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AFRICA, POPOLAZIONE DELL'
Nel continente africano abitavano nel 1990 circa 642 milioni di persone, il 12 per cento della popolazione mondiale; l'ammontare previsto entro la fine del secolo era di 900 milioni, con un tasso di crescita annuo del 3 per cento. Nel 1950 la popolazione stimata del continente africano era di circa 224 milioni di persone. Le due maggiori ripartizioni geografiche del continente tendono a rispettare le uniformità culturali e religiose presenti nella regione. L'Africa settentrionale comprende i sette stati arabi (Algeria, Egitto, Libia, Marocco, Sudan, Tunisia, Sahara occidentale) che con i loro 114 milioni di abitanti stimati nel 1980 e i 141 del 1990 costituiscono solo una piccola minoranza della popolazione di religione musulmana del mondo. L'unità ideologica dell'area si riflette nei comportamenti demografici caratterizzati da matrimoni precoci e universali, alta fecondità (4,6 figli per donna in media nel 1990), presenza della poligamia. Il tasso di mortalità iniziò il suo declino negli anni cinquanta, dando luogo a una crescita della popolazione senza precedenti nell'area. La speranza di vita alla nascita variava al 1990 tra i 52 anni del Sudan e i 66 anni dell'Algeria; rimaneva ancora elevata la mortalità infantile che, nonostante i notevoli progressi degli ultimi decenni, colpiva 64 nati vivi su mille ogni anno. Data l'ancora elevata fecondità, la struttura per età della popolazione era composta in gran parte da giovani; il rapporto di dipendenza totale si aggirava attorno a 82 individui nella fascia d'età inferiore a 14 anni ogni 65 in quella compresa fra i 15 e i 64. Più esplosiva risultava la situazione dell'Africa a sud del Sahara. Con una popolazione stimata di 361 milioni alla metà degli anni ottanta, di 501 milioni nel 1990 e prevista di 1323 milioni nel 2025, essa si avviava a raccogliere il 16 per cento della popolazione mondiale. La regione ha una enorme diversità di linguaggi, tradizioni e costumi, ma è accomunata da una demografia sostanzialmente simile. La fecondità era ancora nel 1990 la più elevata registrata al mondo e in alcuni paesi non diede segni di discesa dagli anni cinquanta in poi. Il numero medio di figli per donna si avvicinava ovunque, tranne che in Sudafrica, a 7. In Nigeria e in Etiopia, due degli stati più popolosi di questa regione, il livello medio della fecondità era di 7,7 e 7,3 rispettivamente nel quinquennio 1975-1980, e ancora di 6,8 e di 6,6 nel 1990. Anche i livelli di mortalità si erano mantenuti elevati; erano di questa parte dell'Africa i più bassi valori mondiali della speranza di vita alla nascita, che passava comunque da valori inferiori ai 40 anni nel 1950 ai 54 anni del 1990. La mortalità infantile andava nel 1990 da un tasso di 103 morti nel primo anno di vita ogni mille nati vivi della parte orientale e occidentale agli 89 decessi degli stati del sud. La proporzione di popolazione con meno di 15 anni costituiva poco meno del 50 per cento del totale. Tutto il continente africano era interessato negli ultimi decenni del Novecento da consistenti flussi di emigrazione. I modelli migratori videro innanzi tutto una accelerazione dei movimenti dalle aree rurali verso le città e, successivamente, questi stessi primi spostamenti alimentarono i flussi di uscita verso i paesi più ricchi esterni al continente. Questi movimenti migratori furono favoriti dalla fine dell'equilibrio bipolare (1989-91), la quale determinò una generale trasformazione istituzionale che impose politiche di riforme strutturali con effetti drammatici per le condizioni di vita della popolazione, e favorì il riemergere delle tensioni interetniche sfociate in conflitti cruenti (Ruanda, Congo, Sierra Leone, Somalia).

R. Rettaroli

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