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Mediterraneo



MEDITERRANEO

Mare fra l'Europa meridionale, l'Africa settentrionale e l'Asia occidentale. Si può considerare ambiente mediterraneo lo spazio in cui crescono l'olivo e la palma, un'area attorno alla quale per molti secoli sono gravitate intrecciandosi e scontrandosi formazioni socioculturali diverse. Lo spazio si allarga ulteriormente se lo estendiamo a quello percorso dai fiumi che riversano le loro acque, o dalle genti che lungo essi si muovevano, in un'unica fossa, dando vita a fenomeni convergenti come le migrazioni o l'inquinamento. Questa fossa è segmentata in bacini quasi chiusi da stretti o creati da restringimenti delle masse emerse: bacini che per le popolazioni rivierasche divennero scenari domestici ben identificati come l'Adriatico per i veneziani o l'Egeo per le città-stato della Grecia. È un ambiente in cui il clima subisce influenze contrapposte: quella del Sahara arido dall'alito infuocato e quella dell'Atlantico portatore di masse umide e tempestose. Le terre che delimitano il Mediterraneo sono un'alternanza di montagne geologicamente giovani e scoscese e di pianure o abbassamenti in corrispondenza degli sbocchi fluviali: fiumi, spesso carichi di detriti, dal corso disordinato e lento perso in acquitrini (Rodano e Linguadoca, Po e frangia lagunare da Ravenna a Grado, delta danubiano, la grande maggioranza dei fiumi appenninici). Dall'incontro tra questo quadro ambientale e la lunga azione umana nacque e si consolidò nel tempo un paessaggio bello e fragile: in buona parte costruito a mano lungo le pendici intarsiate da terrazzamenti e scoli per coltivare l'olivo e la vite lontano dalla malaria delle basse quote e dalle coste approdo di forestieri forse nemici (normanni, arabi, turchi), oppure ricamato nelle pianure con un'impuntura di canali di scolo e irrigui (huertas di Valencia, margini del Nilo, orti siciliani). Un paesaggio frutto di un lavoro manuale espressione di complessi rapporti sociali di collaborazione fra individui e comunità. Accanto agli spazi cesellati si aprivano le grandi estensioni dominate dall'omogeneità del secolare latifondo cerealicolo, deserto di uomini e popolato di pecore che lungo le piste dei tratturi ricollegavano il piano e il monte nell'alternarsi delle stagioni. La fragile sistemazione, quando non sottoposta a costante manutenzione, era ed è destinata a sfaldarsi lungo le pendici, a scivolare a valle dilavata dall'erosione accelerata dal diboscamento che la domanda di legno per navi e altri usi (carbone, uso domestico e urbano ecc.) aveva reso precoce e duraturo. Le trasformazioni sociali successive al 1950-1970 hanno così posto un termine a un paesaggio secolare. Il Mediterraneo ha scritto lo storico Braudel è un insieme di vie marittime e terrestri collegate tra loro, e quindi di città che, dalle più modeste alle medie alle maggiori, si tengono tutte per mano. Strade e ancora strade, ovvero tutto un sistema di circolazione. La circolazione mediterranea fu una rete densa, prima costiera, di cabotaggio, poi a più distante raggio. Prima della nave a vapore era un movimento lento (due mesi a vela da Gibilterra a Istanbul, una settimana da Marsiglia ad Algeri), ma che mosse quantità infinite di uomini e merci attinti da coste vicine e da terre lontane. Una circolazione che aveva i suoi capisaldi in città come Alessandria, Gerusalemme, Atene, Roma, Costantinopoli, Venezia, che più che città sono state civiltà, universi compiuti. Ma tutto l'insediamento mediterraneo è urbano, con centri, spesso inerpicati sulle scoscese pendici montane, dove lo scambio culturale ed economico è stato costante. Aggregati di dimensioni diverse, di funzioni e decoro diverso hanno punteggiato l'intero Mediterraneo, per abbandonare dal 1960-1975 i luoghi più elevati o interni e colonizzare progressivamente i margini costieri con città dal crescente carico demografico (Algeri, Barcellona, Marsiglia, Roma, Napoli, Palermo, Il Cairo, Atene, Istanbul) e con centri minori, tutti dediti soprattutto all'industria. Questo vasto bacino per secoli ebbe un'influenza più vasta dei suoi confini geografici e su di esso si incontrarono, scontrarono, mescolarono l'occidente cristiano latino, la cultura islamica, la cristianità di Bisanzio. Con la caduta di Granada (1492) e la battaglia di Lepanto (1571) sembrava che la pressione orientale e islamica fosse infine espulsa dal Mediterraneo. Ma proprio allora esso perse il suo ruolo internazionale: il baricentro si spostò definitivamente dall'inizio del XVII secolo nell'Atlantico e il controllo dei traffici interni passò progressivamente in mano inglese (Gibilterra 1704, Malta 1800, Cipro 1878, Egitto con il canale di Suez 1882) mentre i grandi terminali asiatici entravano nell'influenza olandese e britannica. Nel secondo Ottocento il vivace traffico a vapore trasportava soprattutto emigrati in cerca di lavoro oltre Atlantico. Con la guerra fredda, fra il 1950 e 1985, le popolazioni rivierasche persero ancor più il controllo sul bacino, ormai spazio strategico di confronto delle superpotenze. Una merce sola, poi, dominava gli scambi: i combustibili fossili (petrolio e metano) da avviare verso il nord consumatore. Dal 1960-1970 infine le migrazioni dall'area islamica hanno assunto grandi dimensioni e di nuovo l'Europa cristiana ha cominciato a guardare con preoccupazione alla civiltà islamica che vive un forte dinamismo e preme con una diversa visione del mondo sul bacino del Mediterraneo.

T. Isenburg



F. Braudel, Il Mediterraneo, Bompiani, Milano 1987.