Tweet


FOTOGRAFIA
Riproduzione delle immagini ottenuta con la scrittura con la luce. Il primo esempio di fotocamera è la camera obscura, una stanza buia in cui un unico raggio di sole filtra attraverso un sottilissimo foro praticato in una delle pareti. Su un foglio di carta posto sulla parete opposta al foro si può vedere comparire l'immagine capovolta di ciò che avviene all'esterno. La proprietà della luce attraverso un foro stenoscopico era nota fin dall'antichità, ma cominciò a essere largamente utilizzata dai pittori per i propri studi solo dal XVI secolo. Numerosi artisti, dopo gli studi sistematici di Leonardo da Vinci del 1490, vi fecero ricorso; certamente venne adoperata da Francesco Guardi e dal Canaletto (XVIII secolo) nelle loro vedute di Venezia per la particolare risoluzione della prospettiva. L'uso della c mera sollecitò un concorso di migliorie e adattamenti: si iniziò con il diaframma di cui si dice fosse inventore, nel 1530, Daniele Barbaro. La seconda tappa nell'evoluzione della camera fu la lente ottica citata per la prima volta da Girolamo Cardano nel 1550. La camera obscura poteva ormai dirsi completamente perfezionata: nel 1676 si sarebbe ancora aggiunto uno specchio inclinato di 45 gradi rispetto all'obiettivo, per raddrizzarne l'immagine. Ma ciò che la fisica poteva fare per la fotografia era poca cosa, bisognava attendere l'avvento della chimica. Le immagini proiettate all'interno della camera obscura erano effimere perché fissate su un foglio di carta solo dalla volontà del pittore. Gli studi si indirizzarono pertanto verso la possibilità di fissarle permanentemente. La soluzione venne indirettamente da Johann Schulze, professore tedesco di anatomia, che nel 1727 scoprì casualmente che i sali d'argento scuriscono se esposti alla luce, erano cioè fotosensibili. La scoperta rimase senza conseguenze per un secolo. L'inventore della fotografia vera e propria, colui che combinò sali d'argento e immagine del foro stenoscopico, fu Joseph Nicèphore Niepce (1765-1833). A lui si deve anche la prima immagine fotografica (1827): un paesaggio che impressionò una lastra di peltro dopo un'esposizione di otto ore in una camera obscura. Restava da risolvere ancora il problema del fissaggio dell'immagine ottenuta. Si affiancò a Niepce, in questa ricerca, un altro francese: Louis Daguerre (1787-1851). Questi scoprì nel 1835 che i vapori di mercurio sviluppavano le immagini latenti (fissate sulla pellicola ma non ancora sviluppate) e che una soluzione di comune sale da cucina aveva la facoltà di fissarle (1837): una lastra veniva ricoperta di uno strato di ioduro d'argento e quindi esposta in una fotocamera, l'immagine latente veniva sviluppata per azione dei vapori di mercurio e, infine, fissata con un bagno in una soluzione di iposolfito di sodio. I dagherrotipi, pur nella loro fragilità e difficoltà di esecuzione, erano il più fedele specchio della natura che l'uomo avesse inventato. Il procedimento di Daguerre venne presentato il 19 agosto 1839 in una seduta dell'Accademia francese delle scienze e, in seguito, in un volume dal titolo La storia e la descrizione del processo denominato dagherrotipia. I processi fotografici di Niepce e Daguerre producevano immagini uniche e irripetibili perché in positivo. Mancava ancora un elemento che avrebbe motivato il successo della fotografia: la possibilità di riprodurre in numero illimitato le immagini grazie al negativo fotografico. L'invenzione del negativo si deve al matematico inglese William H. Fox Talbot che lo sperimentò tra il 1833 e il 1835, ignorando i contemporanei risultati di Niepce e Daguerre. Inventore del procedimento di stampa fotografica detto calotipia, Fox Talbot fu anche il primo a dare una dimensione industriale all'arte fotografica fondando, nel 1844, un laboratorio per la stampa e successiva vendita dei suoi calotipi. Una delle prime espressioni nella ricerca dell'immagine fotografica fu il ritratto fotografico, campo in cui si distinse lo stesso Fox Talbot, il primo a pubblicare un volume illustrato con fotografie (The pencil of nature, La matita della natura) dove venivano illustrate le tappe della sua invenzione. Nel 1847 Abel Niepce de St. Victor, nipote di Joseph, pensò al vetro come supporto per le emulsioni adesive dei negativi. Una soluzione meno costosa del metallo ma che soprattutto garantiva una buona definizione delle immagini sopperendo a una generale inadeguatezza delle ottiche. Il collodio, adottato come supporto per le lastre fotografiche dallo scultore inglese Frederick Scott Archer, risolse anche il terzo limite dell'epopea pionieristica della tecnica fotografica: quello della rapidità. Fino al collodio erano infatti necessarie esposizioni di più minuti, con la soluzione di Archer si poté scendere sotto i tre secondi. La fotografia divenne uno strumento espressivo alla portata di tutti con l'invenzione della pellicola di celluloide ricoperta da uno strato di emulsione in gelatina. Nel 1888 George Eastman presentò la fotocamera Kodak col motto voi premete il bottone il resto lo facciamo noi. Le fotocamere, infatti, venivano vendute già con un rotolo di pellicola sufficiente per cento fotogrammi. A rullo finito si portava la fotocamera alla Kodak, che sviluppava il film, trasferiva i singoli fotogrammi su lastre di vetro adatte per la stampa a contatto e restituiva l'apparecchio con un nuovo film e le stampe del precedente. Nel 1890 apparve il Nodark, una fotocamera per foto istantanee che però divennero praticamente accessibili solo nel 1947 con l'invenzione del sistema Polaroid da parte di Edwin Land. L'ultima e importante tappa della storia della fotografia fu la presentazione alla Fiera primaverile di Lipsia del 1925 da parte della Leitz della Leica, la prima macchina compatta a usare il formato 24x36 della pellicola, ancora oggi universalmente accettato. Nel 1935, infine, i laboratori Kodak produssero la prima pellicola a colori, l'ultima grande rivoluzione nella fotografia.
Stats