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BRIGANTAGGIO MERIDIONALE
(1860 - 1864). Ampio fenomeno misto di banditismo e di ribellione politico-sociale nelle campagne del Mezzogiorno continentale. Seguì all'unificazione italiana che, con l'imposizione di misure amministrative e fiscali di particolare durezza, ivi comprese la completa abolizione dei secolari usi comuni delle terre a tutto vantaggio del latifondo e la dissoluzione dell'esercito borbonico, aggravò le condizioni già miserevoli delle plebi meridionali (vedi questione meridionale) dando esca, sull'esempio del sanfedismo del 1799, alla propaganda filoborbonica e clericale ostile al nuovo stato liberale, a sua volta incapace di una politica che non fosse di pura repressione e alla ricerca di alleati tra gli stessi ceti aristocratici e latifondisti. Le bande di briganti che già costituivano un male endemico di quelle campagne si ingrossarono rapidamente, raggiungendo le migliaia di unità e dando vita a episodi di violenza cieca e raccapricciante ma anche all'occupazione temporanea di interi e popolosi centri fino al rischio di unificarsi in un esercito insurrezionale. Contro di esse fu istituito un vero stato di guerra, con tecniche di guerriglia, con la completa militarizzazione del territorio e i pieni poteri (legalizzati con la legge Pica nel 1863) ai generali E. Cialdini prima e A. La Marmora poi, al comando di 163.000 uomini (in prevalenza bersaglieri e cavalleria), che eseguirono spietate rappresaglie facendo terra bruciata intorno alle bande per poi annientarle sul campo.
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