(dal francese
communisme, der. di
comune).
Sistema sociale fondato sulla proprietà comune dei beni. Varie sono le
forme in cui storicamente tale sistema è stato impostato sul piano
teorico come su quello pratico. A differenza delle concezioni e delle attuazioni
del
c. moderno, in cui è fondamentale l'esigenza della
proprietà dei mezzi di produzione, le forme primitive di
c. si
presentano prevalentemente in senso extra-economico, quali semplici
manifestazioni di solidarietà. Secondo la classificazione fatta da Max
Weber (
Wirtschaft und Gesellschaft, 1922) storicamente il
c. si
presenta: 1) come
c. domestico della famiglia (su base tradizionale e
affettiva); 2) come
c. cameratesco dell'esercito (su base soprattutto
emotiva, carismatica); 3) come
c. di amore della comunità
religiosa (su base emotivo-carismatica). Queste forme si presentano: a) in
antitesi all'ambiente circostante, come una comunità di persone che
lavorano da sé o che sono mantenute mediante mecenatismo (caso tipico
è quello delle economie comunistiche di carattere religioso o delle
comunità monastiche o del socialismo utopistico); b) come gruppo
domestico di persone mantenute su basi mecenatistiche o liturgiche (caso tipico
quello delle comunità militari e di quelle monastiche che vivono di
elemosina); c) come un'amministrazione di consumatori che deriva il proprio
reddito dall'impresa produttiva da cui è però separata (caso
tipico quello delle amministrazioni domestiche, familiari, nell'ambito
dell'economia di mercato). ║
Dottrina politica. Tra le elaborazioni
dottrinali dell'antichità, particolare importanza riveste la dottrina
comunista presentata da Platone nella
Repubblica. Egli non prevede
l'estensione del
c. all'intera società, ma solo alla classe
dirigente, ossia ai governanti e ai guerrieri. Convinto degli effetti dannosi
della ricchezza sul governo, Platone non vedeva modo migliore di abolire i danni
se non eliminando la ricchezza stessa per la classe dei governanti e dei
guerrieri: per correggere l'avidità dei capi non c'è altro modo,
per il filosofo, che quello di negare il diritto alla proprietà. Il
c. di Platone assume due espressioni fondamentali che conducono entrambe
all'abolizione della famiglia. La prima è l'abolizione per i governanti
della proprietà privata e l'obbligo per essi di vivere in caserme e di
consumare i pasti a una mensa comune. La seconda è l'abolizione del
legame sessuale monogamico permanente e la sua sostituzione con accoppiamenti
regolati in modo da assicurare la migliore prole possibile. In parte Platone si
rifaceva all'esempio di Sparta dove ai cittadini era negato l'uso della moneta.
Il suo
c. inoltre, non nasceva dall'esigenza di abolire le
disuguaglianze, ma dalla convinzione dell'incompatibilità tra
proprietà privata e interesse pubblico, e quindi dall'esigenza di
ottenere una maggiore unità politica. Lo scopo del
c. di Platone
era non sociale, ma esclusivamente politico, dato che egli non intendeva, come i
teorici moderni del
c., servirsi dello Stato per livellare la ricchezza,
bensì livellare la ricchezza per eliminare la sua influenza perturbatrice
sullo Stato. La proposta di abolire il matrimonio nasce da un'eguale esigenza.
Egli considera infatti l'affetto familiare, diretto verso persone particolari,
un altro pericoloso rivale dello Stato. Inoltre l'abolizione della famiglia
avrebbe consentito di sottrarre molte donne alla loro condizione di
inferiorità; anziché badare alla casa e a crescere i figli,
sottraendo così allo Stato la collaborazione della metà di coloro
che costituiscono potenzialmente la sua difesa, liberate dalle cure strettamente
domestiche, le donne avrebbero partecipato, al pari degli uomini, alla vita
politica e anche a quella militare, ricevendo lo stesso tipo di educazione. Di
tipo comunistico è anche la dottrina dei Cinici, considerata come la
filosofia del "proletariato" greco. I Cinici andavano predicando la fratellanza
umana, l'amicizia per i vinti e per i reietti, il disprezzo per la fama, la
gloria, la ricchezza. Essi condannavano la schiavitù, negavano ogni
distinzione sociale e nazionale, esaltavano la povertà. L'ideale
comunistico dei Cinici fu in parte assorbito dallo stoicismo, attraverso il
quale passò ad alcuni pensatori minori di età ellenistico-romana.
Nell'ambito strettamente religioso, l'ideale comunistico si associa ad altre
esigenze religiose ispirate all'ideale distacco dai beni terreni. Si ha
così nella Chiesa del periodo apostolico la "comunione dei beni". Il
cristianesimo introduce il concetto fondamentale dell'unione di tutti gli uomini
in Cristo. Si è parlato soprattutto di un
c. di Sant'Ambrogio con
riferimento alla sua concezione della vita in comune. L'ideale comunistico si
ritrova anche nei secoli successivi ed è presente in varie sette e nelle
rivendicazioni di quegli oscuri sollevatori, di quei capipopolo che venivano
alla ribalta quando il disagio economico portava a sollevazioni popolari e a
lotte sanguinose. Il principio da cui questi "comunisti" partivano era la
credenza cristiana, diffusa in tutto il Medioevo, che il possedere in comune
costituisse una forma di vita più perfetta di quella basata sulla
proprietà privata, non considerata come fatto naturale, ma come risultato
dell'ingiustizia umana. Un preciso significato sociale assunsero i movimenti di
rinascita religiosa e di educazione politica popolare capeggiati da John
Wycliffe (1320-1384) in Inghilterra e da John Huss (1373-1414) in Boemia. Il
pensiero centrale di entrambi questi riformatori era l'opposizione al monopolio
dell'autorità spirituale da parte della gerarchia e al potere assoluto
del Papa. Essi identificavano la Chiesa nel complesso di tutti i cristiani e al
di sotto della filosofia politica vera e propria dei due pensatori andò
sviluppandosi una specie di dottrina proletaria di eguaglianza sociale, solo
parzialmente connessa con la questione religiosa. Tali idee egualitarie sono
presenti nelle rivolte di contadini del XIV sec. in Germania (1324-25), in
Francia (1351), in Inghilterra (1381), nelle quali è possibile
individuare un certo grado di antagonismo di classe. Esso era caratterizzato da
una forte coloritura religiosa, quale espressione della fede popolare negli
ideali di fratellanza e di eguaglianza umana. Tra gli aderenti alla setta dei
Lollardi inglesi e in quelle boeme dei seguaci di Huss era presente l'idea che
la legge evangelica prescrivesse una società di tipo comunista, in cui i
cristiani vivessero tutti in uno stato di libertà e di eguaglianza, senza
distinzioni di rango e di privilegio. Ma è soprattutto nei movimenti
inglesi dei Livellatori e degli Zappatori del XVII sec. che le idee comuniste si
fecero più chiaramente politiche. Il nome stesso di "livellatori"
(
levellers) indicava come questo movimento si proponesse di distruggere
le differenze di posizione sociale, politica ed economica. Tuttavia, la
filosofia politica dei Livellatori, più che all'ideale comunista, si
avvicinava a quello della filosofia radicale. All'interno del movimento,
tuttavia, si distinse un piccolo gruppo, di orientamento comunista, detto dei
"veri livellatori", secondo cui la rivoluzione politica offriva un mezzo adatto
per giungere all'eguaglianza economica e alleviare la povertà delle
masse. Questi "comunisti" si fecero conoscere nel 1549 quando un gruppo
tentò di mettere in pratica le loro idee, impossessandosi di un terreno
pubblico non cintato per metterlo a coltura e distribuire i prodotti ai poveri.
Da ciò il nome di "Zappatori" con cui furono indicati. L'esperimento, di
breve durata, fu accompagnato e seguito dalla pubblicazione di vari opuscoli, in
gran parte redatti da G. Windstanley, che in uno di essi esponeva il progetto di
un governo comunista inglese. Il suo ideale di comunismo aveva origini mistiche
e religiose, e si riallacciava in parte alle idee comuniste già diffuse
nel Medioevo. L'attacco alla proprietà privata veniva però
condotto su basi del tutto nuove. La proprietà privata viene indicata dal
Windstanley come la principale fonte del male, essendo causa di tutte le forme
di abuso e di corruzione sociale. La proprietà privata ha portato alla
supremazia dell'uomo sull'uomo, alla schiavitù delle masse, ridotte alla
povertà dal sistema del salario e costrette, col lavoro, a sostenere
quello stesso potere che le rende schiave. Pertanto, gran parte dei mali sociali
possono essere eliminati con la distruzione della proprietà privata, in
particolare quella fondiaria. Decisamente anticlericali, ma profondamente
religiosi, gli Zappatori affermavano che Cristo era stato il primo "livellatore"
e come molti utopisti, erano pacifisti dichiarati. La dottrina comunista degli
Zappatori è esposta con una certa sistematicità nell'opera
La
legge della libertà (1652) di G. Windstanley il cui pensiero
fondamentale è che ogni schiavitù deriva dalla povertà e
che vera libertà significa parità di diritti e accesso per tutti
ai mezzi di produzione, ossia "alla terra e ai suoi frutti". Pertanto, la
riforma deve soprattutto consistere nel vietare la vendita e l'acquisto: non ci
può essere eguaglianza che non sia eguaglianza di beni, dato che il
denaro dà il potere, e potere significa oppressione. La vera
libertà esige che la terra sia posseduta in comune e la produzione posta
in riserve comuni da cui tutti possano attingere secondo i loro bisogni. Tutte
le persone abili debbono essere obbligate al lavoro, almeno sino all'età
di quarant'anni. Il
c. di Windstanley, in quanto autentica voce
dell'utopia proletaria, si distacca nettamente dalla filosofia politica del suo
tempo, e per quanto utopistico, si basa su una chiara intuizione della
dipendenza inevitabile della libertà e dell'eguaglianza dall'economia. In
genere si tende a includere tra le concezioni comuniste anche quelle esposte nei
"romanzi di Stato" del XVI e XVII sec., noti come "utopie", dal titolo
dell'opera più famosa di Tommaso Moro. Tali "romanzi di Stato" si
rifacevano, in gran parte, alla
Repubblica di Platone e gli esempi
più famosi sono quelli costituiti, oltre che dall'
Utopia (1516) di
T. Moro, dalle opere di F. Bacone,
New Atlantis (1629) di T. Campanella,
La Città del sole (1623) di J. Harrington,
Oceana (1656).
Rispetto a queste forme diverso è il significato che, sulla base
dell'espressione marxista "socialismo utopistico", il termine "utopia" è
andato assumendo. Infatti, secondo la definizione di F. Engels, sono da
considerarsi utopistiche, in contrapposizione al "socialismo scientifico",
quelle teorie che non sono connesse con un effettivo movimento di massa e che
non sono fondate su una prova dell'esistenza di forze economiche che tendano a
realizzare quelle idee. In Francia, il cinquantennio che precedette la
Rivoluzione produsse vari schemi di
c. utopistico e a questo complesso di
idee si riallaccia vagamente l'attacco alla proprietà privata fatto da
Rousseau nel suo
Discorso sull'ineguaglianza. Jean Meslier, prima di
Rousseau, e Mably e Morelly, dopo di lui, delinearono dei progetti di
società "naturali" in cui i beni, e in particolare la terra, dovevano
essere posseduti in comune e il prodotto diviso. Nel corso della Rivoluzione, le
idee comuniste andarono meglio precisandosi soprattutto con Marechal e Babeuf,
il cui
Manifesto degli eguali (1796) nasceva dall'idea che la
libertà politica fosse un rimedio superficiale se non accompagnata
dall'eguaglianza economica. Il compito di realizzare questa "eguaglianza
sociale" spetta all'azione rivoluzionaria del popolo lavoratore; essa
cioè deve essere attuata da una rivoluzione sociale che, distruggendo la
società borghese, sostituirà ad essa una società comunista.
Si andarono così sviluppando, soprattutto in Francia, teorie socialiste e
comuniste, di tipo utopistico, in quanto non connesse con un largo movimento di
massa. Molta importanza per la diffusione delle idee comuniste, dopo la
rivoluzione del 1830, ebbe il libro di Filippo Buonarroti sulla
Cospirazione
degli Eguali, in cui veniva esposta la dottrina egualitaria del Babeuf e che
divenne il testo-base delle società segrete rivoluzionarie, in
particolare della "Società delle Stagioni" del Blanqui. La differenza tra
le dottrine socialiste e comuniste sviluppatesi nei primi decenni del XIX sec.
era dovuta al fatto che esse difendevano interessi di classe divergenti. Alla
vigilia della pubblicazione nel 1848 del Manifesto di K. Marx e F. Engels, col
nome di socialisti venivano indicati i seguaci di dottrine utopistiche come
quelle di R. Owen in Inghilterra e di F. Fourier in Francia. Il nome indicava
inoltre quei riformisti che si rifacevano a dottrine come quelle di
Considérant, Louis Blanc, Proudhon, che esprimevano le aspirazioni della
piccola borghesia oppressa dal grande capitale, e che intendevano migliorare le
condizioni della classe operaia, salvaguardando la proprietà privata. Col
nome di "comunisti" venivano invece indicati coloro che tendevano a impegnare il
proletariato, o erano essi stessi dei proletari, convinti dell'insufficienza di
semplici rivolgimenti politici e dell'esigenza di una trasformazione radicale
della società. Pertanto le dottrine comuniste, per quanto di tipo
utopistico, esprimevano gli interessi di classe del proletariato e miravano non
già a riformare la società borghese, ma a liquidarla con
l'abolizione della proprietà privata. Tra i teorici comunisti, alcuni
come F. Cabet (che aveva elaborato il sistema "icariano") intendevano realizzare
il
c. in modo pacifico con la propaganda e l'educazione; altri, in
particolare A. Blanqui, influenzati dalla dottrina babuvista esposta da F.
Buonarroti, intendevano attuare il
c. mediante la rivoluzione sociale e
la dittatura del proletariato. Le idee rivoluzionarie comuniste trovarono un
terreno favorevole nelle società segrete francesi, in particolare nella
"Società delle Stagioni" diretta da Barbès e Blanqui. L'influenza
di queste dottrine si fece sentire anche nella "Lega dei Giusti", la
società operaia tedesca con sede a Parigi e che manteneva stretti
contatti con la "Società delle Stagioni". Il teorico e l'esponente di
maggior prestigio della "Lega dei Giusti" era W. Weitling che nel 1838 aveva
redatto il primo "manifesto" comunista tedesco:
L'umanità quale
è e quale dovrebbe essere. Nemico del riformismo, Weitling sosteneva
che l'emancipazione del proletariato sarebbe avvenuta non attraverso riforme
illusorie, intraprese con l'aiuto della borghesia, ma solo attraverso una
rivoluzione sociale che, distruggendo il dominio del denaro, avrebbe instaurato
la comunità dei beni, l'eguaglianza sociale e la fratellanza tra gli
uomini. La scarsa capacità di analisi economico-sociale impedì a
Weitling di uscire dallo schema utopistico e di giungere, come Marx ed Engels, a
una concezione "scientifica" dello sviluppo storico del socialismo. Partendo
dalla filosofia idealistica tedesca, dopo aver assimilato la dialettica
hegeliana, trasformandola radicalmente e dandole un carattere non più
idealistico, bensì materialistico, Marx ed Engels, sulla base di uno
studio approfondito del socialismo e del materialismo francese, nonché
delle dottrine economiche inglesi, elaborarono la loro concezione, ossia il
materialismo storico e dialettico, che costituisce il fondamento del "socialismo
scientifico". Cambiare il mondo per mezzo dell'azione dell'uomo, liberazione
dell'uomo come lavoratore, ecco il nuovo compito della filosofia che realizza se
stessa nell'atto storico della rivoluzione e dell'emancipazione del
proletariato. Riallacciandosi alla visione dialettica hegeliana, secondo cui la
realtà è continuo divenire attraverso un successivo sviluppo in
cui ogni stadio determina le condizioni e le contraddizioni per il suo
superamento, Marx lo trasferisce dal campo astratto dell'ideologia al campo
della realtà umana nella sua totalità. Anche la società
è il risultato della praxis storica e ne segue il ritmo dialettico.
Secondo Marx, ciò che caratterizza una società, ne determina le
divisioni interne, ne configura il costume, il modo di vivere e di pensare, sono
i rapporti economici, i rapporti di produzione e di scambio. Pertanto, si ha un
substrato economico che configura l'essenza di una società e su questo
substrato economico (struttura) le classi sociali che hanno il predominio nella
società creano una "sovrastruttura" di rapporti giuridici, politici,
morali, ideologici, religiosi, secondo la loro visione del mondo e i loro
specifici interessi economici. Caratteristica di ogni società non
costituita su basi di eguaglianza economica è la divisione in classi che
si contendono il predominio sui mezzi di produzione e sulle risorse economiche,
e solo l'abolizione della proprietà privata e del profitto privato, e il
trasferimento alla collettività dei mezzi di produzione e di scambio e
delle risorse economiche, può portare al superamento della società
dilacerata in classi antagonistiche e all'avvento di una nuova società di
uomini liberi ed eguali, che elimini lo sfruttamento dell'individuo,
l'oppressione economica, il dominio di un gruppo sull'altro. La critica marxiana
dell'economia politica nasce dall'esigenza di dimostrare l'inumanità, e
insieme l'inevitabilità, ossia la "necessità storica", della forma
capitalistica dell'economia. Il trionfo della borghesia ha semplificato ed
esasperato la lotta di classe. Nel sistema borghese-capitalistico si determina
dialetticamente la situazione di antitesi che deve portare al suo crollo e,
attraverso una rivoluzione sociale, all'avvento di un nuovo ordinamento, a base
collettiva, che attuerà la società senza classi e senza
oppressioni economiche. Nel filone più propriamente utopistico si
inserisce il
c. anarchico che ebbe nell'erede di M. Bakunin, P.
Kropotkin, il suo principale teorico. Kropotkin distingueva due fasi nella
futura società rivoluzionaria, una prima fase collettivistica e
transitoria, durante la quale il concetto di proprietà sopravvivrà
assumendo la forma di proprietà da parte dei comuni, e una seconda e
ultima fase, comunista, che subentrerà alla prima quando la
società avrà accettato pienamente il principio "da ciascuno
secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni". A questo
punto, infatti, l'idea stessa della proprietà sarà svanita e
potrà realizzarsi il vero
c. La differenza tra questa concezione e
la concezione marxiana dell'estinzione dello Stato, consiste nel fatto che
secondo la concezione anarchica la distruzione dello Stato deve avvenire subito
e solo l'idea di proprietà è destinata a estinguersi lentamente. A
cominciare dagli anni immediatamente successivi alla morte di Marx e di Engels,
dal filone marxista sono andati sviluppandosi teorie diverse e spesso tra loro
contrastanti che hanno provocato in sede politica, oltre che ideologica, una
netta frattura tra partiti che si definiscono socialisti (e più
particolarmente socialdemocratici) e partiti comunisti che, dopo la Rivoluzione
russa del 1917, si sono presentati legati alla storia e alle vicende politiche
dell'Unione Sovietica, finché nuove divergenze non hanno creato divisioni
anche all'interno dello schieramento comunista, e una distinzione fondamentale
tra
c. sovietico e
c. cinese. Il vecchio termine
c. fu
ripreso da Lenin e usato quale sinonimo del nuovo termine "bolscevismo", per
rendere più evidente il contrasto che era venuto manifestandosi in seno
al Partito socialdemocratico russo e agli altri partiti socialisti europei, tra
l'ala destra e quella sinistra. Divergenze di interpretazione si svilupparono
anche all'interno dello schieramento più propriamente comunista e, in
particolare, tra la concezione leninista del Partito e della gestione del potere
e quella luxemburghiana e, più tardi, tra la concezione trotzkista della
"rivoluzione permanente" e quella staliniana del "
c. in un solo paese".
Queste divergenze si fecero sentire in seno alla Terza Internazionale
(
Comintern) costituitasi a Mosca nel marzo 1919 e alla quale aderirono
tutte le sinistre socialiste europee. ║
Dalla dottrina alla prassi.
Nei mesi successivi alla nascita della Terza Internazionale e alla costituzione
di partiti comunisti in tutti i paesi europei, un'ondata rivoluzionaria
sembrò travolgere, dopo la Russia, anche la Germania (Repubblica di Kurt
Eisner in Baviera), l'Ungheria (Repubblica di Béla Kun), l'Italia e la
Francia. Ma già alla fine del 1920 era cominciata la fase di riflusso e
la Russia rimaneva il solo paese comunista, isolato e circondato da potenze
ostili. In condizioni di estrema difficoltà, l'URSS impostò la sua
politica, partendo dal "
c. di guerra" per arrivare, attraverso la NEP
(Nuova Politica Economica), al varo nel 1928 del primo piano quinquennale e alla
gestione staliniana del potere. La definitiva affermazione di Stalin era
avvenuta non senza contrasti, soprattutto da parte di Trotzkij che nel 1923-24
sembrava il candidato più probabile alla successione a Lenin. Nel 1925 il
XIV Congresso del PCUS adottò la linea stalinista del "socialismo in un
solo paese", in contrapposizione alla linea trotzkista della "rivoluzione
mondiale permanente". Con tale risoluzione il Congresso prendeva atto del fatto
che ormai la marea rivoluzionaria su scala europea era stata arginata e che il
capitalismo si era temporaneamente consolidato. Pertanto, primo compito del PCUS
doveva essere il rafforzamento e il completamento della rivoluzione proletaria
nell'URSS, sacrificando per il momento l'obiettivo marxista della rivoluzione
mondiale. Secondo Trotzkij, invece, la rivoluzione in Europa era ancora
possibile e l'avvento del socialismo in Russia non poteva rimanere un fatto
isolato. Nel 1926 la lotta fra trotzkisti e stalinisti toccò il culmine,
assumendo le caratteristiche di uno scontro tra una concezione e una politica di
tipo nazionalistico e di una di tipo internazionalista. Secondo Trotzkij il
progresso dell'umanità era ostacolato non solo dal capitalismo, ma anche
dall'esistenza di stati nazionali, e la costruzione del "socialismo in un solo
paese" avrebbe significato accettare l'esistenza di questi stati nazionali. Lo
"stalinismo", al di là delle caratteristiche individuali e dell'impronta
datagli dalla personalità di Stalin, presenta un substrato oggettivo, non
immediatamente riferibile allo schema marxiano di società socialista: la
Russia del 1917 presentava una situazione economico-sociale che la rendeva
tutt'altro che matura per accogliere le premesse del socialismo. Non esisteva
una forte concentrazione industriale, un alto sviluppo di produttività e
una classe operaia, politicamente matura, in grado di fornire i quadri di una
democrazia socialista. Quando Stalin assunse il potere, la Russia si presentava
ancora come un paese semiarretrato nel quale mancavano solide basi d'appoggio
per il potere socialista. Il compito storico di Stalin fu di creare queste basi
attraverso una massiccia industrializzazione e collettivizzazione agraria.
Poiché ciò non corrispondeva alla logica interna di sviluppo della
società russa, si ebbero forti resistenze da parte dell'ambiente sociale,
soprattutto contadino, cui si rispose con un irrigidimento del potere, con la
repressione violenta di ogni resistenza, con la concentrazione e la
personalizzazione del potere. In campo internazionale la situazione dei partiti
comunisti si andò sbloccando in seguito alla politica dei Fronti
popolari, ufficialmente approvata nel 1935 dal Congresso dell'Internazionale.
Dieci anni più tardi, dal caos della guerra, emergeva un nuovo schema
della rivoluzione comunista che coinvolgeva tutti i paesi dell'Europa orientale.
Alla conferenza di Yalta del febbraio 1945 le potenze occidentali avevano
riconosciuto l'influenza predominante dell'URSS in quasi tutta l'Europa
orientale, dove i primi due anni del dopoguerra furono caratterizzati dalla
politica dei "Fronti popolari", al pari dei paesi dell'Europa occidentale. Nel
1947-48, mentre i comunisti e i socialisti di sinistra venivano allontanati dai
governi dell'Europa occidentale, nei paesi dell'Est venivano allontanati i
leader dei partiti agrari e liberali. Sul piano internazionale in sostituzione
della vecchia Terza Internazionale (
Comintern), sciolta nel 1943, si
costituiva nell'ottobre 1947 un nuovo ufficio di coordinamento, il
Cominform di cui entrarono a far parte i partiti comunisti di URSS,
Polonia, Romania, Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Italia e
Francia. Entro l'estate del 1948, nei paesi dell'Est la "democrazia liberale"
veniva sostituita dalla "democrazia popolare" e tra Europa orientale e
occidentale calava la cosiddetta "cortina di ferro". Contemporaneamente,
all'interno dello schieramento comunista, si avevano le prime avvisaglie dello
scontro tra URSS e Jugoslavia, che, a differenza degli altri paesi comunisti,
non era stata liberata per l'intervento dell'Armata rossa, ma per l'azione dei
partigiani capeggiati da Tito che intendeva affermare la propria indipendenza
dal dominio sovietico. Nel giugno 1948 si ebbe una clamorosa risoluzione del
Cominform che accusava Tito di ostilità nei confronti dell'URSS,
ma ciò anziché comportare la caduta del leader jugoslavo ne
consolidò il suo prestigio di capo indiscusso del Paese. La Jugoslavia fu
tuttavia costretta a cercare nuove alleanze al di fuori dello schieramento
comunista e ciò non mancò di ripercuotersi sulle scelte
fondamentali e sul "tipo" di socialismo di questo paese. A differenza della
Jugoslavia che, distaccandosi dal
Cominform, riusciva ad affermare la
propria indipendenza e non senza contraddizioni, ad avviare una propria autonoma
costruzione del socialismo, seguita qualche anno più tardi, su posizioni
diverse, dall'Albania, gli altri paesi dell'Europa orientale si allineavano
sulle posizioni sovietiche e i leader meno remissivi venivano allontanati dal
potere, come il polacco Gomulka e il bulgaro Kostov. Ciò avveniva in un
crescente clima di tensione tra Est e Ovest, che prese il nome di "guerra
fredda" e che dominò la scena internazionale sino alla morte di Stalin
nel marzo 1953. Con la scomparsa di Stalin e soprattutto con la sua
sconsacrazione ufficiale ("destalinizzazione") ad opera di N. Krusciov (XX
Congresso del PCUS, 1956), si ebbe un brusco cambiamento della linea precedente.
Vennero condannati il "culto della personalità", fu messa in discussione
la teoria dello Stato-guida e iniziò il dibattito sulle "vie nazionali al
socialismo" e sulla "coesistenza competitiva", su scala mondiale, col sistema
capitalistico. La dottrina della "coesistenza pacifica", che sostanzialmente
sconfessava la tesi leninista dell'inevitabilità dello scontro frontale e
della guerra rivoluzionaria, non si inseriva "scientificamente" nella teoria
comunista, ma assumeva piuttosto il carattere di "opportunità" per
evitare i pericoli che avrebbe comportato un conflitto nucleare. Tra le maggiori
conseguenze del processo di "destalinizzazione" vi fu la rottura del monolitismo
dello schieramento comunista, e con l'emergere e l'accentuarsi delle divergenze
tra
c. russo e
c. cinese, cominciò a delinearsi la concreta
possibilità di due diversi poli di attrazione per i vari partiti
comunisti. Fatte cadere da Krusciov, le tesi leniniste dello scontro frontale
col capitalismo, dell'inevitabilità delle guerre rivoluzionarie e
dell'"imperialismo fase suprema del capitalismo", furono riprese e rilanciate
dai comunisti cinesi, dietro ai quali, nel corso degli anni '60, andò
delineandosi un largo schieramento di paesi asiatici e di movimenti comunisti
latino-americani. Le divergenze tra
c. sovietico e
c. cinese, per
quanto esplose clamorosamente solo all'inizio degli anni '60, presentano radici
molto più profonde, che in parte risalgono al periodo immediatamente
successivo alla costituzione stessa del Partito comunista cinese, avvenuta nel
1921 per iniziativa di un gruppo di giovani intellettuali, tra cui Mao Tse-tung,
e trasformatosi in pochi anni in un'organizzazione capace di mobilitare le masse
lavoratrici urbane. Dopo l'offensiva anticomunista sferrata da Chiang Kai-shek
nell'aprile 1927, il Partito comunista cinese, costretto alla
clandestinità, operò una profonda trasformazione dei propri organi
direttivi e non fu facile al suo interno superare le gravi divergenze tra
quanti, secondo le direttive di Mosca, intendevano adottare una linea strategica
guidata dal proletariato cittadino, e coloro che sostenevano la necessità
di prendere atto della realtà sociale del Paese e di condurre la lotta di
classe nelle campagne, e che nell'autunno del 1927 avevano costituito il primo
soviet cinese nella regione montagnosa del Chingkanshang. Adottando la
tattica della guerriglia, i comunisti cinesi cominciarono ad allargare la loro
base territoriale e nel 1931 poterono costituire a Juichin un governo,
presieduto da Mao Tse-tung, che riuscì a resistere sino all'ottobre 1934
quando, per sfuggire alla stretta e salvarsi dall'annientamento, i comunisti
decisero di forzare il blocco militare nemico e trasferire la loro repubblica
"rossa" verso una base più sicura, intraprendendo la "lunga marcia" verso
la regione nord-occidentale dello Shensi, che permise di accendere nelle
campagne molti focolai di guerriglia, ma che costò la vita alla grande
maggioranza dei 130.000 uomini partiti da Kiansi. La tattica della guerriglia e
l'assunzione del potere locale consentì di giungere nel 1945 al controllo
di vasti territori dell'interno e in seguito di occupare anche i centri
maggiori, sino alla conquista di Pechino nel gennaio 1949 e di tutto il
territorio, costringendo Chiang Kai-shek a ritirarsi a Formosa. Nel settembre
1954, con la promulgazione della nuova Costituzione, ebbe ufficialmente inizio
la prima fase dell'"edificazione del socialismo", la cui più importante
manifestazione ideologica fu la "campagna dei cento fiori" che, richiamandosi a
una massima di Confucio, intendeva esprimere il principio della libera critica
costruttiva. Una nuova fase, quella del "grande balzo in avanti", ebbe inizio
nel 1958 con la mobilitazione delle masse, per accelerare il ritmo delle
trasformazioni economiche e col lancio delle "comuni del popolo". Poco dopo
cominciò a delinearsi apertamente il contrasto con l'URSS,
temporaneamente frenato dalle difficoltà interne e dall'indebolimento
della posizione di Mao, messo in minoranza dalla corrente "moderata" facente
capo al presidente della Repubblica Liu Shao-Ch'i. La riscossa maoista ebbe
inizio nel maggio 1966 con il lancio della "rivoluzione culturale", quale
affermazione di un nuovo sistema di valori e di organizzazione politico-sociale,
nel quale la funzione dirigente spettava "direttamente al popolo", impegnato
nella "rivoluzione permanente all'interno e nella rivoluzione antimperialista
all'esterno". La consacrazione della linea maoista si ebbe nell'aprile 1969 al
IX Congresso del Partito e comunque, al di là delle divergenze interne,
la dirigenza cinese è apparsa in quegli anni sempre più fermamente
decisa a perseguire una strada autonoma e alternativa, rispetto a quella
sovietica, nella costruzione del socialismo, fondata prima di tutto sulla piena
indipendenza del Paese nei confronti di ogni forma di pressione esterna. Le
impostazioni teoriche maoiste, diffuse su scala internazionale, provocarono
fratture all'interno di vari partiti comunisti e la formazione di nuove correnti
e movimenti i cui aderenti vedevano nella "rivoluzione culturale" cinese
soprattutto uno sforzo per salvare il socialismo dall'involuzione del potere e
dal burocratismo. Questo è avvenuto mentre il prestigio dell'Unione
Sovietica subiva una nuova e dura scossa in seguito all'occupazione della
Cecoslovacchia (agosto 1968), colpevole di essersi spinta troppo avanti nella
politica del "nuovo corso", in nome di un'esigenza di autonomia già
largamente affermata da partiti con esperienze diverse, come quelli jugoslavo,
italiano e cubano. In particolare quest'ultimo, quale portavoce dei paesi
più piccoli e poveri, pur richiamandosi alla purezza rivoluzionaria e
alla lotta contro l'imperialismo, ha spesso sottolineato la necessità di
sottrarsi alla politica di potenza sia di Mosca sia di Pechino, e l'importanza
delle "vie nazionali al socialismo". Da più parti, comunque, entro l'area
dei partiti e dei movimenti che si richiamano al
c., sono state condotte
critiche a fondo sul ruolo dell'URSS nel movimento comunista internazionale e
sul tipo di socialismo realizzato in quel Paese. I difficili rapporti
russo-cinesi hanno del resto contribuito ad accentuare l'orientamento critico
delle sinistre occidentali nei confronti della politica revisionista e
imperialista dell'URSS. A questa tendenza fa eccezione la politica di apertura a
Est
(Ostpolitik) attuata dal cancelliere tedesco W. Brandt dopo il 1969,
spiegabile con la necessità di stemperare i contrasti fra le due
Germanie. Negli anni Settanta il ruolo-guida del PCUS è stato messo
ulteriormente in discussione in seguito alle accuse di alcuni illustri
dissidenti, fra i quali lo scrittore Solzenitzyn e il fisico Sacharov, testimoni
di drammatiche storie di persecuzione. In questi anni due partiti comunisti
occidentali, quello francese e quello italiano, si sono messi in evidenza,
grazie anche alla spinta ricevuta dalla contestazione studentesca e dai
movimenti operai degli ultimi anni Sessanta. In Francia, nel 1970, Georges
Marchais ha assunto la guida del PCF, favorendo il riavvicinamento al partito
socialista di Mitterrand. In Italia, nel 1969, l'elezione di Enrico Berlinguer a
segretario del PCI ha sottolineato la ricerca da parte dei comunisti italiani di
una "via nazionale al socialismo" che poneva le basi per l'adozione di una linea
di minore subalternità rispetto al dogmatismo sovietico. Il PCI,
impostosi come alternativa politica alla crisi del centro-sinistra, ha raccolto
nelle elezioni del 1972 e del 1976 i frutti della sua autonoma politica di
revisione programmatica, imponendosi, sul piano interno, come interlocutore
privilegiato dei partiti di governo. Nel 1977, in Cecoslovacchia, nove anni dopo
l'intervento armato sovietico, alcuni dissidenti hanno pubblicato un documento,
la
Charta 77, che rivendica il riconoscimento dei diritti umani nel loro
paese. Nello stesso anno, a Madrid, si sono riuniti i vertici dei partiti
comunisti spagnolo, francese e italiano; durante l'incontro sono state tracciate
le linee di una politica più aderente alla realtà delle nazioni
occidentali, il cosiddetto
Eurocomunismo. Tuttavia, nel 1979, il
congresso del PCF ha segnato un riavvicinamento dei comunisti francesi al PCUS,
decretando il precoce tramonto di una via europea al socialismo. In questi
stessi anni si è invece acuito il processo di distacco del PCI dal
partito guida russo. Nel 1980, Berlinguer, durante un intervento al parlamento
europeo, ha duramente condannato l'invasione sovietica dell'Afghanistan. Nello
stesso anno, la morte di Tito ha fatto incontrare tutti i massimi esponenti del
mondo comunista, accorsi ai funerali dell'anziano leader jugoslavo. L'inizio
degli anni Ottanta manifesta i primi segni di fermento nei paesi del blocco
comunista: in Polonia il sindacato libero Solidarnosc sfida il potere attraverso
una protesta diffusa e pacifica; in Ungheria il governo offre le prime timide
aperture al dissenso organizzato. Nel 1982 muore in URSS il presidente Breznev;
con lui si chiude la lunga fase post-staliniana. Al suo posto viene eletto Yuri
Andropov, alla cui morte, nel 1984 viene eletto Konstantin Cernenko. Nello
stesso anno, in Italia, scompare la figura più rappresentativa del
c. italiano, Enrico Berlinguer. Con lui il PCI perde una guida preziosa e
si avvia verso una decadenza che diventa inevitabile in seguito agli sviluppi
internazionali. Precocemente scomparso nel 1985 anche Cernenko, sale alla
presidenza dell'Unione Michail Gorbaciov, esponente di una nuova generazione
politica formatasi culturalmente in Occidente. Gorbaciov dimostra subito un
atteggiamento di maggiore apertura nei confronti degli interlocutori
occidentali. In breve riesce a circondarsi di collaboratori come lui convinti
della necessità di avviare un profondo processo di riforma dell'arretrato
organismo statuale sovietico. Negli anni successivi alla sua elezione si impegna
nell'attuazione di una politica di ristrutturazione e di graduale
democratizzazione dello stato, la
Perestroika. Nei proficui incontri che
tiene nel 1987 (Washington) e nel 1989 (Malta) con i presidenti americani Reagan
e Bush, Gorbaciov pone le basi per la risoluzione della vecchia vertenza sul
disarmo, dichiarandosi disponibile allo smantellamento unilaterale delle armi
nucleari a medio raggio dislocate nell'Europa dell'Est. L'esito principale di
questi incontri è la fine della "guerra fredda" e il definitivo
superamento della logica dei due blocchi contrapposti. Sul piano interno,
Gorbaciov lascia per di più intendere di puntare sullo scardinamento
dell'economia statalista che ha portato il Paese sull'orlo dello sfascio. Alla
fine del 1988 infatti il Soviet Supremo approva a grande maggioranza il progetto
costituzionale avanzato dal leader sovietico che fissa le prime elezioni libere
in URSS al marzo 1989. In seguito ad una storica visita di Gorbaciov, migliorano
anche i rapporti con l'altro gigante comunista, la Cina. Malgrado l'avvio del
processo di democratizzazione del sistema, il tentativo da parte di Gorbaciov di
concentrare il potere nelle proprie mani alimenta le rivendicazioni di autonomia
da parte di molte repubbliche dell'Unione. Le prime a intraprendere concrete
iniziative in questo senso sono le repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e
Lituania, mentre nel Nagorno-Karabach esplodono violenti scontri etnici fra
azeri e armeni. Venuto meno il collante della centralizzazione burocratica,
l'Unione dà ormai segni preoccupanti di sfaldamento, proprio mentre,
verso la fine del 1989, il nuovo clima di rinnovamento instauratosi ad Est
favorisce il crollo del Muro di Berlino e l'avvento di regimi democratici nei
paesi del Patto di Varsavia. Fra la fine del 1989 e il 1990 Polonia,
Cecoslovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria depongono i rispettivi regimi
filo-sovietici, mentre la Repubblica Democratica Tedesca viene annessa alla
Germania Federale. Il prestigio conquistato all'estero da Gorbaciov nei primi
anni della sua presidenza non basta al leader sovietico per gestire con
altrettanto successo la situazione interna: malgrado l'avvio del processo di
riforma della struttura burocratica del partito, l'economia va infatti alla
deriva, prima ancora che i correttivi atti a modificarla siano stati messi a
punto. Al malcontento generale per la difficile situazione legata alla
distribuzione dei generi alimentari, si aggiungono le pressioni che Gorbaciov
deve subire da parte dei conservatori, con a capo Ligaciov, e dei più
accesi riformisti, guidati dal russo Eltsin. Il trionfo di quest'ultimo alle
prime elezioni libere in Russia e lo sgretolamento delle istituzioni socialiste
favoriscono, tra il 1990 e il 1991, il rientro nei vertici dello stato di figure
favorevoli ad una restaurazione comunista, rientro culminato nel fallito colpo
di stato dell'agosto 1991 e nella vittoria dello schieramento democratico. Nel
1991 anche il moderato regime iugoslavo finisce per fare i conti con gli
emergenti nazionalismi balcanici, che in breve portano il Paese alla guerra
civile. Di fronte agli straordinari avvenimenti che hanno interessato i paesi
dell'Est sul finire degli anni Ottanta, i partiti comunisti dell'Europa
occidentale hanno avviato un processo di revisione del proprio patrimonio
ideologico, giungendo fino (è il caso del PCI) al cambiamento del nome e
all'affermazione di una linea politica apertamente riformista. Mentre l'Europa
sovietica corre rapidamente verso la fine dell'esperienza comunista e la
riaffermazione dei principi nazionali, la Cina pare seguire un'involuzione di
segno opposto: l'apertura verso i paesi occidentali verificatasi dopo il 1982
(in seguito alla salita al potere di Deng Xiao-ping) non comporta infatti un
rinnovamento del sistema politico ancora affidato allo strapotere del PCC. La
richiesta di democratizzazione del sistema cinese è stata portata avanti
in primo luogo dagli studenti ed è sfociata nei tragici fatti di piazza
Tienanmen, in seguito ai quali si è rafforzato il potere personale di
Deng ed è aumentato l'isolamento politico dell'ultima grande roccaforte
del
c.