eXTReMe Tracker

matrimonio



MATRIMONIO

Unione di un uomo e di una donna legittimata dalle leggi civili o religiose o dalle consuetudini. Secondo i giuristi romani il matrimonio era un'istituzione fondata sul diritto naturale, definita come unione sessuale dell'uomo e della donna. In epoca repubblicana presupponeva la sottomissione della donna all'autorità (manus) di un uomo e si realizzava attraverso il trasferimento della patria potestas dal padre allo sposo, che veniva ad avere perciò sulla moglie un potere analogo a quello esercitato sui figli e sugli schiavi. Questo matrimonio, detto cum manu, fu progressivamente sostituito da quello libero (sine manu), fondato unicamente sul consenso degli sposi. Dalla formula del giureconsulto Ulpiano, secondo cui non è l'unione fisica che fa il matrimonio, ma il consenso, derivavano alcune importanti conseguenze. Il matrimonio non aveva bisogno di particolari formalità e non avevano effetti giuridici né i riti tradizionali che l'accompagnavano né il fidanzamento, perché in mancanza di una volontà chiaramente espressa non ci poteva essere alcun obbligo derivante da una promessa di matrimonio; l'età minima richiesta era quella ritenuta sufficiente per esprimere validamente il consenso, dodici anni per le donne e quattordici per gli uomini. Dal primato del consenso derivava inoltre la nullità del matrimonio fra schiavi o con una persona in condizione servile, dato che gli schiavi non avevano una volontà capace di dar luogo a relazioni giuridiche; infine, mentre nel matrimonio cum manu solo l'uomo poteva ripudiare la donna, il principio del consenso rendeva legittimo il divorzio consensuale e quello su iniziativa di uno dei due coniugi, cosa che avveniva senza bisogno dell'intervento dell'autorità pubblica.

NEL CRISTIANESIMO. La Chiesa cristiana riconosceva le unioni contratte secondo il diritto romano, avanzando però una propria visione etico-religiosa della vita matrimoniale. Benché gli scrittori cristiani affermassero il primato del celibato e della verginità, il matrimonio era ammesso come una concessione fatta a chi non sapeva vivere in castità, un male minore quindi rispetto alle sregolatezze della vita sessuale (da qui la formula remedium concupiscentiae). Questa posizione si trova già in san Paolo, che nella lettera ai Corinzi scrisse è meglio sposarsi che bruciare, esprimendo tuttavia anche una visione ben diversa nella lettera agli Efesini, dove il matrimonio fu presentato come un simbolo dell'unione di Cristo con la chiesa. Dopo l'editto di Milano (313) la chiesa sollecitò alcune modifiche al diritto vigente, in particolare l'introduzione del divieto di divorzio e di secondo matrimonio dei vedovi, ma fu solo nel 542 che l'imperatore Giustiniano ridusse i motivi legittimi di divorzio unilaterale e soppresse quello consensuale, reintrodotto però nel 566 dal suo successore Michele III.

IL MATRIMONIO MEDIEVALE. La chiesa sostanzialmente accettò le regole del diritto germanico in materia matrimoniale, benché fossero completamente diverse da quelle del diritto romano, dal momento che non riconoscevano alcuna autonomia alla volontà degli sposi. Il matrimonio germanico avveniva in due tappe: la prima, la desponsatio, era costituita da un contratto stipulato dalle famiglie degli sposi nel quale il potere sulla donna (mundio) era trasferito dal padre al futuro marito, che in cambio pagava una dote al padre della sposa (nel diritto romano era invece quest'ultimo a costituire una dote per la figlia); in un secondo momento seguivano le nuptiae, che si concludevano con la traditio puellae, l'accompagnamento della sposa nella camera nuziale. Per lungo tempo invece la chiesa si oppose soprattutto a due aspetti del diritto germanico, lo scioglimento delle famiglie per ripudio o divorzio consensuale e il concubinato con mogli di grado inferiore, ammesso accanto al matrimonio principale (Carlo Magno arrivò ad avere fino a quattro concubine). Nel frattempo la chiesa riconsiderava la propria visione della vita matrimoniale e nell'866, con una lettera di papa Niccolò I, affermò per la prima volta il fondamento consensuale del matrimonio, che impose solo nell'XI-XII secolo. Durante i secoli VII-XI il principale obiettivo della chiesa fu quello di allargare la nozione di incesto. Il diritto romano vietava il matrimonio fra consanguinei, ma la chiesa estese la consanguineità fino al settimo grado, computato secondo il modo germanico (si contano solo i gradi ascendenti per arrivare all'antenato comune) e non secondo quello romano (si contano anche i gradi discendenti): per conseguenza i figli di due cugini erano parenti di terzo grado (e non di sesto, come nel computo romano) e il loro matrimonio era un incesto grave. I capitolari carolingi affidarono al clero il compito di indagare sull'eventuale consanguineità fra sposi e la chiesa si assunse il potere di separare gli sposi incestuosi, dichiarando nullo il matrimonio. Ma la chiesa andò perfino oltre, parificando l'affinità alla parentela. Il ruolo giuridico che il clero si era così assunto si venne col tempo fondendo con la vecchia pratica della benedizione degli sposi. Non appena la dottrina del consenso e quella della natura sacramentale del matrimonio si furono affermate fra teologi, giuristi e papi, il vero matrimonio cessò di essere la desponsatio contrattata tra le famiglie, diventando la cerimonia religiosa nella quale il prete, dopo aver indagato sui rapporti di consanguineità, doveva accertare negli sposi l'esistenza di una libera volontà presente. Il matrimonio divenne così materia di diritto canonico e la raccolta del canonista Graziano (1140 ca) definì il matrimonio come l'unione dell'uomo e della donna che fonda tra loro una comunità di vita. Mentre fra teologi e canonisti restava aperto il dibattito sul rapporto fra dottrina del consenso ed effettiva unione sessuale (il matrimonio rato, cioè valido secondo le leggi canoniche, ma non consumato rientrava tra quelli annullabili), il concilio Laterano IV (1215) apportava una fondamentale innovazione abbassando dal settimo al quarto grado il divieto per consanguineità o affinità.

LA SISTEMAZIONE CONTRORIFORMISTA. La Chiesa cattolica introdusse una nuova sistemazione della materia matrimoniale solo con il concilio di Trento. Nella XXIV sessione (novembre 1563) il concilio definì solennemente la natura sacramentale del matrimonio, condannando le dottrine protestanti che l'avevano invece negata. Lutero aveva riaffermato l'origine divina del matrimonio, ma aveva anche sostenuto che esso era stato istituito non in rapporto al problema della salvezza, bensì in rapporto all'ordine naturale dei rapporti umani e quindi non era un sacramento. Di conseguenza Lutero reinserì il matrimonio nel diritto civile, ammettendo in alcuni casi il divorzio, e giudicò illegittimo tutto ciò che si opponeva all'unione dell'uomo e della donna, dalla definizione troppo larga di incesto al celibato imposto al clero e alle monache. Oltre a condannare queste tesi protestanti, il concilio di Trento riaffrontò la questione dei matrimoni clandestini, celebrati fra parti consenzienti ma senza la dovuta pubblicità, già proibiti dal concilio Laterano IV. Con una formulazione contorta che non ottenne il voto unanime dei padri, il concilio di Trento riaffermava la dottrina classica (solo i matrimoni celebrati con consenso degli sposi sono veri matrimoni) e condannava chi affermava la nullità dei matrimoni celebrati senza il consenso dei genitori; allo stesso tempo minacciava la nullità per quelli contratti senza il rispetto delle forme di pubblicità. Il decreto del concilio fu giudicato in Francia contrario alla legislazione vigente e, non potendo essere espressamente rifiutato, non venne mai pubblicato. Perciò in diverse occasioni, fra il 1579 e il 1730, le ordinanze reali imposero l'esplicito consenso dei genitori per gli uomini con meno di trent'anni e le donne con meno di venticinque e parificarono al rapimento (che comportava fino alla pena di morte) i matrimoni clandestini. Mentre il matrimonio civile si affermava nei paesi protestanti (alcuni dei quali, come la Prussia, accoglievano il divorzio), in quelli cattolici restò di competenza del diritto canonico fino alla Rivoluzione francese. Il decreto del settembre 1792 consegnava in Francia al diritto civile la materia matrimoniale, aboliva il consenso dei genitori e gli impedimenti canonici e introduceva il divorzio. Il codice civile napoleonico, che venne via via esteso a gran parte dell'Europa, ristabilì il potere del padre sui figli ed estese quello del marito sulla moglie, ma non toccò il principio del matrimonio civile. Questo finì per diventare generalizzato nell'Europa del XIX secolo e fu reintrodotto anche in Italia con il codice civile del 1865, ma i Patti lateranensi del 1929 istituirono un doppio regime, riconoscendo effetti civili ai matrimoni celebrati secondo il rito cattolico.

S. Guarracino



G. Duby, Il cavaliere, la donna e il prete, Laterza, Bari-Roma 1982; J. Gaudemet, Il matrimonio in Occidente, Sei, Torino 1987; Ch. N.L. Brooker, Il matrimonio nel Medioevo, Il Mulino, Bologna 1992.