Le Mille e Una Notte Storia di Badr Principe di Persia e della Principessa Giawara Figlia del Re As Samandal

 

 

    

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Le Mille e Una Notte Storia di Badr Principe di Persia e della Principessa Giawara Figlia del Re As Samandal Classici Cultura - Indice

LE MILLE E UNA NOTTE - STORIA DELLA PRINCIPESSA GIULNAR LA MARINA

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LE MILLE E UNA NOTTE - STORIA DI BADR PRINCIPE DI PERSIA E DELLA PRINCIPESSA GIAWHARA FIGLIA DEL RE AS SAMANDAL

La Persia è un paese così vasto, che non fa meraviglia se i suoi re portano il superbo titolo di «Re dei Re». Uno di questi sovrani regnava da molti anni con una felicità e una tranquillità che lo rendevano il più soddisfatto di tutti i monarchi. Vi era una sola cosa per cui si considerava sfortunato: era molto avanzato negli anni, e nessuna di tutte le sue mogli gli aveva dato un erede che potesse succedergli dopo la sua morte. Egli aveva più di cento mogli tutte alloggiate magnificamente, e separatamente, con delle schiave per servirle, e degli eunuchi per custodirle: ma nonostante tutte queste cure per renderle contente e prevenire ogni loro desiderio, nessuna lo appagava. Gliene conducevano da tutti i paesi e non si contentava di pagarle a caro prezzo, ma appena gli piacevano, colmava i mercanti di denari, di onori e di benedizioni per attirarne altre, nella speranza che alla fine avrebbe avuto un figlio. Non vi erano buone opere che egli non facesse per impietosire il cielo, dando elemosine immense ai poveri, grandi doni ai più devoti della sua religione, e istituendo nuove fondazioni per ottenere dalle loro preghiere quanto desiderava così ardentemente. Un giorno in cui teneva l'assemblea dei suoi cortigiani, a cui partecipavano tutti gli ambasciatori e gli stranieri importanti che si trovavano alla sua corte, conversando di scienza, di storia, di letteratura, di poesia e d'ogni altra cosa capace di sollecitare lo spirito, un eunuco venne ad annunziargli che un mercante proveniente da un lontanissimo paese chiedeva di essere ricevuto per mostrargli una schiava che aveva portato con sé. «Che lo si faccia entrare e sedere», disse il re, «gli parlerò dopo l'assemblea.» Il mercante venne fatto sedere in un luogo da cui poteva vedere il re a suo agio e sentirlo parlare familiarmente con quelli che erano più vicini a lui. Il re usava comportarsi così con tutti gli stranieri che dovevano parlargli, e lo faceva di proposito, perché si abituassero a vederlo e, vedendolo parlare familiarmente con bontà gli uni e gli altri, imparassero a parlargli nello stesso modo, senza lasciarsi intimidire dallo splendore e dalla grandezza da cui era circondato. Si comportava ugualmente anche con gli ambasciatori. Dapprima mangiava con loro, e, durante il pasto, si informava della loro salute, del loro viaggio, del loro paese, e soltanto dopo dava loro udienza. Quando l'assemblea terminò, e tutti si furono ritirati, il mercante si prostrò davanti al trono del re e gli augurò che tutti i suoi desideri si avverassero. Appena si fu alzato, il re gli domandò se era vero che gli aveva condotto una schiava come gli era stato detto, e se era bella. «Sire», rispose il mercante, «non dubito che la maestà vostra non ne abbia di bellissime: ma posso assicurarvi, senza timore di errare, che nessuna può reggere il confronto con la mia, se si considera la sua bellezza, la sua bella statura, la sua grazia e tutte le perfezioni che ha avute in dono dalla natura.» «Dov'è?», chiese il re, «conducetemela!» «Sire», rispose il mercante, «l'ho lasciata tra le mani di un ufficiale dei vostri eunuchi; la maestà vostra può comandare che la si faccia venire.» Venne condotta la schiava, e appena il re la vide se ne innamorò appassionatamente, e chiese al mercante a quanto volesse venderla. «Sire», rispose questi, «io ho dato mille dinàr a quello che me l'ha venduta, e certo ne ho sborsati altrettanti da tre anni che sono in viaggio per giungere alla vostra corte. Mi guarderei bene dal venderla per danaro ad un gran monarca par vostro; supplico la maestà vostra di riceverla in dono, se la gradisce.» «Ti sono riconoscente», disse il re, «ma non sono solito trattare in tal modo con i mercanti che vengono da tanto lontano per farmi piacere. Ti farò contare diecimila dinàr, sei contento?» «Sire», rispose il mercante, «io mi sarei stimato felicissimo se vostra maestà avesse voluto accettarla per niente; ma non oserei rifiutare una così grande liberalità, che non mancherò di far conoscere nel mio paese ed in tutti quelli per i quali passerò.» La somma gli fu versata, e prima che partisse il re lo fece vestire in sua presenza di un abito di broccato d'oro. Il re fece assegnare alla bella schiava il più bell'appartamento dopo il suo, e le diede parecchie matrone ed altre schiave per servirla, con l'ordine di farle prendere il bagno, di vestirla con l'abito più bello che potessero trovare, e di farle portare le più belle collane di perle, i diamanti più fini, ed altre pietre preziose, perché potesse scegliere quello che più le piacesse. Le matrone, non avendo altro desiderio che di piacere al re furono esse stesse meravigliate della bellezza della schiava.

 

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Siccome se ne intendevano, dissero al re: «Sire, se la maestà vostra ha la pazienza di aspettare tre giorni noi c'impegniamo a renderla tanto più bella di ora, che non la riconoscerà più!». Il re ebbe molta pena di privarsi per tanto tempo del piacere di possederla interamente, ma accettò. «D'accordo», disse, «ma a condizione che manteniate la vostra promessa.» La capitale del regno di Persia era situata su un'isola e il palazzo del re, molto bello, era costruito in riva al mare; dall'appartamento del re si godeva quindi una magnifica vista e lo stesso dicasi per quello della schiava, che non era lontano. La vista era tanto più bella in quanto sembrava che le onde del mare venissero a frangersi contro la muraglia. Dopo tre giorni la bella schiava, vestita e ornata magnificamente stava sola nella sua camera, seduta sopra un sofà e appoggiata a una delle finestre che guardavano sul mare, quando il re, avvertito che poteva vederla, entrò. La schiava, sentendo qualcuno camminare nella sua camera con passo assai diverso da quello delle donne che l'avevano servita fino allora, volse subito il capo per vedere chi fosse. Riconobbe il re: ma non mostrò la minima sorpresa, e nemmeno si alzò per riverirlo e riceverlo; ma come se fosse stata una persona qualunque si rimise alla finestra come prima. Il re di Persia fu assai meravigliato nel vedere che quella schiava così bella e così ben fatta, conoscesse così poco le regole dell'educazione. Attribuì questa mancanza alla cattiva educazione che le era stata impartita ed alle poche cure prese per insegnarle almeno i primi elementi della buona creanza. Avanzò verso di lei fino alla finestra, ed ella, nonostante la freddezza con cui lo aveva ricevuto, si lasciò guardare, ammirare e anche accarezzare quanto lui desiderò. Tra una carezza e l'altra, il monarca si arrestava per guardarla, o meglio per divorarla con gli occhi, esclamando: «Mia bella, mia cara, mia leggiadra, mia mirabile amica! Ditemi, vi prego, da dove venite, e chi sono il padre fortunato e la madre fortunata che hanno messo al mondo un capolavoro tanto sorprendente quanto voi? Vi amo tanto e molto vi amerò! Non mai ho provato per un'altra donna quello che provo per voi: ne ho vedute molte e ne vedo ancora un gran numero tutti i giorni, pure non ho mai visto tante grazie riunite in una sola persona, ed esse mi strappano a me stesso per darmi tutto a voi. Cuor mio», aggiunse, «non mi fate capire neanche con un cenno che siete sensibile alle dimostrazioni del mio immenso amore. Non volgete nemmeno gli occhi per dare ai miei il piacere d'incontrarli e convincervi che non si può amare più di quanto vi amo. Perché non rompete questo silenzio che mi agghiaccia? Perché siete così seria, o piuttosto così triste? Siete forse addolorata per aver lasciato il vostro paese, i vostri parenti, i vostri amici? E che! Un re di Persia che vi ama, che vi adora, non può forse consolarvi e sostituire ogni altro affetto?». Ma, malgrado tutte le proteste d'amore del re di Persia, e di quanto poté dirle per indurla ad aprire bocca e a parlare, lei conservò la sua freddezza sorprendente, con gli occhi sempre bassi, senza alzarli per guardarlo, e senza profferire una sola parola. Il re di Persia, lieto d'aver fatto un acquisto così soddisfacente, non volle annoiarla oltre, sperando che il buon trattamento sarebbe riuscito a farle cambiare contegno. Batté le mani e subito entrarono alcune donne, cui comandò di far servire la cena. Appena fu pronta, egli disse alla schiava: «Cuor mio, avvicinatevi e venite a cenare con me!». Ella si alzò dal luogo in cui stava, e si sedette di fronte al re, che la servì personalmente. La schiava mangiò, ma sempre con gli occhi bassi, e senza rispondere quando le domandava se le vivande le piacevano. Per cambiare discorso il re le domandò come si chiamasse, se fosse contenta delle sue nuove vesti e delle pietre preziose di cui era ornata, che cosa pensasse del suo appartamento e dell'arredamento, e se lo spettacolo del mare le desse piacere. Ma lei mantenne lo stesso silenzio, il re non sapeva più che pensare. «Che sia muta?», diceva tra sé. «E' possibile che Dio abbia fatto una creatura così bella, così perfetta, così garbata, con un simile difetto? Ma anche se ciò fosse, non potrei non amarla.» Quando il re si alzò da tavola, si lavò le mani da un lato mentre la schiava se le lavava dall'altro. Colse questa occasione per chiedere alle donne, che gli presentavano il catino se l'avessero udita parlare.

 

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Quelle gli risposero: «Sire, noi l'abbiamo udita parlare quanto la maestà vostra; l'abbiamo pettinata e vestita nella sua camera, e non ha mai aperto bocca per dirci: "così va bene, sono contenta". Noi le domandavamo: "Signora, avete bisogno di nulla? Desiderate qualche cosa? Chiedete, comandateci". Ma, non sappiamo se per disprezzo, dolore, stoltezza, o perché sia muta, non abbiamo potuto ottenere da lei una sola parola: questo è quanto possiamo dire alla maestà vostra». Il re di Persia fu ancor più sorpreso udendo questo discorso. Credendo che la schiava potesse avere qualche motivo di afflizione, volle tentare di distrarla, e a questo scopo riunì tutte le donne del palazzo. Esse vennero, e quelle che sapevano suonare strumenti, li suonarono, le altre cantarono e ballarono, o fecero l'uno e l'altro insieme, e giocarono infine a diversi giochi, che divertirono il re. La schiava soltanto non prese parte a quei divertimenti, restando al suo posto con gli occhi sempre bassi e con una tranquillità, che stupì tutte le donne. Esse si ritirarono ciascuna nel proprio appartamento, e il re restò con la bella schiava per tutta la notte. L'indomani il re di Persia si alzò più soddisfatto di quanto non fosse mai stato e più innamorato della bella schiava che il giorno prima. E lo mostrò dedicandosi unicamente a lei. A questo fine congedò tutte le altre donne con i ricchi abiti, le pietre preziose e i gioielli che avevano per loro uso, e a ciascuna diede una grossa somma di denaro, lasciandole libere di maritarsi con chi volessero, trattenendo soltanto le matrone e altre donne in età avanzata che erano necessarie per stare con la bella schiava. Essa non gli dette la consolazione di dirgli una buona parola per tutto un anno: nonostante ciò lui non cessò dall'essere assiduo presso di lei con tutte le cortesie possibili, dandole le più chiare prove di una passione violentissima. Un anno era trascorso, e il re, seduto un giorno presso la sua bella, le ripeteva che il suo amore invece di diminuire, diventava ogni giorno più forte. «Regina mia», le diceva, «io non posso indovinare ciò che voi ne pensiate, ma vi garantisco che è assolutamente vero; vi giuro che non desidero niente altro dacché ho la felicità di possedervi. Io giudico che il mio regno, ad onta di tutta la sua grandezza, valga meno d'un atomo quando vi vedo e posso dirvi mille volte che vi amo. Non pretendo che le mie parole vi obblighino a crederlo: ma non potete dubitarne considerando il sacrificio che ho fatto alla vostra bellezza licenziando le molte donne che avevo nel mio palazzo. Dovreste ricordarvene: giusto un anno fa le ho rimandate tutte, e me ne pento tanto poco ora, quanto non me ne pentii allora, quando cessai di vederle, e non me ne pentirò mai. Nulla mancherebbe alla mia soddisfazione, alla mia contentezza ed alla mia gioia, se mi diceste una sola parola per provarmi che mi siete grata. Ma come potreste farlo se siete muta? E ormai sono persuaso che lo siate. E come potrebbe essere altrimenti, se da un anno vi prego mille volte al giorno di parlarmi, e voi mantenete questo silenzio che mi addolora tanto? Ma se non è possibile che io ottenga da voi questa consolazione, faccia almeno il cielo che mi diate un figlio per succedermi dopo la mia morte. Io mi sento invecchiare ogni giorno, e ora avrei bisogno di averne uno che mi aiutasse a sostenere il grave peso della mia corona. Ritorno al gran desiderio che ho di sentirvi parlare, perché qualcosa in me mi dice che non siete muta. Di grazia, signora», concluse dopo una breve pausa, «rompete quest'ostinato silenzio, ve ne scongiuro! Ditemi una sola parola, e dopo non m'importerà più di morire!...» A questo discorso la bella schiava, che secondo il suo costume aveva ascoltato il re con gli occhi bassi, e dando l'impressione non solo di essere muta, ma anche di non aver mai riso in vita sua, si mise a sorridere. Il re di Persia se ne accorse con una sorpresa che lo fece uscire in una esclamazione di gioia, e poi rimase in attesa perché aveva intuito che lei stava per parlare. La bella schiava ruppe finalmente il lungo silenzio. «Sire, ho tante cose da dire alla maestà vostra ora che ho rotto il silenzio, che non so da dove cominciare. Credo nondimeno che sia doveroso cominciare col ringraziarvi di tutti i favori e di tutti gli onori di cui mi avete colmata, e di domandare al cielo che vi faccia prosperare, che allontani le cattive intenzioni dei vostri nemici, e che non permetta che moriate ora che mi avete udito parlare, ma vi conceda una lunga vita. Dopo ciò, sire, io posso darvi una grandissima soddisfazione annunciandovi la mia gravidanza, e auguro che sia un maschio. Senza la mia gravidanza (supplico la maestà vostra di non aversela a male per la mia sincerità) ero risoluta a non amarvi e a mantenere il silenzio perpetuo: ma ora io vi amo quanto devo.»

 

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Il re di Persia, lieto d'aver udito parlare la bella schiava e per annunciargli una notizia che tanto gli stava a cuore, l'abbracciò teneramente, dicendole: «Luce degli occhi miei, non potevo ricevere una più grande gioia di quella con cui mi colmate. Voi mi avete parlato e mi avete annunciata la vostra gravidanza! Non sto più in me dalla gioia dopo questi due motivi di letizia, che non mi aspettavo davvero». Nel suo entusiasmo il re di Persia non disse altro alla bella schiava, e la lasciò ma in modo da farle capire che sarebbe ritornato. Volendo che la sua gioia fosse resa pubblica, l'annunciò ai suoi ufficiali e fece chiamare il suo gran visir, e non appena fu giunto gli dette l'ordine di distribuire centomila dinàr agli ospedali e ai poveri per rendere grazie al cielo. Dato quest'ordine, il re di Persia ritornò dalla bella schiava e le disse: «Signora, scusatemi se vi ho lasciata così bruscamente, per un motivo che voi ben conoscete e di cui parleremo poi. Ora voglio sapere una cosa molto più importante. Ditemi, ve ne supplico, anima cara, quale motivo avete avuto per vedermi, ascoltarmi parlare, mangiare e dormire con me ogni giorno, per tutto un anno e, con irremovibile costanza, non soltanto mantenere il silenzio, ma addirittura tenere un contegno che non lasciava vedere che comprendevate e molto bene quanto vi dicevo?». Per soddisfare la curiosità del re la bella donna rispose: «Sire, essere schiava, essere lontana dal proprio paese, aver perduto la speranza di ritornarvi mai più, avere il cuore addolorato per essere stata separata per sempre da mia madre, da mio fratello, dai miei congiunti e da quelli che conoscevo, non sono queste ragioni sufficienti per aver tenuto il silenzio che la maestà vostra trova così strano? L'amore della patria non è meno naturale dell'amore per il proprio padre, e la perdita della libertà riesce insopportabile a chiunque non sia così sprovveduto di buon senso da non saperne valutare il prezzo. Il corpo può essere assoggettato all'autorità di un padrone che ha in mano forza e potenza, ma la volontà non può essere dominata, perché appartiene sempre a se stessa: la maestà vostra ne ha veduto un esempio nella mia persona». «Signora», rispose il re di Persia, «sono persuaso di quanto mi dite: ma credevo che una persona bella, ben fatta, di buon senso e di spirito come voi, che per cattiva sorte è diventata schiava, dovesse stimarsi fortunata di trovare un re per signore.» «Sire», soggiunse la bella schiava, «quantunque io sia vostra schiava, come ho già detto alla maestà vostra, un re non può appropriarsi della volontà. Nondimeno siccome parlate di una schiava capace di piacere ad un monarca e di farsi amare da lui, se la schiava è di condizione molto inferiore, voglio credere che possa stimarsi felice nella sua sciagura. Quale felicità, tuttavia! Ella non cesserà di considerarsi una schiava strappata dalle braccia della madre e del padre, e forse d'un amante che non cesserà d'amare per tutta la vita. Ma se ella stessa non è in nulla inferiore al re che l'ha acquistata, giudicate voi stesso del rigore della sua sorte, della sua miseria, della sua afflizione, del suo dolore e di che cosa può essere capace.» Il re di Persia stupito da questo discorso esclamò: «Come, signora, sarebbe possibile, come mi lasciate intendere, che scorra nelle vostre vene sangue reale? Rispondete, di grazia, e non aumentate la mia impazienza. Ditemi chi è il padre fortunato e la madre fortunata d'un tale prodigio di bellezza, chi sono i vostri fratelli, e le vostre sorelle, i vostri parenti e soprattutto ditemi come vi chiamate».

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