La Divina Commedia di Dante Alighieri Purgatorio Canto XXV.

La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l'individuo in condizione di fare a meno di essa.
(Ernesto Codignola)

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LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (PURGATORIO) - CANTO XXV

Ora era onde 'l salir non volea storpio;
ché 'l sole avëa il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio: (3)

per che, come fa l'uom che non s'affigge
ma vassi a la via sua, che che li appaia,
se di bisogno stimolo il trafigge, (6)

così intrammo noi per la callaia,
uno innanzi altro prendendo la scala
che per artezza i salitor dispaia. (9)

E quale il cicognin che leva l'ala
per voglia di volare, e non s'attenta
d'abbandonar lo nido, e giù la cala; (12)

tal era io con voglia accesa e spenta
di dimandar, venendo infino a l'atto
che fa colui ch'a dicer s'argomenta. (15)

Non lasciò, per l'andar che fosse ratto,
lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca
l'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto». (18)

Allor sicuramente apri' la bocca
e cominciai: «Come si può far magro
là dove l'uopo di nodrir non tocca?». (21)

«Se t'ammentassi come Meleagro
si consumò al consumar d'un stizzo,
non fora», disse, «a te questo sì agro; (24)

e se pensassi come, al vostro guizzo,
guizza dentro a lo specchio vostra image,
ciò che par duro ti parrebbe vizzo. (27)

Ma perché dentro a tuo voler t'adage,
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
che sia or sanator de le tue piage». (30)

«Se la veduta etterna li dislego»,
rispuose Stazio, «là dove tu sie,
discolpi me non potert' io far nego». (33)

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Poi cominciò: «Se le parole mie,
figlio, la mente tua guarda e riceve,
lume ti fiero al come che tu die. (36)

Sangue perfetto, che mai non si beve
da l'assetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve, (39)

prende nel core a tutte membra umane
virtute informativa, come quello
ch'a farsi quelle per le vene vane. (42)

Ancor digesto, scende ov' è più bello
tacer che dire; e quindi poscia geme
sovr' altrui sangue in natural vasello. (45)

Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
l'un disposto a patire, e l'altro a fare
per lo perfetto loco onde si preme; (48)

e, giunto lui, comincia ad operare
coagulando prima, e poi avviva
ciò che per sua matera fé constare. (51)

Anima fatta la virtute attiva
qual d'una pianta, in tanto differente,
che questa è in via e quella è già a riva, (54)

tanto ovra poi, che già si move e sente,
come spungo marino; e indi imprende
ad organar le posse ond' è semente. (57)

Or si spiega, figliuolo, or si distende
la virtù ch'è dal cor del generante,
dove natura a tutte membra intende. (60)

Ma come d'animal divegna fante,
non vedi tu ancor: quest' è tal punto,
che più savio di te fé già errante, (63)

sì che per sua dottrina fé disgiunto
da l'anima il possibile intelletto,
perché da lui non vide organo assunto. (66)

Apri a la verità che viene il petto;
e sappi che, sì tosto come al feto
l'articular del cerebro è perfetto, (69)

lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant' arte di natura, e spira
spirito novo, di vertù repleto, (72)

che ciò che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un'alma sola,
che vive e sente e sé in sé rigira. (75)

E perché meno ammiri la parola,
guarda il calor del sol che si fa vino,
giunto a l'omor che de la vite cola. (78)

Quando Làchesis non ha più del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l'umano e 'l divino: (81)

l'altre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto più che prima agute. (84)

Sanza restarsi, per sé stessa cade
mirabilmente a l'una de le rive;
quivi conosce prima le sue strade. (87)

Tosto che loco li la circunscrive,
la virtù formativa raggia intorno
così e quanto ne le membra vive. (90)

E come l'aere, quand' è ben piorno,
per l'altrui raggio che, 'n sé si reflette,
di diversi color diventa addorno; (93)

così l'aere vicin quivi si mette
e in quella forma ch'è in lui suggella
virtualmente l'alma che ristette; (96)

e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco là 'vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella. (99)

Però che quindi ha poscia sua paruta,
è chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta. (102)

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Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e' sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi. (105)

Secondo che ci affliggono i disiri
e li altri affetti, l'ombra si figura;
e quest' è la cagion di che tu miri». (108)

E già venuto a l'ultima tortura
s'era per noi, e vòlto a la man destra,
ed eravamo attenti ad altra cura. (111)

Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra; (114)

ond' ir ne convenia dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temëa 'l foco
quinci, e quindi temeva cader giuso. (117)

Lo duca mio dicea: «Per questo loco
si vuol tenere a li occhi stretto il freno.
però ch'errar potrebbesi per poco». (120)

'Summae Deus clementiae' nel seno
al grande ardore allora udi' cantando
che di volger mi fé caler non meno; (123)

e vidi spirti per la fiamma andando;
per ch'io guardava a loro e a' miei passi,
compartendo la vista a quando a quando. (126)

Appresso il fine ch'a quell' inno fassi,
gridavano alto: 'Virum non cognosco';
indi ricominciavan l'inno bassi. (129)

Finitolo, anco gridavano: «Al bosco
si tenne Diana, ed Elice caccionne
che di Venere avea sentito il tòsco». (132)

Indi al cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti che fuor casti
come virtute e matrimonio imponne. (135)

E questo modo credo che lor basti
per tutto il tempo che 'l foco li abbruscia:
con tal cura conviene e con tai pasti
che la piaga da sezzo si ricucia. (139)

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NOTE AL CANTO XXV

(1-9) onde: nella quale o per cui; storpio: «impaccio» (B.). Nol. concedeva indugio; ché il sole, ecc.: «Il segno dell'Ariete avea già passato il meridiano, e sovr'esso trovavasi il segno del Toro. Così la Libra (segno opposto all'Ariete, vedi Purg., II, 5-6) avea nell'altro emisfero oltrepassato il meridiano e sovra esso trovavasi lo Scorpione (segno opposto al Toro): e poiché ogni segno celeste impiega nel suo passaggio due ore, vuol dire: nell'emisfero del Purgatorio eran due ore dopo mezzogiorno, e nell'emisfero antipodo eran due ore dopo mezzanotte» (F.); non s'affigge: non si ferma. V. Purg., XXXIII, 106; che che li appaia: qualunque cosa gli apparisca, gli si pari davanti; per la callaia: per l'angusto calle, ov'era la scala che dal sesto conduceva al settimo girone. Purg., IV, 22: calla. «Callaia significa passo stretto o valico, donde si passa da un luogo a un altro, come sarebbe da una via in un campo: onde son certe viette dette callaiuole, ed è il proverbio aspettare alla callaia» (Borgh.); che per artezza, ecc.: che per istrettezza divide i salitori. «Fa andare in filo e non di pari li salitori» (B.).
(10-15) il cicognin: la cicogna nidiace; non s'attenta: «non s'assicura» (B.); d'abbandonar lo nido: «di gittarsi a volo» (B.); la cala: l'ala; spenta: raffrenata dal timore di dar noia. Il B.: «prima volea dimandare, poi timidezza mi rattenea»; a l'atto, ecc.: «Avea fatto bocca da dire, pur accennando con poco aprimento delle labbra» (Ces.).
(16-21) Non lasciò, ecc.: «Per quanto fosse celere l'andar nostro, Virgilio non lasciò di parlare com'ebbe conosciuto il mio desiderio; ma disse: lascia pure andar la parola che hai già sulle labbra. Metafora tratta dall'arco, di cui la punta dello strale (ferro) tocca il sommo, quando sta per essere scoccato (F.); sicuramente: senza timore; Come si può far magro, ecc.: «come può diventar magra una cosa che non ha bisogno di nutrimento, come sono tutte le spiritali, e delle corporali tutte quelle che non hanno vita?» (Varchi).
(22-30) Se t'ammentassi, ecc.: «Era un tizzon fatato, al cui ardere e consumarsi dovea rispondere la vita di Meleagro e la morte» (Ces.). «Se egli è possibile che un tizzone ardendo nel fuoco e consumandosi, sia cagione che uno che sia lontano, e che di questo non sappia cosa alcuna, si consumi e arda tanto che, consumato tutto il tizzone, sia consumata tutta la vita di colui, così possono farsi maghere e grasse queste ombre, cioè questo corpo aereo, secondo che vuole l'anima di dentro, che lo dispone e governa, e da cui pende: non altramente che nello specchio si muove l'immagine, secondo che si muove la persona di chi è l'immagine, mostrandosi ora trista e ora allegra, secondo che allegra, o trista si mostra la persona che si specchia» (Varchi). «Somm.: Si nigromantes virtute daemonum spiritus alligant imaginibus, multo strictius divina virtute spiritus corporeo aeri alligantur» (T.); vizzo: «si dice del frutto mezzo, che passò oltre la maturità, e però molle; lat.: mitia poma. Qui: intelligibile e chiaro» (Ces.). Il Buti: «mizzo»; t'adage: «sii sodisfatto» (Ces.). Il Tor.: «a tuo voler, a tua posta, t'adagi dentro, penetri ben addentro la cosa»; ecco qui Stazio: Perché è opera di fede, finge che Virgilio preghi Stazio, che significa lo intelletto, che questo dubbio dichiari a Dante, cioè alla sensualità; piage: «piaghe d'ignoranza - cioè de' tuoi dubbi, i quali inaverano la mente, come le piaghe lo corpo» (B.).
(31-36) Se la veduta eterna, ecc.: Se gli dichiaro ciò che è maraviglioso a vedere in questi luoghi eterni, o Virgilio, che io onoro come maestro, mi scusi il non poter a te disdire; lume ti fiero: varranno a chiarirti dal dubbio che muovi del come possano queste anime dimagrare.
(37-42) Sangue perfetto, ecc.: «Perché non bastava dire sangue senz'altro, conciossiaché anco il mestruo è sangue, v'aggiunse perfetto, cioè digesto e smaltito, dopo l'ultima digestione: perché, insino che non si smaltisce nel cuore o nel fegato per virtù del cuore, egli non è vero e perfetto sangue. Quando le vene hanno succiato tanto di sangue che basti per nutrimento, e a ristorare le parti pelrdute, elleno non ne succiano più, non altrimenti che un modesto uomo e temperato, preso il bisogno suo del cibo, lascia il rimanente. Prende nel core... virtute informativa. La virtù informativa, o vero generativa, la quale è nello spirito che esce insieme collo sperma dell'uomo, non opera formalmente, ma virtualmente. E che questo sia vero, lo sperma operando non assimiglia il paziente a sè, cioè non converte il mestruo in isperma, ma lo forma e organizza, introducendovi l'anima vegetativa e sensitiva e disponendolo all'intellettiva; e questo perché piglia la virtù dal cuore e opera in vigore dell'anima del generante. E però ciascuno sperma dispone la materia, forma le membra e introduce quell'anima che si conviene a quest'animale, in virtù della quale egli opera, onde (come diceva Averrois) i membri del leone e quelli del cervo, non sono diversì, se non perché è diversa l'anima. Il Petr. nella canzone grande: "E i piedi, in ch'io mi stetti, e mossi e corsi - (Com'ognun membro all'anima risponde) - Diventar due radici sovra l'onde! - Come quello, ecc.". Come il sangue, il quale non è diventato sperma, ha virtù dal cuore di diventare tutte le membra, come si vede nel nutrimento; perchè l'ossa convertono il sangue in ossa, le vene in vene, la carne in carne, e di tutti gli altri nel medesimo modo, così, poiché è diventato sperma, ha virtù di fare tutti i membri, operando in virtù dell'anima. E però disse per similitudine, come quello: cioè, non altramente che quello, che vane per le vene; cioè il quale va per le vene, a farsi quelle, a diventar quelle membra. Disse vane come si dice ancora oggi da' fanciulli alcuna volta o dai contadini, io vone, in iscambio di vo; e altrove aggiugnendo pur la particella ne, disse nel IV canto (vv. 22-24) del Purg.: salìne e partine. E intanto fece quella figura, che alcuni chiamano bisquizzo, e noi bisticcio (Varchi). V. Conv., IV, 21. «Summ., Theol., I, quaest. 119 (Lf.).
(43-51) Ancor digesto: «cioè, dopo l'ultima digestione: e qui intende di quella che si fa nelle vene, quasi dica smaltito un'altra volta, dopo le tre principali, scende, verbo proprissimo, ov'è più bello - tacer che dire, ne' vasi seminarii e nei testicoli, e quindi, cioè da' vasi spermatici e per i testicoli, geme, stilla, gocciola, come si dice oggi, sovr'altrui sangue, sovra il mestruo della donna. E come ottimo Peripatetico, mai non fa menzione del seme della donna, ché ben sapeva che quello non è utile, né come attivo, o vero forma, né come passivo, o vero materia. E se ben concorre, le più volte concorre non all'essere necessariamente, che non si possa fare senza lui, ma a ben essere, cioè che agevola e dispone la materia: e così non giova per sé, e principalmente, ma secondariamente e per accidente. In natural vasello, nella matrice e ventre della donna. Il Petrarca: "virginal chiostro"» (Varchi); Ivi: «nella matrice e ventre della donna, l'uno e l'altro, il sangue dell'uomo che è lo sperma, e il sangue della donna che è il mestruo, s'accoglie inseme, si congiunge e s'aduna; l'un disposto a patire: questo è il mestruo della donna, il quale è materia propinqua del parto, e però non ha bisogno d'altro motore, o vero agente che lo disponga, come vuol Galeno, e che gli dia la forma, se non il seme del maschio; e l'altro a fare: e questo è lo sperma del maschio, il quale è attivo e dà la forma. Perché, come il mestruo per ventre dalla donna ha virtù e potenza passiva di diventare tutti i membri, così lo sperma ha potenza e virtù attiva di fare tutti i membri, per venire dall'uomo: e questo è quello che vuol dire tutto questo verso: per lo perfetto loco onde si preme» (Varchi). «E, giunto lui, lo sperma del maschio, ed è questo un allativo in conseguenza, come dicono i Gramatici, comincia ad operare - coagulando prima, tale è proprio il seme dell'uomo al mestruo, quale è il coagulo che noi chiamiamo gaglio, o vero presame, al latte. Tra digestione e coagulazione è, oltra l'altre, questa differenza, che la digestione non si fa se non dal caldo naturale, e la coagulazione da tutti i caldi. E poi avviva, cioè, dà la vita e l'anima, ciò che per sua materia fe' constare. Gli scrittori latini usano in questa materia il verbo constare, e dicono: Coagulatio est constantia quaedam humidi, etc. E coagulare est facere, ut liquida constent, etc.: e brevemente, significa a noi, fare che una cosa liquida, che si spargerebbe, si rappigli e si rassodi in modo che stia e non si sparga; come si vede nel latte mediante ii presame o il gaglio» (Varchi).

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(52-57) Anima fatta, ecc.: «L'uomo vive prima la vita delle piante, poi quella degli animali, poi la propria dell'uomo, che è la razionale. La virtute attiva: la quale è quella del padre, fatta anima, diventata animata mediante l'anima vegetativa. Qual d'una pianta, ecc.: Tra l'anima vegetativa delle piante e quella degli uomini non è altra differenza, se non che quella delle piante è compita e fornita, non aspettando altra anima, né sensitiva, come i bruti, né razionale, come gli uomini. Tanto ovra poi: mostra pure, che ella è sempre agente; che già si move e sente: disse già, perché nel vero non è molto intervallo: disse si move, non perché abbia la virtù progressiva, movendosi di luogo a luogo (il che non è se non negli animali perfetti), ma perché, stando il parto appiccato al ventre con alcuni legamenti, ha quel moto, che i filosofi chiamano di costrizione e dilatazione, cioè ch'egli si stringe e allarga: disse ancora sente, non perfettamente, ma come allora può, e si conviene. Come fungo marino: Tra le cose che vivono perfettamente, e quelle che non hanno vita in modo nessuno, sono certi animali mezzi, i quali non si possono chiamare né viventi affatto, né del tutto senza vita, come sono l'ostriche, le conchiglie e altri animali, che i Greci chiamano zoofiti, cioè piantanimali (per dir così), e tra questi sono le spugne, delle quali intende qui il poeta. E indi: cioè di poi, l'avverbio di luogo invece di quello di tempo; imprende: mette mano, quello che i Latini direbbero aggreditur. Ad organar: organizzare cioè formare, le posse, le potenze, che sono cinque, ond'è, delle quali potenze, semente, semenza e principio» (Varchi).
(58-60) Or: «cioè dopo le cose dette, si spiega: lo sperma del maschio per la sua virtù e colla sua sottilità penetra per tutto il mestruo, per tutti i versi e colla sua caldezza l'altera; or si distende: replica un'altra volta il medesimo a maggiore spressione e per dinotare la penetrazione sua per tutti i versi e per ciascuna dimensione. Dove natura a tutte membra intende: quel dove può essere avverbio di luogo, e allora significherà che la virtù attiva si spiega e distende dove natura a tutte membra intende, cioè, dovunque è di bisogno: può essere ancora di tempo, e allora risponderà a quello or di sopra; intende, è intenta» (Varchi).
(61-66) Ma come, ecc.: Ma tu non vedi ancora, come d'animal sensitivo questo embrione divenga animal ragionevole; fante: V. Purg., XI, 66; che più savio, ecc.: «Questo è tal punto così difficile a conoscersi, che uno più savio di te, Averroe, fece cadere in errore siffatto, ch'egli nel suo trattato De anima, lib. 3, asserì disgiunto dall'anima il possibile intelletto, la facoltà d'intendere, perché dall'intelletto non vide adoprato nelle sue operazioni alcun instrumento sensibile, al modo che l'anime vegetative e sensitive hanno organi atti alle loro operazioni materiali, come, a modo d'esempio, gli occhi per vedere, gli orecchi per udire» (F.).
(70-78) lieto: Purg., XVI, 89: lieto fattore; e spira, ecc.: «ed infonde un nuovo spirito, e quest'è l'anima intellettiva, ripieno di tal virtù che tira e identifica nella propria sostanza, tutto quello che quivi nel feto trova d'attivo (l'anima vegetativa e la sensitiva), e così di tre anime se ne fa una sola, la quale e vegeta e sente ed intende» (F.); E perché meno, ecc.: «E perché il mio discorso ti faccia meno maravigliare, guarda come il raggio del sole, unito all'umore ch'è nella vite, si faccia vino, e così meglio vedrai come lo spirito di Dio, unito alla sostanza vegetativa e sensitiva, divenga anima razionale» (F.).
(79-87) Quando Lachesis, ecc.: «Lachesi è quella delle tre Parche che fila lo stame della vita umana. V. Purg., XXI, 25-27. Quando avviene la morte dell'uomo, l'anima sciogliesi dalla carne e porta seco virtualmente ed in potenza le facoltà corporali e le intellettuali» (F.); l'altre potenze, ecc.: «Tutte le facoltà, diverse dalle intellettuali, sono allora affievolite, perché non hanno seco gli organi onde s'esercitano: ma le spirituali: memoria, intelletto e volontà, sono in atto più energiche che prima, liberate dall'impaccio del corpo» (F.); restarsi: fermarsi; a l'una de le rive: o di Acheronte o del Mare Mediterraneo, sulla foce del Tevere. Purg., II, 101-105; le sue strade: la strada che deve percorrere per giungere al suo destino.
(88-90) Tosto che loco, ecc.: «Tostoché l'uno o l'altro de' detti luoghi la contiene, ossia, tostoché l'anima si è posata sopra l'uno o l'altro de' detti luoghi, la virtù informativa ch'è in lei, si diffonde intorno ad essa anima nello stesso modo e nell'istessa misura che fece già sulle membra vive del corpo, che le fu compagno; ovvero si diffonde intorno ad essa anima, e forma un corpo (così e quanto), pari nelle fattezze e nella misura a quello che animava nel mondo» (F.).
(91-99) piorno: pieno di vapori. Altri: piovorno; per l'altrui raggio: del sole; 'n sé, ecc.: in esso percotendo rimbalza; di diversi color: dell'iride; così l'aere, ecc.: Così l'aere quivi circostante si pone ed atteggia in quella forma di corpo che in esso imprime per propria virtù l'anima, che ivi si fermò; si muta: si trasporta; segue, ecc.: La sua novella forma, ovvero il nuovo corpo aereo, va dietro allo spirito.
(100-108) Però che, ecc.: E perché di qui, da questo corpo aereo, l'anima ha poi la sua apparenza, vale a dire, per essa si fa visibile, è chiamata ombra; e quindi organa poi, ecc.: E per mezzo di esso corpo aereo organizza poi ogni sentimento corporale, insino alla vista; noi: anime; Secondo, ecc.: L'ombra nostra prende sembianza secondo che i desiderj e gli altri affetti ci toccano; lat.: afficere. Altri: affliggono; miri: prendi ammirazione.
(109-116) a l'ultima tortura: all'ultimo girone, ove si torturano e tormentano le anime, ovvero all'ultima cornice che torce e gira attorno al monte; ad altra cura: Non più a cercare come le anime possano dimagrare, ma come potessimo scansar le fiamme; Quivi la ripa, ecc.: la falda del monte che fa da pasete alla strada, getta fuori con impeto una fiamma, e l'orlo dell'altra estremità della strada manda vento in su che respinge la detta fiamma e l'allontana da sé. La fiamma, allontanata così dal vento, lascia una via ai poeti per camminare senz'offesa; dal lato schiuso: «senza sponda, donde saliva il vento, che respingeva le fiamme» (F.); ad uno ad uno: perché la via era assai stretta.
(119-126) il freno: perché non si svaghino; per poco: facilmente; Summae Deus clementiae: principio dell'inno che si recita nel mattutino del sabato, e che quelle anime purganti la lussuria cantano, perché in esso si domanda a Dio il dono della purità. - Nostros piis cum canticis - Fletus benigne suscipe, - Ut corde puro sordium - Te perfruamur largius. - Lumbos jecurque morbidum - Flammis adure congruis, - Accincti ut artus excubent, - Luxu remoto pessimo; nel seno - al grande ardore: nel mezzo di quelle grandi fiamme; udii cantando: udii cantare; che di volger, ecc.: che mentre era assai sollecito di tenere gli occhi al sentiero stretto e senza sponda, mi fe' non meno sollecito di voltarmi, per veder le anime, che cantavano quell'inno; compartendo la vista: dando uno sguardo ora ai passi loro, ora a' miei.
(127-139) Appresso il fine: dopo l'ultima strofa; Virum, ecc.: Luc., I. Maria all'arcangelo Gabriele, che le dicea: Ecce concipies, ecc. - Quomodo fiet istud, quoniam virum non cognosco?; bassi: a bassa voce; Elice: lat.: Helice, altro nome della ninfa Callisto, punita da Diana per non aver serbato verginità. Nel Par., XXXI, 32, Elice è il nome dell'orsa maggiore; che di Venere, ecc.: «l'amaritudine e la infezione della lussuria» (B.); indi donne - gridavano, ecc.: ricordavano ad alta voce esempj di donne e di mariti che vissero casti; come... imponne: ne impone la continenza e la santità del matrimonio; E questo modo, ecc.: E questo modo loro di alternare l'inno e gli esempj di castità, credo che duri e continui per tutto il tempo della loro purgazione nel fuoco; con tal cura: «con tal contrizione» (B.); e con tai pasti: col tormento del fuoco conviene che si rimargini la piaga ultima, il peccato che si punisce nell'ultimo girone.

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