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ARMI DA FUOCO
Armi che utilizzano l'energia prodotta dall'accensione di un esplosivo per lanciare a distanza un corpo solido (proietto). L'applicazione della polvere da sparo (nota in Occidente fin dal tempo delle prime crociate) riguardò dapprima le armi pesanti (dal XIV secolo) e solo più tardi, a causa della difficoltà di ottenere "in piccolo" la resistenza e l'affidabilità necessaria, le armi portatili. Allo sviluppo tecnologico (lavorazione dei metalli e produzione dei meccanismi) che consentì la diffusione delle armi portatili, si affiancò lo sviluppo della balistica, la scienza che studia il movimento, la traiettoria e la capacità di penetrazione dei proietti.

ARMI DA FUOCO PESANTI.
L'arma da fuoco in senso moderno si sviluppò in Europa a partire dal XIV secolo. Inizialmente le bocche da fuoco vennero indicate col termine latino tormentum (che aveva designato macchine belliche da lancio del tipo della catapulta), cui seguì bombarda per finire nel secolo XV con il nome tuttora usato di artiglierie: una categoria che comprese tipi svariatissimi, ai quali vennero spesso attribuiti nomi di fantasia. Si trattò all'inizio di un rudimentale sistema composto dalla bocca da fuoco e dall'affusto (la struttura destinata a sostenere la bocca da fuoco e a permetterne il maneggio) che via via si diversificò fino alla classificazione dei pezzi d'artiglieria in cannoni (tiro teso), obici (tiro curvo), mortai e bombarde (tiro molto curvo). Le prime bocche da fuoco erano spesse e pesanti, composte da doghe in ferro battuto tenute assieme da cerchi oppure fuse in bronzo, capaci di resistere alla deflagrazione della carica di lancio (polvere nera) necessaria per sparare una grossa palla di pietra o di ferro. Benché fossero realizzate con procedimenti artigianali (soltanto nel Settecento, ai primordi dell'industria, si sarebbe avviata una produzione di serie) i progressi tecnici furono abbastanza rapidi. Le prime bocche da fuoco comparvero nel XIV secolo nella battaglia di Crécy (1346), anche se la prova della loro efficacia si ebbe soltanto all'assedio di Costantinopoli (1453). Tra il XV e il XVI secolo le palle di pietra furono sostituite con quelle di ferro. Potenza e mobilità furono le caratteristiche che si dovettero maggiormente sviluppare nell'artiglieria terrestre, mentre per quella navale era sufficiente la prima. Fino al XVII secolo il progresso s'incentrò essenzialmente sull'aumento dei calibri della bocca da fuoco e sugli affusti a ruote, ai quali vennero dedicate particolari cure. Per aumentare la gittata (che comunque si manteneva nei limiti di poche centinaia di metri) si ricorse a rudimentali congegni d'alzo. In ogni caso il tiro, più o meno curvo, era sempre diretto, cioè eseguito puntando direttamente il pezzo sull'obiettivo. La metallurgia permise notevoli miglioramenti nella resistenza e nell'elasticità delle bocche da fuoco, specie a partire dal secolo XVIII; nel XIX secolo i proietti acquistarono una forma cilindrica ogivale e il piemontese Giovanni Cavalli (1808-1879) introdusse la rigatura interna della bocca da fuoco, che conferiva stabilità alla traiettoria del proietto. Migliorò così la precisione che, combinata con gli effetti delle più potenti cariche di lancio, permise gittate crescenti (alcuni chilometri agli inizi del Novecento, decine di chilometri pochi decenni più tardi e, per alcuni particolari cannoni ferroviari o di marina, anche oltre cento chilometri); la retrocarica e i sistemi di caricamento rapido, accompagnati dall'adozione di cartocci o di bossoli per le cariche di lancio, consentirono celerità di tiro elevate alle quali contribuì grandemente l'affusto a deformazione, che assorbiva l'energia di rinculo della bocca da fuoco riportandola automaticamente al suo posto (con i vecchi affusti rigidi l'intero pezzo rinculava, dovendo essere riportato in batteria dopo ogni colpo e nuovamente puntato); i proietti scoppianti, la capacità perforante (contro corazze e fortificazioni), l'adozione di sistemi di puntamento indiretto (che permettono il puntamento anche quando l'obiettivo non è direttamente visibile) elevarono considerevolmente le capacità dell'artiglieria. In marina si adottarono affusti multipli in sistemazioni di vario tipo, la più diffusa delle quali fu la torre corazzata; la mobilità, tradizionalmente affidata al traino animale, migliorò con l'uso di trattori e autocarri e infine con l'introduzione di pezzi semoventi; il munizionamento si sviluppò verso la combinazione del tradizionale effetto balistico del cannone con la capacità di un'arma autoguidata.

ARMI DA FUOCO PORTATILI. L'impiego di metalli come il ferro e l'acciaio permise di ridurre pesi e ingombri delle armi da fuoco, tanto da poterli utilizzare come armi personali. Al XVI secolo risale l'archibugio (il primo documentato in Italia è del 1522), ad avancarica e azionato da una miccia che infiammava la carica; un sostegno a forcola permetteva di tenere l'arma in posizione. Di lì a poco comparve il moschetto, analogo ma con canna più lunga e perciò più preciso. Alla metà del secolo l'introduzione del grilletto, dispositivo meccanico per l'accensione della polvere, permise l'abbandono della miccia. Due esigenze furono determinanti nell'evoluzione delle armi portatili: aumento della potenza e diffusione dell'uso. A quest'ultimo scopo fu rivolta la realizzazione delle armi corte (pistole), che seguirono via via i progressi delle armi lunghe, e delle granate a mano, che nel secolo XVIII anticiparono, in scala ridotta, il proietto scoppiante e incendiario dell'artiglieria. La potenza aumentò con l'aumentare del volume di fuoco, che si ottenne accrescendo la celerità di tiro e moltiplicando le canne dell'arma fino a quando il caricamento e funzionamento automa-tico non permisero di ottenere il risultato con armi a una sola canna. L'acciarino a pietra focaia, comparso in Francia nella seconda metà del Cinquecento, aumentò la rapidità di fuoco dei fucili. L'arma pluricanna apparve nel Settecento: più canne ruotavano attorno al congegno di sparo; una variazione fu il tamburo, che ruotava portando ogni volta un colpo all'unica canna. Fucili e pistole a ripetizione furono perfezionati nell'Ottocento, quando si adottò su scala generale la retrocarica, si riunirono in un'unica cartuccia polvere di lancio e innesco e si usò, per chiudere la culatta dell'arma, un otturatore che conteneva un congegno di sparo ad ago: fu così possibile ottenere, in pochi secondi, l'infiammazione della carica, l'espulsione del bossolo dopo lo sparo e il ricaricamento dell'arma. Dalle armi pluricanna si passò alla mitragliatrice verso la fine del secolo, quando, sulla base degli studi avviati nel 1854 dall'inglese H. Bessemer, si trovò il modo di utilizzare parte dei gas prodotti dalla combustione della carica di lancio per azionare automaticamente il congegno di alimentazione. Nel Novecento si diffusero le versioni alleggerite dell'arma automatica e cioè il fucile mitragliatore, il fucile semiautomatico, la pistola mitragliatrice. Fin oltre la metà del secolo l'uso dell'arma portatile si accompagnò alla pratica della guerra di massa, che coinvolgeva centinaia di migliaia di uomini armati anche individualmente, e della guerriglia; solo verso la fine del Novecento si assistette anche a forme di guerra "a distanza" basate sul bombardamento e sull'uso di missili piuttosto che sullo scontro tra eserciti.

R. Nassigh

L. Musciarelli, Dizionario delle armi, Mondadori, Milano 1978.
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