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AGRONOMIA
Insieme delle conoscenze e delle pratiche orientate a migliorare le caratteristiche e la produttività dei terreni e delle piante coltivate. L'antichità classica lasciò una ricca letteratura agronomica, nella quale spiccano i cinque trattati che ci sono giunti completi: quelli più antichi di Catone il Censore (II secolo a.C.) e di Varrone (I secolo a. C.), il De re agricola dello spagnolo Lucio Columella (composto nel 61-65 d.C.) e alcuni dei libri (in particolare il XVIII) dell'Historia naturalis di Plinio il Vecchio (71-75 d.C.); chiude la serie l'Opus agricolturae di Palladio (460-470), che volgarizza i due precedenti e attinge alle credenze e alle superstizioni contadine e che fu il più diffuso nei secoli centrali del Medioevo. Columella e Plinio descrivono diversi tipi di aratro e analizzano le funzioni dell'aratura: preparare la semina, sradicare le erbe infestanti, consentire una buona areazione del terreno (si capirà in seguito che la fissazione dell'azoto da parte dei microrganismi presenti nell'humus è essenziale per la crescita delle piante coltivate). Entrambi sono consapevoli dell'importanza delle pratiche che consentono di conservare l'umidità del suolo in regioni dal clima relativamente arido e dimostrano di essere informati della possibilità di effettuare una seconda semina primaverile in climi più settentrionali, con una maggiore piovosità in primavera-estate. La semina primaverile fu dopo il X secolo al centro della sostituzione della rotazione triennale a quella biennale. La letteratura agronomica riprese al principio del XIV secolo con i Ruralium commodorum libri XII del bolognese Pietro de' Crescenzi, opera destinata a una duratura fortuna in Italia e in particolare impegnata nella ricerca dei corretti principi della preparazione e dell'uso dei concimi animali. Una svolta più profonda nell'agronomia si ebbe ancora in Italia nel Cinquecento con autori come Camillo Tarello e Agostino Gallo, che, tenendo presente la realtà della pianura padana orientale, studiarono il migliore inserimento di piante leguminose e foraggere (delle quali sarà poi definita la capacità di migliorare la scorta di azoto nel terreno) in cicli di rotazione poliennale, con lo scopo di accrescere la produzione cerealicola e di rafforzare l'allevamento. Nel Settecento la maggior letteratura agronomica provenne dall'Inghilterra dove, accanto allo studio delle leguminose e delle migliori rotazioni migliorative del terreno, Jethro Tull studiò (nel suo trattato del 1733) le tecniche più efficaci di aratura, zappatura e semina, nonché di produzione delle sementi. Con la vasta opera di sintesi di Arthur Young l'agronomia inglese giunse a sistematizzare le nuove conoscenze che stavano a fondamento della rivoluzione agricola. Gli ulteriori progressi dell'agronomia furono affidati nel XIX secolo agli sviluppi della chimica e alla sua applicazione all'agricoltura; il tedesco Justus Liebig (1803-1873) studiò i principi della nutrizione delle piante, definì la natura e la quantità delle sostanze interessate in questo processo (azoto, fosforo, potassio) e dette avvio alla produzione dei fertilizzanti artificiali. Distinta dall'agronomia è l'applicazione della tecnologia meccanica all'agricoltura, che ha piuttosto lo scopo di rendere più produttivo il lavoro, facendo diminuire il numero di ore necessarie per produrre una data quantità di prodotto. Nel corso del XIX secolo le macchine agricole fecero ridurre negli Stati Uniti di 3/4 le ore di lavoro necessarie per produrre una tonnellata di frumento; ma la resa per ettaro della coltivazione del frumento restò sempre inferiore a quella delle agricolture europee meno meccanizzate.

S. Guarracino
B.M. Ambrosoli, Scienziati, contadini e proprietari. Botanica e agricoltura nell'Europa occidentale, 1350-1850, Einaudi, Torino 1992; G. Haussmann, La terra e l'uomo. Saggio sui principi di agricoltura generale, Boringhieri, Torino 1964.
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