Politica mirante alla conquista dei territori allo scopo di
sfruttarne le risorse mantenendo le rispettive popolazioni in uno stato di
sottomissione servile. Il termine ha assunto, a partire dal secolo scorso, in
particolare dopo la crisi economica del 1873-96, un preciso significato
socio-politico in relazione alla sua ultima formulazione (neomercantilismo),
così come si è venuta a configurare attraverso un lungo, secolare
processo di sviluppo. • St. - Storicamente il
c. si realizza con l'instaurazione, su un determinato territorio, della
dominazione di una minoranza straniera, che fa valere la propria
superiorità razziale e culturale sulla maggioranza indigena; inizia
cronologicamente con la conquista spagnola (XVI sec.) e giunge all'apogeo a
cavallo tra il XIX sec. e il XX. Considerando il territorio dominato come una
zona di sfruttamento, la potenza dominante introduce, sia pure a fini egoistici
(sfruttamento di materie prime, ecc.) infrastrutture tecnologicamente avanzate
in zone sottosviluppate; ciò non può non tradursi, anche se a
lungo termine, in un beneficio per la collettività dominata. Le teorie
radicali e marxiste contrappongono invece l'iniquità della coercizione
insita nel rapporto colonialistico che troppo spesso trascura l'evoluzione
civile e umana dei popoli soggetti: sintomaticamente essi sottolineano che solo
a cominciare dal XIX sec. fu, in genere, abolita la schiavitù.
L'evoluzione dei rapporti internazionali di potenza e di influenza, conseguenti
la seconda guerra mondiale (né va sottovalutato il fatto che all'eclissi
dell'Europa colonialista subentrò la leadership di due nazioni
tradizionalmente anticolonialiste come USA e URSS) modificarono profondamente i
concetti informatori della dottrina del
c. senza annullarne le
conseguenze che, ancor oggi, intralciano lo sviluppo dei paesi
ex-coloniali.