Sicurezza, evidenza di un fatto, conoscenza sicura,
persuasione ferma. • Filos. - Il concetto
filosofico di
c., in quanto espressione di un atteggiamento soggettivo,
è antitetico a quello di
verità che è tipicamente
oggettivo. La filosofia, in quanto critica e antidogmatica, è di per se
stessa negatrice di quelle
c. che dovrebbero garantire
l'immutabilità dell'universo. La filosofia nasce infatti dal dubbio e
dalle necessità di ricercare la verità al di là delle
c. e delle garanzie tradizionali. Tali garanzie vengono trovate dall'uomo
primitivo, privo di adeguati mezzi per controllare l'ambiente fisico, in
tecniche magiche e in riti propiziatori. Del problema della
c. e dei modi
primitivi e moderni per conseguirla si è occupato il filosofo americano
J. Dewey (
La ricerca della certezza, 1929) che rileva come, finché
l'uomo non è stato in grado con mezzi pratici di dirigere il corso degli
eventi, è naturale che abbia cercato un "sostituto emozionale".
Così, "in assenza di reali
c., in mezzo a un mondo precario e
rischioso, gli uomini coltivarono ogni specie di cose, che dessero loro il
sentimento della
c.". Il bisogno di acquisire delle
c.
nasce infatti dalla paura dell'imprevisto e dell'ignoto, e si realizza con la
creazione di miti, credenze, riti, aventi come scopo il raggiungimento di un
sufficiente grado di
c. Il problema della
c. morale è stato
oggetto di studio da parte di vari filosofi del XVII-XIX sec., a cominciare da
Cartesio. Di esso si sono occupati vari rappresentanti dello spiritualismo
francese e in particolare L.O. Laprune (
La certezza morale, 1880). Egli
distingue tra
c. astratta, che si riferisce alle nozioni ed è
propria delle matematiche, e
c. reale, che si riferisce alle cose e
dirige tutta l'attività conoscitiva, in particolare le sue manifestazioni
superiori, in primo luogo la
fede.