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NAVIGAZIONE
L'arte del condurre sull'acqua mezzi galleggianti,
che consentì la prima forma di trasporto di persone e cose non
compiuta direttamente dall'uomo. Il remo fu per lungo tempo il principale
propulsore e, fino alla metà del XIII secolo, venne spesso impiegato
anche come timone, sistemato nella zona poppiera della nave. Non si trattò
tuttavia dell'unico mezzo di propulsione, e d'altra parte il suo uso si
protrasse ben oltre l'avvento della vela.
LA NAVIGAZIONE A VELA. Agli egizi si devono le prime vere navi
conosciute, costruite dapprima in papiro e, verso il 2000 a.C., in legno,
con corte tavole connesse tra loro, senza chiglia. Oltre ai remi disponevano
spesso di albero abbattibile con larga vela quadra (cioè
di forma grosso modo rettangolare); esse permisero lo sviluppo dei commerci
sul Nilo e sulle coste mediterranee lungo le quali si navigava a vista,
di giorno e con mare calmo. Negli ultimi due millenni a.C. comparvero
le prime navi realmente marine, in legno, capaci di navigare a remi e,
sui lunghi percorsi, a vela; i fenici diedero un decisivo impulso alla
tecnica costruttiva con i loro scafi dotati di chiglia e costole
trasversali in legno, sulle quali era chiodato un fasciame composto
da lunghe tavole curvate; prora e poppa ricurve, solidamente connesse
alla chiglia, conferivano grande robustezza e ottime qualità marine.
Per molti secoli la costruzione navale seguì l'esempio fenicio:
lo dimostrano le pur evolute navi di persiani, greci e cretesi, etruschi,
cartaginesi e romani. Grazie a navi del genere e alle conoscenze di astronomia
era ormai possibile navigare anche fuori vista delle coste e di notte.
I commerci fiorivano, e già i fenici cominciarono a differenziare
le navi da guerra da quelle mercantili: queste, di forme più tondeggianti,
navigavano per la maggior parte del tempo a vela. I romani introdussero
poi diverse specializzazioni: navi granarie, olearie e altre. Sulle medesime
linee si sviluppò la flotta di Bisanzio nei secoli VIII-IX d.C.,
proprio mentre iniziava lo sviluppo della galera mediterranea:
impiegata essenzialmente come nave da guerra dalle repubbliche marinare
italiane e da tutte le marine mediterranee fino al Cinquecento e oltre,
proliferò in molte derivazioni, anche mercantili; ebbe scafo allungato
e poppa rialzata, con uno o due alberi a vela latina (triangolare),
e i remi come propulsore per le manovre e i brevi percorsi. Attorno al
X secolo d.C. divennero famosi per le loro scorrerie nell'Europa del Nord
i vichinghi, le cui robuste navi in legno, con chiglia e ossatura trasversale,
ebbero la vela (di tipo quadro) come propulsore principale, forme affinate,
prora e poppa alte e arrotondate, remi laterali per timone, un albero.
La navigazione nei mari nordici aveva sviluppato nei vichinghi l'arte
di far vela anche con vento contrario; da loro, probabilmente, l'appresero
i marinai mediterranei. In quella stessa epoca si stava sviluppando, nei
mari dell'estremo Oriente e nel Pacifico, un'intensa attività marinara.
Indiani e cinesi costruivano navi e imbarcazioni assai simili alle attuali
giunche, in legno, a fondo piatto con poppa fortemente rialzata
e alberi attrezzati a vela (quadra, in stuoia). Non pare che le navi da
guerra si distinguessero sostanzialmente dalle mercantili. Poco ci è
noto delle canoe e dei catamarani con i quali i polinesiani
navigavano, in quei secoli, tra le isole del Pacifico: pare comunque che
si trattasse di piroghe in legno, munite di bilanciere, a remi o dotate
di albero e vela per le lunghe navigazioni. In Europa i progressi più
significativi si ebbero quando, a partire dalla fine del XIII secolo,
cominciò lo sviluppo della nave tonda: alta di bordo, con
prora e poppa rialzate per una migliore tenuta del mare e timone verticale
poppiero. Necessariamente propulsa a vela, in quanto troppo alta e pesante
per essere manovrata a remi, e adatta alle navigazioni d'alto mare anche
in condizioni meteorologiche avverse, si sviluppò al nord con la
cocca (che arrivò nei modelli più grandi a poter
imbarcare fino a mille persone), e in Mediterraneo con caratteristiche
abbastanza simili. Ebbe dapprima un albero a vela quadra, poi due (in
qualche caso a vele latine), e spesso un piccolo bompresso, alberetto
inclinato a prora estrema, che permetteva di migliorare il rendimento
dell'attrezzatura e che avrebbe avuto notevole sviluppo nei secoli successivi.
LE TRAVERSATE OCEANICHE. L'era delle scoperte impresse un continuo
sviluppo alla nave e all'arte del navigare. Lo sviluppo dei commerci oceanici
assunse rapidamente proporzioni imponenti, facendo passare in posizione
nettamente subordinata le rotte mediterranee e dando inizio alla decadenza
economica e politica delle potenze che, come le repubbliche marinare italiane,
si ritrovavano chiuse entro la porta di Gibilterra, praticamente tagliate
fuori dalle nuove vie commerciali. Soltanto l'apertura del canale di Suez,
nel 1869, avrebbe riportato il Mediterraneo al rango di via mondiale di
comunicazione. Spagnoli e portoghesi, presto imitati da tutte le marinerie
d'Europa, adottarono caracche e caravelle: navi tonde, nelle
quali si avvertiva l'influenza della cocca nordica, con tre alberi e bompresso
e velatura di svariate configurazioni (latina, quadra, mista). Nel Quattrocento
comparve sul bompresso una piccola vela quadra (civada), destinata
a stabilizzare la nave in rotta. Le dimensioni cominciarono a crescere:
dai venti-trenta metri delle caravelle, con dislocamento di una cinquantina
di tonnellate ed equipaggi di una ventina di persone o poco più,
ai trenta-quaranta metri di certe caracche cinquecentesche il cui dislocamento
superava le cinquecento tonnellate, con equipaggi di oltre duecento uomini
ai quali potevano aggiungersi centinaia di soldati. Verso la metà
del Cinquecento prese rapida diffusione il galeone, nella cui costruzione
divennero maestri gli inglesi, presto imitati da olandesi e spagnoli.
Lo scafo, più basso e stabile rispetto a quello della caracca benché
avesse inizialmente un dislocamento analogo, aveva ottime qualità
marine. L'attrezzatura somigliava a quella della caracca, ma parecchi
esemplari di galeoni ebbero anche quattro alberi (l'ultimo con vela latina).
Questi tipi di navi, che potevano servire ugualmente bene come mercantili
e come navi da guerra, determinarono una certa attenuazione delle differenze,
tanto più che normalmente i mercantili possedevano un armamento
d'artiglieria per difendersi da pirati e corsari. La complessità
ormai raggiunta dalle navi implicava uno studio preventivo da parte dei
costruttori; nel corso del XVII secolo vennero dunque compilati manoscritti
e libri sulla costruzione navale. Anche la strumentazione e le carte progredivano,
e la vela raggiunse proprio nei secoli XVII e XVIII il massimo sviluppo.
Il vascello da guerra e la sua imitazione mercantile, comunemente
denominata East indiamen (perché usata dalle Compagnie delle
Indie orientali per il trasporto di passeggeri e merci), toccarono livelli
altissimi di perfezione costruttiva: scafo alto e di forme ben avviate,
tre alberi a vele quadre con bompresso munito di una o due civade, dislocamenti
fino a quasi duemila tonnellate ed equipaggi di oltre settecento uomini.
Nello stesso periodo per le operazioni di esplorazione, scorta e caccia
si affermava la fregata, non adatta al combattimento di linea ma
veloce e maneggevole. Le linee di comunicazione marittime collegavano
ormai tutti i continenti con servizi regolari per passeggeri e una fitta
rete di trasporti merci, grandemente sviluppata dall'espansione coloniale
britannica e francese avvenuta fra il XVIII e il XIX secolo. Le particolari
esigenze del commercio oceanico (tipici quelli della lana e del tè)
indussero a costruire navi sempre più sicure e veloci, capaci inoltre
di offrire ai passeggeri elevati livelli di comfort. Ne derivarono, nell'Ottocento,
i celebri clipper, con scafo in legno, ma dalla seconda metà
del secolo anche in ferro, armati a vele quadre con tre o quattro alberi
oltre al bompresso munito di fiocchi (vele triangolari) e con una
randa (trapezoidale) all'ultimo albero; con dislocamenti prossimi
alle duemila tonnellate e una superficie velica che poteva raggiungere
gli 8000 m, sviluppavano eccezionali velocità anche superiori ai
16 nodi. Benché, dagli inizi dell'Ottocento, cominciasse ad affermarsi
la navigazione a vapore, le navi a vela furono in uso fino ai primi del
Novecento. Si costruirono anche navi minori, come il brigantino,
armato a vele quadre ma con due soli alberi e bompresso, che ebbe poi
numerose varianti, anche con tre alberi e vele miste. Le golette
ebbero inoltre grande diffusione, sia per la loro velocità e maneggevolezza,
sia per la praticità della loro attrezzatura: avevano infatti soltanto
vele auriche (trapezoidali) che si manovravano dal ponte di coperta
senza necessità di mandare i marinai sull'alberatura, e risultavano
particolarmente adatte a navigare contro vento; ne vennero costruite anche
con sette alberi, e il loro tipo di attrezzatura è alla base di
quella utilizzata, dopo l'affermazione del motore, nella navigazione da
diporto.
LA PROPULSIONE MECCANICA. Con il battello Clermont, di Robert
Fulton (1807) nacque la propulsione meccanica a vapore. Inizialmente si
trattò di macchine alternative con caldaia cilindrica alimentata
a legna o a carbone e ruote di propulsione laterali, successivamente sostituite
dall'elica poppiera. Dopo qualche decennio le piro, navi miste
a vele e vapore, scomparvero per lasciare il posto al piroscafo.
Dalla fine dell'Ottocento i progressi furono sempre più accelerati:
dal 1897 cominciarono a svilupparsi le turbine a vapore, più leggere
delle macchine alternative e più potenti; l'adozione delle caldaie
a tubi d'acqua e della nafta come combustibile, e successivamente lo sviluppo
dei motori diesel a combustione interna alimentati a gasolio, segnarono
un'evoluzione alla quale si accompagnavano intanto i progressi della radiofonia
e della strumentazione di bordo. Il naviglio mercantile si specializzò
secondo l'impiego, assumendo caratteristiche nettamente differenziate
rispetto alle navi da guerra. Si costruirono grandi transatlantici per
le linee passeggeri regolari sugli oceani, petroliere per il trasporto
di oli minerali, navi da carico secco, traghetti ferroviari, navi frigorifere,
rompighiaccio, navi fattoria per la lavorazione delle balene e molti altri
tipi di naviglio speciale. Dopo la seconda guerra mondiale la marina mercantile
si avvantaggiò di molti ritrovati del periodo bellico e, per effetto
delle nuove crescenti esigenze di traffico mondiale, ebbe un ulteriore
imponente sviluppo. Il traffico passeggeri, rapidamente assorbito dal
trasporto aereo a partire dagli anni Cinquanta, venne sostituito in qualche
misura dalla crociera, per la quale si costruirono grandi navi apposite.
All'enorme esigenza di trasporto degli oli minerali si rispose con la
costruzione di gigantesche petroliere. Contemporaneamente si svilupparono
numerosissimi tipi di navi specializzate. Nella costruzione navale si
ottennero riduzioni di costo e di tempo di lavorazione con la saldatura
elettrica degli scafi e la prefabbricazione, parallelamente a miglioramenti
tecnici dovuti a forme di carena ottimizzate per le velocità previste
nell'esercizio delle navi e all'adozione di acciai speciali e di leghe
leggere. La sicurezza della navigazione ebbe grandi contributi dall'elettronica,
ma la crescente dimensione delle navi e la pericolosità di carichi
come scorie nucleari, rifiuti tossici, petrolio, rese potenzialmente disastrosi
i sinistri, e particolarmente quelli nelle acque costiere; tra gli anni
Ottanta e Novanta del XX secolo si ebbero diversi casi di coste inquinate
dal carico di petroliere danneggiate, con forte impatto sull'ambiente,
gravi conseguenze economiche per le popolazioni e, non di rado, complicazioni
giuridiche internazionali. Fu scarsa, invece, l'applicazione della propulsione
nucleare, iniziata nel 1954 per scopi militari ma risultata poco economica
sul piano commerciale.
R. Nassigh
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