«Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l'armi!
Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza!».
(3)
Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;
e accennolle che venisse a proda,
vicino al fin d'i passeggiati marmi.
(6)
E quella sozza imagine di froda
sen venne, e arrivò la testa e 'l busto,
ma 'n su la riva non trasse la coda.
(9)
La faccia sua era faccia d'uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle,
e d'un serpente tutto l'altro fusto;
(12)
due branche avea pilose insin l'ascelle;
lo dosso e 'l petto e ambedue le coste
dipinti avea di nodi e di rotelle.
(15)
Con più color, sommesse e sovraposte
non fer mai drappi Tartari ne Turchi,
né fuor tai tele per Aragne imposte.
(18)
Come talvolta stanno a riva i burchi,
che parte sono in acqua e parte in terra,
e come là tra li Tedeschi lurchi
(21)
lo bivero s'assetta a far sua guerra,
così la fiera pessima si stava
su l'orlo ch'è di pietra e 'l sabbion serra.
(24)
Nel vano tutta sua coda guizzava,
torcendo in sù la venenosa forca
ch'a guisa di scorpion la punta armava.
(27)
Lo duca disse: «Or convien che si torca
la nostra via un poco insino a quella
bestia malvagia che colà si corca».
(30)
Però scendemmo a la destra mammella
e diece passi femmo in su lo stremo,
per ben cessar la rena e la fiammella.
(33)
E quando noi a lei venuti semo,
poco più oltre veggio in su la rena
gente seder propinqua al loco scemo.
(36)
Quivi 'l maestro «Acciò che tutta piena
esperïenza d'esto giron porti»,
mi disse, «va, e vedi la lor mena.
(39)
Li tuoi ragionamenti sian là corti;
mentre che torni, parlerò con questa,
che ne conceda i suoi omeri forti».
(42)
Così ancor su per la strema testa
di quel settimo cerchio tutto solo
andai, dove sedea la gente mesta.
(45)
Per li occhi fora scoppiava lor duolo;
di qua, di là soccorrien con le mani
quando a' vapori, e quando al caldo suolo:
(48)
non altrimenti fan di state i cani
or col ceffo or col piè, quando son morsi
o da pulci o da mosche o da tafani.
(51)
Poi che nel viso a certi li occhi porsi
ne' quali 'l doloroso foco casca,
non ne conobbi alcun; ma io m'accorsi
(54)
che dal collo a ciascun pendea una tasca
ch'avea certo colore e certo segno,
e quindi par che 'l loro occhio si pasca.
(57)
E com' io riguardando tra lor vegno,
in una borsa gialla vidi azzurro
che d'un leone avea faccia e contegno.
(60)
Poi, procedendo di mio sguardo il curro,
vidine un'altra come sangue rossa,
mostrando un'oca bianca più che burro.
(63)
E un che d'una scrofa azzurra e grossa
segnato avea lo suo sacchetto bianco,
mi disse: «Che fai tu in questa fossa?
(66)
Or te ne va; e perché se' vivo anco,
sappi che 'l mio vicin Vitalïano
sederà qui dal mio sinistro fianco.
(69)
Con questi Fiorentin son padoano:
spesse fïate mi 'ntronan li orecchi
gridando: "Vegna 'l cavalier sovrano
(72)
che recherà la tasca con tre becchi!"».
Qui distorse la bocca e di fuor trasse
la lingua, come bue che 'l naso lecchi.
(75)
E io, temendo no 'l più star crucciasse
lui che di poco star m'avea 'mmonito,
torna'mi in dietro da l'anime lasse.
(78)
Trova' il duca mio ch'era salito
già su la groppa del fiero animale,
e disse a me: «Or sie forte e ardito.
(81)
Omai si scende per sì fatte scale;
monta dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo,
sì che la coda non possa far male».
(84)
Qual è colui che sì presso ha 'l riprezzo
de la quartana, ch'ha già l'unghie smorte,
e triema tutto pur guardando 'l rezzo,
(87)
tal divenn' io a le parole porte;
ma vergogna mi fé le sue minacce,
che innanzi a buon segnor fa servo forte.
(90)
I' m'assettai in su quelle spallacce;
sì volli dir, ma la voce non venne
com' io credetti: «Fa che tu m'abbracce».
(93)
Ma esso, ch'altra volta mi sovvenne
ad altro forse, tosto ch'i' montai
con le braccia m'avvinse e mi sostenne;
(96)
e disse: «Gerïon, moviti omai:
le rote larghe, e lo scender sia poco;
pensa la nova soma che tu hai».
(99)
Come la navicella escè di loco
in dietro in dietro, sì quindi si tolse;
e poi ch'al tutto si sentì a gioco,
(102)
là 'v' era 'l petto, la coda rivolse,
e quella tesa, come anguilla, mosse,
e con le branche l'aere a sé raccolse.
(105)
Maggior paura non credo che fosse
quando Fetonte abbandonò li freni,
per che 'l ciel, come pare ancor, si cosse;
(108)
né quando Icaro misero le reni
sentì spennar per la scaldata cera,
gridando il padre a lui «Mala via tieni!»,
(111)
che fu la mia, quando vidi ch'i' era
ne l'aere d'ogne parte, e vidi spenta
ogne veduta fuor che de la fera.
(114)
Ella sen va notando lenta lenta;
rota e discende, ma non me n'accorgo
se non che al viso e di sotto mi venta.
(117)
Io sentia già da la man destra il gorgo
far sotto noi un orribile scroscio,
per che con li occhi 'n giù la testa sporgo.
(120)
Allor fu' io più timido a lo stoscio,
però ch'i' vidi fuochi e senti' pianti
ond' io tremando tutto mi raccoscio.
(123)
E vidi poi, ché nol vedea davanti
lo scendere e 'l girar per li gran mai
che s'appressavan da diversi canti.
(126)
Come 'l falcon ch'è stato assai su l'ali,
che sanza veder logoro o uccello
fa dire al falconiere «Omè, tu cali!»,
(129)
discende lasso onde si move isnelo,
per cento rote, e da lunge si pone
dal suo maestro, disdegnoso e fello;
(132)
così ne puose al fondo Gerïone
al piè al piè de la stagliata rocca,
e, discarcate le nostre persone,
si dileguò come da corda cocca.
(136)
NOTE AL CANTO XVII
(1-3) aguzza: «aguta e pugnente più che alcun ferro» (B.); passa: «durchbohrt» (Bl.). Perfora; «monti, le durissime e grandi cose; muri delle città e di qualunque fortezza; e l'armi passa e rompe di qualunque fortissimo e ardito cavaliere» (B.); rompe i muri e l'armi: «ogni defension vince» (Buti); appuzza: ammorba. «Corrompe e guasta col suo iniquo e fraudolente adoperare» (B.). «Corrompe e brutta di peccati» (Buti).
(5-6) accennolle, ecc.: «le fece cenno che ella venisse insino al luogo dove essi passeggiando erano pervenuti» (B.). Il Buti legge: «vicina al fin, ecc., cioè prossimana alla fine dell'argine del fiume ch'era di pietra, sul quale aveano attraversato lo cerchio settimo».
(7-8) E quella sozza, ecc.: Gerione, simbolo della frode: Geryon o Geryoneus, verosimilmente da "gherúo", che grida, che mugge, è il nome d'un figlio di Crisaore e di un'oceanina, Calliroe, ricco possessore d'armenti nell'isola Euriteia. Simboleggia l'abbondanza, la fertilità, e tuttavia si figurava in forma di mostro, con tre corpi ("trisómatos"), tergeminus, tre teste ("trikárenos"), con sei mani, sei piedi, gigante e armato di tutto punto, terribilmente forte e con ali possenti. Nella commedia ateniese figurava un sere grasso bracato e goloso. A questo conto starebbe bene nel terzo cerchio con Ciacco. Come si spieghi questo mito dai moderni non fa forza. Sentiamo piuttosto il Bocc., che non è un Preller, e tuttavia esprime bene la media delle idee correnti al suo tempo intorno alla mitologia. «Fraus et merito (Geneal. degli Dei, I, 21). Herebi et Noctis a Cicerone dicitur filia: laetalis quidem et infanda pestis et iniquae mentis execrabile vitium. Hujus autem formam Dantes Allegeri florentinus eo in poemate, quod florentino scripsit idiomate; non parvi quidem inter alia poemata momenti; sic describit: Eam, scilicet justi hominis habere faciem: corpus reliquum serpentinum, variis distinctum maculis atque coloribus; et ejus caudam terminari in scorpionis aculeum, eamque Cociti innare undis: adeo ut illis excepta facie totum contegat horridum corpus: eamque Gerionem cognominat. In placida igitur et simili justi hominis facie sentit auctor extrinsecum fraudulentium hominum vultum: sunt nam vultu et eloquio mites: habitu modesti; incessu graves; moribus insignes et spectabiles pietate; operibus vero miserabili sub gelo iniquitatis tectis versipelles sunt; astutia callidi, et maculis respersi scelerum, adeo ut omnis eorum operum conclusio pernicioso sit plena veneno. Et inde Gerion dicta est, quia regnans apud baleares insulas Gerion miti vultu, blandisque verbis et omni comitatu consueverit hospites suscipere et demum sub hac benignitate sospites occidere». L'Anonimo fiorentino: «Accoglieva gli uomini et tiravagli a sé d'ogni paese, et poi ch'egli gli avea nel suo albergo, mostrando di volere loro fare cortesia, gli rubava et uccidevagli et davagli a mangiare et a divorare a sue cavalle. Ercole, arrivando nel paese, finalmente l'uccise, però che trovò le mangiatoie piene d'uomini morti»; arrivò: «mise sopra la riva» (B.); 'l busto: «il rimanente del corpo» (B.).
(13-15) Due branche: «due piedi artigliati, come veggiamo che a' dragoni si dipingono» (B.); infin l'ascelle: «infino alle ditella delle spalle» (Buti); lo dosso, ecc.: «tutto il corpo, fuori che la testa, e 'l collo e la coda» (B.); dipinti avea: ornate come naturalmente hanno alcuni animali; nodi: compassi i quali parevano nodi; rotelle: figure rotonde.
(16-18) Con più color, ecc.: «a variazione dell'ornamento» (B.); non fer mai drappi: non fecer mai drappi con più colori, con più sommesse e soprapposte. Altri: ma' in drappo, e intendi: Né Tartari né Turchi fecer mai in drappo sommesse e soprapposte con tanti colori; sopraposte: «è quella parte del lavoro che ne' drappi a vari colori rileva dal fondo; sommesse, il contrario» (B. B.). «With colors more, groundwork or broidery, ecc.» (Lf.). «So bunt den Grund und Einschlag ihrer Tücher» (Bl.). Fondo e ricamo; Tartari né Turchi: «i quali di ciò sono ottimi maestri, siccome noi possiamo manifestamente vedere ne' drappi tartareschi, i quali veramente sono sì artificiosamente tessuti, che non è alcun dipintore che col pennello gli sapesse fare simiglianti, non che più belli» (B.). Qui finisce il commento del Boccaccio, e d'ora innanzi B. vorrà dir Buti. Aragne: cangiata in ragno da Minerva. V. Purg., XII, 43; imposte: «composte» (B.). «Messe sul telaio» (V.).
(19-24) stanno a riva i burchi: «Quando i navalestri non vogliono più navicare, sogliono menare i burchj (piccole navi da remi) alla riva, et quivi rimangono, che la prora è in sulla terra, e la poppa è nell'acqua» (Anonimo fiorentino); tra li Tedeschi: lungo il Danubio; lurchi: golosi e beoni; lat.: lurco, mangione, divoratore, da lura, bocca d'un sacco di cuoio, borsa, e fig. ventre. Il Blanc: «dall'alem. lorch, animale immondo, goloso». Il B.: «tra li Tedeschi e i Lurchi»; lo bivero: «dall'alem. biber, il castoro» (Bl.). «La lontra maschio: questo animale è molto vago de' pesci, e però sta nella riva del Danubio, e mette la coda, che l'ha molto grossa, nell'acqua; e perché l'ha molto grassa, per li pori esce l'untume e il grasso sì, che l'acqua diventa unta come d'olio, onde i pesci vi traggono et elli si volge a pigliare quelli che vuole» (B.). «Segue l'opinione erronea e volgare che il castoro si nutra di pesci» (Bl.); su l'orlo, ecc.: su l'orlo di pietra, che rinserra, circonda il sabbione.
(26-27) forca: «coda biforcuta» (B.). «La fourche vénéneuse, armée de dard comme celle du scorpion» (Ls.).
(28-29) Or convien che si torca - la nostra via, ecc.: «dalla sponda sulla quale camminato aveano, rettilinea e mirante al mezzo dell'Inferno, passando sul circolar orlo di pietre, che terminava quel settimo cerchio, su del qual orlo erasi Gerione appostato, vv. 23-24» (L.).
(31-33) scendemmo: «perché la sponda del fiume era più alta dell'orlo del cerchio» (L.); a la destra mammella: «in ver man ritta» (B.); stremo d'esso orlo; estremità; cessar: Nidob.: «cansar»; la fiammella: «per le fiammelle, come altrove la stella per le stelle» (Bl.).
(35-36) veggio, ecc.: Gli usurai sono nell'arena ardente come violenti contro l'arte, ma vicini al posto dei fraudolenti, perché s'accostano ad essi nella natura del loro peccato; propinqua al loco scemo: «vicina al vano della buca infernale» (B. B.).
(39) mena: condizione. Mena di serpenti. Inf., XXIV, 83.
(42) i suoi omeri forti: le sue buone spalle a portarci giù nell'altro girone.
(43) ancor: avendo già visitate le altre parti del cerchio; su per la strema testa: sull'ultima parte.
(46-48) lor duolo: «le lagrime ch'erano stillamento e manifestamento del dolore» (B.). «Was gushing forth their woe» (Lf.); soccorrìen: soccorrevano, studiavan fare schermo; a' vapori: alle fiamme che cadevano; al caldo suolo: alla rena infocata.
(52) porsi: Petr.: «Nel fondo del mio cuor gli occhi tuoi porgi».
(56-57) certo colore e certo segno: è l'arme col proprio colore della famiglia di ciascuno; certo: determinato; si pasca: prenda soddisfazione. «Guardan la borsa del loro tesauro, e quivi l'occhio si pasce, ubi cor tuum ibi thesaurus tuus. Santo Stefano tenea gli occhi al cielo, ecc., dove era il suo tesauro. Purg., XV, 111: ma de li occhi facea sempre al ciel porte» (O.).
(59-60) in una borsa, ecc.: «La casa de' Gianfigliazzi, che fa un leone azzurro in campo d'oro» (B.).
(61-63) Poi, procedendo di mio sguardo il curro: «seguitando lo scorrimento de' miei occhi» (B.); un'oca: «Intende il casato delli Ebriachi, li quali fanno un'oca bianca nel campo vermiglio» (B.); burro: il Parenti volea si leggesse eburro, avorio, e pare che alcun testo conforti ora la sua congettura.
(64-65) una scrofa, ecc.: arma degli Scrovigni di Padova. «Scrovigni autem portant porcam azurram in campo albo, et inde denominati sunt, sicut quidam Nobilis romanus, cognominatus est Scroffa» (Benv.); grossa: gravida.
(67-68) e perché se' vivo anco, ecc.: e potrai riferire l'udito; vicin: concittadino. Benv.: «Civis meus Paduanus»; Vitaliano del Dente. L'Anonimo fiorentino: «Vitaliano d'Asdente».
(70) son Padovano: Rinaldo Scrovigni.
(71) m'intronan li orecchi: Turbant auditum meum clamore alto et terribili in modum tonitrui.
(72-73) il cavalier sovrano: «Questo fu messer Buialmonte da Firenze, lo quale facea l'arme con tre becchi gialli di nibbio nel campo azzurro» (B.). L'Anonimo fiorentino: «Portava per arme il campo giallo e tre becchi neri l'uno sopra l'altro, come stanno i leopardi che sono nell'arme del re d'Inghilterra, Pietro di Dante e Benvenuto intendono becchi per capri». «Il fatto è che negli antichi nostri Prioristi l'arme de' Buiamonti vedesi con tre teste (rostri) di aquila» (F.). Altri sostiene di avervi veduto tre capri. «G. Buiamonte fu molto ricchissimo d'usura, e fece miserissima fine in somma povertade» (O.).
(74-75) distorse la bocca, ecc.: Atto di disprezzo dietro a colui che altri ha lodato per ironia. «L'Asinaio, battuto da Dante, perché frammetteva arri al cantare il suo libro, quando si fu un poco dilungato, gli si volse, cavandogli la lingua e facendogli con la mano la fica, dicendo: Togli». Così il Sacchetti citato dal Lf. E Persio, nella prima Satira: «Te felice, o Giano, - A cui le terga non beccò cicogna, - Né del ciuco imitò mobile mano - L'orecchie, né la lingua sizïente, - D'Apula cagna beffator villano». «Accenna in tre versi - dice il Monti - tre modi antichi di derisione fatta dietro le spalle, cioè il collo della cicogna, le orecchie dell'asino, e la lingua anelante del cane».
(82) Omai si scende, ecc.: Gerione ora, poi Anteo (Inf., XXXI, 130 e segg.), finalmente Lucifero (Inf., XXXIV, 70-84).
(83-84) esser mezzo: star in mezzo fra te e la coda della bestia; far male: farti male.
(85-87) Qual è colui che sì presso, ecc.: altri: è sì presso al riprezzo, «ribrezzo - brividore - quel tremito e freddo che vien con la quartana; d'onde dicono: Egli ha avuto un ribrezzo di febbre» (Borgh.); pur guardando il rezzo: «perché tali stanno volentieri al sole, e vedendo il rezzo tremano per la paura del freddo» (B.). «Chiamasi in Toscana, e credo per tutto rezzo ove non batte sole, e stare al rezzo ove non sia sole... I quartanarj solamente a vedere il rezzo, ricordandosi che vi si ritiravan per sentir fresco, la imaginazione sola gli fa come tremare» (Borgh.). Dittam.: «Orde allora un ribrezzo - Cotal mi prese, qual talor il verno - A chi sta fermo mal vestito al rezzo».
(89-90) le sue minacce: i rimproveri di Virgilio pel preso timore; che innanzi a buon segnor, ecc.: «cette honte, qui devant un maître intrépide, rend un serviteur courageux» (Ls).
(93) Fa che tu m'abbracce: così volle dire; ma la voce gli fallì.
(95) ad altro forse: altri legge: ad alto, suppl. luogo, cioè nelle cerchie superiori.
(98-99) le rote: i giri; lo scender sia poco: obliquo e lento a larga spirale. «Que la descente soit douce» (Ls.); la nova soma: un corpo vivo.
(101-105) in dietro in dietro: «tirandosi» (B.). «Peu à peu reculant» (Ls.); a gioco: nell'aere. «Und als er freien Spielraum erst gewonnen» (Bl.); la coda rivolse: in verso la proda del settimo cerchio, ove prima avea tenuto lo capo; come anguilla, mosse: «mosse per l'aere, come anguilla per l'acqua» (B.); l'aere a sé raccolse: come fa chi nuota. Cfr. XVI, 131.
(107) li freni: de' cavalli che tirano il carro del sole. Ovidio: «Mentis inops gelida formidine lora remisit - quae postquam summum tetigere jacentia tergum - exspatiantur equi, nulloque inhibente per auras - ignotae regionis eunt».
(108) come pare ancor alla via lattea - si cosse. D., Conv., II, 15. «E' da sapere che di quella Galassia li filosofi hanno avuto diverse opinioni. Chè li Pittagorici dissero che 'l sole alcuna fiata errò nella sua via: e passando per altre parti non convenienti al suo fervore, arse il luogo per lo quale passò, e rimasevi quell'apparenza dell'arsura. E credo che si mossero dalla favola di Fetonte, la quale narra Ovidio nel principio del secondo di Metamorfoseos». Di Fetonte, il Boccaccio, dopo aver detto che questo mito copre un incendio straordinario, che fu nelle parti di Grecia e d'Oriente (Phaeton, ut ait Leontius thessalus, latine sonat incendium), aggiunge (Geneal., VII, 42): «Quod autem inseritur eum viso scorpione timuisse atque habenas equorum liquisse et eos ultra solitum ascendisse et caeli partem illam exussisse, et terram aequo modo descendentes incendisse, ab ordine naturae continuo sumptum est. Est enim in zodiaco spacium XX graduum, a XX scilicet gradu librae usque ad X scorpionis quod philosophi viam vocavere combustam; eo quod singulis annis gradiente sole per spacium illud omnia in terra videantur exuri. Nam arescunt herbae et frondes albescunt et decidunt; aquae ad interiora terrae trahuntur nec aliquid penitus ea tempestate gignitur, et sic ab effectu caeli pars illa denominatur». La Terra, in Ovidio, supplicando Giove di salvarla dall'incendio: «Quod si nec fratris, nec te, mea gratia tangit. - At caeli miserere tui: circumspice utrumque - fumat uterque polus. Quos si vitiaverit ignis - atria vestra ruent».
(110-115) sentì spennar per la scaldata cera: «dell'alie, che s'avea fatte di penne appiccate con la cera» (B.); il padre: Dedalo; Mala via tieni: «però che volava troppo alto sì che il caldo del cielo struggeva la cera dell'alie» (B.); che fu la mia: di quello che fu la mia paura; ne l'aere d'ogni parte: tutto circondato d'aere; spenta - ogni veduta, ecc.: perduta di vista la proda onde s'era partito, non vedeva più altro che Gerione e l'aria intorno.
(116-117) rota: «piglia giro per discendere più agevolmente» (B.); se non ch'al viso, ecc.: «se non perché sente disotto la resistenza dell'aria ch'egli vien rompendo e il sottentrar della nuova che gli ferisce il viso» (B. B.); «mi venta, mi soffia, al viso per il ruotare, e di sotto per lo scendere» (F.).
(118-120) Io sentia già da la man destra il gorgo: «Questo dice per mostrare che la fiera era ita verso man sinistra, et avea passato lo fiume detto di sopra, sì che s'elli era ito in verso sinistra, da man ritta si dovea sentir lo fiume» (B.); scroscio: strepito d'acqua che cade. «Suono di cadimento d'acqua pauroso» (Buti); per che: per lo quale suono; con li occhi 'n giù la testa sporgo: «con li occhi chinati in giuso feci la testa in fuori a guardare di sotto» (B.).
(121-123) a lo scoscio: (riguardando) al precipizio. O meglio: «timoroso di non uscir di sella allentando le coscie» (B. B.). «Al cadere; perché l'uomo si scoscia» (B.); tutto mi raccoscio: «tutto mi ristringo e riserro le coscie alla fiera» (B.).
(124-126) vidi... vedea; altri: udii... udia. Il Blanc difende la prima lezione così: «Primamente al v. 116 rota e discende (Gerione), ma non se n'accorge, perché egli all'oscuro e sospeso nell'aere sopra l'abisso, non poteva accorgersi di rotare che dal vento che lo feriva nel viso, e di discendere che dal vento che sentiva di sotto. Calato più basso (vv. 118 e segg.), sente lo scroscio dei gorghi cadenti, e sporge la testa, volge gli occhi all'ingiù, e in fine vede fuochi e ode lamenti. Solo ora vede altresì che il mostro discendeva e rotava, laddove prima poteva ciò argomentare, ma non vedere (che nol vedea davanti, prima)».
(127-132) Come 'l falcon ch'è stato assai su l'ali, ecc.: «Il falcone addestrato a cacciare è portato dal falconiere sul pugno guardato da un guanto di cuoio. Quando si giunge all'aperto si leva il cappello al falcone, e questo dritto dritto poggia velocissimo in alto. Nell'alto ei si aggira rotando, finché adocchi una preda, uccello, o sia richiamato dal falconiere col logoro. Che non si iscorge preda alcuna e il falconiere nol richiama, stanco, cala a terra da sé a larghe ruote, discende lasso per cento rote, onde si move snello (al luogo donde partì agile e lieto), ma si pone disdegnoso e fello lungi dal suo maestro. Il logoro, franc.: leurre, alem. ant.: luoder (luder, onde in alcuni mss. anche ludoro), secondo un antico libro di caccia, così è descritto da Filalete: "Il logoro è uno strumento di due ali d'uccello legate insieme, con un filo pendente, che al capo estremo porta un uncinello di corno". Era quindi una figura d'uccello fatta all'ingrosso, cui il falconiere si lasciava andare intorno al capo, per allettare il falcone» (Bl.).
(133-136) così: «Gerione, disdegnoso e fello di aver travagliato senza far preda, ecc.» (L.); ne pose al fondo: dell'ottavo cerchio; al piè al piè: rasente, rasente; de la stagliata rocca: della scoscesa rocca, del rovinoso balzo; discarcate: scaricate; come da corda: d'arco o di balestro; cocca: «di strale, o di saetta o di bolcione, che subitamente si parte» (B.). Qui è presa la cocca, ch'è l'estremità della freccia che si adatta alla corda, per la freccia stessa.