunista tedesco: L'umanità quale è e quale dovrebbe essere. Nemico del riformismo, Weitling sosteneva che l'emancipazione del proletariato sarebbe avvenuta non attraverso riforme illusorie, intraprese con l'aiuto della borghesia, ma solo attraverso una rivoluzione sociale che, distruggendo il dominio del denaro, avrebbe instaurato la comunità dei beni, l'eguaglianza sociale e la fratellanza tra gli uomini. La scarsa capacità di analisi economico-sociale impedì a Weitling di uscire dallo schema utopistico e di giungere, come Marx ed Engels, a una concezione "scientifica" dello sviluppo storico del socialismo. Partendo dalla filosofia idealistica tedesca, dopo aver assimilato la dialettica hegeliana, trasformandola radicalmente e dandole un carattere non più idealistico, bensì materialistico, Marx ed Engels, sulla base di uno studio approfondito del socialismo e del materialismo francese, nonché delle dottrine economiche inglesi, elaborarono la loro concezione, ossia il materialismo storico e dialettico, che costituisce il fondamento del "socialismo scientifico". Cambiare il mondo per mezzo dell'azione dell'uomo, liberazione dell'uomo come lavoratore, ecco il nuovo compito della filosofia che realizza se stessa nell'atto storico della rivoluzione e dell'emancipazione del proletariato. Riallacciandosi alla visione dialettica hegeliana, secondo cui la realtà è continuo divenire attraverso un successivo sviluppo in cui ogni stadio determina le condizioni e le contraddizioni per il suo superamento, Marx lo trasferisce dal campo astratto dell'ideologia al campo della realtà umana nella sua totalità. Anche la società è il risultato della praxis storica e ne segue il ritmo dialettico. Secondo Marx, ciò che caratterizza una società, ne determina le divisioni interne, ne configura il costume, il modo di vivere e di pensare, sono i rapporti economici, i rapporti di produzione e di scambio. Pertanto, si ha un substrato economico che configura l'essenza di una società e su questo substrato economico (struttura) le classi sociali che hanno il predominio nella società creano una "sovrastruttura" di rapporti giuridici, politici, morali, ideologici, religiosi, secondo la loro visione del mondo e i loro specifici interessi economici. Caratteristica di ogni società non costituita su basi di eguaglianza economica è la divisione in classi che si contendono il predominio sui mezzi di produzione e sulle risorse economiche, e solo l'abolizione della proprietà privata e del profitto privato, e il trasferimento alla collettività dei mezzi di produzione e di scambio e delle risorse economiche, può portare al superamento della società dilacerata in classi antagonistiche e all'avvento di una nuova società di uomini liberi ed eguali, che elimini lo sfruttamento dell'individuo, l'oppressione economica, il dominio di un gruppo sull'altro. La critica marxiana dell'economia politica nasce dall'esigenza di dimostrare l'inumanità, e insieme l'inevitabilità, ossia la "necessità storica", della forma capitalistica dell'economia. Il trionfo della borghesia ha semplificato ed esasperato la lotta di classe. Nel sistema borghese-capitalistico si determina dialetticamente la situazione di antitesi che deve portare al suo crollo e, attraverso una rivoluzione sociale, all'avvento di un nuovo ordinamento, a base collettiva, che attuerà la società senza classi e senza oppressioni economiche. Nel filone più propriamente utopistico si inserisce il c. anarchico che ebbe nell'erede di M. Bakunin, P. Kropotkin, il suo principale teorico. Kropotkin distingueva due fasi nella futura società rivoluzionaria, una prima fase collettivistica e transitoria, durante la quale il concetto di proprietà sopravvivrà assumendo la forma di proprietà da parte dei comuni, e una seconda e ultima fase, comunista, che subentrerà alla prima quando la società avrà accettato pienamente il principio "da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni". A questo punto, infatti, l'idea stessa della proprietà sarà svanita e potrà realizzarsi il vero c. La differenza tra questa concezione e la concezione marxiana dell'estinzione dello Stato, consiste nel fatto che secondo la concezione anarchica la distruzione dello Stato deve avvenire subito e solo l'idea di proprietà è destinata a estinguersi lentamente. A cominciare dagli anni immediatamente successivi alla morte di Marx e di Engels, dal filone marxista sono andati sviluppandosi teorie diverse e spesso tra loro contrastanti che hanno provocato in sede politica, oltre che ideologica, una netta frattura tra partiti che si definiscono socialisti (e più particolarmente socialdemocratici) e partiti comunisti che, dopo la Rivoluzione russa del 1917, si sono presentati legati alla storia e alle vicende politiche dell'Unione Sovietica, finché nuove divergenze non hanno creato divisioni anche all'interno dello schieramento comunista, e una distinzione fondamentale tra c. sovietico e c. cinese. Il vecchio termine c. fu ripreso da Lenin e usato quale sinonimo del nuovo termine "bolscevismo", per rendere più evidente il contrasto che era venuto manifestandosi in seno al Partito socialdemocratico russo e agli altri partiti socialisti europei, tra l'ala destra e quella sinistra. Divergenze di interpretazione si svilupparono anche all'interno dello schieramento più propriamente comunista e, in particolare, tra la concezione leninista del Partito e della gestione del potere e quella luxemburghiana e, più tardi, tra la concezione trotzkista della "rivoluzione permanente" e quella staliniana del "c. in un solo paese". Queste divergenze si fecero sentire in seno alla Terza Internazionale (Comintern) costituitasi a Mosca nel marzo 1919 e alla quale aderirono tutte le sinistre socialiste europee. ║ Dalla dottrina alla prassi. Nei mesi successivi alla nascita della Terza Internazionale e alla costituzione di partiti comunisti in tutti i paesi europei, un'ondata rivoluzionaria sembrò travolgere, dopo la Russia, anche la Germania (Repubblica di Kurt Eisner in Baviera), l'Ungheria (Repubblica di Béla Kun), l'Italia e la Francia. Ma già alla fine del 1920 era cominciata la fase di riflusso e la Russia rimaneva il solo paese comunista, isolato e circondato da potenze ostili. In condizioni di estrema difficoltà, l'URSS impostò la sua politica, partendo dal "c. di guerra" per arrivare, attraverso la NEP (Nuova Politica Economica), al varo nel 1928 del primo piano quinquennale e alla gestione staliniana del potere. La definitiva affermazione di Stalin era avvenuta non senza contrasti, soprattutto da parte di Trotzkij che nel 1923-24 sembrava il candidato più probabile alla successione a Lenin. Nel 1925 il XIV Congresso del PCUS adottò la linea stalinista del "socialismo in un solo paese", in contrapposizione alla linea trotzkista della "rivoluzione mondiale permanente". Con tale risoluzione il Congresso prendeva atto del fatto che ormai la marea rivoluzionaria su scala europea era stata arginata e che il capitalismo si era temporaneamente consolidato. Pertanto, primo compito del PCUS doveva essere il rafforzamento e il completamento della rivoluzione proletaria nell'URSS, sacrificando per il momento l'obiettivo marxista della rivoluzione mondiale. Secondo Trotzkij, invece, la rivoluzione in Europa era ancora possibile e l'avvento del socialismo in Russia non poteva rimanere un fatto isolato. Nel 1926 la lotta fra trotzkisti e stalinisti toccò il culmine, assumendo le caratteristiche di uno scontro tra una concezione e una politica di tipo nazionalistico e di una di tipo internazionalista. Secondo Trotzkij il progresso dell'umanità era ostacolato non solo dal capitalismo, ma anche dall'esistenza di stati nazionali, e la costruzione del "socialismo in un solo paese" avrebbe significato accettare l'esistenza di questi stati nazionali. Lo "stalinismo", al di là delle caratteristiche individuali e dell'impronta datagli dalla personalità di Stalin, presenta un substrato oggettivo, non immediatamente riferibile allo schema marxiano di società socialista: la Russia del 1917 presentava una situazione economico-sociale che la rendeva tutt'altro che matura per accogliere le premesse del socialismo. Non esisteva una forte concentrazione industriale, un alto sviluppo di produttività e una classe operaia, politicamente matura, in grado di fornire i quadri di una democrazia socialista. Quando Stalin assunse il potere, la Russia si presentava ancora come un paese semiarretrato nel quale mancavano solide basi d'appoggio per il potere socialista. Il compito storico di Stalin fu di creare queste basi attraverso una massiccia industrializzazione e collettivizzazione agraria. Poiché ciò non corrispondeva alla logica interna di sviluppo della società russa, si ebbero forti resistenze da parte dell'ambiente sociale, soprattutto contadino, cui si rispose con un irrigidimento del potere, con la repressione violenta di ogni resistenza, con la concentrazione e la personalizzazione del potere. In campo internazionale la situazione dei partiti comunisti si andò sbloccando in seguito alla politica dei Fronti popolari, ufficialmente approvata nel 1935 dal Congresso dell'Internazionale. Dieci anni più tardi, dal caos della guerra, emergeva un nuovo schema della rivoluzione comunista che coinvolgeva tutti i paesi dell'Europa orientale. Alla conferenza di Yalta del febbraio 1945 le potenze occidentali avevano riconosciuto l'influenza predominante dell'URSS in quasi tutta l'Europa orientale, dove i primi due anni del dopoguerra furono caratterizzati dalla politica dei "Fronti popolari", al pari dei paesi dell'Europa occidentale. Nel 1947-48, mentre i comunisti e i socialisti di sinistra venivano allontanati dai governi dell'Europa occidentale, nei paesi dell'Est venivano allontanati i leader dei partiti agrari e liberali. Sul piano internazionale in sostituzione della vecchia Terza Internazionale (Comintern), sciolta nel 1943, si costituiva nell'ottobre 1947 un nuovo ufficio di coordinamento, il Cominform di cui entrarono a far parte i partiti comunisti di URSS, Polonia, Romania, Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Italia e Francia. Entro l'estate del 1948, nei paesi dell'Est la "democrazia liberale" veniva sostituita dalla "democrazia popolare" e tra Europa orientale e occidentale calava la cosiddetta "cortina di ferro". Contemporaneamente, all'interno dello schieramento comunista, si avevano le prime avvisaglie dello scontro tra URSS e Jugoslavia, che, a differenza degli altri paesi comunisti, non era stata liberata per l'intervento dell'Armata rossa, ma per l'azione dei partigiani capeggiati da Tito che intendeva affermare la propria indipendenza dal dominio sovietico. Nel giugno 1948 si ebbe una clamorosa risoluzione del Cominform che accusava Tito di ostilità nei confronti dell'URSS, ma ciò anziché comportare la caduta del leader jugoslavo ne consolidò il suo prestigio di capo indiscusso del Paese. La Jugoslavia fu tuttavia costretta a cercare nuove alleanze al di fuori dello schieramento comunista e ciò non mancò di ripercuotersi sulle scelte fondamentali e sul "tipo" di socialismo di questo paese. A differenza della Jugoslavia che, distaccandosi dal Cominform, riusciva ad affermare la propria indipendenza e non senza contraddizioni, ad avviare una propria autonoma costruzione del socialismo, seguita qualche anno più tardi, su posizioni diverse, dall'Albania, gli altri paesi dell'Europa orientale si allineavano sulle posizioni sovietiche e i leader meno remissivi venivano allontanati dal potere, come il polacco Gomulka e il bulgaro Kostov. Ciò avveniva in un crescente clima di tensione tra Est e Ovest, che prese il nome di "guerra fredda" e che dominò la scena internazionale sino alla morte di Stalin nel marzo 1953. Con la scomparsa di Stalin e soprattutto con la sua sconsacrazione ufficiale ("destalinizzazione") ad opera di N. Krusciov (XX Congresso del PCUS, 1956), si ebbe un brusco cambiamento della linea precedente. Vennero condannati il "culto della personalità", fu messa in discussione la teoria dello Stato-guida e iniziò il dibattito sulle "vie nazionali al socialismo" e sulla "coesistenza competitiva", su scala mondiale, col sistema capitalistico. La dottrina della "coesistenza pacifica", che sostanzialmente sconfessava la tesi leninista dell'inevitabilità dello scontro frontale e della guerra rivoluzionaria, non si inseriva "scientificamente" nella teoria comunista, ma assumeva piuttosto il carattere di "opportunità" per evitare i pericoli che avrebbe comportato un conflitto nucleare. Tra le maggiori conseguenze del processo di "destalinizzazione" vi fu la rottura del monolitismo dello schieramento comunista, e con l'emergere e l'accentuarsi delle divergenze tra c. russo e c. cinese, cominciò a delinearsi la concreta possibilità di due diversi poli di attrazione per i vari partiti comunisti. Fatte cadere da Krusciov, le tesi leniniste dello scontro frontale col capitalismo, dell'inevitabilità delle guerre rivoluzionarie e dell'"imperialismo fase suprema del capitalismo", furono riprese e rilanciate dai comunisti cinesi, dietro ai quali, nel corso degli anni '60, andò delineandosi un largo schieramento di paesi asiatici e di movimenti comunisti latino-americani. Le divergenze tra c. sovietico e c. cinese, per quanto esplose clamorosamente solo all'inizio degli anni '60, presentano radici molto più profonde, che in parte risalgono al periodo immediatamente successivo alla costituzione stessa del Partito comunista cinese, avvenuta nel 1921 per iniziativa di un gruppo di giovani intellettuali, tra cui Mao Tse-tung, e trasformatosi in pochi anni in un'organizzazione capace di mobilitare le masse lavoratrici urbane. Dopo l'offensiva anticomunista sferrata da Chiang Kai-shek nell'aprile 1927, il Partito comunista cinese, costretto alla clandestinità, operò una profonda trasformazione dei propri organi direttivi e non fu facile al suo interno superare le gravi divergenze tra quanti, secondo le direttive di Mosca, intendevano adottare una linea strategica guidata dal proletariato cittadino, e coloro che sostenevano la necessità di prendere atto della realtà sociale del Paese e di condurre la lotta di classe nelle campagne, e che nell'autunno del 1927 avevano costituito il primo soviet cinese nella regione montagnosa del Chingkanshang. Adottando la tattica della guerriglia, i comunisti cinesi cominciarono ad allargare la loro base territoriale e nel 1931 poterono costituire a Juichin un governo, presieduto da Mao Tse-tung, che riuscì a resistere sino all'ottobre 1934 quando, per sfuggire alla stretta e salvarsi dall'annientamento, i comunisti decisero di forzare il blocco militare nemico e trasferire la loro repubblica "rossa" verso una base più sicura, intraprendendo la "lunga marcia" verso la regione nord-occidentale dello Shensi, che permise di accendere nelle campagne molti focolai di guerriglia, ma che costò la vita alla grande maggioranza dei 130.000 uomini partiti da Kiansi. La tattica della guerriglia e l'assunzione del potere locale consentì di giungere nel 1945 al controllo di vasti territori dell'interno e in seguito di occupare anche i centri maggiori, sino alla conquista di Pechino nel gennaio 1949 e di tutto il territorio, costringendo Chiang Kai-shek a ritirarsi a Formosa. Nel settembre 1954, con la promulgazione della nuova Costituzione, ebbe ufficialmente inizio la prima fase dell'"edificazione del socialismo", la cui più importante manifestazione ideologica fu la "campagna dei cento fiori" che, richiamandosi a una massima di Confucio, intendeva esprimere il principio della libera critica costruttiva. Una nuova fase, quella del "grande balzo in avanti", ebbe inizio nel 1958 con la mobilitazione delle masse, per accelerare il ritmo delle trasformazioni economiche e col lancio delle "comuni del popolo". Poco dopo cominciò a delinearsi apertamente il contrasto con l'URSS, temporaneamente frenato dalle difficoltà interne e dall'indebolimento della posizione di Mao, messo in minoranza dalla corrente "moderata" facente capo al presidente della Repubblica Liu Shao-Ch'i. La riscossa maoista ebbe inizio nel maggio 1966 con il lancio della "rivoluzione culturale", quale affermazione di un nuovo sistema di valori e di organizzazione politico-sociale, nel quale la funzione dirigente spettava "direttamente al popolo", impegnato nella "rivoluzione permanente all'interno e nella rivoluzione antimperialista all'esterno". La consacrazione della linea maoista si ebbe nell'aprile 1969 al IX Congresso del Partito e comunque, al di là delle divergenze interne, la dirigenza cinese è apparsa in quegli anni sempre più fermamente decisa a perseguire una strada autonoma e alternativa, rispetto a quella sovietica, nella costruzione del socialismo, fondata prima di tutto sulla piena indipendenza del Paese nei confronti di ogni forma di pressione esterna. Le impostazioni teoriche maoiste, diffuse su scala internazionale, provocarono fratture all'interno di vari partiti comunisti e la formazione di nuove correnti e movimenti i cui aderenti vedevano nella "rivoluzione culturale" cinese soprattutto uno sforzo per salvare il socialismo dall'involuzione del potere e dal burocratismo. Questo è avvenuto mentre il prestigio dell'Unione Sovietica subiva una nuova e dura scossa in seguito all'occupazione della Cecoslovacchia (agosto 1968), colpevole di essersi spinta troppo avanti nella politica del "nuovo corso", in nome di un'esigenza di autonomia già largamente affermata da partiti con esperienze diverse, come quelli jugoslavo, italiano e cubano. In particolare quest'ultimo, quale portavoce dei paesi più piccoli e poveri, pur richiamandosi alla purezza rivoluzionaria e alla lotta contro l'imperialismo, ha spesso sottolineato la necessità di sottrarsi alla politica di potenza sia di Mosca sia di Pechino, e l'importanza delle "vie nazionali al socialismo". Da più parti, comunque, entro l'area dei partiti e dei movimenti che si richiamano al c., sono state condotte critiche a fondo sul ruolo dell'URSS nel movimento comunista internazionale e sul tipo di socialismo realizzato in quel Paese. I difficili rapporti russo-cinesi hanno del resto contribuito ad accentuare l'orientamento critico delle sinistre occidentali nei confronti della politica revisionista e imperialista dell'URSS. A questa tendenza fa eccezione la politica di apertura a Est (Ostpolitik) attuata dal cancelliere tedesco W. Brandt dopo il 1969, spiegabile con la necessità di stemperare i contrasti fra le due Germanie. Negli anni Settanta il ruolo-guida del PCUS è stato messo ulteriormente in discussione in seguito alle accuse di alcuni illustri dissidenti, fra i quali lo scrittore Solzenitzyn e il fisico Sacharov, testimoni di drammatiche storie di persecuzione. In questi anni due partiti comunisti occidentali, quello francese e quello italiano, si sono messi in evidenza, grazie anche alla spinta ricevuta dalla contestazione studentesca e dai movimenti operai degli ultimi anni Sessanta. In Francia, nel 1970, Georges Marchais ha assunto la guida del PCF, favorendo il riavvicinamento al partito socialista di Mitterrand. In Italia, nel 1969, l'elezione di Enrico Berlinguer a segretario del PCI ha sottolineato la ricerca da parte dei comunisti italiani di una "via nazionale al socialismo" che poneva le basi per l'adozione di una linea di minore subalternità rispetto al dogmatismo sovietico. Il PCI, impostosi come alternativa politica alla crisi del centro-sinistra, ha raccolto nelle elezioni del 1972 e del 1976 i frutti della sua autonoma politica di revisione programmatica, imponendosi, sul piano interno, come interlocutore privilegiato dei partiti di governo. Nel 1977, in Cecoslovacchia, nove anni dopo l'intervento armato sovietico, alcuni dissidenti hanno pubblicato un documento, la Charta 77, che rivendica il riconoscimento dei diritti umani nel loro paese. Nello stesso anno, a Madrid, si sono riuniti i vertici dei partiti comunisti spagnolo, francese e italiano; durante l'incontro sono state tracciate le linee di una politica più aderente alla realtà delle nazioni occidentali, il cosiddetto Eurocomunismo. Tuttavia, nel 1979, il congresso del PCF ha segnato un riavvicinamento dei comunisti francesi al PCUS, decretando il precoce tramonto di una via europea al socialismo. In questi stessi anni si è invece acuito il processo di distacco del PCI dal partito guida russo. Nel 1980, Berlinguer, durante un intervento al parlamento europeo, ha duramente condannato l'invasione sovietica dell'Afghanistan. Nello stesso anno, la morte di Tito ha fatto incontrare tutti i massimi esponenti del mondo comunista, accorsi ai funerali dell'anziano leader jugoslavo. L'inizio degli anni Ottanta manifesta i primi segni di fermento nei paesi del blocco comunista: in Polonia il sindacato libero Solidarnosc sfida il potere attraverso una protesta diffusa e pacifica; in Ungheria il governo offre le prime timide aperture al dissenso organizzato. Nel 1982 muore in URSS il presidente Breznev; con lui si chiude la lunga fase post-staliniana. Al suo posto viene eletto Yuri Andropov, alla cui morte, nel 1984 viene eletto Konstantin Cernenko. Nello stesso anno, in Italia, scompare la figura più rappresentativa del c. italiano, Enrico Berlinguer. Con lui il PCI perde una guida preziosa e si avvia verso una decadenza che diventa inevitabile in seguito agli sviluppi internazionali. Precocemente scomparso nel 1985 anche Cernenko, sale alla presidenza dell'Unione Michail Gorbaciov, esponente di una nuova generazione politica formatasi culturalmente in Occidente. Gorbaciov dimostra subito un atteggiamento di maggiore apertura nei confronti degli interlocutori occidentali. In breve riesce a circondarsi di collaboratori come lui convinti della necessità di avviare un profondo processo di riforma dell'arretrato organismo statuale sovietico. Negli anni successivi alla sua elezione si impegna nell'attuazione di una politica di ristrutturazione e di graduale democratizzazione dello stato, la Perestroika. Nei proficui incontri che tiene nel 1987 (Washington) e nel 1989 (Malta) con i presidenti americani Reagan e Bush, Gorbaciov pone le basi per la risoluzione della vecchia vertenza sul disarmo, dichiarandosi disponibile allo smantellamento unilaterale delle armi nucleari a medio raggio dislocate nell'Europa dell'Est. L'esito principale di questi incontri è la fine della "guerra fredda" e il definitivo superamento della logica dei due blocchi contrapposti. Sul piano interno, Gorbaciov lascia per di più intendere di puntare sullo scardinamento dell'economia statalista che ha portato il Paese sull'orlo dello sfascio. Alla fine del 1988 infatti il Soviet Supremo approva a grande maggioranza il progetto costituzionale avanzato dal leader sovietico che fissa le prime elezioni libere in URSS al marzo 1989. In seguito ad una storica visita di Gorbaciov, migliorano anche i rapporti con l'altro gigante comunista, la Cina. Malgrado l'avvio del processo di democratizzazione del sistema, il tentativo da parte di Gorbaciov di concentrare il potere nelle proprie mani alimenta le rivendicazioni di autonomia da parte di molte repubbliche dell'Unione. Le prime a intraprendere concrete iniziative in questo senso sono le repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania, mentre nel Nagorno-Karabach esplodono violenti scontri etnici fra azeri e armeni. Venuto meno il collante della centralizzazione burocratica, l'Unione dà ormai segni preoccupanti di sfaldamento, proprio mentre, verso la fine del 1989, il nuovo clima di rinnovamento instauratosi ad Est favorisce il crollo del Muro di Berlino e l'avvento di regimi democratici nei paesi del Patto di Varsavia. Fra la fine del 1989 e il 1990 Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria depongono i rispettivi regimi filo-sovietici, mentre la Repubblica Democratica Tedesca viene annessa alla Germania Federale. Il prestigio conquistato all'estero da Gorbaciov nei primi anni della sua presidenza non basta al leader sovietico per gestire con altrettanto successo la situazione interna: malgrado l'avvio del processo di riforma della struttura burocratica del partito, l'economia va infatti alla deriva, prima ancora che i correttivi atti a modificarla siano stati messi a punto. Al malcontento generale per la difficile situazione legata alla distribuzione dei generi alimentari, si aggiungono le pressioni che Gorbaciov deve subire da parte dei conservatori, con a capo Ligaciov, e dei più accesi riformisti, guidati dal russo Eltsin. Il trionfo di quest'ultimo alle prime elezioni libere in Russia e lo sgretolamento delle istituzioni socialiste favoriscono, tra il 1990 e il 1991, il rientro nei vertici dello stato di figure favorevoli ad una restaurazione comunista, rientro culminato nel fallito colpo di stato dell'agosto 1991 e nella vittoria dello schieramento democratico. Nel 1991 anche il moderato regime iugoslavo finisce per fare i conti con gli emergenti nazionalismi balcanici, che in breve portano il Paese alla guerra civile. Di fronte agli straordinari avvenimenti che hanno interessato i paesi dell'Est sul finire degli anni Ottanta, i partiti comunisti dell'Europa occidentale hanno avviato un processo di revisione del proprio patrimonio ideologico, giungendo fino (è il caso del PCI) al cambiamento del nome e all'affermazione di una linea politica apertamente riformista. Mentre l'Europa sovietica corre rapidamente verso la fine dell'esperienza comunista e la riaffermazione dei principi nazionali, la Cina pare seguire un'involuzione di segno opposto: l'apertura verso i paesi occidentali verificatasi dopo il 1982 (in seguito alla salita al potere di Deng Xiao-ping) non comporta infatti un rinnovamento del sistema politico ancora affidato allo strapotere del PCC. La richiesta di democratizzazione del sistema cinese è stata portata avanti in primo luogo dagli studenti ed è sfociata nei tragici fatti di piazza Tienanmen, in seguito ai quali si è rafforzato il potere personale di Deng ed è aumentato l'isolamento politico dell'ultima grande roccaforte del c.