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LEGUMI
Frutti delle leguminose quali il fagiolo, il cece,
il pisello, la fava, la soia, il lupino, la lenticchia, la veccia, l'arachide
e la cicerchia, costituiti da baccelli divisi in due valve contenenti
semi commestibili; il termine indica anche questi semi usati per l'alimentazione
umana e animale. Salvo il fagiolo e l'arachide, provenienti dall'America,
e la soia, originaria dell'estremo Oriente, sono tutti originari del bacino
del Mediterraneo e del vicino Oriente e in questi territori sono coltivati
da migliaia di anni. Resti di piselli risalenti a circa settemila anni
prima di Cristo sono stati rinvenuti in Ucraina, lupini e lenticchie in
tombe faraoniche della XII dinastia; attorno a un piatto di lenticchie
ruota la storia biblica di Esaù. Le fave erano oggetto di un fortissimo
tabù da parte della casta sacerdotale egizia e della scuola pitagorica
greca, essendo associate, come del resto tutti i legumi, al mondo dei
morti e a pratiche esoteriche: l'unione dei due cotiledoni all'interno
di un solo involucro suggeriva infatti il concetto della complementarietà
tra la vita esterna (essoterica) e la vita nascosta (esoterica)
e, secondariamente, quello della continuità tra la vita e la morte.
L'elevato valore energetico e la capacità di resistere, una volta
essiccati, a lunghi periodi di conservazione, diedero ai legumi fin dall'antichità
un ruolo di assoluta centralità nell'alimentazione umana: tanto
gli antichi popoli mediterranei quanto quelli dell'America precolombiana,
della Cina e del sudest asiatico avevano verificato come l'associazione
tra legumi, cereali e una piccola quantità di sostanza grassa,
vegetale o animale, realizzasse un modello completo capace di surrogare
la mancanza di carne caratteristica delle società agricole improntate
all'autoconsumo. Essi coltivavano dunque i legumi secondo criteri orticoli
e ne consumavano i semi sia crudi (fave e lupini) che cotti, da soli,
conditi con aceto, come consigliava Catone, o mischiati in rustiche pulmentaria
(minestre) assieme al grano, al farro o all'orzo e insaporite con grasso
di maiale. I semi secchi venivano macinati e la farina prodotta era utilizzata
in mistura per la panificazione o per ricavarne pappe, puls (polente)
e, con la farina di fave, il maccus, anch'esso una sorta di polenta,
così diffuso da dare il nome al personaggio dello sciocco mangione
nella commedia atellana. Si ritiene che le lenticchie fossero il cibo
più diffuso nella Roma imperiale per l'alimentazione del popolo
e degli schiavi. Il consumo era così alto da richiedere continue
importazioni dall'Egitto e da attirare l'attenzione dei naturalisti e
degli scrittori georgici. Tra il I secolo a.C e il I d.C. Varrone, Plinio
e Columella testimoniano di tale predilezione e descrivono l'impiego delle
piante divelte, dopo il raccolto di lupini e piselli, nel sovescio, per
l'arricchimento del terreno. Dall'alto Medioevo, prima della messa a punto
di sistemi complessi di rotazione agricola a partire dal XII secolo, le
leguminose furono coltivate in campo aperto assieme ai cereali per sfruttare
al meglio la loro capacità di fissare nel terreno l'azoto elementare
e di restituire così fertilità al terreno. Il prodotto era
destinato in prevalenza al consumo della famiglia coltivatrice ma faceva
parte del regime alimentare di tutti gli strati sociali. Solo dopo il
XIII secolo, col rinascere della vita comunale e la costituzione di un
ceto urbano, la coltivazione dei legumi si estese e il prodotto degli
orti e dei campi suburbani trovò collocazione sui mercati cittadini.
Fu questo il periodo di maggior diffusione della fava, considerata, fino
al XV secolo, il migliore tra i legumi in ragione del suo alto rendimento.
Tale prevalenza diminuì progressivamente nei secoli successivi
fino all'Ottocento quando, soppiantata dalle nuove specie di fagiolo introdotte
dall'America, la fava scomparve quasi del tutto dalle tavole dei ricchi
e diminuì sensibilmente la sua presenza su quelle popolari, diventando
soprattutto foraggio per i bovini al pari di leguminose minori come la
veccia e l'erba medica. Fatta eccezione per i piselli, la grande gastronomia
del XIX e del XX secolo non mostrò apprezzamento per i legumi,
che rimasero invece legati alle cucine regionali e a particolari momenti
del calendario, principalmente le vigilie. Il rilancio di un'alimentazione
povera di grassi animali e ricca di fibre, di carboidrati e di proteine
vegetali, nel quadro della cosiddetta dieta mediterranea, portò
dopo il 1970 a una ripresa del consumo di legumi; crebbe così in
maniera consistente l'industria conserviera, in grado di distribuire per
tutto l'arco dell'anno, oltre ai tradizionali legumi secchi, quelli in
scatola o surgelati, cotti o pronti per la cottura.
R. Nistri
M. Montanari, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari
1988; O. Bevilacqua, G. Mantovano, Laboratori del gusto, Sugarco,
Milano 1982. |
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