LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (PARADISO) - CANTO XXVIII

Poscia che 'ncontro a la vita presente
d'i miseri mortali aperse 'l vero
quella che 'mparadisa la mia mente, (3)

come in lo specchio fiamma di doppiero
vede colui che se n'alluma retro,
prima che l'abbia in vista o in pensiero, (6)

e sé rivolge per veder se 'l vetro
li dice il vero, e vede ch'el s'accorda
con esso come nota con suo metro; (9)

così la mia memoria si ricorda
ch'io feci riguardando ne' belli occhi
onde a pigliarmi fece Amor la corda. (12)

E com' io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da ciò che pare in quel volume,
quandunque nel suo giro ben s'adocchi, (15)

un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che 'l viso ch'elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume; (18)

e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si collòca. (21)

Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che 'l dipigne
quando 'l vapor che 'l porta più è spesso, (24)

distante intorno al punto un cerchio d'igne
si girava sì ratto, ch'avria vinto
quel moto che più tosto il mondo cigne; (27)

e questo era d'un altro circumcinto,
e quel dal terzo, e 'l terzo poi dal quarto,
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. (30)

Sopra seguiva il settimo sì sparto
già di larghezza, che 'l messo di Iuno
intero a contenerlo sarebbe arto. (33)

Così l'ottavo e 'l nono; e ciascheduno
più tardo si movea, secondo ch'era
in numero distante più da l'uno; (36)

e quello avea la fiamma più sincera
cui men distava la favilla pura,
credo, però che più di lei s'invera. (39)

La donna mia, che mi vedëa in cura
forte sospeso, disse: «Da quel punto
depende il cielo e tutta la natura. (42)

Mira quel cerchio che più li è congiunto;
e sappi che 'l suo muovere è sì tosto
per l'affocato amore ond' elli è punto». (45)

E io a lei: «Se 'l mondo fosse posto
con l'ordine ch'io veggio in quelle rote,
sazio m'avrebbe ciò che m'è proposto; (48)

ma nel mondo sensibile si puote
veder le volte tanto più divine,
quant' elle son dal centro più remote. (51)

Onde, se 'l mio disir dee aver fine
in questo miro e angelico templo
che solo amore e luce ha per confine, (54)

udir convienmi ancor come l'essemplo
e l'essemplare non vanno d'un modo,
ché io per me indarno a ciò contemplo». (57)

«Se li tuoi diti non sono a tal nodo
sufficienti, non è maraviglia:
tanto, per non tentare, è fatto sodo!». (60)

Così la donna mia; poi disse: «Piglia
quel ch'io ti dicerò, se vuo' saziarti;
e intorno da esso t'assottiglia. (63)

Li cerchi corporai sono ampi e arti
seoondo il più e 'l men de la virtute
che si distende per tutte lor parti. (66)

Maggior bontà vuol far maggior salute;
maggior salute maggior corpo cape,
s'elli ha le parti igualmente compiute. (69)

Dunque costui che tutto quanto rape
l'altro universo seco, corrisponde
al cerchio che più ama e che più sape: (72)

per che, se tu a la virtù circonde
la tua misura, non a la parvenza
de le sustanze che t'appaion tonde, (75)

tu vederai mirabil consequenza
di maggio a più e di minore a meno,
in ciascun cielo, a sua intelligenza». (78)

Come rimane splendido e sereno
l'emisperio de l'aere, quando soffia
Borea da quella guancia ond' è più leno, (81)

per che si purga e risolve la roffia
che pria turbava, sì che 'l ciel ne ride
con le bellezze d'ogne sua paroffia; (84)

così fec'io, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro,
e come stella in cielo il ver si vide. (87)

E poi che le parole sue restaro,
non altrimenti ferro disfavilla
che bolle, come i cerchi sfavillaro. (90)

L'incendio suo seguiva ogne scintilla;
ed eran tante, che 'l numero loro
più che 'l doppiar de li scacchi s'immilla. (93)

Io sentiva osannar di coro in coro
al punto fisso che li tiene a li ubi,
e terrà sempre, ne' quai sempre fuoro. (96)

E quella che vedëa i pensier dubi
ne la mia mente, disse: «I cerchi primi
t'hanno mostrato Serafi e Cherubi. (99)

Così veloci seguono i suoi vimi,
per somigliarsi al punto quanto ponno;
e posson quanto a veder son soblimi. (102)

Quelli altri amori che 'ntorno li vonno,
si chiaman Troni del divino aspetto,
per che 'l primo ternaro terminonno; (105)

e dei saper che tutti hanno diletto
quanto la sua veduta sì profonda
nel vero in che si queta ogne intelletto. (108)

Quinci si può veder come si fonda
l'esser beato ne l'atto che vede,
non in quel ch'ama, che poscia seconda; (111)

e del vedere è misura mercede,
che grazia partorisce e buona voglia:
così di grado in grado si procede. (114)

L'altro ternaro, che così germoglia
in questa primavera sempiterna
che notturno Arïete non dispoglia, (117)

perpetualemente 'Osanna' sberna
con tre melode, che suonano in tree
ordini di letizia onde s'interna. (120)

In essa gerarcia son l'altre dee:
prima Dominazioni, e poi Virtudi;
l'ordine terzo di Podestadi èe. (123)

Poscia ne' due penultimi tripudi
Principati e Arcangeli si girano;
l'ultimo è tutto d'Argelici ludi. (126)

Questi ordini di sù tutti s'ammirano,
e di giù vincon sì, che verso Dio
tutti tirati sono e tutti tirano. (129)

E Dïonisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise,
che li nomò e distinse com' io. (132)

Ma Gregorio da lui poi si divise;
onde, sì tosto come li occhi aperse
in questo ciel, di sé medesmo rise. (135)

E se tanto secreto ver proferse
mortale in terra, non voglio ch'ammiri:
ché chi 'l vide qua sù gliel discoperse
con altro assai del ver di questi giri». (139)

NOTE AL CANTO XXVIII



(1-12) Poscia, ecc.: «Finge come, poi che Beatrice ebbe finito la sua invettiva, elli, ragguardando ne' suoi occhi, vide in essi rilucere come lume in ispecchio lo punto della Divinità» (B.); 'ncontro: «contrariamente, a riprensione» (L.); aperse 'l vero: «manifestò la verità» (B.). «Dappoiché Beatrice chiarì il nulla delle cose mondane» (Ces.); 'mparadisa: «mette, leva in paradiso» (B.). Milton: Imparadised in one another's arms; fiamma di doppiero: «di torchio acceso» (B.). «Dal lat. duplerius de' bassi tempi, forse perché formato di più candele raddoppiate» (F.); se n'alluma retro: «s'illumina d'esso di rieto dalle spalle, cioè che l'ha acceso di rieto di sé» (B.); in vista: visto realmente o che n'abbia pensato; con esso: «col vero - lo torchio che è acceso di rieto a lui, con quello che li rappresenta lo specchio» (B.). «Chi avendo il lume dietro (non sapendolo né avendolo prima visto) ed uno specchio davanti, in esso lo vede e si volta per assicurarsene» (Ces.); come nota con suo metro: «come s'accorda la nota del canto colla sua parola ch'ella segna, o colla sua misura» (B.); così la mia, ecc.: «negli occhi della sua donna avea veduto specchiato un punto di acutissima luce, e, rivoltatosi al cielo, trovò ivi vero quello che aveva veduto negli occhi» (Ces.).
(14-20) li miei: occhi; volume: «cielo. Sopra, XXIII, 112, chiamò volumi i cieli» (T.). «Da quelle circolazioni» (Lan.); quandunque: «ogni qual volta che il moto de' medesimi cieli ben si consideri» (L.); un punto: «Figura la divinità in un punto, a significare l'indivisibilità sua, essendo il punto un elemento lineare, e però indivisibile» (Biag.); che 'l viso ch'elli affoca: «gli occhi ch'esso illumina, o investe quasi a modo di fuoco» (F.); forte acume: «forte chiarezza et eccessiva del detto lume» (B.); e quale stella: «qualunque di quaggiù (dal nostro mondo) par più piccola» (T.); locata con esso: «se li fusse posta a lato» (B.). «Se una minima stella si ponesse a lato al detto punto, come nell'ottava spera ne veggiamo assai, l'una a lato all'altra, essa stella parrebbe una Luna a rispetto di quel punto» (B.).
(23-30) alo cigner la luce: «cioè la luce della Luna» (B.). Il L.: «Halo. Così l'Ariosto, nemico dell'abolire i vestigi dell'origine, Hara per ara, stalla»; Che 'l dipigne: «cagionalo» (B.). «Quanto l'alone è poco distante dal Sole o dalla Luna, che gli danno il colore, tanto da quel punto distava un cerchio di fuoco» (F.). «Tanto appresso, quanto pare che l'alone cinga la luna, tanto distante... La distanza può essere minima; però l'appresso non le contradice» (T.); più è spesso: «Quanto il vapore è più denso, il punto ove appare il pianeta è più piccolo» (T.); igne: voce latina: fuoco. «Purg., XXIX, 102: con nube e con igne» (F.); quel moto, ecc.: «questo è lo moto della nona spera, lo quale in 24 ore gira una revoluzione» (B.); E questo: «primo ordine della prima girarchia, che si chiamano Serafini» (B.); d'un altro: «ordine - circuncinto: da' Cherubini - e quel secondo - dal terzo ordine, che si chiama Troni - dal quarto ordine, Dominazioni, che è lo primo della seconda girarchia - dal quinto ordine, che si chiama Virtudi - dal sesto, che si chiama Podestadi. Qui finisce la seconda girarchia» (B.).
(31-39) il settimo: cerchio, che è lo primo ordine della terza girarchia, che si chiama Principati; sì sparto - già di larghezza: «sì steso in larghezza, che il messo di luno, cioè l'Iride (secondo le favole messaggiera di Giunone), se si compiesse in un cerchio intero, sarebbe arto, stretto, per poterlo contenere» (F.); Così l'ottavo e 'l nono: «l'ottavo era l'ordine degli Arcangeli, e lo nono era l'ordine degli Angeli, e questa è la terza gerarchia» (B.); secondo ch'era, ecc.: L'otto è più distante dall'uno che il sette, il nove che l'otto; più sincera: «più pura» (B.); cui: «a cui» (Tor.). «Da cui, da quel punto» (T.); distava: «era di lunge» (B.); la favilla pura: «lo punto della Divinità, che era una pura luce» (B.); s'invera: «s'empie di verità» (B.).
(40-56) in cura: in sollicitudine di sapere; forte sospeso: «fortemente dubbioso» (B.); Da quel punto: «in quel punto è l'essenza divina, o il principio da cui tutto il creato fu e dipende. Aristotile, Metaph., XII, 7: "Da tale principio dipende il cielo e la natura"» (F.); quel cerchio: de' Serafini; che più li è congiunto: «al punto detto di sopra» (B.); è sì tosto: «è tanto festino e ratto» (B.); per l'affacato amore: «Nel Conv., II, 4, è detto che il primo mobile è mosso da amor dell'empireo» (P.); in quelle rote: «degli ordini degli Angeli» (B.); m'è proposto: «tutto quello che tu m'hai detto del punto e del primo cerchio» (B.); le volte: «li giri suoi e le revoluzioni sue» (B.); divine: «veloci; più affocate dall'amore divino: imperò che già è detto che Iddio muove ogni cosa, et elli è immobile: imperò ch'elli muove come amato, sicché le parti di ciascuno cielo desideranti di tornare a lui, siccome alla cosa amata da loro, tanto più s'affrettano quanto più ardeno dall'amore divino» (B.). «Nel sistema del mondo la sfera più vicina al centro si muove più lenta, e in questi giri più ratta: or perché questo?» (F.); dee aver fine: «essere quietato» (B.); per confine: «è terminato in ogni parte da luce e da amore» (B.); come l'esemplo: «lo mondo sensibile, che è fatto ad esemplare dello intelligibile» (B.); esemplare: «lo mondo intelligibile, che è forma del mondo sensibile» (B.).
(59-66) sufficienti: «bastevili a sciogliere tale nodo, cioè tale difficultà e malagevilezza di dubbio» (B.); tanto, per non tentare: di scioglierlo; perché nessuno si cura di scioglierlo; è fatto sodo: «Lo nodo della fune, quando sta grande tempo che non si scioglie, o che non s'allenti, tuttavia rassoda» (B.); Se vuo' saziarti: «saziare lo tuo desiderio, che è di sapere come risponde l'esemplo all'esemplare» (B.). Il cod. Poggiali: scienziarti; t'assottiglia: «assottiglia lo ingegno tuo intorno a quello che io ti dirò» (B.); Li cerchi corporai: «corporali, cioè i cieli o le sfere del mondo sensibile, sono ampi e arti (dai lat.: arctus), stretti, secondo il più e 'l men de la virtute, che ricevono dagli angelici motori, e che si distende, si diffonde, in ciascuno, per tutte lor parti, per tutta la relativa ampiezza» (F.); si distende: «la quale (virtù) influeno giuso negli elementi e nelle cose elementate» (B.).
(67-72) Maggior bontà, ecc.: «Più il corpo è buono, più fa belle; più è grande, e più (se imperfetto non sia) gli è buono» (T.). «Così più luce un gran cristallo che un piccolo in sé raduna e contiene, che poi tramanda o riflette» (Vent.); igualmente compiute: «Non ogni corpo più grande ha più grande valor di bene, ma quello, dove le parti sono più perfettamente contemperate e dalla forza del numero loro risulta più forte la virtuale unità» (T.); Dunque costui: «questo nono cielo, che seco rapisce in giro tutti gli altri otto cieli, corrisponde nella velocità al più piccolo de' cerchi infocati, che qui vedi, il quale, ha più d'amore e più di sapienza, perché è composto di Serafini» (F.).
(73-78) circonde - la tua misura: «misuri» (L.). «Onde se tu misuri i cerchi della virtù, non dalla mole apparente, il più piccolo cerchio intorno al punto, ch'è Dio, vedrai corrispondere al più grande intorno alla Terra e così via» (T.); in ciascun cielo, ecc.: «Tu vedrai che la nona spera risponde alla virtù de' Serafini, e l'ottava alla virtù de' Cherubini, e Saturno ai Troni et Jove alle Dominazioni, e Marte alle Virtuti, e lo Sole alle Potestati, e Venus ai Principati, e Mercurio agli Arcangeli, e la Luna agli Angeli» (B.).
(79-87) Come rimane splendido, ecc.: «Finge come Beatrice, dichiaratoli lo dubbio suo, elli rimase chiaro come l'aire, quando è spazzato da tramontana» (B.); guancia: «parte; da quella bocca» (B.); leno: «delicato» (B.). «Supponendo che siano i venti, quali si dipingono, umane facce soffianti, e che il duodenario numero de' venti anticamente riconosciuti, si formasse dai quattro venti cardinali, soffianti ciascuno in tre modi, cioè o direttamente, ovvero la bocca storcendo e stirando or dalla destra ed or dalla sinistra guancia, reputa che Borea dalla guancia sinistra cacci fuori Aquilone e dalla destra il Circio, vento meno impetuoso dell'Aquilone» (L.); la roffia: «la turbazione dell'aire: roffia è oscurità di vapori umidi, spissati e condensi insieme» (B.). «E' il toscano roccia e il lombardo ruffa: il sucidume che s'appicca alle cose per maneggiarle» (L. e Ces.); ne ride: «sta chiaro, come sta l'uomo quando ride» (B.); parroffia: «parte e coadunazione» (B.). «Comitiva, cioè Sole, Luna e Stelle. Bocc., Teseide, VII, 114: "E dalla parte, d'onde Euro soffia, Arcita entrò con tutta sua paroffia"» (L.); fec'io: «schiarai io» (B.); Si vide: da me.
(88-95) Restaro: «furno finite» (B.); disfavilla: «gitta faville» (B.). Par., I, 60: com ferro che bogliente esce dal fuoco; ogni scintilla: «ogni favilla imitando essa pure l'incendio, lo sfavillare dei cerchj, proseguiva a sfavillare, a dividersi in altre scintille, come appunto talvolta vediam farsi dagli accesi sfavillanti tizzi» (L.); Più che 'l doppiar, ecc.: «S'addoppiava per migliaia, più del raddoppio d'ogni casella dello scacchiere. Se nella prima casella dello scacchiere si segni 1, nella seconda 2, nella terza 4, nella quarta 8, nella quinta 16, nella sesta 32, e così fino alla sessantaquattresima raddoppiando, avremo lo sterminato numero: 18.446.744.073.709.551.615. Raccontasi essere stato inventore dello scacchiere un Indiano, che presentò il nuovo giuoco a un re di Persia; e offertosi questo di dargli quel che chiedesse, chiese un chicco di grano duplicato, e sempre moltiplicato per tante volte, quanti gli scacchi nella scacchiera. Il re ne rise sul primo; ma venuto al fatto, non si trovò tanto di grano nel regno per sodisfarlo» (F.); osannar: «cantare osanna - di coro in coro, di cerchio in cerchio d'Angeli» (B.); al punto fisso: «al punto fermo che è Iddio» (B.); a li ubi: «al luogo fermo: però che sono confermati in grazia» (B.). «Predestinato ab eterno è il luogo da Dio a ciascun ente» (T.).
(99-114) Serafi: i Serafini; Cherubi: i Cherubini; i suoi vimi: «li suoi legami, che li tengono fermi e tirano al punto: questi vimi sono la cognizione divina e la grazia divina, che tiene loro fermi nella carità d'Iddio» (B.). «Di legami d'amore dice Par., XIV, 129: con sì dolci vinci» (F.); per somigliarsi «per farsi simili, al punto ch'è il loro centro, cioè a Dio» (F.); amor: «spiriti angelici pieni della carità d'Iddio» (B.); vonno: vanno; 'l primo ternaro: «la prima girarchia, che è Serafini, Cherubini e Troni» (B.); terminonno: «Il Poeta usa il passato terminonno, in rispetto della distribuzion fattane da Dio nell'atto del crearli» (F.); la sua veduta: «l'intelligenza loro» (T.); sì profonda: «entra dentro nella Divinità» (B.); nel vero: «cioè in Dio. Conv.: "Il vero, nel quale si queta l'anima nostra"» (F.); ogni intelletto: «ogni intelligenzia et angelica et umana» (B.); Quinci: «di qui, si può conoscere come l'esser beato, la celeste beatitudine, si fonda ne l'atto che vede, cioè nel vedere Iddio, non nell'atto che ama, cioè non nell'amarlo, che poscia seconda, che viene appresso di quello. Fra questione scolastica: In che consiste la forma della beatitudine, se nella visione o nell'amore. San Tommaso la pone (come il Poeta) nel vedere, dicendo che "l'aspetto seguita all'intelletto, e dove termina l'operazione dell'intelletto, ivi comincia l'operazion dell'affetto". Invece Scoto la pone nell'amore» (F.); e del vedere e contemplare Iddio è misura il merito, ossia le opere meritorie, le quali sono l'effetto della grazia divina, e di una buona volontà umana; mercede: «qui vale il merito creato dalla grazia e dalla volontà, che alla grazia corrisponde» (F.); così di grado, ecc.: «così procede la cosa di grado in grado; cioè a misura che si ha cooperato alla divina grazia si vede Dio, ed a misura che si vede Dio cresce il diletto, la beatitudine» (L.).
(115-129) L'altro ternaro: cioè la seconda gerarchia; germoglia: «mette fuora e polla, come pollano li albori nella primavera, che ogni brocco mette fuora le sue frondi e rami e fiori, e così questi ordini sempre metteno fuora carità, scienzia et iustizia» (B.); dispoglia: sfronda. «Prende la similitudine dallo spogliarsi che fanno gli alberi nell'autunno, quando il segno dell'Ariete, opposto al Sole ch'è nella Libra, gira di notte sopra il nostro emisfero» (F.); Sberna: canta, come svernano (lat. exhibernare) e cantano nella primavera li uccelli; con tre melode: «con tre dolcezze di canti» (B.); s'interna: «si fa di tre» (B.); son l'altre dee: «li tre ordini nominati per nome feminino, e però dice Dee, cioè Iddie» (B.). L'ordine terzo di detta seconda gerarchia è composto di Potestadi; èe: è; Ne' due penultimi tripudi: «ne' due seguenti ordini (nel settimo e nell'ottavo) della terza gerarchia, che tripudiano; cioè fanno festa e ballo intorno a Dio» (B.); l'ultimo: «cerchio, cioè il nono, è tutto composto di festeggianti angeli» (F.); Questi ordini: «questi angelici cori, tutti rimirano di su, dalla parte di sopra, cioè verso Dio, e di giù, dalla parte di sotto, vincon, cioè influiscono sopra gli angeli di grado inferiore e sugli uomini sì fattamente, che tutti di grado in grado son tirati verso Dio, e tutti di grado in grado tirano» (F.).
(130-139) E Dionisio, ecc.: «questo fu santo Dionisio, lo quale, studiando ad Atene, quando vide nella passione di Cristo scurare lo Sole, che fu cosa contra natura, imperò che la Luna era in opposizione al Sole nella maggiore distanzia che possa essere, disse: "Aut Deus naturae patitur, aut totius mundi machina destruetur"; e poi alla predica di santo Paolo apostolo si convertì alla fede, e fu ammaestrato da lui di quelle cose, che vide quando fu ratto infine al terzo cielo, sicché allora imparò da santo Paolo le nominazioni degli ordini delli Angeli e le situazioni loro e le distinzioni delle gerarchie» (B.); a contemplar questi ordini: degli Angeli; si mise: «nel suo libro De Divinis nominibus, De Coelesti Hierarchia» (B.). Dionisio Areopagita ordinò così le gerarchie: 1.ª Serafini, Cherubini, Troni; 2.ª Dominazioni, Virtù, Potestà; 3.ª Principati, Arcangeli, Angeli. Gregorio all'incontro: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Principati, Potestà; Virtù, Arcangeli, Angeli; di se medesmo rise: «accorgendosi che non avea ben ditto» (B.); ché chi 'l vide, ecc.: «santo Paolo gliel manifestò, e non solamente la verità dei nomi e del sito degli Angeli; ma eziandio altre verità di quelle che sono ne' giri de' cieli» (B.).

 

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