AMERICA LATINA Insieme ideale dei paesi americani in cui prevalgono le lingue castigliana e portoghese. In realtà il concetto è sfuggente, allo stesso tempo più ampio e più ristretto. A esso si giunse attraverso un processo storico in cui gli elementi d'identificazione collettiva presentarono aspetti economici, culturali e politici. Quando la maggior parte del territorio americano ebbe raggiunto l'indipendenza nei primi decenni del XIX secolo, si diffuse la dizione di America ispano-americana, che ricordava il vecchio impero di lingua spagnola; essa escludeva però il vasto Brasile, di lingua portoghese, e così fu preferita per un periodo la denominazione iberoamericana. La presenza di un'America, organizzata negli Stati Uniti, che si presentava come anglosassone, bianca, protestante, in continua espansione rispetto a un'America che si voleva meticcia, con forte sincretismo religioso e disorganizzata, feriva l'orgoglio di molti intellettuali, come il cubano José Martí. Trovò allora consenso l'espressione Nuestra America, come negazione dell'America anglosassone che aveva invaso metà del territorio messicano e cominciava a colpire l'istmo centroamericano. Quindi lentamente America latina divenne un'idea estremamente ampia, all'interno della quale si collocavano tutti quei paesi del continente che subivano aggressioni, erano dipendenti e sottosviluppati, ma allo stesso tempo difendevano con orgoglio una maggior tolleranza religiosa e razziale. In questa visione rientrano tutti gli stati e colonie del continente, fatta eccezione per gli Usa e il Canada, anche se diversi di questi paesi, come Suriname e Giamaica, nella composizione etnica e linguistica non avevano una matrice latina. L'attuale configurazione cominciò a essere abbozzata quando il trattato di Tordesillas (1494) regolamentò la bolla papale Inter coetera che divideva il continente fra le corone di Portogallo e Castiglia. Frattanto altre potenze (Inghilterra, Francia e Olanda) dall'inizio del XVII secolo cominciarono a occupare piccole sezioni di quel vasto spazio: quasi tutte le isole delle Antille, Belize nell'istmo e le tre Guayane nell'America del Sud. Quando nel XIX secolo si formarono i primi stati indipendenti la popolazione, già fortemente mescolata fra bianchi, indi e neri, era di circa 22 milioni di abitanti (16 milioni nell'area spagnola, 4,5 in quella portoghese, 1,5 nel rimanente). Questi stati nacquero deboli, indebitati, dissanguati da guerre civili e con tendenze separatiste, lontani dai grandi circuiti della produzione e del commercio, fornitori di materie prime e mercato per i manufatti soprattutto britannici. Le trasformazioni della produzione industriale e dei trasporti alla metà del XIX secolo modificarono profondamente l'area. L'apparizione delle navi di ferro a elica, la ferrovia, il telegrafo resero più rapida la copertura di grandi distanze e facilitarono il trasporto di merci e persone. Inoltre affluirono ingenti capitali europei investiti nella costruzione di infrastrutture e nell'acquisizione di terre e miniere. L'Europa, che attraversava un boom demografico, aveva bisogno di nuovi prodotti. Così l'America latina entrò nella nuova divisione internazionale del lavoro con il compito di alimentare l'esportazione. Le pampas argentine vennero recintate per l'allevamento di bestiame da lana, cuoio e carne; in Brasile immense distese di caffè avanzavano verso ovest; il Perù forniva guano e salnitro; l'istmo centroamericano coloranti e frutti tropicali. Si formava una borghesia commerciale e finanziaria e le città, quasi sempre legate a un porto, crebbero. Questa fase dello sviluppo capitalista fece declinare la schiavitù nera, imponendo di soddisfare in altro modo alla necessità di braccia per la produzione. La manodopera venne assicurata dall'afflusso di immigrati europei in prevalenza dell'area mediterranea. La grande corrente immigratoria si concentrò in Brasile, Argentina e Uruguay, dove fra 1860 e 1915 entrarono circa 10 milioni di persone, 40 per cento italiani, in buona parte veneti. Altri gruppi furono di spagnoli, portoghesi, tedeschi, polacchi ecc. Il Brasile, caso unico, dal 1908 ricevette una consistente immigrazione giapponese. L'integrazione in forma dipendente al sistema capitalistico mondiale fece sì che la crisi del 1930 avesse conseguenze devastanti. Tuttavia essa incentivò l'industrializzazione di alcuni poli nel tentativo di ridurre le importazioni di manufatti. La crescita delle città, del proletariato, della borghesia industriale produsse la formazione di movimenti popolarnazionali, come il varguismo in Brasile, il peronismo in Argentina, il cardenismo in Messico ecc. Contemporaneamente il capitale inglese perdeva terreno, venendo in parte sostituito da quello nordamericano, che nei Caraibi e in America centrale imponeva la sua egemonia attraverso dittature come quella di Somoza in Nicaragua, Trujillo nella Repubblica dominicana, Batista a Cuba. Dal 1947 la guerra fredda impose un allineamento automatico agli Usa, accrescendo la dipendenza economica, diplomatica, politica, esacerbando la spirale repressiva e soffocando i tentativi riformisti. In risposta esplodevano insurrezioni popolari e movimenti guerriglieri. La mancanza di riforme serie e profonde (per esempio nelle campagne), l'adozione di relazioni di produzione e lavoro selvagge, la subalternità al sistema finanziario mondiale, diedero vita, negli ultimi lustri del XX secolo, a una società marcata da eccessive diseguaglianze e a un'esplosione urbana caratterizzata da immense distese insediative. In questo quadro di acute tensioni politiche e sociali, l'America latina ha finito per diventare la sede di aspri conflitti e per caratterizzare il proprio cammino come un susseguirsi di oscillazioni, in cui la violenza ha avuto un ruolo enorme, tra modelli economico-sociali e politici opposti, dove i militari hanno detenuto un peso cruciale e determinante. La storia dell'America latina ha continuato a presentarsi come segnata da una grande e diffusa instabilitā, in cui hanno trovato terreno fertile gli scontri tra forze estreme di destra e di sinistra, tra democrazia e autoritarismo, tra minoranze dotate talvolta di un'enorme ricchezza e masse estremamente indigenti. Solo dalla fine degli anni ottanta i regimi democratici iniziarono a costituire la realtā dominante del Sud America. Le forze eversive di sinistra e quelle autoritarie di destra apparivano sconfitte e alla fine degli anni novanta furono chiamate a rendere conto dei crimini perpetrati nei confronti della popolazione civile, come nel caso cileno e argentino. J.L. Del Roio P. Chaunu, Storia dell'America Latina, Garzanti, Milano 1977; C. Furtado, L'economia latinoamericana. Dalla conquista iberica alla rivoluzione cubana, Laterza, Bari 1973; C. Gibson, M. Carmagnani, J. Oddone, L'America Latina, Utet, Torino 1976; J. Gil, Miti e utopie della scoperta, Garzanti, Milano 1991; H. Herring, Storia dell'America Latina, Rizzoli, Milano 1971; T. Halperin Donghi, Storia dell'America latina, Einaudi, Torino 1972; F. Ribeiro, Le Americhe e la civiltà, Einaudi, Torino 1975; R. Romeo, La scoperta americana nella coscienza italiana, Laterza, Bari 1989. |