LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (INFERNO) - CANTO X

Ora sen va per un secreto calle,
tra 'l muro de la terra e li martìri,
lo mio maestro, e io dopo le spalle. (3)

«O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi», cominciai, «com' a te piace,
parlami, e sodisfammi a' miei disiri. (6)

La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? già son levati
tutt' i coperchi, e nessun guardia face». (9)

E quelli a me: «Tutti saran serrati
quando di Iosafàt qui torneranno
coi corpi che là sù hanno lasciati. (12)

Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l'anima col corpo morta fanno. (15)

Però a la dimanda che mi faci
quinc' entro satisfatto sarà tosto,
e al disio ancor che tu mi taci». (18)

E io: «Buon duca, non tegno riposto
a te mio cuor se non per dicer poco,
e tu m'hai non pur mo a ciò disposto». (21)

«O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco. (24)

La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patrïa natio,
a la qual forse fui troppo molesto». (27)

Subitamente questo suono uscio
d'una de l'arche; però m'accostai,
temendo, un poco più al duca mio. (30)

Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s'è dritto:
da la cintola in sù tutto 'l vedrai». (33)

Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s'ergea col petto e con la fronte
com' avesse l'inferno a gran dispitto. (36)

E l'animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: «Le parole tue sien conte». (39)

Com' io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?». (42)

Io ch'era d'ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel' apersi;
ond' ei levò le ciglia un poco in suso; (45)

poi disse: «Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fïate li dispersi». (48)

«S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte»,
rispuos' io lui, «l'una e l'altra fïata;
ma i vostri non appreser ben quell' arte». (51)

Allor surse a la vista scoperchiata
un'ombra, lungo questa, infino al mento:
credo che s'era in ginocchie levata. (54)

Dintorno mi guardò, come talento
avesse di veder s'altri era meco;
e poi che 'l sospecciar fu tutto spento, (57)

piangendo disse: «Se per questo cieco
carcere vai per altezza d'ingegno,
mio figlio ov' è? e perché non è teco?». (60)

E io o lui: «Da me stesso non vegno:
colui ch'attende là, per qui mi mena
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno». (63)

Le sue parole e 'l modo de la pena
m'avean di costui già letto il nome;
però fu la risposta così piena. (66)

Di sùbito drizzato gridò: «Come?
dicesti "elli ebbe"? non viv' elli ancora?
non fiere li occhi suoi lo dolce lume?». (69)

Quando s'accorse d'alcuna dimora
ch'io facëa dinanzi a la risposta,
supin ricadde e più non parve fora. (72)

Ma quell' altro magnanimo, a cui posta
restato m'era, non mutò aspetto,
né mosse collo, né piegò sua costa; (75)

e sé continüando al primo detto,
«S'elli han quell' arte», disse, «male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto. (78)

Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell' arte pesa. (81)

E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
incontr' a' miei in ciascuna sua legge?». (84)

Ond' io a lui: «Lo strazio e 'l grande scempio
che fece l'Arbia colorata in rosso,
tal orazion fa far nel nostro tempio». (87)

Poi ch'ebbe sospirando il capo mosso,
«A ciò non fu' io sol», disse, «né certo
sanza cagion con li altri sarei mosso. (90)

Ma fu' io solo, là dove sofferto
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
colui che la difesi a viso aperto». (93)

«Deh, se riposi mai vostra semenza»,
prega' io lui, «solvetemi quel nodo
che qui ha 'nviluppata mia sentenza. (96)

El par che voi veggiate, se ben odo,
dinanzi quel che 'l tempo seco adduce,
e nel presente tenete altro modo». (99)

«Noi veggiam, come quei c'ha mala luce,
le cose», disse, «che ne son lontano;
cotanto ancor ne splende il sommo duce. (102)

Quando s'appressano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s'altri non ci apporta,
nulla sapem di vostro stato umano. (105)

Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
che del futuro fia chiusa la porta». (108)

Allor, come di mia colpa compunto,
dissi: «Or direte dunque a quel caduto
che 'l suo nato è co' vivi ancor congiunto; (111)

e s'i' fui, dianzi, a la risposta muto,
fate i saper che 'l fei perché pensava
già ne l'error che m'avete soluto». (114)

E già 'l maestro mio mi richiamava;
per ch'i' pregai lo spirto più avaccio
che mi dicesse chi con lu' istava. (117)

Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è 'l secondo Federico
e 'l Cardinale; e de li altri mi taccio». (120)

Indi s'ascose; e io inver' l'antico
poeta volsi i passi, ripensando
a quel parlar che mi parea nemico. (123)

Elli si mosse; e poi, così andando,
mi disse: «Perché se' tu sì smarrito?».
E io li sodisfeci al suo dimando. (126)

«La mente tua conservi quel ch'udito
hai contra te», mi comandò quel saggio;
«e ora attendi qui», e drizzò 'l dito: (129)

«quando sarai dinanzi al dolce raggio
di quella il cui bell' occhio tutto vede,
da lei saprai di tua vita il vïaggio». (132)

Appresso mosse a man sinistra il piede:
lasciammo il muro e gimmo inver' lo mezzo
per un sentier ch'a una valle fiede,
che 'nfin là sù facea spiacer suo lezzo. (136)

NOTE AL CANTO X



(1-5) Ora sen va, ecc.: «Continua canto a canto, passando tra' martirj e gli alti spaldi» (L'Ottimo commento); un secreto; altri: uno stretto; calle: «è propriamente sentieri li quali sono per le selve, per li boschi triti dalle pedate delle bestie, cioè delle gregge e degli armenti. Qui per dimostrare quella via non essere usitata da gente, la chiama calle» (B.); terra: di Dite; martìri: i sepolcri ne' quali martirj e pena sostenevano gli eretici; dopo le spalle: appresso a lui; O virtù somma: o Virgilio; li empi giri: i crudeli cerchj dell'Inferno, pieni d'empiezza e di malizia; mi volvi: scendevano girando in tondo. Inf., XIV.
(8) levati: alzati in su.
(10-11) saran serrati: «dopo il giudizio non n'avrà a cadere altri» (T.); Iosafat: Tasso, XI, 10: «La cupa Giosaffà che in mezzo è posta». Altri: Iosaffat.
(15) che l'anima, ecc.: «Tennero (li Epicurei, che il Bocc. chiama Epicuri) che il sommo bene, cioè la felicità degli uomini, fosse nella delettazione della carne, e tenevano che, morendo il corpo, muore l'anima dell'uomo, come quella de' bruti. In questo errore caddono molti del presente tempo, connumerati sotto il generale vocabolo Paterini» (L'Ottimo commento).
(19-21) non tegno riposto; altri: nascosto. «Qui fa certa sua scusa a Virgilio per quelle parole: Ed al disio, ecc., e dice che non fa per celarsi; ma per non rincrescerli» (O.); non pur mo: non solarmente ora. «Mo, dall'avv. lat. modo, voce dell'antico dialetto fiorentino» (B. B.); a ciò disposto: «tu me n'hai ammaestrato ancora altra volta» (Buti). Cfr. Inf., III, 54 e 76, e IX, 86)
(22-23) città del foco: «perocché fuori di essa non sono anime tormentate dal fuoco» (L.); onesto: reverentemente.
(25-27) La tua loquela, ecc.: «al parlare ti manifesti esser fiorentino. E commenda qui l'autore la sua patria di nobiltà, perché, disfatta Fiesole, i nobili romani edificarono Fiorenza» (Buti); forse: «Senza quello forse si biasimava fortemente: grave infamia è offendere la sua patria» (O.) «Volendo questo forse s'intenda per l'esser paruto a molti lui essere molesto; al giudicio de' quali per avventura non era da credere, siccome di nemici» (B.).
(31-33) che fai?: come fuggi tu?; Farinata: degli Uberti. «Fu dell'opinione d'Epicuro, che l'anima morisse col corpo; e per questo tenne che la beatitudine degli uomini fosse tutta ne' diletti temporali; ma non seguì questa parte nella forma che fece Epicuro, di digiunar lungamente, per aver poi piacere di mangiar del pan secco, ma fu desideroso di buone e dilicate vivande, e quelle eziandio senza aspettar la fame usò» (B.); da la cintola: «dai lombi sopra i quali l'uom si cigne» (B.). «Oggi è usanza di cignersi in su l'anche» (Anonimo fiorentino).
(34-36) fitto: «per riconoscerlo già lo riguardava fiso» (Buti); in gran dispitto: a vile e per niente. «A grand mépris» (Ls.). B. Giamboni, Tes.: «Molto ha a dispetto (il paone) la laidezza de' suoi piedi (molt desprise)».
(39) conte: «composte e ordinate a rispondere; quasi voglia dire: tu non vai a parlare ad ignorante» (B.). «Manifeste e chiare» (L.). «Nettes» (Ls.).
(45-47) ond'ei levò le ciglia un poco in soso: «Sogliono fare questo atto gli uomini quando odono alcuna cosa, la quale non si conformi bene col piacere loro, quasi in quello levare il viso in su, di ciò che odono si dolgano con Domeneddio, o si dolgano di Domeneddio» (B.); «a me, in singuralità, e a' miei primi, a' miei passati» (B.).
(48) sì che per due fïate li dispersi: «gli cacciai di Firenze insieme con gli altri Guelfi; e questo fu la prima volta, essendo l'imperador Federigo privato d'ogni dignità imperiale da Innocenzo papa e scomunicato, e trovandosi in Lombardia, per abbattere e indebolire le parti della Chiesa in Toscana, mandò in Firenze suoi ambasciadori; per opera de' quali fu racceso l'antico furore delle due parti Guelfe e Ghibelline nella città e cominciarono per le contrade di Firenze, alle sbarre e sopra le torri, le quali allora c'erano altissime, a combattere insieme, e a danneggiarsi gravissimamente, e ultimamente in soccorso della parte Ghibellina mandò Federigo in Firenze milleseicento cavalieri; la venuta de' quali sentendo i Guelfi, né avendo alcun soccorso, a dì 22 di febbrajo nel 1248, di notte s'usciron della città, e in diversi luoghi per lo contado si ricolsono, di quelli guerreggiando la città. E' vero che poi venuta la novella in Firenze come lo imperador Federigo era morto in Puglia, si levò il popolo della città, e volle che i Guelfi fossero rimessi in Firenze, e così furono a dì 7 di gennaio 1250. (Nel gennaio 1251, per la rotta data ai Ghibellini a Figline a' 20 ottobre 1250; B. B.). La seconda volta ne furon cacciati, quando i Fiorentini furono sconfitti a Monte Aperti dai Sanesi, per l'aiuto che i Sanesi ebbero dal re Manfredi per opera di messer Farinata, il quale aveva mandato la piccola masnada avuta da Manfredi con la sua insegna in parte che tutti erano stati tagliati a pezzi. La qual novella come fu in Firenze, sentendo i Guelfi che i Ghibellini con le masnade del re Manfredi ne venieno verso Firenze, senza aspettare alcuna forza, con tutte le famiglie loro, a dì 13 di settembre 1260 se ne uscirono: e poi avendo il re Carlo primo avuta vittoria, e ucciso il re Manfredi, tutti vi ritornarono, e i Ghibellini se n'uscirono fuori, de' quali mai poi per sua virtù o operazione non ve ne ritornò alcuno» (B.). (Nel 1266; ma a questo secondo ritorno Farinata non si trovò, essendo morto nel 1264; B. B.).
(49) ei tornâr d'ogni parte: dove che si fossero.
(51) ma i vostri, ecc.: Il Malispini: «Il cardinale Ottaviano degli Ubaldini ne fece grande feste (della sconfitta di Monte Aperti). Il cardinale Bianco, il quale era grande astrologo e negromante, disse: Se il cardinale Ottaviano sapesse il futuro di questa guerra, egli non farebbe questa allegrezza. Il collegio de' Cardinali il pregarono che dovesse dichiarare più aperto. Egli non lo volea dire; ma per il comandamento del Papa disse in breve sermone: I vinti vigorosamente vinceranno e in eterno non saranno vinti».
(52-54) surse: si levò; a la vista scoperchiata: alla bocca del sepolcro; vista: finestra, apertura; un'ombra, ecc.: Cavalcante Cavalcanti, padre di Guido. «Iste omnino tenuit sectam Epicureorum, semper credens et suadens aliis, quod anima simul moreretur cum corpore. Unde semper habebat in ore dictum Salomonis: Unus est interitus hominis et jumentorum et aequa utriusque conditio» (Benv.); in ginocchie; altri: inginocchion.
(57) e poi, ecc.: «poiché vide che io era solo» (B.); sospecciar; altri: suspicar.
(60-61) perché non è ei teco?: «Ricorda la scena dell'Odissea (libro XI), quando l'ombra di Agamennone appare a Ulisse e domanda di Oreste» (Lf.); Da me stesso: «eigenmächtig» (Bl.).
(63-65) ebbe a disdegno: «Perciocché la filosofia gli pareva, siccome ella è, da molto più che la poesia, ebbe a sdegno Virgilio e gli altri poeti» (B.). «Guido era guelfo, come era stato Dante fino al 1300, epoca della visione e del suo cambiamento. E' molto facile ch'egli non convenisse nell'idea dell'impero, vagheggiata e predicata dall'amico: quindi avesse in dispetto Virgilio, non già come poeta, molto meno come simbolo della filosofia naturale, ma solamente come cantore e sostenitore della divina origine dell'impero» (B. B.); letto il nome: «m'aveano manifestato chi era» (Buti). Altri: detto.
(69-72) lome: lume (del sole); supin ricadde: «ritornò rovescio e più non si vide poi» (Buti). «A la renverse il retomba» (Ls.).
(73-75) a cui posta: a cui richiesta; né piegò sua costa: stette immobile.
(77-78) s'elli han; altri: s'egli han; ciò mi tormenta, ecc.: «io n'hoe maggior dolore che dello star qui in questo sepolcro» (Buti).
(79-80) raccesa - la faccia: «di Proserpina, la quale è reina dell'Inferno ed è luna nel cielo» (Buti). «I cinquanta plenilunj, di che qui si parla, portano press'a poco all'aprile del 1304, quando i Bianchi, tra' quali Dante, disponevano le cose per il loro ritorno in Firenze. Dante non convenne nei modi, e, come si crede, si separò dalla fazione (Par., XVII, 61 e segg.). Il colpo fu poi tentato nel luglio e andò fallito» (B B.).
(81) pesa: «è grave (ce que coûte cet art; Ls.); volendo per queste parole annunciargli che, avantiché quattro anni fossero, esso sarebbe cacciato di Firenze: il che avvenne avantiché fossero i due, o poco più» (B.). Benv.: «Auctor noster Guelphus originaliter, post expulsionem suam factus est Gibellinus, immo Gibellinissimus. Unde, quod ridenter refero, quidam partificus, hoc audito, dixit: Vere hic homonunquam facere potuisset tantum opus, nisi factus fuisset Gibellinus». E' vecchio il dettato: Nul n'aura de l'esprit hors nous et nos amis.
(82-84) regge: torni; legge: «Questo dice perché d'ogni legge che si facea a grazia delli usciti, li Uberti n'erano eccetti; e se si facea a danno, v'erano nominati: o forse in ogni legge diceano: Ad onore del presente stato ed a destruzione delli Uberti e lor seguaci, o: Ad onore e stato di parte Guelfa, ed a male e destruzione di parte Ghibellina; della quale i detti Uberti erano caporali». (Buti).
(86) in rosso: in sangue. «Essendo messer Farinata con la sua parte e seguaci fuori di Firenze, accostossi con la parte li Toscana Ghibellina, e col conte Giordano, vicario del re Manfredi; e combatterono nel terreno di Siena a Monte Aperti, presso a un fiume chiamato Arbia, col popolo di Fiorenza, e fu fatto grande strazio e scempio di loro; sicché per la grande uccisione e spargimento di sangue, l'Arbia diventò rossa» (Buti). «L'Arbia, petite rivière, qu'on passe à quelques milles après Sienne, sur la route de Rome. - On conserve et l'on montre encore aujourd'hui, dans la splendide cathédrale de Sienne, le crucifix, qui servait de bannière aux Siennois, ainsi que le mât planté sur le carroccio des Florentins, et qui portait leur étendard...» (Ampère).
(87) tali orazion: «composizioni contro alla vostra famiglia, fa far nel nostro tempio, cioè nel nostro senato, nel luogo dove si fanno le riformagioni, e gli ordini e le leggi: il quale chiama tempio, siccome facevano i Romani, i quali chiamavano talvolta tempio il luogo dove le loro deliberazioni facevano» (B.). Templum, terreno consacrato dagli auguri. Ivi si facevano i senatoconsulti, onde per Curia, ringhiera. «Qui quotidie templum tenet» (Cic.). «Tempio, e dice nel nostro tempio, o per porre la parte per lo tutto, o perché al vero le leggi e li statuti si soleano fare coi consigli, che si faceano nelle chiese anticamente per la moltitudine del popolo» (Buti). Benvenuto: «Debes scire quod Florentia apud Palatium Priorum est una Ecclesia, quae fuit olim Ubertorum capella, et ibi sepeliebantur corpora sua. Modo in ista Ecclesia saepe celebrantur consilia. Et quando fiebat aliqua reformatio de bannitis reducendis, vel simili re, semper excipiebantur Uberti et Lamberti. Et ideo bene dicit Auctor, quod crudelitas facta apud Montem Apertum facit fieri tales orationes in templo Ubertorum. Et nota pulcrum modum loquendi. In templo enim solent fieri orationes ex amore pro hominibus. Heic autem fiebant orationes ex odio contra homines. Immo tantum fuit odium contra istos, quod sepulcra istorum Ubertorum, quae erant in ista Ecclesia, fuerunt aperta, et ossa fuerunt in Arnum dejecta. Si ergo Farinata perdiderat arcam in patria, Auctor dat sibi arcam in Inferno». «Certo i versi e il loro contesto mi suonano le pubbliche imprecazioni usate nelle Cattedrali a sterminio de' nemici della casa e della setta regnante. Odo che la cerimonia si celebra da tirannucci in Irlanda contro a' papisti; ed allora i preti, a nome del popolo fiorentino, rinfrescavano la scomunica nei solenni giorni d'ogni anno sovra tutte le razze de' Ghibellini» (Foscolo).
(89-90) né certo - sanza cagion con li altri: «che a ciò tennero, sarei mosso, a dover fare quel che si fece: vogliendo per questo intendere, che il comune di Firenze, il quale il teneva fuori di casa sua, gli dava giusta cagione d'adoperare ciò che per lui si poneva, per dover tornare in casa sua» (B.).
(91-96) Ma fu' io solo, ecc.: Un antico: «A stanza del conte Giordano, ch'era per lo re Manfredi in Toscana, dopo la sconfitta di Montaperti si fece parlamento a Empoli; donde tutti gli Ghibellini induceano il detto conte a disfare Firenze (e recarla a Borghi): se non che messer Farinata si oppose con tanto animo e vigore, che la difese contro a tutti, e il conte assentie a lui». «Con molte e ornate parole contraddisse a questo» (B.). «Non furono ornate parole, ma rispose con certi bassi proverbi "Com'asino sape, così minuzza rape. - Vassi capra zoppa, se lupo non la intoppa ". Diede, a sé di lupo, e gli altri trattò da asini e da ignoranti» (Salv.). Questi due goffi proverbj, che, secondo il Malispini e il Villani, Farinata investì o rivestì in uno, sono tradotti in una magnifica e liviana orazione da Leonardo Bruni Aretino, nel II della sua Storia fiorentina. Benv.: «Et evaginato ense dixit, quod qui de hoc verbum faceret, reciperet ferrum per pectus suum. Sequutus in hoc exem plum magni Scipionis Africani, qui apud Cannas Apuliae facta inaudita strage Romanorum, nudavit gladium super quosdam Nobiles, qui consulebant de deserendo Patriam, et Italiam, et sic retraxit eos a tam indigno proposito». Fazio degli Uberti: «Qui mi sovvenne del mio Affricano, - Che nel Consiglio mi soccorse solo - Col bel parlar e con la spada in mano. - Ma ben mi maraviglio e parmi un duolo - Che i cittadini stati son sì crudi - In quarto grado al figliuol del figliuolo»; se: così abbia pace; forma desiderativa; vostra semenza: i vostri discendenti. «Per riverenza usa il voi, come all'avolo Cacciaguida (Par., XVI)» (T.); «solvetemi quel nodo, quel dubbio, che qui ha inviluppata mia sentenza, il mio giudicio» (B.).
(97-99) «Veggiate... dinanzi: cioè preveggiate quel che 'l tempo seco adduce, nel futuro, e nel presente tempo, tenete altro modo, in quanto non par veggiate le cose presenti» (B.).
(100) Noi veggiam, ecc.: «E questo è perché l'anima ha altro modo di conoscere congiunta al corpo, che quando è separata: imperò che quando è congiunta, conosce per le virtù sensitive per conversione alle figure, e però non può sapere se non le presenti l'uomo, mentre che vive. E questo s'intende delle contingenti: ché delle necessarie future ha l'uomo bene notizia; e separata ha intendere per intelletto, e questo intendere non si stende alle cose particolari e presenti; ma solamente alle universali e future. E per questo possono sapere le cose future per le loro cagioni; ma non per sé medesimo: ché per sé medesimo non l'ha altro che Iddio; ma l'anime beate conoscono le presenti e le future come dice santo Agostino: "Quid est quod non videant, qui videntem omnia vident?"» (Buti); ch'ha mala luce: cattiva vista; ch'è presbita.
(102-105) «ancor ne splende, presta di luce, il sommo duce, Iddio» (B.); tutto è vano, ecc.: noi non vediamo più niente; «e s'altri, o demonio o anima che tra noi discenda, non ci apporta vegnendo dell'altra vita, e di quella ci dica novelle» (B.); di vostro stato umano: «Von eurem Erdenleben» (B.).
(108) che del futuro, ecc.: «Après le Jugement dernier, où il n'y aura plus d'avenir, parce qu'il n'y aura plus de temps» (Ls.).
(113-114) i: a lui; già ne l'error, ecc.: «Parce que je croyais, à tort, que les damnés connaissaient les choses présentes» (Ls.).
(119-120) qua dentro è, ecc.: Idest intra arcam istam in qua sum. Et cui non sufficiebant tot regna in mundo, nunc jacet inclusus in isto carcere coeco; secondo Federico: l'imperador Federigo II, diffamato dalla Santa Sede come incredulo, e autore del libro de' Tre impostori; e 'l cardinale: delli Ubaldini. Benv.: «Fuit vir valentissimus tempore suo, sagax et audax qui Curiam romanam vexabat pro velle suo, et aliquando tenuit eam in montibus Florentiae in terris suorum per aliquot menses. Et soepe defendebat palam rebelles Ecclesiae contra Papam et Cardinales. Fuit etiam magnus protector et fautor Gibellinorum. Et quasi obtinebat quidquid volebat. Ipse fecit Archiepiscopum Mediolani, qui exaltavit stirpem suam ad dominium illius civitatis, et alteram potentiam in Lombardia. Erat multum honoratus et formidatus. Ideo quando dicebatur tunc, Cardinalis dixit sic: Cardinalis fecit sic; intelligebatur de Cardinali Octaviano de Ubaldinis per excellentiam. Fuit tamen Epicureus ex gestis et verbis e jus. Nam quum semel petiisset a Gibellinis Tusciae certam pecuniae quantitatem pro uno facto, et non obtinuisset, prorupit indignanter et irate in hanc vocem: Si anima est, ego perdidi millies pro Gibellinis ipsam».
(123) nemico: «minaccioso; però ch'annunciava male» (Buti).
(129-131) e drizzò 'l dito: «quasi disegnando, come fanno coloro che più vogliono le lor parole impriemere nell'intelletto dell'uditore» (B.); drizzò al cielo: «lezione bellissima per l'appunto però che v'è in essa mistero religioso e solennità d'espressioni» (Fosc.); di quella: Beatrice.
(134-136) inver lo mezzo: «della città: avendo fino allora camminato lungo il muro di essa» (B. B.); liede: riesce; suo lezzo: suo puzzo.

 

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