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ottomano, impero


OTTOMANO, IMPERO

Organismo politico multietnico e multiconfessionale creato in Anatolia dai turchi ottomani nel XIV secolo ed esteso nell'Asia occidentale, nell'Africa settentrionale e nell'Europa meridionale fino alla prima guerra mondiale.

CONQUISTATORI E SEGUACI DEL PROFETA. All'origine di una delle più complesse e storicamente importanti strutture imperiali del mondo furono le migrazioni di popoli provenienti dall'Asia centrale. Gli unni investirono direttamente l'Europa nel IV-V secolo, mentre altre popolazioni a loro linguisticamente affini esercitarono una pressione costante, nei secoli successivi, sia verso le steppe russe sia verso l'altopiano iranico, ove i turchi selgiuchidi erano già saldamente insediati verso la metà dell'XI secolo, prima di infliggere nel 1071 a Mantzikert una pesante sconfitta all'impero bizantino. Verso l'Anatolia si diressero quindi numerose tribù di nomadi turchi, tra cui gli oghuz o turcomanni, in cerca di bottino e di gloria quali combattenti per la fede musulmana (in arabo ghâzî). Quando i selgiuchidi vennero a loro volta sottomessi dai mongoli, l'Anatolia si frantumò in numerosi principati, tra i quali emerse, a diretto contatto con la frontiera bizantina, quello di Osmân, un condottiero oghuz che conquistò il ricco centro commerciale di Bursa nel 1326, facendone la prima capitale dello stato che da lui prese il nome (ottomano). I suoi figli Orkhân e Ala ud-Dîn gettarono le basi dell'espansione successiva, avviando da una parte una politica di alleanze, anche matrimoniali, con le fazioni bizantine in lotta per la supremazia, e combattendo dall'altra i principati islamici rivali dell'Anatolia, con il pretesto che, in quanto unici veri ghâzî, dovevano proteggersi le spalle per meglio combattere contro gli "infedeli". Un altro passo sulla via dell'espansione imperiale fu merito di Süleyman, figlio di Orkhân, che, conquistando Gallipoli nel 1354, diede alla dinastia una preziosa testa di ponte in Europa. Era ormai aperta la via dell'accerchiamento di Costantinopoli (conquista di Edirne, 1361) e della penetrazione ottomana nei Balcani, dove i serbi vennero sconfitti nel 1371 a irmen sulla Maritsa e di nuovo nel 1389 a Kosovo Polie (battaglia di Kosovo), malgrado l'aiuto dei bosniaci. A sud del Danubio soltanto la Valacchia, la Bosnia, l'Albania, la Grecia e la fortezza serba di Belgrado rimanevano fuori dal dominio ottomano. Il vero fondatore dell'impero fu Bâyâzid I, il vincitore di Kosovo che, diventando sultano, venne chiamato Yïldïrïm, "la folgore": guidò infatti la prima spedizione contro l'Ungheria, mentre altre incursioni di ghâzî investivano la Grecia e l'Albania. Stroncò in Anatolia le velleità indipendentistiche dei principati turcomanni di Qaramân, Aydïn, Sarukhan, Menteshe e Germiyân, ponendoli direttamente sotto la dominazione ottomana (1391). Tornò in Europa in tempo per conquistare definitivamente tutta la Bulgaria (1393); tentò poi di assediare Costantinopoli (1394), ma dovette affrontare la crociata guidata da Sigismondo d'Ungheria e la sbaragliò sotto le mura di Nicopoli (1396). Entusiasmo religioso e organizzazione militare erano le basi dell'amministrazione dell'impero: le zaviye, sedi di confraternite, erano spesso il primo nucleo attorno a cui nascevano nuovi villaggi, mentre a ogni cavaliere (sipahi) veniva assegnato il diritto (non ereditario e revocabile) di riscuotere le imposte dovute dai coltivatori di una determinata superficie agricola (timar), oltre a terre da coltivare in proprio, in cambio dell'obbligo di combattere agli ordini del sultano. A questa cavalleria di tipo aristocratico-feudale si affiancò poi il corpo dei giannizzeri, la prima fanteria regolare dell'Europa medievale: essendo alle dirette dipendenze del sultano servì più d'una volta a bilanciare l'influenza dell'aristocrazia. Nella vita civile si diffondevano le fondazioni pie o vakïf (in arabo waqf) istituite da privati o dallo stesso sultano, per costruire scuole, moschee, biblioteche, mercati, bagni pubblici e altre strutture di assistenza a viaggiatori e commercianti. Verso i non musulmani si adottò una politica lungimirante: il sistema dei millet riconosceva loro una certa autonomia, oltre alla libertà di religione; anche la politica fiscale si tradusse generalmente in un miglioramento, nelle campagne, rispetto alla situazione precedente. La dinastia cercò di legare a sé non solo le grandi famiglie, sia cristiane sia musulmane, dalle quali uscirono molti vizir (ministri), ma anche gli ulema, gli "scienziati" della religione, che furono, insieme con una burocrazia sempre più capillare, il cemento dell'amministrazione imperiale. Le basi dell'impero furono scosse in Anatolia dalla fulminea invasione di Tamerlano, che nel 1402 sconfisse Bâyâzid nella battaglia di Ankara e lo fece prigioniero. Tra i figli del sultano, che si contesero il potere mentre in Anatolia cercavano di risorgere le vecchie dinastie, emerse Maometto I che, con l'aiuto del figlio Murâd II, ristabilì l'ordine nei Balcani preparando la conquista di Costantinopoli (portata a termine nel 1453 dal nipote Maometto II) e impose definitivamente la sovranità ottomana ai principi turcomanni d'Anatolia (1423-1427), eccezion fatta per quello di Qaramân, che resistette più a lungo.

SUCCESSORI DI BISANZIO. Il consolidamento e l'espansione portarono l'impero ad affrontare in Europa nuovi avversari: da Venezia agli Asburgo alla nascente potenza russa. Sull'altro versante, dopo la sconfitta degli Aq qoyunlu, gli unici rivali considerevoli erano la Persia dei Safavidi e l'Egitto dei mamelucchi: con la vittoria di Châldirân (1514) sui primi venne in sostanza tracciato il confine turco-persiano che è sopravvissuto fino ai nostri giorni, mentre la sconfitta egiziana del 1516 aprì alla dominazione ottomana tutta l'Africa settentrionale, Marocco escluso. Cinque anni dopo cadeva Belgrado, nel 1522 i cavalieri di San Giovanni erano espulsi da Rodi, nel 1526 l'Ungheria diventava uno stato vassallo. Nel 1529 falliva il primo assedio di Vienna, ma con la battaglia di Prevesa nel 1538 gli ottomani conquistavano il dominio del Mediterraneo. L'impero era all'apogeo: i suoi eserciti ben addestrati e tecnicamente all'avanguardia avevano esteso la sovranità ottomana dalle porte di Vienna fino a Baghdad e ai luoghi santi islamici dell'Arabia, dal retroterra russo del mar Nero a Orano. Col trattato di Zsitvatorok del 1609, che pose fine alla guerra con gli Asburgo, il sultano aveva però dovuto rinunciare al sogno di un impero universale, riconoscendo per la prima volta l'imperatore cristiano come suo pari. Il lento declino che seguì fu causato soprattutto da fattori economici: il mercantilismo e il capitalismo che proprio allora si andavano affermando nell'Europa cristiana mal si adattavano alla cultura tutto sommato più tollerante e più umana dell'impero. Le fondazioni pie sottraevano enormi ricchezze a destinazioni più produttive. La preoccupazione di assicurare ai sudditi i beni necessari finiva col favorire le importazioni e sfavorire le esportazioni. Le spese per le continue operazioni militari determinavano d'altra parte una pressione fiscale a cui solo un'economia in espansione avrebbe potuto far fronte. Il sistema delle capitolazioni apriva infine la strada alla penetrazione economica, politica e culturale dell'occidente. Non mancarono statisti che cercarono di arrestare il declino, quali il gran visir Mehmed Köprülü (1656-1661) e gli stessi sovrani riformatori, quali Selîm III o Abdulmegîd, il padre delle tanzîmât, ma l'impero cominciò ad accumulare ritardi crescenti rispetto agli avversari nell'organizzazione militare; donde gli insuccessi contro l'impero asburgico (secondo fallito assedio di Vienna, 1683, trattato di Carlowitz e Passarowitz) e nelle guerre russo-ottomane. Mentre i nemici esterni si facevano più minacciosi, dall'estero giungevano anche fermenti destinati ad alimentare un pericolo interno, quello rappresentato dai nazionalismi, che nel XIX secolo prepararono la disgregazione dell'impero ottomano nelle sue regioni europee e, in misura minore, tra le minoranze etnico-religiose della sua parte asiatica. Focolai principali di queste nuove tensioni furono i Balcani e le province arabe. Il lento declino dell'impero fu accompagnato da erosioni territoriali, a cominciare dall'indipendenza greca (1830), da guerre di confine o a causa della questione d'oriente, dalla perdita parziale di sovranità (capitolazioni) e dalla crescita di un movimento politico-culturale interno di modernizzazione, laicizzazione e rivendicazione di dignità nazionale, che si tradusse verso la fine del XIX secolo in alcune riforme in senso costituzionale e nella nascita del movimento dei Giovani turchi. Travolto dalle sconfitte nella guerra italo-turca (1911-1912), nelle guerre balcaniche (1912-1913) e soprattutto nella prima guerra mondiale, l'impero fu sottoposto a spartizione col trattato di Sèvres (1920) e la stessa Anatolia rischiò di essere spartita tra i vincitori, se non vi si fosse opposto un movimento nazionalista diretto da Mustafà Kemal Atatürk che, scacciati i greci, diede vita alla Repubblica di Turchia (1923).

A. Bombaci, J.S. Shaw, L'impero ottomano, Utet, Torino 1981; F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Einaudi, Torino 1976; M. Bussagli, Culture e civiltà dell'Asia centrale, Eri, Torino 1970; A. Malvezzi, L'islamismo e la cultura europea, Sansoni, Firenze 1956.