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ARABO-ISRAELIANE, GUERRE
(1948-1973). Quattro conflitti tra il nuovo stato di Israele e gli stati arabi confinanti avvenuti nel 1948-1949, nell'ottobre-novembre 1956, nel giugno 1967 e nell'ottobre 1973. La prima guerra arabo-israeliana, nota in Israele come "guerra d'indipendenza", scoppiò il 15 maggio 1948, subito dopo la proclamazione dello stato ebraico, ma fin dal novembre precedente, dopo l'approvazione del piano di spartizione della Palestina da parte dell'Onu, si erano verificati scontri tra organizzazioni militari e terroristiche sioniste (vedi Haganah, banda Stern), da una parte, e guerriglieri palestinesi appoggiati da volontari arabi, dall'altra. In questa fase le forze sioniste occuparono centri situati nel territorio assegnato dall'Onu al previsto stato arabo palestinese o alla zona internazionale di Gerusalemme, tra cui Tiberiade, Haifa, Safad e Deir Yassin. Forze regolari arabe varcarono invece i confini della Palestina il 15 maggio: da sud gli egiziani avanzarono verso Tel Aviv, a nord truppe siriane e libanesi occuparono alcune località a ridosso del confine, mentre da est la Legione araba della Transgiordania occupava la Cisgiordania e parte dei quartieri più antichi di Gerusalemme. Il 10 giugno il Consiglio di sicurezza dell'Onu riuscì a imporre una tregua, durante la quale Israele ricevette notevoli rifornimenti che consentirono di scatenare l'8 luglio un'offensiva. Dopo dieci giorni l'Onu impose una nuova tregua, la cui supervisione fu affidata al conte svedese Folke Bernadotte, che però fu assassinato il 17 settembre a Gerusalemme da terroristi sionisti. A metà ottobre le forze israeliane lanciarono una nuova triplice offensiva: verso il deserto del Negev e del Sinai; verso Gerusalemme, dove le loro unità restarono praticamente accerchiate; e verso il confine libanese, che fu varcato. Le successive trattative condussero nei primi mesi del 1949 ad armistizi separati con Egitto, Libano, Giordania e Siria. Israele si trovò così in possesso di un territorio maggiore di quello previsto in origine dal piano di spartizione: circa 20.700 km, con una popolazione di oltre 715.000 ebrei. Imponente fu l'esodo della popolazione araba: circa settecentomila persone lasciarono le proprie case, chi spontaneamente, per sfuggire alle incombenti operazioni militari, chi, e furono i più, perché spinti dal panico ispirato ad arte prima dai sionisti, poi dalle autorità israeliane. Da allora i palestinesi alimentarono, spesso dai paesi arabi confinanti, una incessante guerriglia contro Israele. Per Seconda guerra arabo-israeliana si intende l'aggressione all'Egitto segretamente preparata da Israele con Gran Bretagna e Francia. Le due potenze coloniali si proponevano di sconfiggere e possibilmente rovesciare il regime di Gamal Abd en-Nasser, colpevole soprattutto, ai loro occhi, di aver nazionalizzato il canale di Suez (26 luglio 1956) e di appoggiare la lotta per l'indipendenza algerina. Il governo israeliano, dal canto suo, intendeva infliggere un colpo preventivo alle forze armate egiziane di cui era in corso l'ammodernamento con materiale sovietico. Il 29 ottobre 1956 sferrò pertanto una fulminea offensiva nel Sinai (destinata uf ficialmente a distruggere le basi di guerriglieri palestinesi in territorio egiziano). Con il pretesto di separare i contendenti ed evitare minacce alla navigazione lungo il canale, Gran Bretagna e Francia intimarono un ultimatum, scaduto il quale (31 ottobre) iniziarono a loro volta le operazioni contro l'Egitto. I tre paesi aggressori ottennero una rapida vittoria militare, a cui seguì peraltro una pesante sconfitta politica, perché quella che venne definita l'ultima impresa coloniale fu condannata non soltanto dall'Onu (con una risoluzione che intimava il ritiro delle forze israeliane e l'invio di un contingente di "caschi blu") e dall'Urss (che, pur impegnata nella repressione della rivolta in Ungheria, minacciò il ricorso ai missili nucleari), ma anche dal governo Usa. Nei primi mesi del 1957 Israele dovette pertanto restituire all'Egitto il Sinai occupato, in cambio di garanzie sulla libertà di navigazione attraverso gli stretti di Tîrân e il golfo di 'Aqabah, tra il mar Rosso e il porto israeliano di Eilat. Nello stesso tempo il governo israeliano rendeva noto che avrebbe considerato casus belli qualsiasi minaccia araba alla suddetta libertà; il canale di Suez, bloccato da navi autoaffondate per ordine egiziano, restò chiuso. La Terza guerra arabo-israeliana, detta anche "dei sei giorni", scoppiò quando, nella primavera del 1967, il presidente egiziano chiese e ottenne (indotto da una serie di incidenti lungo il confine tra Siria e Israele) il ritiro del contingente internazionale di stanza nel Sinai, cui seguì l'annuncio (23 maggio) dell'intenzione di chiudere gli stretti alle navi israeliane e a quelle battenti qualsiasi bandiera se dirette a Eilat con carichi di importanza strategica; Israele reagì chiedendo l'intervento della comunità internazionale e, nello stesso tempo, mobilitando le proprie riserve. Mentre gli eserciti di Egitto, Siria e Giordania si schieravano lungo i confini, Israele lanciò un attacco preventivo all'alba del 4 giugno, distruggendo a terra il grosso delle forze aeree avversarie. Concentrò quindi le operazioni terrestri in direzione del canale di Suez, raggiunto l'8 giugno, dopo l'annientamento dell'esercito egiziano; lo stesso giorno fu completata l'occupazione della Cisgiordania. L'indomani toccò al fronte siriano, con l'occupazione delle alture del Golan. Grazie a questa guerra Israele occupò circa sessantamila chilometri quadrati di territorio egiziano, quasi seimila di territorio giordano e un migliaio di territorio siriano, che continuò a tenere nonostante numerose risoluzioni dell'Onu ne ingiungessero la restituzione. La quarta guerra, detta anche "del Kippur" o "del Ramadan" perché scoppiata in concomitanza con le rispettive festività ebraica e islamica, cominciò il 6 ottobre 1973 con simultanei attacchi egiziani e siriani che, protetti da un'efficace copertura di missili terra-aria sovietici, travolsero le forze israeliane, colte di sorpresa. Il giorno 10, spintisi una decina di chilometri oltre il canale, gli egiziani interruppero l'offensiva, quasi a dimostrare gli obiettivi simbolici dell'attacco (infliggere una sconfitta psicologica all'avversario per gettare le basi di una soluzione negoziata). Avendo concentrato le proprie forze sul molto più importante fronte settentrionale, Israele riusciva frattanto a contenere l'offensiva siriana per passare poi al contrattacco e superare (11 ottobre) anche la linea raggiunta nel 1967. Seguì una controffensiva israeliana nel Sinai: nella notte tra il 15 e il 16 ottobre unità comandate dal generale Sharon varcarono il canale, accerchiando un'intera armata egiziana. In seguito a intense trattative tra Usa e Urss, il Consiglio di sicurezza dell'Onu decretò infine per il 22 ottobre una tregua che venne ignorata da Israele: soltanto il timore di uno scontro diretto tra le due superpotenze riuscì a far rispettare una nuova tregua a partire dal 25 ottobre. Risultato di questa guerra (che, malgrado l'esito vittorioso, lasciò pesanti conseguenze in Israele, ridimensionando ilmito della sua invincibilità) fu la pace separata tra Israele ed Egitto mediata dagli Stati Uniti grazie all'impegno diplomatico del loro segretario di stato Henry Kissinger e sancita dagli accordi di Camp David (settembre 1978 - marzo 1979). A questi conflitti generali si devono aggiungere la cosiddetta "guerra di logoramento" o "di attrito" sul canale di Suez (marzo 1969 - agosto 1970), la guerra di usura sul Golan (marzo-maggio 1974) e la parziale occupazione israeliana del Libano nel marzo-giugno 1978, reiterata dal giugno 1982 al giugno 1985.

P.G. Donini



I. Black, B. Morris, Israel's Secret Wars: The Untold History of Israeli Intelligence, Hamish Hamilton, Londra 1991; H. Cobban, The Palestinian Liberation Organisation. People, Power, and Politics, University Press, Cambridge 1984; R. Deacon, The Israeli Secret Service, Hamish Hamilton, Londra 1977; E. Kanovsky, The Economic Impact of the Six-Day War, Praeger, New York 1970; F. Tana (a c. di), La lezione del Libano, Franco Angeli, Milano 1985.

 

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