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ARMENI
Popolazione di lingua indoeuropea stabilitasi verso
il VII secolo a.C. nella regione del lago di Van, in Anatolia. Detti armeni
dalle fonti greche e persiane, si autodefiniscono haik (dal nome
dell'eroe nazionale) e chiamano il proprio paese Hayastan. Inizialmente
vassalli dei medi e dei persiani, si resero indipendenti sotto Tigrane il
Grande (I secolo a.C.), entrando poi a far parte dell'impero romano (e successivamente
bizantino) e di quello sasanide. Verso la fine del III secolo si convertirono
al cristianesimo, che è elemento fondamentale della loro autocoscienza
etnica, rafforzatasi nei secolari scontri con le popolazioni musulmane.
Dal 639 furono infatti coinvolti nell'espansione arabo-islamica, prima col
califfo Uthmân (645) e più tardi con gli Omayyadi, la cui dominazione,
interrotta da frequenti rivolte, poggiava su governatori scelti fra i notabili
locali. Da allora gli armeni subirono le conseguenze delle continue guerre
di conquista e di riconquista condotte nella regione di frontiera tra l'impero
arabo-islamico e quello bizantino, fino a quando, in seguito alla battaglia
di Manzikerk (1071) furono incorporati nell'impero selgiuchide. Nell'impero
ottomano, di cui divennero sudditi verso la fine del XIV secolo, si integrarono
con successo e molti adottarono il turco quale seconda o addirittura prima
lingua, pur conservando la propria compattezza etnico-culturale grazie alla
specificità religiosa. Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453,
Maometto II il Conquistatore chiamò a sé nella capitale il
vescovo armeno di Brussa (Bursa) elevandolo alla dignità di patriarca,
con prerogative pari a quelle del patriarca greco-ortodosso. Nasceva così
ufficialmente il millet, o "nazione" degli armeni, che assunse nell'impero
ottomano grande importanza. La comunità armena forniva infatti funzionari
e banchieri, ministri e governatori, mentre i suoi mercanti sviluppavano
vantaggiosi rapporti con la Polonia e l'Europa centrale, con i Balcani e
le Fiandre. Fin dal XII secolo operarono tra gli armeni missionari cattolici
che cercarono di convincerli ad abbandonare la Chiesa ortodossa. Questa
propaganda (malvista dagli ottomani che vi vedevano "gli intrighi dei franchi")
si intensificò dopo il concilio di Firenze (1438-1445) e poi sotto
Sisto V, fino a raggiungere un significativo successo con la conversione,
a opera dei gesuiti, di Mechitar (Sivas 1675 - Venezia 1749), fondatore
dell'ordine che da lui prende il nome e ha sede nell'isola di San Lazzaro,
nella laguna di Venezia. Gli armeno-cattolici, perseguitati a più
riprese dalle autorità ottomane (a ciò indotte anche da qualche
pressione da parte degli armeno-ortodossi), cercarono e spesso ottennero
l'appoggio delle potenze cattoliche d'Europa: nel 1866 la Francia ottenne
dalla Sublime porta che venissero riuniti sotto un'organizzazione ecclesiastica
separata, il patriarcato armeno-cattolico di Cilicia. In complesso, fin
verso la fine del XIX secolo gli armeni furono considerati "la nazione leale"
(Millet sadiqa), quella più unita alla dinastia ottomana da
vincoli di interesse comune. Le cose cambiarono quando si diffusero e misero
radici gli ideali della rivoluzione francese. Nel 1867 venne fondato a Parigi
il partito autonomista Henciaq, cui si affiancò poi il più
radicale Tashnaq, che verso la fine del secolo abbracciò la
lotta armata. Gli armeni avevano buone ragioni per lamentarsi: in Anatolia
orientale per le vessazioni di curdi e circassi di recente immigrazione,
un po' ovunque per la corruzione o l'incuria dei funzionari. Ad aggravare
la tensione fra turchi e armeni vennero anche gli intrighi russi tendenti
a sfruttare la comunità armena facendo leva sulla solidarietà
religiosa tra ortodossi. La tensione finì con l'esplodere tra il
1890 e l'inizio della Prima guerra mondiale in ripetuti massacri, in parte
riconducibili a rappresaglie spontanee da parte della popolazione tacitamente
incoraggiata dalle autorità, in parte a una vera e propria politica
ottomana di deportazione. Questo secondo aspetto assunse durante il conflitto
e negli anni immediatamente successivi le dimensioni del genocidio, con
l'uccisione di quasi due milioni di armeni e l'esodo di altre centinaia
di migliaia di persone che trovarono asilo nei principali centri della diaspora
armena: Iran, Europa, America, Iraq, Siria e Libano. Il territorio abitato
dagli armeni venne frantumato dal crollo degli imperi ottomano e zarista.
Dopo la guerra civile russa sorse quindi tra il Caucaso e l'Anatolia una
Repubblica armena, che aderì all'Urss nel 1922 formando la Repubblica
transcaucasica con Georgia e Azerbaigian fino al 1936, quando ottenne l'autonomia.
In seguito al crollo dell'Urss, nel 1991 divenne indipendente, ma le minoranze
armene continuarono a soffrire discriminazioni e persecuzioni negli stati
finitimi (Georgia, Azerbaigian, Turchia e Iran), che diedero adito a uno
stato di guerra permanente, soprattutto con l'Azerbaigian.
I contrasti di tipo etnico con gli azeri avevano infatti condotto a un aspro
conflitto fin dal 1988 per il controllo della provincia autonoma del Nagorno
Karabah, popolata in massima parte da armeni. La conquista di un passaggio
in territorio azero ha permesso all'Armenia di collegarsi con la provincia,
che di fatto si è resa indipendente dall'Azerbaigian, mentre nel 1994 si
apriva una fase negoziale. Presidente dell'Armenia, dopo il raggiungimento
dell'indipendenza, è stato Lavon Ter Petrossian, esponente del movimento
nazionalista, eletto nel 1991 e riconfermato nel 1996. La sua crescente
impopolarità, dovuta in prevalenza alla corruzione del regime, lo ha però
obbligato alle dimissioni nel 1998, sostituito da Robert Kocharin.
J.M. Carzou, Arménie 1915, un génocide exemplaire, Flammarion, Parigi 1975; G. Chaliand, Y. Ternon, The Armenians: from Genocide to Resistance, Zed Press, Londra 1983.
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