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FARMERS
(agricoltori degli Stati Uniti). I primi
insediamenti stabili sul territorio nordamericano furono creati da agricoltori.
UN POPOLO DI AGRICOLTORI. Nel XVIII e buona parte del XIX secolo,
essi costituirono la maggioranza della popolazione americana e l'agricoltura
fu la principale fonte di reddito della nazione. Ciò rispecchiava
anche l'ideale agrario che, promosso da Thomas Jefferson (presidente dal
1801 al 1809), vedeva nella coltivazione della terra un modo di vita superiore
e nobilitante incarnato dai grandi piantatori schiavisti del sud-ovest. Diversa
fu la realtà dei veri e propri coltivatori diretti. All'inizio dell'Ottocento
ai pionieri si presentavano estensioni apparentemente illimitate che, in
parte già esplorate dai cacciatori, si aprivano allo sfruttamento
agricolo. Il progressivo annientamento degli indiani, le cui rivendicazioni
territoriali furono sistematicamente ignorate, assicurò alle ondate
di centinaia di migliaia di contadini immigrati dall'Europa terra a sufficienza.
La democrazia jacksoniana interpretò questo ideale rurale di una
società fondata sulla piccola proprietà terriera, formante
comunità locali fortemente coese intorno ai valori fondamentali della
religione e della famiglia ma aperti al nuovo e all'avventura. La maggior
parte dei territori occidentali era di proprietà federale e dunque
particolarmente significativo risultò il ruolo del governo federale
nella suddivisione e assegnazione delle terre. A partire dal 1800 furono
emanate varie leggi che favorirono l'acquisto di appezzamenti. Nel 1862
furono approvati lo Homestead Act e il Morrill Land Grant Act e si creò
il dipartimento dell'Agricoltura. In seguito all'acquisto della Louisiana
(1803), che raddoppiò il territorio nazionale, e alla guerra anglo-americana
(1812-1814), migliaia di agricoltori si diressero a ovest verso l'Ohio,
l'Indiana, l'Illinois e, oltre il Mississippi, in Missouri.
LA COLONIZZAZIONE DEL WEST. Le carovane erano di solito formate da
gruppi familiari composti da padre, madre, figli maggiori a piedi e bambini
sul carro, una o due vacche, un cane e talvolta un cavallo di scorta, lungo
un percorso che da Pittsburgh discendeva il fiume Ohio su chiatte o attraversava
il deserto. Le prime abitazioni stabili, costruite con i materiali a disposizione,
erano in genere capanne di tronchi o di terra pressata di ridotte dimensioni,
con un unico ambiente nel quale trovavano asilo l'intera famiglia e gli
animali domestici. Se le condizioni economiche miglioravano, la capanna
poteva essere reimpiegata come stalla o ceduta a nuovi venuti, che spesso
lavoravano per i farmers già insediati fino a quando erano
in grado di acquistare una fattoria propria. L'eliminazione della minaccia
indiana, le agevolazioni al credito fornite dal governo e la costruzione
delle ferrovie aumentarono la produttività degli agricoltori americani
prima e dopo la guerra civile (1861-1865). La vita dei farmers era
molto differenziata nelle diverse regioni. Anche le dimensioni delle fattorie
variavano dalle poche decine alle migliaia di ettari e dalle grandi piantagioni
alle piccole aziende pressoché autosufficienti. Particolarmente disagiata
era l'esistenza dei contadini del sud, ove centinaia di migliaia di mezzadri
o affittuari, bianchi e neri, colpiti dalle speculazioni dell'età
della ricostruzione, vivevano in condizioni di estrema povertà in
abitazioni fatiscenti e soggetti a denutrizione, malattie infettive, ignoranza,
violenza, indebitamento cronico. Al contrario, molti abitanti del Midwest
e di altre aree più floride potevano contare su un'alimentazione
più ricca, abitazioni migliori e alcune fondamentali comodità,
anche se una reale prosperità costituiva pur sempre un'eccezione.
ESODO E INURBAMENTO. La dimensione delle fattorie, la qualità
del suolo, la disponibilità di capitali e l'entità dell'indebitamento,
i prodotti coltivati, il livello culturale e l'abilità individuale
furono indubbiamente rilevanti nel determinare le condizioni di vita dei
farmers, ma altrettanto significativi furono elementi esterni quali
le oscillazioni del mercato e soprattutto il fatto che gli agricoltori,
non organizzati, non avevano alcun controllo sui prezzi dei loro prodotti
e, non godendo di facilitazioni per l'acquisto di macchinari e sementi,
finivano per avere introiti molto bassi. I movimenti agrari che si formarono
nel XIX secolo non riuscirono a modificare sostanzialmente la situazione.
Nonostante gli elogi della vita campestre pronunciati da scrittori e uomini
politici, in realtà la vita dei farmers era dominata dal lavoro
duro e monotono, dall'isolamento sociale e culturale, dal reddito incerto
e comunque basso rispetto a quello dei lavoratori dell'industria, e da una
scarsa considerazione sul piano politico e sociale. Per tali ragioni le
innumerevoli iniziative volte a scoraggiare l'esodo dalle zone rurali non
ebbero mai il successo sperato e dalla seconda metà dell'Ottocento
l'inurbamento si accentuò, tanto che nel 1920 gli agricoltori costituivano
ormai una minoranza. Dopo un periodo di relativa prosperità negli
anni 1900-1914, le difficoltà dei contadini andarono aumentando,
fino alla crisi degli anni venti e trenta che costrinse migliaia di famiglie
oppresse dai debiti ad abbandonare la terra nelle mani delle banche e dei
grandi agrari. Le manovre economiche del New Deal si rivelarono dei palliativi.
Negli anni cinquanta, nonostante la grande espansione dell'economia americana,
si diffuse la tendenza verso una crescente divaricazione tra una classe
di agricoltori ricchi i quali, disponendo di capitali da investire, poterono
trasformare le fattorie in aziende di medio-grandi dimensioni e amministrarle
su basi imprenditoriali, e una crescente maggioranza di contadini impoveriti,
fortemente indebitati e costretti a trasformarsi in braccianti o a inurbarsi.
L. Cremoni

Paulsen, Gary, Farm, History and Celebration of the American Farmer,
Prentice-Hall, New York 1977; G.C. Fite, The Farmers' Frontier 1865-1900,
Holt, Rinehart & Winston, New York 1966; P.W. Gates, The Farmer's Age:
Agriculture 1815-1860, Holt, Rinehart & Winston, New York 1960.
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