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Rospo Comune (Phyrne vulgaris) Rospo Palustre o Rospo Calamita (Bufo calamita) Rospo Smeraldino o Rospo Variabile Agua (Bufo agua) Rospo Nasuto (Rinophryne dorsalis) Aglossi Pipa (Asterodactylus pipa)

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VITA DEGLI ANIMALI - ANFIBI - BATRACI

ROSPO COMUNE (Phyrne vulgaris)

Il Rospo Comune raggiunge una grandezza considerevole (è lungo circa 10 centimetri e largo più di 6) ed è ancora più tozzo delle specie affini.

Tutto il corpo è coperto da grossi bitorzoli, che nella regione auricolare sono raggruppati in una grossa ghiandola.

Sono di colore rosso bruno o rosso grigiastro con sfumature verdi o nere e macchie indistinte scure;

la parte inferiore è grigio-chiara, con macchie grigio-scure negli esemplari di sesso femminile.

Gli occhi hanno l'iride rosso-arancio.

Il Rospo è presente in tutte le regioni d'Europa, escluse quelle settentrionali, in Asia centrale e in Giappone.

Lo si può trovare nei boschi, nei cespugli, nelle siepi, nei campi, nei prati, nei giardini, nelle grotte, nelle mura, nei tronchi degli alberi, in una parola, dove gli si presenti un nascondiglio o dove possa con facilità prepararsene uno (all'occorrenza, sa anche scavarsi buche nel suolo dove poi ritorna regolarmente come la volpe nella sua tana).

Se è possibile, sceglie luoghi freschi e ombrosi:

è perciò assai comune sotto le piante dove è protetto dalle foglie.

Preferisce le piante aromatiche, specialmente la salvia e la cicuta, e forse a questo è dovuta parte della sua cattiva reputazione.

Vero animale notturno, sta sempre nascosto durante il giorno, a meno che il tempo non sia umido o non abbia piovuto;

è impacciato nei suoi movimenti e riesce appena a fare salti della lunghezza di 30 centimetri.

Goffo e pesante com'è, evita di allontanarsi dal suo circondario, ma lo esplora con grande accortezza, bonificandolo accuratamente di tutti gli insetti molesti, data la sua grande voracità che richiede una quantità considerevole d'alimenti.

Una conseguenza della mancanza di agilità è che spesso precipita nelle fessure e nei crepacci dove non esiste via di uscita;

per questa ragione spesso si trovano dei rospi nascosti in profonde grotte, dove si nutrono di insetti di ogni genere.

Il loro cibo consiste in vermi, vespe, api, ragni ed insetti, ad eccezione delle farfalle, perché la polvere delle loro ali si attacca alla loro lingua viscida e rende difficile l'inghiottirle.

Malgrado questa voracità, il Rospo rifiuta di nutrirsi di animali morti:

fu messo per esperimento un rospo in un recipiente insieme ad alcune api uccise poco prima:

le api rimasero ai loro posto, mentre quelle vive erano immediatamente abboccate.

La tecnica con cui il Rospo si impadronisce di una vittima si può facilmente osservare, dato che anche di giorno non si lascia sfuggire l'insetto che eventualmente gli capita a tiro;

esso insegue persino per brevi tratti quelli che gli sembrano più gustosi.

I suoi occhi sporgenti e mobilissimi avvistano immediatamente la preda e la viscida lingua difficilmente la lascia sfuggire.

Chi, con accortezza, gli abbia gettato un bruco o un vermiciattolo, può osservarlo in tutte le fasi:

gli occhi cominciano subito a sfavillare, l'animale esce dal suo stato sonnacchioso e si sposta in direzione della vittima con una destrezza insospettabile;

avvicinatosi ad una distanza conveniente, si ferma e fissa sulla sua vittima lo stesso sguardo del bracco che ha avvistato la selvaggina e si precipita con le fauci spalancate.

L'inghiottirla e il seppellirla nello stomaco sono una cosa sola.

Se, come a volte capita, la preda gli sfugge o viene solo tramortita ma non invischiata nella lingua, il Rospo desiste da ogni ulteriore ostilità, ma riprende di nuovo la caccia se la bestiola ricomincia a muoversi.

Esso non sdegna di cibarsi anche di piccoli anfibi e rettili e, secondo alcuni, anche dei piccoli della propria specie, sebbene viva con i suoi simili in piena pace e non sia affatto litigioso.

Per esperimento si spalmò di miele una foglia e la si pose all'entrata del nascondiglio di un rospo;

i numerosi insetti che vi erano rimasti appiccicati furono subito divorati con appetito;

quando un altro rospo venne a sedersi a quella mensa lautamente imbandita, i due animali non furono mai visti azzuffarsi, anche se tutti e due erano allettati da una stessa preda.

Essi sanno molto bene distinguere i diversi animali con cui si trovano in rapporto e fuggono davanti a quelli che sono più potenti di loro, sanno riconoscere i vantaggi e perdono un poco della loro naturale timidezza di fronte a chi li tratta bene.

Molti sono gli episodi che provano questa loro mansuetudine.

Uno studioso aveva ammaestrato un rospo, che rimaneva tranquillo sul dorso della sua mano e prendeva il cibo che gli era offerto con l'altra.

Una signora racconta di aver potuto ammansire un rospo a tal punto che questo si faceva toccare.

Un altro studioso crede addirittura che il Rospo addomesticato possa riconoscere le persone di famiglia dagli estranei e racconta di un rospo che si era insediato in un vaso da fiori della sua casa e che si era riusciti a rendere mansueto.

Il povero animale, un giorno, si spavento molto alla vista di gente sconosciuta e fuggì dal suo ricovero dove non ricomparve più per tutto l'anno.

L'estate seguente, un rospo, in tutto simile al primo (forse proprio esso), si stabilì in quello stesso vaso da fiori e divenne anch'esso molto mansueto.

E' da notare che, se questi animali vengono tenuti prigionieri in un recipiente, o comunque in un luogo ristretto, essi si ammansiscono più facilmente che non quando abbiano a disposizione un intero giardino in cui spaziare.

Il loro mantenimento non presenta alcuna difficoltà e si cibano volentieri di tutti gli insetti che vengono loro porti, purché si muovano.

A differenza degli altri batraci, il Rospo passa l'inverno in buche asciutte situate ben lontane dall'acqua;

verso la fine di settembre o in ottobre, si insinua, a volte in compagnia di un altro simile, in tane che ha trovato già scavate o che si è preparato da solo, difendendosi contro il freddo con l'aiuto di una bella diga di terra alzata all'entrata del suo domicilio.

Egli cade in un rigido letargo che dura fino a marzo o ad aprile.

Quando torna alla luce, sembra spinto dal desiderio di riprodursi e, allo scopo, si reca subito in qualche pozzanghera vicina gracidando a tutto spiano giorno e notte.

Quando ha trovato la sua compagna, l'abbraccia nel modo consueto di tutti i batraci e, forse, con maggiore energia dei suoi affini:

dopo otto o dieci giorni ha inizio l'emissione delle uova che escono in due cordoni, ognuno prodotto dal relativo ovario.

Il maschio feconda sempre parti isolate dei cordoni.

Ogni tanto la coppia risale alla superficie per poi affondare di nuovo e seguitare l'opera;

tale gioco alternato si ripete otto o dieci volte, ma, appena fuori l'ultimo frammento di cordone, il maschio lascia la femmina e ambedue si recano a terra.

I due cordoni hanno lo spessore di una cannuccia di paglia, sono lunghi circa un metro e contengono parecchie centinaia di uova:

durante l'emissione vengono intrecciati dai genitori stessi alle piante del fondo dell'acqua.

Dopo cinque giorni le uova sono ingrossate e allungate e, verso il diciassettesimo o il diciottesimo giorno, i girini forano la pellicola e lasciano l'involto gelatinoso.

Da questo punto la loro metamorfosi procede regolarmente:

verso la fine di giugno le quattro zampe sono completamente sviluppate e il piccolo rospo abbandona l'acqua, per quanto la coda non sia ancora scomparsa, e comincia a fare la stessa vita dei genitori.

Essi crescono molto lentamente e non sono adatti alla riproduzione prima del quinto anno di vita.

Essi vivono per molti anni (si parla di 36 anni per un individuo in cattività, che, pure, morì di morte violenta).

Poco il Rospo ha da temere dai suoi nemici, timorosi dell'umore emesso dalle sue ghiandole;

i soli serpenti non lo temono.

La moltiplicazione è relativamente scarsa per l'incuria dei genitori, che spessissimo abbandonano le uova in acque destinate a rapida evaporazione.

L'uomo, ignorante e crudele, può essere senz'altro considerato il peggiore dei suoi nemici;

egli lo perseguita in modo tale che non fa onore né alla sua educazione, né alla sua intelligenza, visto che ha nel Rospo un formidabile alleato che lavora per bonificare la sua terra.

Per togliere alla furia distruggitrice anche la più debole giustificazione, dirò che il Rospo non abbocca mai un animale utile, che è sciocca prevenzione che esso emetta veleno dalla sua vescica urinaria, che il suo umore viscido non sia nocivo, che di notte non si sia mai introdotto nelle stalle per succhiare il latte alle mucche.

L'umore ghiandolare che esso secerne cagiona solo un po' di bruciore che non è affatto dannoso:

il contadino che si vanta di averne ucciso uno non fa altro che darsi una chiara patente di imbecillità, perché si è privato di un laborioso collaboratore.

Speriamo che presto tutti siano in grado di conoscere l'utilità di questo utile e bistrattato animale.

ROSPO PALUSTRE o ROSPO CALAMITA (Bufo calamita)

Il Rospo Palustre è annoverato fra i rospi variegati, il cui carattere particolare è l'assenza di palmature nei piedi posteriori. Esso è lungo circa 8 centimetri, di color bruno oliva con una striscia gialla liscia che corre lungo il dorso. Inferiormente è grigio-bianco con macchie scure sulle cosce e sui lati del ventre; i bitorzoli sono rossi, con punto bianco al centro, e gli occhi grigio-verdi. E' anche conosciuto col nome di Rospo Bruciato. Dopo la minuta descrizione del rospo comune, poco c'è da dire del Rospo Calamita cui rassomiglia sotto ogni aspetto, mostrandosi solo più vivace e più sveglio. Durante il giorno rimane nascosto nei medesimi luoghi dove è rifugiato il suo affine, spesso, anzi, coabita con lui nella stessa buca. Sul suolo si muove con maggiore agilità e sembra quasi che corra anziché saltare; i suoi balzi sono più ampi e può anche arrampicarsi. La sua dimora prediletta sono le fenditure delle vecchie mura che si aprono in senso verticale; per raggiungere questi luoghi, che spesso si trovano anche a più di un metro di altezza da terra, si aggrappa saldamente alle asperità dei muri, vi preme sopra con il ventre umido e scabroso e si arrampica con prudenza e sicurezza. Forse la pelle del ventre agisce come le ventose delle raganelle. Davanti ad un nemico il Rospo Calamita cerca di fuggire il più presto possibile, ma, se viene colto e molestato, l'angoscia gli fa raggrinzire tutta la pelle e svuotare tutte le ghiandole, rivestendosi di una schiuma bianca di sgradevole odore. Alcuni paragonano questo odore a quello della polvere bruciata, altri a quello di una vecchia pipa, altri ancora a quello dell'arsenico solforato: non vi è alcun dubbio che esso, pur non somigliando ad alcun altro, è oltremodo sgradevole e costituisce la miglior difesa dell'animale. A stagione inoltrata, il Rospo Calamita comincia a pensare all'accoppiamento: verso la fine di maggio o il principio di giugno il maschio e la femmina si inoltrano in acque poco profonde e folte di vegetazione: il maschio non smette di emettere un suono che somiglia alla sillaba krak, krak. Lo sviluppo dell'embrione ha luogo rapidamente: il quinto giorno i girini si muovono e il sesto o il settimo sbucano fuori. Dopo la settima settimana hanno le zampe posteriori già formate, un mese più tardi la coda è sparita e i giovani rospi cominciano a compiere le escursioni sulla terraferma. Sono adatti alla riproduzione nel quarto o quinto anno di vita e raggiungono, probabilmente, un'età assai avanzata. L'utilità del Rospo Calamita è pari a quella del suo affine, il rospo comune, per cui ha diritto alla stessa protezione.

ROSPO SMERALDINO o ROSPO VARIABILE

(Bufo viridis o Bufo variabilis) Alcuni naturalisti distinguono dal precedente il Rospo Smeraldino o Rospo Variabile, mentre altri lo considerano come una varietà del precedente. Su fondo bianco-grigio presenta grosse macchie verdi; la parte inferiore è uguale con macchie più piccole. Si trova in alcuni punti dell'Europa centrale e meridionale, mentre manca del tutto in molte regioni; oltre che nei Paesi abitati dal rospo comune fu anche trovato in Africa settentrionale.

AGUA (Bufo agua)

Il più noto rospo gigante è l'Agua, che supera di mole molte testuggini e può giungere ad una lunghezza di 20 centimetri e ad una grossezza di 13 centimetri. Il colore è un pallido grigio-rossastro con macchie brune o nere nella parte dorsale e grigio-rosse nella parte inferiore. I rilievi che vanno dall'occhio al naso hanno una tinta rosso-brulla; subito dopo la muta la sua pelle, con i colori freschi, è quasi piacevole, ma dopo qualche tempo i colori si scuriscono e l'animale ha un brutto aspetto sudicio. L'Agua abita l'America meridionale e le isole. Di giorno sta nascosto nel suo nascondiglio, ma quando viene la sera o c'è uno scroscio di pioggia, esso lascia il suo rifugio; il terreno, allora, sembra letteralmente coperto da questi animali. Durante l'epoca delle piogge esso penetra nell'interno delle case insieme al geco; quando è aizzato, emette un umore che è temuto dai contadini. Malgrado la sua tozza figura, il rospo gigante si muove con agilità e sveltezza; è una creatura allegra e vivace, fra le più chiassose della specie. Il suo grido è forte e acuto. Generalmente si pensa che la voracità sia in rapporto alla sua mole, ma nulla mi è noto intorno al cibo di questo anfibio, che sembra sia un grande distruttore di topi. Al principio delle piogge l'Agua si reca in acqua per l'accoppiamento e sono portato a credere che la metamorfosi dei piccoli avvenga in brevissimo tempo: gli agua sono perfettamente sviluppati alla lunghezza di due centimetri, segno evidente che i girini non hanno il tempo sufficiente per acquistare le dimensioni che dovrebbero, in rapporto alle altre specie.

ROSPO NASUTO (Rinophryne dorsalis)

Questo batrace che abita nel Messico si distingue dagli altri per la conformazione della lingua, che è saldata così da sembrare perfettamente immobile. Ha il corpo ovale e il muso appuntito a forma di becco. Le membra anteriori sono grosse e corte con quattro dita ai piedi anteriori; i piedi posteriori hanno cinque dita lunghissime collegate da larghe palmature e sono caratterizzati da un'unghia cornea che sporge in mezzo alla pianta. Il colore bruno uniforme è punteggiato sui fianchi, e sul dorso scorre una striscia longitudinale. Nulla conosco sul suo modo di vivere.

AGLOSSI

Il pipa, singolarissimo batrace del Surinam, e un suo affine africano formano la famiglia dei «Senzalingua», o Aglossi.

PIPA (Asterodactylus pipa)

Il Pipa ha il corpo quadrangolare, appiattito nella parte superiore; la testa non è distinta dal tronco e il muso termina a punta. Le esili zampe anteriori terminano con piedi muniti di lunghissime dita, la cui punta è divisa in quattro: questo ha valso all'animale l'altro suo nome di «Dita Stellate». Le zampe posteriori, assai robuste, hanno piedi con dita completamente palmate; la pelle è grinzosa, soprattutto negli animali vecchi, e assai porosa. Due filamenti si trovano d'ambo i lati della mascella superiore e una simile appendice pende dalla bocca. La bruttezza di questo animale è accresciuta dai grossi occhi sporgenti e dall'informe sottogola dei maschi. Le mandibole non hanno denti e la lingua manca interamente. Il colore, uguale per ambedue i sessi, è un bruno scuro; la femmina può arrivare anche a 20 centimetri di lunghezza. Tutti i naturalisti si occupano moltissimo della sua strana maniera di riprodursi, ma nessuno ha descritto a sufficienza i suoi costumi: alcuni dicono che abiti le paludi e si trascini stancamente sulla terraferma e mandi un odore solforoso. La riproduzione e lo sviluppo dei girini si compiono come segue: i pipa, come la maggior parte dei batraci, emettono nell'acqua il cordone di uova che, fecondate dai maschio, vengono da esso sciorinate sul dorso bernoccoluto della femmina. Forse, in conseguenza dello sfregamento cutaneo, ogni uovo si incastona in una celletta di forma esagonale, simile alle cellette degli alveari. Lì dentro il piccolo Pipa compie le sue metamorfosi e solo dopo di ciò, rotte le pareti dell'uovo, abbandona completamente la madre. Un altro naturalista dice, invece, che la femmina depone le uova emesse sulla sabbia e che il maschio, afferrato il cordone con le zampe posteriori, lo distende sul dorso della femmina. Ciò fatto, sì rigira, si adagia, ventre in su, sulla schiena della consorte e comincia a strofinare energicamente; quando tutte le uova son ben sistemate, solo allora dà inizio all'opera di fecondazione. Dopo ottantadue giorni, i girini, in numero variante fra i 60 e i 70, lasciano la madre; liberati i figli, essa si sfrega contro dei corpi ruvidi per sbarazzarsi degli ultimi avanzi di uova e di pelle morta. Non so quanto di vero ci sia in questi ragguagli.

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