La Divina Commedia di Dante Alighieri Inferno Canto XXIV

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La Divina Commedia di Dante Alighieri Inferno Canto XXIV

La Divina Commedia di Dante Alighieri Inferno Canto XXIV

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LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (INFERNO) - CANTO XXIV

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In quella parte del giovanetto anno
che 'l sole i crin sotto l'Acquario tempra
e già le notti al mezzo dì sen vanno, (3)

quando la brina in su la terra assempra
l'imagine di sua sorella bianca,
ma poco dura a la sua penna tempra, (6)

lo villanello a cui la roba manca,
si leva, e guarda, e vede la campagna
biancheggiar tutta; ond' ei si batte l'anca, (9)

ritorna in casa, e qua e là si lagna,
come 'l tapin che non sa che si faccia;
poi riede, e la speranza ringavagna, (12)

veggendo 'l mondo aver cangiata faccia
in poco d'ora, e prende suo vincastro
e fuor le pecorelle a pascer caccia. (15)

Così mi fece sbigottir lo mastro
quand' io li vidi sì turbar la fronte,
e così tosto al mal giunse lo 'mpiastro; (18)

ché, come noi venimmo al guasto ponte,
lo duca a me si volse con quel piglio
dolce ch'io vidi prima a piè del monte. (21)

Le braccia aperse, dopo alcun consiglio
eletto seco riguardando prima
ben la ruina, e diedemi di piglio. (24)

E come quei ch'adopera ed estima,
che sempre par che 'nnanzi si proveggia,
così, levando me sù ver' la cima (27)

d'un ronchione, avvisava un'altra scheggia
dicendo: «Sovra quella poi t'aggrappa;
ma tenta pria s'è tal ch'ella ti reggia». (30)

Non era via da vestito di cappa,
ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,
potavam sù montar di chiappa in chiappa. (33)

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E se non fosse che dal quel precinto
più che da l'altro era la costa corta,
non so di lui, ma io sarei ben vinto. (36)

Ma perché Malebolge inver' la porta
del bassissimo pozzo tutta pende,
lo sito di ciascuna valle porta (39)

che l'una costa surge e l'altra scende;
noi pur venimmo al fine in su la punta
onde l'ultima pietra si scoscende. (42)

La lena m'era del polmon sì munta
quand' io fui sù, ch'i' non potea più oltre,
anzi m'assisi ne la prima giunta. (45)

«Omai convien che tu così ti spoltre»,
disse 'l maestro; «ché, seggendo in piuma,
in fama non si vien, né sotto coltre; (48)

sanza la qual chi sua vita consuma,
cotal vestigio in terra di sé lascia,
qual fummo in aere e in acqua la schiuma. (51)

E però leva sù; vinci l'ambascia
con l'animo che vince ogne battaglia,
se col suo grave corpo non s'accascia. (54)

Più lunga scala convien che si saglia;
non basta da costoro esser partito.
Se tu mi 'ntendi, or fa sì che ti vaglia». (57)

Leva'mi allor, mostrandomi fornito
meglio di lena ch'i' non mi sentia,
e dissi: «Va, ch'i' son forte e ardito». (60)

Su per lo scoglio prendemmo la via,
ch'era ronchioso, stretto e malagevole,
ed erto più assai che quel di pria. (63)

Parlando andava per non parer fievole;
onde una voce uscì de l'altro fosso,
a parole formar disconvenevole. (66)

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Non so che disse, ancor che sovra 'l dosso
fossi de l'arco già che varca quivi;
ma chi parlava ad ire parea mosso. (69)

Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi
non poteano ire al fondo per lo scuro;
per ch'io: «Maestro, fa che tu arrivi (72)

da l'altro cinghio e dismontiam lo muro;
ché, com' i' odo quinci e non intendo,
così giù veggio e neente affiguro». (75)

«Altra risposta», disse, «non ti rendo
se non lo far; ché la dimanda onesta
si de' seguir con l'opera tacendo». (78)

Noi discendemmo il ponte da la testa
dove s'aggiugne con l'ottava ripa,
e poi mi fu la bolgia manifesta: (81)

e vidivi entro terribile stipa
di serpenti, e di sì diversa mena
che la memoria il sangue ancor mi scipa. (84)

Più non si vanti Libia con sua rena;
ché se chelidri, iaculi e faree
produce, e cencri con anfisibena, (87)

né tante pestilenzie né sì ree
mostrò già mai con tutta l'Etïopia
né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe. (90)

Tra questa cruda e tristissima copia
corrëan genti nude e spaventate,
sanza sperar pertugio o elitropia: (93)

con serpi le man dietro avean legate;
quelle ficcavan per le ren la coda
e 'l capo, ed eran dinanzi aggroppate. (96)

Ed ecco a un ch'era da nostra proda,
s'avventò un serpente che 'l trafisse
là dove 'l collo a le spalle s'annoda. (99)

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Né O sì tosto mai né I si scrisse,
com' el s'accese e arse, e cener tutto
convenne che cascando divenisse; (102)

e poi che fu a terra sì distrutto,
la polver si raccolse per sé stessa
e 'n quel medesmo ritornò di butto. (105)

Così per li gran savi si confessa
che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa; (108)

erba né biado in sua vita non pasce,
ma sol d'incenso lagrime e d'amomo,
e nardo e mirra son l'ultime fasce. (111)

E qual è quel che cade, e non sa como,
per forza di demon ch'a terra il tira,
o d'altra oppilazion che lega l'omo, (114)

quando si leva, che 'ntorno si mira
tutto smarrito de la grande angoscia
ch'elli ha sofferta, e guardando sospira: (117)

tal era 'l peccator levato poscia.
Oh potenza di Dio, quant' è severa,
che cotai colpi per vendetta croscia! (120)

Lo duca il domandò poi chi ello era;
per ch'ei rispuose: «Io piovvi di Toscana,
poco tempo è, in questa gola fiera. (123)

Vita bestial mi piacque e non umana,
sì come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci
bestia, e Pistoia mi fu degna tana». (126)

E ïo al duca: «Dilli che non mucci,
e domanda che colpa qua giù 'l pinse;
ch'io 'l vidi omo di sangue e di crucci». (129)

E 'l peccator, che 'ntese, non s'infinse,
ma drizzò verso me l'animo e 'l volto,
e di trista vergogna si dipinse; (132)

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poi disse: «Più mi duol che tu m'hai colto
ne la miseria dove tu mi vedi,
che quando fui de l'altra vita tolto. (135)

Io non posso negar quel che tu chiedi;
in giù son messo tanto perch' io fui
ladro a la sagrestia d'i belli arredi, (138)

e falsamente già fu apposto altrui.
Ma perché di tal vista tu non godi,
se mai sarai di fuor da' luoghi bui, (141)

apri li orecchi al mio annunzio, e odi.
Pistoia in pria d'i Neri si dimagra;
poi Fiorenza rinova gente e modi. (144)

Tragge Marte vapor di Val di Magra
ch'è di torbidi nuvoli involuto;
e con tempesta impetuosa e agra (147)

sovra Campo Picen fia combattuto;
ond' ei repente spezzerà la nebbia,
sì ch'ogne Bianco ne sarà feruto.
E detto l'ho perché doler ti debbia!». (151)

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NOTE AL CANTO XXIV

(1-3) giovanetto: «di fresco incominciato - cominciando l'anno dal primo di gennaio, secondo lo stile romano» (B. B.); che: in cui; i crin: i raggi; Aquario: segno dello zodiaco, col quale cammina il sole per circa una terza parte di gennaio e due terze parti di febbraio; tempra: rinforza alquanto, riscalda; al mezzo di: «Dì prendesi qui per lo spazio di 24 ore, che è il dì civile. E vuol dire che la durata delle notti scema e si accosta ad essere di 12 ore» (L.).
(4-6) assempra, ecc.: ritragge l'imagine della neve. Il Buti: «t'appresenta»; ma poco dura a la sua penna tempra: la temperatura le dura poco. Assemprare valeva in antico ricopiare, onde la conseguente imagine della penna temperata.
(7-9) la roba manca: onde pascere il gregge. Purg., XIII, 61: a cui la roba falla; la campagna: «la latitudine de' campi» (B.); si batte l'anca: per rammarico.
(12-18) ringavagna: racquista; L'Anonimo fiorentino: «Gavagne sono certi cestoni che fanno i villani: sì che ringavagnare non vuole dire altro che incestare, cioè insaccare speranza»; il mondo: la terra aver cangiata faccia, non esser più bianca; vincastro: «è quella vergella che portano li pastori del bestiame» (Lanèo); e così tosto: come si dilegua la brina per sole; al mal, ecc., fu applicato il rimedio. «Al mio temere lo conforto» (B.). «Virgilio vide che quella menzogna aveva avuta corta coda; onde fugò la malinconia; così fece Dante il quale ogni passione di Virgilio sente e di quelle si qualifica» (O.).
(20-21) piglio: aspetto; a piè del monte: quando gli apparve a soccorrerlo e scorgerlo all'Inferno (I, 61 e segg.).
(22-24) Le braccia, ecc.: «Riguardando ben prima la ruina, dopo eletto seco alcun consiglio, o fermato il modo di farmi salire, aperse le braccia e mi diè di piglio» (L.). «Lo afferrò per di dietro, in modo da averlo davanti a sé e spingerlo su per quella macìa di sassi» (F.).
(25-30) ch'adopera ed estima: «che mentre colle mani opera una cosa, cogli occhi ne affissa e scandaglia un'altra» (L.). L'Anonimo fiorentino: «Gli uomini provveduti non basta loro pur quello che al presente adoperano; ma sempre si guardano innanzi, simili al buono lettore, che, mentre legge l'uno verso, ha l'occhio all'altro che segue»; ronchione: «grande rocchio - pezzo di scoglio» (B.); avvisava: notava; t'aggrappa: «t'appicca» (Anonimo fiorentino); reggia: regga. «T'afferra innanzi che tu ti li affidi» (B.). «Essaye si ce rocher peut te porter» (Ls.).

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(31-36) da vestito di cappa: da quegl'ipocriti, a cui la cappa impacciava mani e piedi, che qui bisognava avere spediti; ei lieve: come spirito; io sospinto: da lui, da Virgilio; di chiappa in chiappa: di scheggia in scheggia. Secondo il Daniello, chiappa non è altro che un pezzo di vaso di terra rotto. L'Anonimo fiorentino: «Chiappa è ciocco d'erba o di radici». Il Lanèo: «Proprio è parte di coppo; è quasi a dire come ad andare suso un tetto di casa, il quale è difficile cammino». Il Buti: «Di pietra in pietra»; precinto: dal latino praecingo: argine cingente la fossa; non so di lui: «di Virgilio, che non avea corpo vero, quel che si fosse stato» (B.); «ma io sarei stato ben vinto, trafelato, prima d'arrivarci» (Ces.).
(37-42) porta: bocca; sito: struttura; porta: è sì fatta, è di tal natura che, ecc.; l'una costa surge e l'altra scende: «La postura di Malebolge è un piano ritondo, diviso in dieci bolge, ciascuna fra due argini rilevati e ponti da un argine all'altro, fino al pozzo che i tronca e raccoglie. Or la ragione per cui Dante dice la costa che sale (venendo giù) esser più corta di quella che scende, è la pendenza di questo fondo di Malebolge fino al pozzo» (Ces.); su la punta: su la cima dell'argine; onde l'ultima pietra, ecc.: «dalla qual punta si distacca l'ultima delle sconnesse pietre, ché ivi termina colla rottura anche la salita» (L.).
(43-45) La lena... munta: esausta. «Non aveva fiato» (T.); ne la prima giunta: al primo giungere che feci lassù.
(46-54) ti spoltre: ti spoltronisca; ché, seggendo, ecc.: ordina: ché non si viene in fama, seggendo in piuma, né sotto coltre; oziando e poltronendo; in piuma: «in guanciale o piumaccio» (B.); coltre: coperta da letto. L'Ariosto, Sat. III: «E così sotto una vil coltre, Come di seta o d'oro ben mi corco». Lo Strocchi prende coltre per baldacchino, onoranza principesca, e ordina: «Non si viene in fama né sotto coltre». L'Ottimo commento: «Non per vie piane e leggiere, non per dolci sonni e dilicati riposi si puote avere il cognoscimento della sapienza, né venire alle celestiali ricchezze»; sanza la qual: fama; ambascia: «è proprio la difficoltà del respiro» (Ces.); non s'accascia: «Proprio diciamo una cosa accasciarsi quando, non potendosi sostenere per la sua gravezza, si lascia andare a terra» (Landino). «Chiamasi una persona accasciata, quando per vecchiezza o infermità è molto mal condotta e quasi non si regge; e si dice tutto il giorno: il tale è molto accasciato» (Borghini).
(55-62) Più lunga scala, ecc.: «la salita del Purgatorio - per veder Beatrice» (T.); non basta, ecc.: «Non sarebbe perfezione di scienza pur a considerare le parti sottoposte a' vizj, ma conviensi eziandio sapere delle sottoposte alle virtudi» (Lanèo); or fa sì che ti vaglia: «d'avermi inteso; sforzati di procedere oltre e d'andare a purgarti» (B.); forte e ardito: «Parole dettegli da Virgilio, XVII, 81» (T.); ronchioso: «tutto massi» (T.).

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(65-68) onde: il perché, essendo io stato udito; de l'altro: vale dal seguente al sesto già descritto fosso; dalla settima bolgia; disconvenevole: non conveniente, non atta, inarticolata, qual è di fatto la voce di chi ad ira parea mosso. E l'ira veniva forse dell'essere veduti nella pena dei ladri (cfr. vv. 133 e segg.); sovra 'l dosso... de l'arco: in su la sommità di esso ed in luogo che sovrastava al mezzo della fossa.
(70-77) volto in giù: piegato per guardare abbasso; occhi vivi: «ancora viventi in carne, perocché questi per vedere abbisognano di luce; e non così gli occhi di Virgilio e delle altre ombre, nelle quali non erano gli occhi se non apparentemente, e l'anima sola era quella che faceva tutto di per sé, senza bisogno d'organi corporei» (L.); da l'altro cinghio: «all'altro circolare argine (vv. 37 e segg.)» (L.); dismontiam lo muro: cfr. canto XXVI, 13 e segg., ove dice di riascendere quel muro o sia argine, per que' medesimi borni che avevano loro fatto scala per discendere; affiguro: discerno; se non lo far: «se non l'opera stessa che tu chiedi» (L.).
(82-84) stipa: «è detta ogni cosa ch'è calcata et ristretta insieme» (Anonimo fiorentino); scipa: «mi sciupa, mi guasta ancora il sangue» (F.). «Scipare è detta quella cosa che non viene a suo tempo ordinato; come una donna che non produce il feto a bene è detta scipata. Gli faceva anzi al tempo della morte correre il sangue verso il cuore, dove, nello estremo, come alla fontana della vita, corrono gli spiriti vitali, et quivi fanno resistenza» (Anonimo fiorentino).
(85-90) con sua rena: «col suo diserto arenoso» (B.); ché se chelidri, ecc.: il Lombardi legge: chersi, chelidri, iaculi e faree - producer cencri, che risponde più pienamente alla descrizione delle serpi libiche fatta da Lucano (Farsaglia, IX); chelidri: «sono una spezie di serpenti che gettono fuoco et fumo terribile per la bocca; iaculi: sono velenosi; volono per l'aere, et così, percotendo altrui, passono come una lancia» (Anonimo fiorentino). «Si scagliano dagli alberi sulla lor preda» (Bl.); faree: «quando vanno su per la rena, la riardono e solconla per modo che farebbe uno bomero che fenda la terra; cencri: vanno ritti in su la coda» (Anonimo fiorentino). «Cencri, sono serpi punteggiate di punte simili al granello del miglio, dette così perché cencron in greco significa miglio» (Landino); anfisibena: «hanno due capi, l'uno dinanzi, e l'altro dirietro» (Anonimo fiorentino). «Così credeasi erroneamente; vale: che cammina per l'innanzi e per indietro, come indica la sua etimologia» (Bl.). Per curiosità citiamo le notizie di storia naturale dell'Anonimo fiorentino e degli altri antichi; talvolta a lume delle opinioni di quell'età. V. anche Solino. Dittam.: «Non sanza morte colui ancora latra, - Cui giunge il cencri e mordono i chersidri, - Ma siccome uom che ha rabbia egli si squatra». Vedi specialmente L. V. c. 16; mostrò: la Libia; ciò che di sopra, ecc.: l'Egitto, posto tra la Libia e il mar Rosso; èe: è.

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(91-93) copia: di serpenti; pertugio: «buco ove si potessono appiattare» (B.); elitropia: «è verde, salvo ch'ella hae venuzze sanguigne, e per virtù del pianetto di Marte... (bagnandola nel sugo della cicoria, quam dicimus mirasolem; Pietro di Dante) chiunque l'ha addosso il rende invisibile sì che bene è pietra da ladri». Così l'Anonimo fiorentino, e aggiunge: «che nell'anello di Gige era tal pietra». Il Buti: «Questa è una pietra, che, secondo che dice il Lapidario, vale contro a' veleni, sì che questi miseri peccatori non sperano rimedio alle morsure e punture de' serpenti». Dittam.: «Questa nel mondo è molto cara e nuova - Di color verde, salvo che un poco - E' più oscura che il verde non prova, - Macchiata è di sanguigno a loco a loco, - E se si pone in acqua e al sol si traggia - Par ch'essa bolla, come fosse al foco. - E chi la mette, dove il sole raggia, - In chiara fonte, l'aere intorno oscura, - E in sanguigno color par che ritraggia. - Util si crede a colui che fura... V. Boccaccio, Decamerone, VIII, 3».
(94-96) Con serpi, ecc.: «Quei sciaurati avevano le mani legate di dietro dai serpi, e per meglio tenergliele ivi fisse ed immobili, le serpi medesime che annodavan le mani, ficcandosi per le reni, traforavano col capo e con la coda il corpo di coloro, ed alla parte dinanzi col medesimo capo e coda facean groppo» (L.).
(97-99) da nostra proda: «dalla parte dell'argine ov'eravamo noi» (T.); s'avventò un serpente, ecc.: «Qui introduce uno di questi peccatori ad esser trafitto da un serpente ch'è chiamano seps tabifico (il Torri: s'è, per errore), il quale come morde l'uomo immantenente il consuma» (O.); là dove, ecc.: «alla collottola» (T.).
(100-105) Né o, ecc.: «Queste due lettere O et I si scrivono a uno tratto di penna, et pertanto si scrivono più velocemente che l'altre, che con più tratti di penna è dato loro forma» (Anonimo fiorentino); di butto: di botto, subito.
(106-111) per li gran savi: per li filosofi naturali; si confessa: «si manifesta» (B.); che la fenice, ecc.: Tacito, al VI degli Annali: «Tutti scrivono esser quest'uccello sagrato al sole; nel becco e penne scriziate diverso dagli altri. Degli anni, la più comune è, che ella venga ogni cinquecento... Forniti gli anni, vicina al morire, fa in suo paese suo nidio; gittavi il seme; del nato e allevato feniciotto la prima cura è di seppellire il padre: accaso no 'l fa, ma provasi con un peso di mirra a far lungo volo: se gli riesce, si leva il padre in collo, e in su l'altare del sole lo porta e arde: cose incerte e contigiate di favole. Ma non si dubita, che qualche volta non si vegga questo uccello in Egitto»; lacrime: «Galileo: "Bruciare una lacrima d'incenso"» (T.); e d'amomo: «Ovidio: "Sed thuris lacrimis et succo vivit amomi"» (Bl.); l'ultime fasce: «lo nido, in che muore ed onde rinasce» (B.).
(112-114) como: come; per forza di demon, ecc.: «Quasi dica: per oppilazione (riserramento delle vie degli spiriti vitali), o cagionata dal demonio, come negli ossessi avviene, o naturalmente, come in quelli che patiscono di mal caduco, e simili mali» (L.).
(116-126) angoscia: oppressione; è severa: il B. dice potersi leggere anche se' vera, diritta e giusta; come fa il W. Altri in vece di potenza legge giustizia; croscia: «scarica, vibra. Metafora presa dall'acqua, quando cade con impeto» (F.); in questa gola fera: in questa stretta ed orribile fossa; Vanni Fucci - bestia, ecc.: l'Anonimo fiorentino: «Vanni Fucci fu de' Lazzari da Pistoia, bastardo et figliuolo di bastardo; et perché egli era bestiale fu chiamato Vanni bestia; et essendo giovane e facendo delle forze et violenze ad altrui, ebbe bando da Pistoia, facendo quello male che sapea».

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(127-135) che non mucci: «che non si parta» (B.); uomo di sangue, ecc.: «sì che a lui si convenia lo cerchio de' violenti e non de' fraudolenti» (B.); non s'infinse: non finse di non aver inteso; che quando fui, ecc.: «che quand'io morii (o fui giustiziato); più che la morte stessa; pel rossore d'essere scoperto ladro sacrilego, e molto più per la persuasione che Dante si compiacesse di tale suo castigo, come di parte contraria. Vanni Fucci era di parte Nera, Dante allora di parte Bianca» (L.).
(138-139) a la sagrestia de' belli arredi: alla sacristia di San Jacopo di Pistoia, chiamata il Tesoro. L'Anonimo fiorentino: «Vanni Fucci venne in Pistoia segretamente a casa ser Vanni della Nonna; il quale, volendo bene a una donna, andò una notte a fare una mattinata et con lui andò Vanni Fucci. Sonando e cantando costoro, Vanni con alcuno suo compagno si partì da loro, e andò alla chiesa di Santo Jacopo, e per forza e per ingegno rompendo i serrami, entrò nella sagrestia e nella cappella e la rubò, e venne con queste cose ch'egli avea imbolate a casa ser Vanni, e dissegli il fatto. Ser Vanni, per non vituperare né i parenti suoi, né lui, gli ritenne. La mattina, trovandosi l'uscia rotte, e rubata la sagrestia, tutti quelli che per verun modo si poté pensare che fatto l'avessono, furono presi, fra' quali uno Rampino, figliuolo di messer Francesco Vergellesi (o de' Foresi; B. e Benv.), et tanto fu tormentato, che disse ciò che il Rettore volle udire. Fugli assegnati tre dì ad avere acconci i fatti suoi; la novella si spande... A Vanni increbbe di questo giovane, ch'era suo amico; mandò per messer Francesco; gli disse come avea tolte quelle cose e messe in casa ser Vanni. Detto il fatto al Podestà, mandò e trovò ch'egli era vero, et riebbonsi le cose, et il Rampino fu libero et i colpevoli condannati». «Da un documento sincrono pubblicato dal Ciampi, si ritrae che Vanni Fucci della Dolce, Vanni della Monna, e Vanni Mirone (di Laminona fiorentino; Benv.), pistoiesi, si riunirono per rubare il tesoro; ma che fugati da qualche rumore che intesero, non consumarono il furto; che la giustizia fece arrestare diversi come sospetti del delitto, e fra gli altri un Rampino di Ranuccio che fu presso a perderne il capo; e che finalmente Vanni della Monna, presa l'impunità, confessò il vero, e gli altri due Vanni furono impiccati. Ciò avvenne nel 1293» (F.); e falsamente già fu apposto: a Rampino. «Questo fu per la potenza de' Cancellieri, de' quali Vanni Fucci era» (O.).
(142-151) al mio annunzio: «meo pronostico» (Benv.); Pistoia in pria, ecc: «La divisione de' Bianchi e de' Neri nacque in Pistoia da izza tra i due rami dei Cancellieri, distinti in Bianchi e Neri. Di Pistoia passò a Firenze. Onde Vanni dice che primamente i Neri in Pistoia avranno la peggio, e ne saranno cacciati, come avvenne di fatto nel 1301 (28 maggio) per opera de' Bianchi di quella città, aiutati da quelli di Firenze (G. Vill., VIII, 45). Dipoi questi saranno cacciati da Firenze dai Neri; e Firenze rinova gente (ammettendo i Neri, prima esuli, in luogo de' Bianchi) e modi di governare. - E dice: si dimagra, per indicare come dopo cacciati li caporali della parte Nera, Andrea de' Gherardini, capitano di Pistoia, andò con le calunnie e i tormenti struggendo e cacciando i caporali de' popolari Neri» (St. Pist.); Tragge Marte, ecc.: «Intende, con questa allegoria, l'uscire che nel 1301 fece di Val di Magra Moroello Malaspina, marchese di Giovagallo in Lunigiana, a porsi alla testa de' Neri di Pistoia, e la rotta che dette a' Bianchi, che in campo Piceno lo attaccarono; rotta che fu in gran parte cagione che poco tempo dopo anche i Bianchi di Firenze fossero dai Neri cacciati, e che lo stesso poeta n'andasse, senza più tornare, in esilio. La battaglia avvenne l'anno 1302 nel piano ch'è tra Seravalle, castello de' Pistoiesi, a cui il marchese avea posto assedio, e Montecatini, vale a dire nell'agro o campo pesciatino, o piscense» (F.).

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