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La scuola nell'antichità

La scuola nella Grecia antica

L'educazione a Sparta

L'educazione ad Atene

La scuola presso i Romani

La scuola nel Medioevo

La scuola nel periodo comunale

La cavalleria

La scuola nell'Umanesimo

Verso una scuola moderna

L'ordinamento scolastico

La scuola materna

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Breve storia della scuola italiana dall'unità al 1985 Gabriella Giudici

Storia del sistema scolastico italiano Capitolo 1 Bargigia.doc unicatt.it

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Art. 64 della Legge n. 133 del 6 agosto 2008 flcgil.it La formazione professionale in Europa.pdf cslitalia.net Dpr. 81 09.rtf francocrisafi.it

STORIA DELLA ISTITUZIONE SCOLASTICA

LA SCUOLA NELLA ANTICHITÀ

La scuola nella Grecia antica

Anche nell'antichità veniva impartita un'istruzione ai ragazzi: chiaramente la scuola non era frequentata da tutti e chi doveva lavorare sin da bambino nei campi o nelle botteghe artigiane apprendeva ciò di cui aveva bisogno direttamente dai genitori, che gli trasmettevano le conoscenze necessarie per lo svolgimento di un determinato mestiere.

L'educazione a Sparta

Là dove la società richiedeva al cittadino di essere soprattutto un buon soldato, come ad esempio nella città-stato di Sparta, l'educazione assumeva un carattere prevalentemente fisico e militare.

Nello Stato spartano la scuola era frequentata esclusivamente dagli appartenenti alla classe degli uomini liberi ed era obbligatoria.

Appena nato, il bambino veniva presentato a una assemblea di anziani che ne valutava la robustezza fisica e, nel caso non fosse di costituzione sana, ne ordinava l'uccisione, facendolo gettare da un precipizio presso il Monte Taigeto.

Nei primi sette anni il bambino era allevato dalla madre, in seguito veniva ammesso in pubblici edifici, chiamati ginnasi, in cui viveva in gruppo con coetanei, sotto il comando di pubblici ufficiali.

A 18 anni, se aveva dimostrato un certo livello di preparazione, il ragazzo riceveva una particolare istruzione ginnico-militare.

L'educazione consisteva principalmente nella ginnastica e nell'uso delle armi.

Le condizioni di vita dei ragazzi nelle scuole erano comunque molto difficili:

stavano a piedi nudi, indossavano solo un rozzo mantello, dormivano su pagliericci ed erano malnutriti, senza contare le punizioni corporali a cui erano sottoposti;

tutto ciò avveniva perché lo scopo dell'educazione era essenzialmente quello di sviluppare la mente attraverso l'irrobustimento del corpo, formando così valorosi soldati.

L'istruzione vera e propria si limitava all'insegnamento della lettura e della scrittura, in quanto si riteneva che la cultura indebolisse il valore dei giovani; a prova di ciò artisti e letterati erano emarginati dalla città.

L'educazione ad Atene

Non in tutte le città greche l'educazione aveva uno spiccato carattere fisico-militare come a Sparta.

Ad Atene per esempio si cercava di raggiungere un'armonia tra corpo e mente, tramite un'educazione destinata a sviluppare le qualità dello spirito.

I giovani erano guidati, dal settimo al diciottesimo anno, prima dal grammatista (che insegnava a leggere e scrivere e a far di calcolo), poi dal citarista (che insegnava a suonare la cetra e li indirizzava all'apprendimento della poesia melica) e dal pedotriba (che presiedeva all'educazione fisica).

A questi insegnamenti ne seguivano spesso altri, non organizzati sistematicamente, di geometria, tattica, ecc.

Il metodo d'insegnamento era basato sulla ripetizione mnemonica, s'imparavano le lettere dell'alfabeto seguendo i solchi tracciati dal maestro sulla tavoletta di cera.

Fino al raggiungimento dei 20 anni, età in cui l'Ateniese entrava in possesso dei diritti politici, l'educazione era affidata alla famiglia e alla scuola privata.

L'insegnamento della ginnastica era ritenuto molto importante e accompagnava lo sviluppo del ragazzo sin dai primi anni di scuola.

Esso consisteva nelle cinque prove del pentathlon: lotta, corsa, salto in lungo, lancio del disco e del giavellotto.

A questi sport si aggiungevano poi il pugilato e il pancrazio (combattimento misto di lotta e pugilato).

Nella seconda metà del V sec., per opera dei sofisti, fondatori della pedagogia teoretica, si presenta l'ideale della paideia, della formazione mediante la cultura.

Si determinano quindi, nell'ambito dell'educazione superiore, indirizzi diversi, l'uno rivolto prevalentemente alla formazione filosofica e politica, l'altro a quella retorica (quello di Platone, da un lato, quello di Isocrate, dall'altro); essi preannunciano la costituzione, che si realizzerà in epoca alessandrina, di istituti di alta cultura paragonabili alle università (il Liceo di Aristotele rappresenta una scuola superiore di ricerca ad altissimo livello).

Il periodo ellenistico comporta delle innovazioni anche in ordine al carattere dell'istruzione elementare e secondaria; mentre infatti in epoca classica le scuole avevano per lo più carattere privato, in età ellenistica si diffonde la scuola pubblica, anche se spesso a finanziarla provvedono le fondazioni dei privati; la scuola è fisicamente individuabile in un solo edificio (il ginnasio).

La scuola presso i Romani

Nel periodo anteriore alla conquista della Grecia (sec. VI-III a.C.) l'educazione a Roma era prevalentemente familiare, e non esisteva una scuola vera e propria. I maschi, se erano di famiglia benestante, venivano accompagnati dal padre nel foro, e qui imparavano a tenere discorsi e a occuparsi di politica. Dopo il III sec. a.C. sorgono le prime scuole private a modello di quelle greche. Erano presenti tre ordini di scuole: - la scuola di lettere, dove si insegnava a leggere, scrivere e far di conto; - la scuola di grammatica, dove attraverso la lettura e il commento dei testi, s'imparava a parlare e scrivere correttamente, dando però la precedenza al greco e non al latino; - la scuola di retorica, dove si preparavano i giovani alla vita politica e forense attraverso l'insegnamento dell'arte dell'eloquenza, della storia, del diritto e della filosofia. Le scuole si trovavano in stanze arredate semplicemente o anche all'aperto; i ragazzi scrivevano su rotoli di papiro o pergamena con penna e pennino, mentre per gli esercizi si usavano tavolette di legno ricoperte di cera su cui s'incidevano le parole con un oggetto appuntito chiamato stilo. Solo dopo l'imperatore Adriano (117 d.C.), accanto alle scuole private vennero istituite scuole pubbliche amministrate dai municipi.

La scuola nel Medioevo

Dopo la caduta dell'Impero (476) l'attività dei monaci si sostituì all'ordinamento scolastico romano che si era venuto via via estinguendo. Accanto alle scuole episcopali, che avevano il compito specifico di preparare i futuri sacerdoti, sorsero, a partire dal Cinquecento, le scuole parrocchiali, che impartivano ai bambini un'educazione religiosa e un'istruzione di grado elementare. Carlo Magno impose, nel 789, l'obbligo di istruire nelle scuole episcopali tutti i fanciulli della diocesi. Anche se questo provvedimento ebbe scarso successo, esso può essere considerato come la prima carta dell'insegnamento obbligatorio che ebbe la sua piena attuazione solo mille anni dopo, per opera della Rivoluzione francese. Il programma delle scuole parrocchiali comprendeva: grammatica, dialettica, retorica, aritmetica, geometria, musica e astronomia. Si deve però sottolineare che nel Medioevo le materie letterarie mantennero comunque una netta prevalenza su quelle scientifiche, considerate marginali. Accanto alle scuole parrocchiali e ai primi tentativi di scuole pubbliche e private, una caratteristica istituzione educativa del periodo medievale è la cavalleria. A questa potevano accedere i figli dei nobili feudatari. A sette anni il fanciullo iniziava il suo servizio presso il castello paterno e diveniva paggio (o valletto); a 14 anni diventava scudiero e seguiva un cavaliere nelle sue imprese; a 21 anni entrava a far parte dell'ordine dei cavalieri. Prima di entrare nel numero di questi, il giovane doveva dimostrare di aver appreso le "sette perfezioni del cavaliere" che consistevano nella pratica di equitazione, nuoto, arco, scherma, caccia col falcone, gioco degli scacchi e composizione di versi d'amore.

La scuola nel periodo comunale

Col tramonto del Feudalesimo e con la formazione del Comune diventa pressante l'esigenza di centri più funzionali ai nuovi bisogni della vita cittadina.

Sorgono a tale scopo scuole private che, a differenza di quelle religiose, non impartiscono un insegnamento di tipo letterario, ma soprattutto tecnico e professionale, preparando i giovani al notariato, alla mercatura, agli affari, ecc. Spesso erano le stesse corporazioni artigiane che stipendiavano un insegnante per i loro figli.

Durante il XIV sec. queste scuole private si trasformarono in comunali, ossia in istituti finanziati dal Comune stesso.

Alcune tra le scuole religiose, private e comunali di questo periodo (XII-XIV sec.) acquisirono un particolare prestigio, grazie alla prevalenza assunta da qualche disciplina o dalla particolare rinomanza di qualche professore, trasformandosi in centri d'istruzione superiore, e dando così luogo alle università.

Con tale termine s'indicava la corporazione che gestiva gli istituti d'insegnamento:

tali istituzioni godevano di un particolare statuto, grazie al riconoscimento ricevuto dall'imperatore, dal principe o dal pontefice.

Le due università più prestigiose, che servirono poi di modello alle altre, furono quelle di Bologna, che sorse per iniziativa degli studenti riuniti attorno al loro maestro Irnerio (attivo tra la fine dell'XI e la prima metà del XII secolo) e quella di Parigi, istituita per volere del vescovo di Parigi (XI sec.).

Altre università fiorirono in Italia intorno all'XI sec.: l'università di Padova (1222), l'università di Napoli (1224), l'università di Salerno (1231), l'università di Roma (1303).

Il corso degli studi durava molti anni:

lo studente iniziava verso i 14 anni a frequentare la facoltà d'Arte (grammatica, dialettica, retorica, aritmetica, geometria, musica e astronomia) e dopo tre-sette anni otteneva il titolo di magister artium: tale titolo gli permetteva di insegnare le arti e di accedere agli studi superiori di diritto, medicina e teologia.

Queste facoltà superiori avevano una durata di studi variabile dai tre ai sette anni, a seconda della disciplina prescelta; il titolo conferito al termine degli studi era quello di doctor, e dava il diritto di insegnare o di esercitare le diverse professioni.

La cavalleria

La figura del cavaliere assunse nel corso dei secoli sempre più un'aura di leggenda ed eroismo e venne cantata da poeti e trovatori; essa era nata nell'Alto Medioevo dall'esigenza di ordinare le forze più combattive e turbolente della società, costituite dai figli cadetti (ossia non primogeniti e quindi esclusi dalla successione) della nobiltà feudale, che non possedendo un feudo, si dedicavano all'attività guerriera. Dal momento che l'addestramento del cavaliere era lungo e costoso come costosi erano il suo "abbigliamento", il cavallo e il mantenimento di un certo decoro, fu inevitabile che l'appartenenza a questa casta fosse riservata alle classi nobili e in particolare ai figli minori dei feudatari che non avevano accesso all'eredità paterna. Lo Stato e la Chiesa operarono congiuntamente per controllare questo fenomeno, creando una casta di combattenti a cui imposero una serie di rigide norme. Lo Stato estese a questa classe i principi fondamentali del rapporto feudo-vassallatico, per cui il cavaliere doveva fedeltà e obbedienza al suo signore, mentre la Chiesa trasformò il cavaliere in un "miles Christi" (soldato di Cristo), caricandolo in questo modo di nobili responsabilità. Il cavaliere doveva essere in possesso di quattro virtù fondamentali: la lealtà, verso il signore e verso i compagni; la prodezza, vale a dire il valore e la perizia nel maneggio delle armi; il disinteresse per la ricchezza e quindi l'obbligo di essere munifico; infine la cortesia, intesa come rispetto verso le dame. Qualora il cavaliere avesse tradito una di queste virtù sarebbe immediatamente decaduto dal titolo e sarebbe stato additato come "fellone". I compiti principali del cavaliere erano difendere e vendicare i deboli, i religiosi, i poveri, le donne e gli orfani, punire i malvagi, estendere il Regno di Dio respingendo gli infedeli.

La scuola nell'Umanesimo

Nel Cinquecento si assiste alla nascita di numerose scuole superiori private condotte soprattutto da religiosi. Questi istituiti erano in gran parte riservati alle classi nobili, socialmente elevate e in grado di affrontare le spese della cultura. L'istruzione superiore in Italia e in Francia era stabilita secondo uno schema che prevedeva sei classi: la sesta e la quinta preparatorie, la quarta detta di Grammatica, la terza di Umanità, la seconda di Retorica e la prima di Filosofia che conduceva all'università e dava anche nozioni fisico-matematiche. La scuola elementare di massa venne invece trascurata, tranne nei Paesi legati al movimento della Riforma protestante.

VERSO UNA SCUOLA MODERNA

Nel XVII sec. inizia a diffondersi in Europa un modello di scuola più vicina a quella dei nostri tempi. Nei programmi scolastici vengono inclusi insegnamenti come la geografia, le scienze naturali, le lingue; prima in Inghilterra e poi in America sorgono le accademie, istituti che danno grande spazio a materie più concrete, nonostante non vengano trascurate discipline di tradizione classica. Nel 1708 in Germania veniva aperta la prima scuola di meccanica e matematica, anche se solo nel 1747 viene creato sempre in Germania, a Berlino, il primo istituto duraturo di tale tipo: la scuola economico - matematica. L'Italia non ancora unita continuò ad avere un tipo di istruzione elitaria, sostenuta da precettori privati e da scuole gestite da religiosi, mentre per i giovani delle classi medio basse il sapere era limitato al leggere, scrivere, fare di conto (pochi erano tuttavia alfabetizzati) e alle conoscenze apprese sul lavoro. In Italia, una scuola primaria di massa veniva distinta nel Settecento tra scuola del popolo e scuola preparatoria agli studi superiori. La prima fu sotto il controllo ecclesiastico sino a quando lo Stato riuscì ad imporsi, soprattutto nel secolo dell'assolutismo illuminato, alle iniziative della Chiesa. La legge della Convenzione nazionale di Francia del 1795, che poneva come obbligatoria e gratuita la scuola primaria, venne poco per volta imitata da tutti gli Stati moderni. In Italia, divisa ancora all'inizio dell'Ottocento in Regni e staterelli, l'istruzione continuò comunque a dipendere dall'iniziativa dei singoli governanti sino all'unificazione nazionale del marzo 1861.

L'ORDINAMENTO SCOLASTICO

Il nostro ordinamento scolastico affonda le sue radici nella legge Casati, approvata nel 1859 dalla Camera del Regno di Sardegna. Questa legge si può identificare come il primo statuto della scuola italiana e le ha conferito l'ordinamento rimasto in vigore sino alla Riforma Gentile del 1923. La legge Casati istituiva una scuola elementare gratuita, unica e di due gradi (inferiore e superiore), della durata di due anni per ciascun grado; dopo le elementari chi poteva entrava nel ginnasio (della durata di cinque anni) e successivamente al liceo (tre anni) che permetteva l'ingresso in tutte le università. Con la legge Coppino del 1877 la scuola elementare diventava obbligatoria sino ai nove anni di età. All'inizio del Novecento, anche se l'obbligo scolastico venne esteso a 12 anni (legge Orlando del 1904), l'Italia aveva ancora il 50% di analfabeti. Con la Riforma Gentile (1923) l'istruzione fu alzata a 14 anni: dopo la quinta elementare, chi voleva accedere alle scuole superiori, oltre all'esame di licenza elementare, doveva superare una prova di ammissione per potersi iscrivere al ginnasio o a una scuola media inferiore dove veniva insegnato il latino; se non sosteneva l'esame o non lo superava, doveva frequentare una scuola triennale di avviamento, al termine della quale non si poteva passare a nessuna scuola superiore. Solo nel 1962 venne ottenuta l'unificazione delle scuole medie inferiori grazie alla fusione della scuola media propedeutica agli studi superiori con la scuola di avviamento professionale. La Riforma Gentile approfondì il divario tra scuole umanistiche (i licei), che garantivano l'accesso all'università, e scuole professionali, dove si insegnava un mestiere senza la possibilità di proseguire gli studi universitari. Tale distinzione tra le diverse scuole superiori fu in parte superata con la legge del 1969 sui Provvedimenti urgenti per l'università, che consentì l'iscrizione a qualsiasi facoltà universitaria a tutti i diplomati delle scuole medie superiori di durata quinquennale o quadriennale (per i diplomati dei corsi quadriennali era previsto un anno integrativo da seguire dopo il conseguimento del diploma). A livello delle strutture amministrative, un'ulteriore innovazione si ebbe a seguito della legge delega del 30 luglio 1973 n. 477. I tradizionali organi che avevano governato la scuola (cioè ministro, sovrintendenti, provveditori agli studi, direttori didattici e presidi) venivano affiancati da enti collegiali di partecipazione alla gestione sociale della scuola.

LA SCUOLA MATERNA

L'istituzione della prima struttura per l'infanzia italiana avvenne per opera di F. Aporti che nel 1829 fondò a Cremona l'Asilo infantile; nuovi orientamenti vennero poi seguiti da R. Agazzi e M. Montessori, ideatrice di un metodo educativo fondato sull'inserimento attivo del bambino in un ambiente costruito secondo le sue necessità. Il riconoscimento dell'obbligatorietà, da parte dello Stato e dei comuni, di istituire e mantenere scuole materne venne approvato il 9 marzo 1968. La scuola materna, secondo la legge, accoglie i bambini dai tre ai sei anni e si pone come obiettivo lo sviluppo della personalità del bambino e la sua preparazione alla frequenza della scuola elementare. La scuola materna statale è oggi composta da tre sezioni corrispondenti alle diverse età; ogni sezione è suddivisa in classi che possono avere tra i 15 e i 30 allievi. Le classi sono formate secondo criteri di omogeneità (con bambini della stessa età) o di eterogeneità (con bambini di età diverse). La giornata scolastica si articola in circa sette ore e la scuola deve rimanere in funzione per un periodo non inferiore ai dieci mesi all'anno. Sono stati avanzati progetti di legge che propongono la frequenza obbligatoria durante l'ultimo anno, come propedeutico all'accesso alle elementari.

LA SCUOLA ELEMENTARE

La legge Casati del 1859, che rendeva obbligatoria l'istruzione elementare, imponeva ai comuni d'istituire scuole idonee: la situazione era però tale che la maggior parte delle amministrazioni locali non era in grado di soddisfare queste richieste a causa delle critiche condizioni di bilancio, per cui l'obbligatorietà dell'istruzione elementare rimase di fatto inapplicabile. La legge Casati dunque, sia per le difficoltà connesse alla sua realizzazione, sia per motivi legati alla situazione economica e sociale del Paese, non riuscì a risolvere il grave problema dell'analfabetismo: nel 1861 il 78% degli Italiani era analfabeta e in alcune regioni si registravano punte del 90%. Un'indagine condotta nella provincia di Bologna nel 1874-75 dimostra che più di tre quarti dei ragazzi in età d'obbligo scolastico non frequentavano la scuola. Con il progredire del processo d'industrializzazione la situazione andò migliorando e la percentuale di iscritti alla scuola elementare passò dal 50% del 1870-71 al 76,6% del 1899. Con la Riforma Gentile del 1923 l'obbligo scolastico fu elevato, come già detto, a 14 anni, ma considerando l'alto numero di bocciature, l'abbandono della scuola elementare rimase comunque molto elevato: nell'anno scolastico 1924-25 furono promossi solo il 69,7% degli alunni frequentanti, con punte massime di bocciature in Sardegna e in Calabria, dove i licenziati furono rispettivamente il 57,2% e il 61,4%. L'ordinamento didattico è articolato in cicli: la prima e la seconda classe costituiscono il primo ciclo; la terza, la quarta e la quinta fanno parte del secondo. I programmi in vigore risalgono nell'impostazione generale al 1955; a partire da quella data, tuttavia, sono state stabilite nuove norme. Una delle più significative è la Legge 4-8-1977, n. 517 con cui veniva introdotta una lingua straniera, eliminato l'esame per il passaggio dal primo al secondo ciclo, immesso un nuovo metodo di valutazione del profitto con l'inserimento di una scheda personale per l'allievo. Inoltre dall'anno scolastico 1986-87, in base alla revisione del Concordato tra Stato e Chiesa, non vi è più l'obbligo per l'alunno di seguire l'insegnamento della religione cattolica: tale disciplina viene svolta in orario scolastico ma la partecipazione dei bambini avviene solo su richiesta da parte delle famiglie. Nel 1990 sono stati introdotti i moduli didattico-organizzativi, è stato fissato il numero massimo di alunni per classe (25 o 20 se è presente un allievo portatore di handicap) e garantito un orario settimanale di 27 ore che possono raggiungere le 30 nel caso venga attivato l'insegnamento della lingua straniera (37 solo quando vengano inserite attività aggiuntive e opzionali).

LA SCUOLA MEDIA INFERIORE

La legge Casati e la Riforma Gentile avevano impostato la scuola media in base al criterio del "doppio binario", cioè delle due scuole parallele:

scuola classica umanistica da un lato, con il latino e la possibilità di accesso agli studi superiori e all'università, affiancata da una scuola utilitaria dall'altro, senza latino e con limitati sbocchi agli studi superiori.

Terminata la scuola elementare, chi continuava a studiare si trovava a dover scegliere:

il ginnasio-liceo, il liceo scientifico, l'istituto magistrale e tecnico (articolati in corso inferiore e superiore e senza alcuno sbocco alle scuole superiori), la scuola complementare.

Quest'ultima divenne in seguito scuola di avviamento professionale e sopravvisse sino all'istituzione della scuola media unica nel 1962.

Con la legge Bottai del 1939 vennero unificati i corsi inferiori dei ginnasi, degli istituti magistrali e tecnici; per accedere a questa nuova scuola media, detta "unificata", si doveva superare un esame, che non era invece previsto per la scuola d'avviamento professionale.

La maggior selettività e l'alto numero di bocciature fecero sì che solo un'esigua parte dei ragazzi dagli 11 ai 14 anni frequentasse un corso scolastico che consentiva di proseguire gli studi.

Da un'indagine condotta nel 1952-53 risultava che solo il 53,2% dei ragazzi di 11-14 anni era iscritto a una scuola e che solo la metà di questi ne frequentava una con accesso agli studi superiori.

Dall'unificazione dell'istruzione media inferiore, stabilita come detto nel 1962, grandi cambiamenti coinvolsero il mondo della scuola:

nel 1963 furono determinati i nuovi programmi e nel 1977 vennero eliminati anche gli esami di riparazione autunnali; ma la più grande novità fu introdotta nel 1999 (L. 20-1-1999, n. 9) con l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 15 anni:

fatto che rese i tre anni della scuola media inferiore un passaggio fondamentale nel percorso educativo del ragazzo e non più un termine.

I tempi di apprendimento della scuola dell'obbligo si allungano e permettono dunque all'allievo di acquisire delle conoscenze ulteriori, che fungono da collegamento con gli insegnamenti impartiti nella scuola superiore.

I nuovi programmi di studio vanno naturalmente realizzati all'interno dei tre anni consueti nei quali vengono aggiunti dei laboratori orientativi, che permettono la conoscenza di alcune materie della scuola superiore, e dei moduli didattici, ossia dei progetti che coinvolgono più classi anche al di fuori delle ore scolastiche istituzionali.

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