Fis. - Il
c. è una percezione sensoriale
dovuta alle proprietà fisiche delle radiazioni luminose che incidono
sulla retina. Per radiazioni luminose s'intendono le onde elettromagnetiche di
lunghezza d'onda compresa nella banda detta appunto del visibile che va da 4.000
Å a 7.000 Å circa, in grado di produrre le suddette sensazioni. Il
termine
c. viene usato tuttavia per indicare sia l'effetto soggettivo,
cioè la percezione, sia la causa, cioè le caratteristiche fisiche
della luce. La natura del
c. è sempre stata collegata a quella
della luce. Per Aristotele i
c. risultano dal rimescolamento variabile di
luce e oscurità, mentre per altri naturalisti greci essi sono l'effetto
di differenti effluvi provenienti dall'occhio o dagli oggetti colorati. Con il
sorgere della scienza moderna, in base alle interpretazioni meccanicistiche
della luce, il
c. venne considerato un movimento del mezzo interposto tra
l'occhio e l'oggetto o come un tipo particolare di particelle costituenti le
radiazioni luminose. Newton stabilì una corrispondenza fra la diversa
rifrazione dei raggi luminosi nel prisma e i loro colori. Concluse che la luce
bianca solare è composta di raggi colorati semplici e suppose che questi
fossero costituiti da differenti corpuscoli soggetti a differente rifrazione.
Sia i sostenitori di questa concezione crepuscolare della luce, sia i
sostenitori di quella ondulatoria, affermatasi nella prima metà del XIX
sec., tendevano a considerare il
c. come una proprietà intrinseca
ai raggi luminosi stessi. Solo durante l'Ottocento si riconobbe chiaramente
l'influenza dell'occhio nella definizione dei
c., implicitamente
accettata nella violenta e sfortunata polemica di Goethe contro la teoria
newtoniana della luce. Per il grande poeta tedesco la luce bianca era semplice e
non composta di radiazioni colorate. I
c. risultano invece dall'incontro
di luce e oscurità, come si può ricavare da una osservazione
diretta e immediata dei fenomeni luminosi. Dagli aspetti soggettivi
dell'esperienza della luce e del
c. su cui si era soffermato Goethe,
presero spunto le ricerche fisiologiche di J.E. Purkinje; fra l'altro questi
rilevò il variare del
c. al diminuire dell'intensità della
radiazione, pur restando costante la sua lunghezza d'onda (effetto Purkinje).
Nello stesso periodo T. Young rilevò che l'occhio può percepire un
identico
c. pur variando la composizione dei raggi che lo colpiscono.
Questa conclusione risultava dall'esperienza tecnica tradizionale della
tricromia, per cui mescolando in vario modo tre
c. fondamentali si
ottiene una gamma illimitata di toni cromatici. Ciò fu da lui
interpretato ammettendo che nella retina dell'occhio vi siano tre recettori che,
diversamente impressionati, determinano la sensazione di tutti i
c.,
fatto questo dimostrato solo recentemente. La radiazione luminosa è
costituita da infiniti
c. (oggettivi), ciascuno corrispondente a una ben
determinata lunghezza d'onda: tuttavia si considerano convenzionalmente sette
c., detti
c. fondamentali o
c. dell'iride o anche
c.
fondamentali saturi, comprendenti complessivamente tutta la banda luminosa:
rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco, violetto. I
c.
fondamentali sono anche detti semplicemente i
c. o i componenti dello
spettro solare, in quanto la loro sovrapposizione dà luogo alla luce
bianca solare. Una luce policromatica, cioè comprendente più
c., si dice invece
c. composto. Una proprietà
caratteristica della percezione della sensazione luminosa è che la
radiazione che viene percepita come bianca può essere prodotta anche
semplicemente dalla miscela di tre
c. detti, con significato diverso dal
precedente,
c. fondamentali: il rosso, il verde, l'azzurro. Questi tre
c. sono scelti a base di un importante sistema di riferimento
colorimetrico, chiamato
RGB dalle iniziali dei corrispondenti nomi
inglesi. Qualsiasi percezione di
c. può essere ottenuta da
un'opportuna miscela di questi tre colori. Per quanto riguarda la composizione
dei
c. è importante la considerazione dei
c. complementari.
Se un fascio di luce bianca incide su un corpo, sono possibili due casi estremi:
il corpo può riflettere una stretta banda di frequenze (consistente al
limite di una sola radiazione monocromatica) o essere trasparente a questa,
assorbendo tutte le altre e allora apparirà il
c. corrispondente
alla banda trasmessa o riflessa; il corpo può riflettere una banda di
frequenze assai estesa (o essere trasparente a essa), assorbendone una assai
ristretta, e allora il
c. (soggettivo) del corpo sarà il miscuglio
di tutti i
c. (oggettivi) delle spettro, escluso quello corrispondente
alla banda assorbita. I corpi che lasciano passare la luce colorata per
trasparenza sono generalmente detti
filtri. Il
c. assorbito e il
c. trasmesso o riflesso sono detti
c. complementari; la loro
sintesi da luogo alla luce bianca. Come ogni
c. può essere
ottenuto mediante una miscela di tre
c. (metodo di sintesi additiva)
così ogni
c. può essere ottenuto a partire dalla luce
bianca facendola passare successivamente attraverso tre filtri (metodo di
sintesi sottrattiva); generalmente i
c. che vengono lasciati passare dai
tre filtri sono i complementari di quelli utilizzati nella sintesi additiva. Si
noti che, mentre in generale una radiazione monocromatica dà luogo ad una
percezione di
c. uguale a quella prodotta dal
c. complementare ad
una data radiazione monocromatica, non sempre a un dato
c. percepito
corrisponde la sensazione prodotta da un qualsiasi
c. monocromatico. I
c. che danno luogo alla stessa percezione di
c. sono spesso detti
c. metameri. Le proprietà soggettive che condizionano e
caratterizzano la visione del
c. sono: la brillanza, il tono cromatico (o
croma, o cromaticità, o tono di
c.), la saturazione. La brillanza
è il carattere soggettivo corrispondente alla maggiore o minore chiarezza
del
c. (per misure oggettive si considera la corrispondente grandezza
fisica luminanza); in base alla brillanza l'osservatore è in grado di
fare una scelta di luminosità; il tono cromatico é la
proprietà in base alla quale l'osservatore stabilisce soggettivamente una
differenza di
c. e corrisponde alla capacità del soggetto di
distinguere per esempio il verde dal giallo; la saturazione è legata
all'assunzione dei
c. dello spettro solare come saturi, ovvero puri, e al
fatto che ogni altro
c. può essere ricavato dalla miscela del
corrispondente
c. saturo e da una dose opportuna di bianco. Queste
caratteristiche soggettive non sono funzioni soltanto delle corrispondenti
grandezze oggettive: per esempio il tono cromatico non è funzione
soltanto della lunghezza d'onda definita, è complementare a infinite
coppie, o miscele tricromiche, cioè miscele dei tre
c.
fondamentali, tutte uguali fra loro come tono cromatico.
• Cin. - Prima che di
c. nella storia del
cinema si deve parlare di colorazione. Eseguita a mano, fotogramma per
fotogramma, con procedimenti empirici tra cui il viraggio, l'imbibizione, ecc.
essa è presente fin dalle origini: Reynaud, Edison, Lumière,
Méliés, Pathé, tutti hanno colorato o tinteggiato qualche
loro film o qualche parte di esso. Dal caratteristico giallognolo delle
pellicole Lumiére, si passò alla tinteggiatura in funzione
spettacolare dei colossi storici come
Cabiria (1914). Contemporaneamente,
da diverse parti si studiarono i procedimenti meccanici, spesso tutt'altro che
pratici, di cromocinematografia per sintesi additiva di due o tre
c.
essenziali. Dopo il Kinemacolor di G. A. Smith, uscito dalla scuola di Brighton
e lanciato in commercio verso il 1910; dopo il Prizma Process dello statunitense
W. Van Doren Kelley, adottato da J. Stuart Blackton per due grossi film in Gran
Bretagna (1922-23), si impose il procedimento Technicolr, sperimentato da
Herbert e Natalie Kalmus e adottato nel decennio successivo col sistema
bicromico non additivo, ma sottrattivo (come nel
Pirata nero, 1926, di A.
Parker, con D. Fairbanks). La prima fase, dopo diversi musical, si chiuse nel
1933 con
La maschera di cera, di M. Curtiz. La fase tricromica si
aprì invece nel 1932 con le
Silly Symphonies di W. Disney e
proseguì col mediometraggio
La Cucaracha (1934) di L. Corrigan e
con
Becky Sharp (1935) di R. Mamoulian, film famoso per i suoi mantelli
rossi e dal quale ebbe inizio la vera storia del film a
c. Negli USA e in
Gran Bretagna il sistema Technicolor dominò negli anni Quaranta e
Cinquanta, fino a quando si reputò più pratico, almeno per la
ripresa se non per la stampa, il sistema semplificante detto
monopack (a
negativo unico triemulsionato) che sostituì il vecchio tripack nei
procedimenti Eastmancolor, Anscocolor e altri. Negli anni Quaranta si
affermò in Europa il procedimento tedesco Agfacolor, prima in Germania e
poi, modificato e perfezionato nel Sovcolor, in URSS, dove anche S. Eisenstein
girò a
c. la sequenza del banchetto nella
Congiura dei
boiardi. Sono inoltre da citare il Kodachrome, il Gevacolor belga e, per
l'Italia, il Ferraniacolor, che ebbe impiego su larga scala a partire dagli anni
Cinquanta. Sotto il profilo estetico il cromofilm subì nei primi tempi
una crisi qualitativa analoga a quella del fonofilm: la ricerca del cosiddetto
c. naturale. L'influsso della pittura (l'
Enrico V di L. Olivier
aprì nuovi orizzonti nel 1945), del mondo favolistico (
Il fiore di
pietra, 1946, sovietico), della fantasia richiesta dal film di animazione e
del gusto figurativo e compositivo espresso da grandi registi come Ejzenstein,
A. Dovzenko, V. Pudovkin, J. Renoir, L. Visconti, M. Antonioni, certi
giapponesi, ecc. ha stimolato il superamento della fase naturalistica della
cartolina illustrata in tricromia, sollecitando l'impiego del
c. in
funzione creativa, alla stessa stregua di altri elementi fondamentali.
• Lit. - La chiesa cattolica per le funzioni
sacre prescrive determinati
c. liturgici. Le costituzioni apostoliche (IV
e V sec.) danno notizia di una veste color bianco per i sacerdoti. Gli
Ordines Romani (dalla fine del VI sec.) accennano per la prima volta a
vesti di
c. diversi. A Roma nel XII sec. esisteva già un canone
per i
c. liturgici sottoposti poi a norme precise da papa Pio V. Nell'uso
romano odierno i
c. liturgici usati sono: il bianco, il rosso, il nero,
il viola, il verde, ed eccezionalmente il rosa permesso nella terza domenica di
Quaresima e di Avvento nelle chiese maggiori. Per il simbolismo: il bianco
indica la luce divina del Cristo e la gioia; il rosso, il sangue dei martiri e
le lingue di fuoco della Pentecoste; il nero e il viola, la penitenza; il verde,
usato nelle domeniche tranne in quelle dell'Avvento e della Quaresima, la
speranza. • Psicol. - I due problemi
fondamentali che si presentano nella percezione del
c. consistono nel
fatto che lo stesso
c. può apparire con caratteristiche
fenomeniche molto diverse al variare delle condizioni di stimolazione, e che
molto raramente i
c. che noi percepiamo nella vita quotidiana
corrispondono puntualmente alle caratteristiche fisiche degli stimoli luminosi
che giungono ai nostri organi di senso. Per ciò che riguarda il primo
punto, basti osservare che una superficie azzurra si presenta con un
c.
ben diverso da quello per esempio del cielo, anche se i due azzurri sono
colorimetricamente identici. Classicamente si distinguono tre categorie di
aspetti fenomenici dei
c.:
di superficie, od oggettuali, propri
delle superfici solide degli oggetti che ci circondano;
bidimensionali,
detti anche in espansione o filmici, caratteristici per esempio di una pellicola
illuminata per trasparenza;
di volume, propri dei solidi trasparenti
colorati. A fianco è opportuno considerare gli effetti d'ombra. Un'ombra
infatti appare con caratteristiche fenomeniche diverse da quella del
c.
della superficie su cui giace, appare più chiara nel suo chiarore
oggettivo, e come sovrapposta; tale caratteristica è dovuta alla
penombra; se infatti copriamo quest'ultima, l'ombra apparirà
immediatamente più scura, con caratteristiche di
c. di superficie
(
Kardos, 1933). Possiamo anche ottenere l'effetto inverso; una macchia su
una superficie che abbia i contorni sfumati apparirà con caratteristiche
d'ombra rispetto a una macchia di uguale
c. che abbia i margini netti.
Per ciò che riguarda il secondo problema accennato, i processi percettivi
per i quali le caratteristiche cromatiche apparenti possono differire da quelle
oggettive sono sostanzialmente tre: costanza, contrasto ed eguagliamento. Il
primo consiste nel fatto che un oggetto, la cui superficie sia un determinato
c., se viene illuminato da una luce di
c. diverso, verrà
percepito del
c. della superficie. Così un oggetto blu, illuminato
di giallo, verrà sempre percepito di colore blu, nonostante che la sua
superficie rifletta ora un
c. cromatico, essendo blu e giallo
complementari. Nel contrasto, invece, una superficie (detta indotta) di un dato
c., se circondata da un'altra superficie, (detta inducente) di
c.
diverso, tende ad acquistare una tonalità cromatica complementare al
c. della superficie e inducente. Così una superficie indotta
bianca, apparirà gialla se circondata da una superficie inducente blu.
Infine, nell'eguagliamento, due superfici contigue tendono ad acquistare
reciprocamente componenti cromatiche l'una dall'altra. Se per esempio, le due
superfici sono rosse e blu, il rosso apparirà bluastro e il blu
rossastro. • Simb. - Spesso ai
c. sono
stati attribuiti nelle credenze religiose e magiche, determinati valori
simbolici. Particolarmente importanti sono alcuni
c. sacri: il bianco,
simbolo della morte, soprattutto nelle società primitive, usato nelle
cerimonie iniziatiche; si colorano di bianco coloro che impersonano gli antenati
che ritornano sulla terra, o gli iniziandi, come segno di morte rituale; il nero
è spesso in relazione con la morte e con le potenze infere. Interessante
è il simbolismo dei
c. messi in relazione con le varie caste
dell'antica India: il bianco dei bramini; il rosso del guerriero; il verde
dell'allevatore, dell'agricoltore; il nero dell'appartenente alle popolazioni
preindoeuropee dell'India. Analogo è il simbolismo nei testi sacri
iranici (bianco dei sacerdoti; rosso dei guerrieri; blu dei
contadini).