Animali Mammiferi Rosicanti

 

 
    

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Animali Mammiferi Rosicanti

  

Animali Mammiferi Rosicanti

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VITA DEGLI ANIMALI - MAMMIFERI - ROSICANTI

ISTRICE DI GIAVA (Acanthion javanicus)

ISTRICE COMUNE O PORCOSPINO (Hystrix cristata)

CAVIE

PORCELLINO D'INDIA O CAVIA COMUNE (Cavia porcellus)

APEREA (Cavia aperea)

MARA (Dolichotis australis)

AGUTI (Dadyprocta aguti)

CAPIBARA (Hydrochoerus hydrochoeris)

PACA (Cuniculus paca)

LEPRI

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INTRODUZIONE

I Rosicanti sono un complesso di animali che fa parte degli unguiculati. Il loro nome perfettamente si attaglia alla loro abitudine di rosicare. L'ordine è caratterizzato da due grandi denti roditori in ogni mandibola, che rappresentano non solo gli incisivi, ma anche i canini e i falsi molari. Tali denti roditori sono molto sporgenti e ben visibili. Per quanto riguarda la forma esterna del corpo questo presenta numerosissime variazioni: ora è snello e lungo, ora corto e compresso, coperto di peli morbidi o rivestiti di pungenti aculei. La coda è in alcuni lunghissima, in altri appena accennata, un vero moncone; le orecchie variano per lunghezza e dimensione. Le estremità sono in alcuni attrezzate per saltare, in altri per correre.

Vi sono, però, alcuni caratteri comuni a tutte le famiglie e le specie: il corpo è, nella maggior parte dei rosicanti, cilindrico e posa su zampe corte, di eguale lunghezza; la testa è attaccata a un collo corto e grosso; gli occhi piuttosto sporgenti e grandi; le labbra carnose, ornate di lunghi mustacchi sono fesse sul davanti; i piedi anteriori sono muniti di quattro dita, quelli posteriori di cinque. Le dita sono in alcuni collegate fra loro da una membrana natatoria e sono fornite di forti unghie. Il pelame si presenta dovunque della stessa lunghezza e tutt'al più si allunga in un ciuffetto all'estremità delle orecchie, o si infoltisce alla coda.

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Le differenze somatiche di questo ordine di animali sono comunque grandissime e si può dire che l'unico carattere che veramente li accomuni sono i grandi denti roditori. Questi denti sono notevolmente più grossi di tutti gli altri, curvati ad arco, quelli superiori sono sempre molto più torti di quelli inferiori, taglienti come uno scalpello, triangolari o quadrangolari alla radice; in alcuni piani, in altri convessi, lisci o scanalati e di colore bianco o giallognolo o rossiccio; la superficie esterna è rivestita di uno smalto duro come il ferro. I denti dei roditori hanno infine un altro grande vantaggio rispetto ai denti di tutti gli altri mammiferi, ed è il fatto che possono crescere illimitatamente. La loro radice è in un alveolo scavato profondamente nella mandibola, che contiene nella sua estremità posteriore, in una insenatura imbutiforme, un germe sempre attivo che serve a riprodurre senza interruzione il dente, via via che si logora. L'affilatura del dente si conserva col continuo sfregamento dei denti l'uno contro l'altro; le due mascelle possono agire solo perpendicolarmente dall'avanti all'indietro.

Si può facilmente rendersi conto della verità della nostra affermazione sull'illimitata e continua crescita dei denti in questi animali, rompendo a un coniglio uno dei suoi denti roditori. Si vedrà allora il dente opposto crescere tanto più rapidamente perché l'animale non lo può più logorare con quello superiore, poi lo si vedrà sporgere fuori dalla bocca a forma di arco e infine incurvarsi come un corno, disturbando e spesso rendendo impossibile il lavoro degli altri denti e quindi la nutrizione dell'animale. Le labbra dei Rosicanti sono ornate da lunghi mustacchi.

In alcune specie, all'interno delle guance, si trovano delle borse che si estendono fino alla zona delle spalle e che servono all'apertura di queste borse quando devono essere riempite; per lo svuotamento, invece, provvede l'animale con la pressione delle zampe anteriori sulla superficie esterna delle guance. Molto sviluppate appaiono le ghiandole salivari. Lo stomaco è formato da due scompartimenti comunicanti fra loro per mezzo di un canale stretto. La lunghezza degli intestini è pari a sette volte quella del corpo. Le ovaie della femmina sboccano in un utero a forma di intestino, che prosegue con una lunga vagina.

Le facoltà intellettive di questi animali sono poco sviluppate. Essi comparvero sulla terra all'inizio dell'epoca terziaria, ma all'epoca diluviale erano già numerosissimi. In merito alla loro diffusione sulle varie zone della terra, ritengo sia bene riferire integralmente quanto ebbe a scrivere il Blasius: «In mezzo alla neve e ai ghiacci eterni, in tutti i luoghi ove ancora un caldo raggio di sole dà per poche settimane una vita breve e stentata alla vegetazione, nelle tranquille e solitarie alture nevose delle Alpi, nelle vaste e deserte steppe del Nord, si trovano rosicanti. Ma quanto più ricca ed ubertosa è la vegetazione, tanto più vivace e moltiplicata è la vita di quest'ordine di animali, che non lasciano inabitato un solo cantuccio della terra».

 

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Anche il modo di vita di quest'ordine di animali è estremamente variato. Vi sono alcune specie assolutamente arboricole ed altre terrestri; alcune vivono nell'acqua, altre in gallerie sotterranee che scavano esse stesse; altre ancora nelle boscaglie o in campi aperti. Sono tutti animali vivaci che, a seconda del luogo in cui vivono, sanno meglio arrampicarsi o correre, saltare, scavare o nuotare. Hanno i sensi molto acuti, sono allegri e vivaci, ma sono anche paurosi; non sono tuttavia mai astuti né cauti. Soltanto alcuni di essi, delle vere eccezioni, manifestano cattiveria, ostinatezza e ferocia, come ad esempio, i topi. Alcuni vivono in coppie, altri in famiglie, altri ancora in schiere e gruppi; vivono d'accordo anche con altri animali, ma non si affezionano ad essi. Spaventati o nel pericolo, con la maggiore velocità possibile, si nascondono nella loro tana.

I Rosicanti si cibano fondamentalmente di sostanze vegetali: radici, scorze d'albero, foglie, frutta di ogni tipo, erbe, tuberi, farinacei e persino fibre legnose. Alcuni si cibano anche di sostanze animali e sono dei veri e propri carnivori. Le specie più deboli usano radunare nelle proprie tane numerose provviste che consumano poi nei mesi d'inverno. Fra i mammiferi, i Rosicanti rappresentano gli architetti e alcuni di essi erigono dimore veramente artistiche, che da secoli formano oggetto di grande ammirazione per gli uomini. Molti passano l'inverno in un sonno letargico durante il quale consumano per le calorie necessarie alla vita, il grasso abbondantemente ammassato sotto la loro pelle durante l'estate.

L'importanza della vita della natura di questo ordine di animali è grandissima. Se non fossero soggetti a morte di varia natura, l'intero globo sarebbe da essi conquistato e saccheggiato. Comunque, essi fronteggiano con la straordinaria prolificità, di cui sono dotati, la guerra di sterminio che uomini e animali conducono contro di loro.

Una sola coppia di rosicanti può, in un anno, generare migliaia di piccoli, che in poco tempo sono in grado di coadiuvare i genitori nella terribile azione di distruzione e di rapina. L'uomo, perciò, nella lotta che conduce a questi animali, agisce in stato di legittima difesa.

Solo pochissime specie sanno affezionarsi all'uomo e pochissime quindi meritano di venire addomesticate. Di alcuni rosicanti si adoperano la carne e la pelle. Delle numerose famiglie, in cui alcuni naturalisti suddividono l'ordine dei Rosicanti, elenco qui di seguito le principali.

 

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ISTRICE DI GIAVA (Acanthion javanicus)

E' alquanto più piccolo dell'istrice comune, sebbene sia una specie di media mole della famiglia. E' di un bel colore bruno-scuro, con disegni bianchi a scacchiera nella parte posteriore, orecchie lunghette anzi che no; ha naso e labbro coperti di fitti peli; gli aculei e le setole sono di un bruno-castano-scuro uniforme, quelli di dietro hanno quadretti di bianco. L'indole e i costumi di vita dell'Istrice di Giava non si discostano sostanzialmente da quelli dell'istrice comune. Bodinus, che fu celebre direttore del giardino zoologico di Colonia, fece interessanti osservazioni sull'Istrice di Giava che aveva presso di sé, allo zoo, allo stato di schiavitù. «Se in bellezza l'Istrice di Giava», scrive il Bodinus «viene molto dopo gli istrici d'Africa, pure si distingue per una maggiore mansuetudine verso l'uomo. Il suo mantenimento non presenta difficoltà: erbe, trifoglio, radici e pane sono, anche in schiavitù, la base della sua alimentazione; mangia questi alimenti con grande appetito, e con il loro uso è subito in uno stato di perfetta salute. E' alquanto più difficile la preparazione di una gabbia adatta a questo, che non per altri istrici. In mancanza di una località conveniente, assegnai per soggiorno a questo animale una gabbia ordinaria, le cui pareti erano rivestite di latta, che esso prese immediatamente a rodere. Sono convinto che quei suoi robusti incisivi possono facilmente bucare la latta ordinaria, appena presenta loro qualche appiglio. Ma sopra una superficie liscia non ha nessun punto di appoggio per cominciare a rosicare. Senza darsi pensiero, invece, gli istrici mordono e rodono le sbarre di ferro della gabbia, e se queste non sono sufficientemente forti, vengono rotte facilmente.

La sempre più tondeggiante mole della femmina della nostra coppia destò subito in me la speranza della loro moltiplicazione, e un giorno, con mia grande gioia, si trovò nella gabbia un animaletto appena nato. Esso aveva press'a poco la mole di una grossa talpa, coperto di scarsi e brevissimi aculei, strisciava stentatamente nella gabbia, sebbene fosse ancora umido e attaccato al cordone ombelicale. Il mio timore che il padre si mostrasse snaturato fu vano: esso in verità osservava curiosamente il giovane rampollo, ma non si dava speciale pensiero di esso, mentre la madre cominciò con tutta pacatezza a mangiare la placenta e il cordone ombelicale. Non la molestai nel godimento di questo ripugnante cibo, pensando che doveva ubbidire al suo istinto naturale. Così essa mangiò tutta la placenta e il cordone ombelicale sino alla lunghezza di 13 millimetri; quindi la festa ebbe fine, ed essa cominciò a leccare il piccino che intanto cercava i capezzoli. Si sa che questi si trovano anteriormente ai lati dell'omoplata di modo che gli aculei non impediscono l'allattamento. Il piccino ha ormai raggiunto la metà della mole dei suoi genitori, e continua a poppare con grande appetito, mentre i genitori si sono già accoppiati di nuovo».

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ISTRICE COMUNE O PORCOSPINO (Hystrix cristata)

Si distingue dalle specie precedenti degli altri generi per la grande e folta criniera nella nuca, e per i più lunghi e robusti aculei. Alcune varietà congeneri si rassomigliano in tutto tanto che solo i naturalisti moderni li hanno separati. Tutte le altre specie della famiglia si distinguono facilmente da esso. L'Istrice supera in mole il nostro tasso, ma è più breve di corporatura e appare, a causa del suo rivestimento di aculei, più grosso e di maggior circonferenza di quanto non sia realmente. La sua lunghezza è di soli 60 centimetri, 10 centimetri quella della coda, 23 centimetri l'altezza al garrese; il peso varia tra 10 e 15 chilogrammi, ma l'animale sembra almeno il doppio più grande e grosso della realtà. E' tanto massiccio che a malapena e lentamente si può muovere. Tutto il suo essere fa una singolare impressione. Solo sul muso breve e ottuso e sul naso si presentano alcuni peli: il grosso labbro superiore è coperto di parecchie file di mustacchi neri e lucidi, e tali setole si ritrovano pure sopra verruche al di sopra e dietro le orecchie. Lungo il collo si leva una criniera fatta di lunghe e ruvide setole dirette all'indietro e ricurve, e che può essere drizzata e adagiata all'indietro a volontà. Quelle setole sono di considerevole lunghezza, sottili e pieghevoli, parte colorate in bianco, parte in bigio, e finiscono per lo più con punte bianche. La parte superiore del corpo è rivestita nel rimanente di aculei fitti, lunghi e brevi, lisci e con punte acuminate, tra i quali spuntano dovunque ruvidi peli. Sui fianchi, sulle spalle e nella regione sacrale, gli aculei sono più brevi e meno acuti che non sul mezzo del dorso, dove terminano neri in punte aguzze. Quelli più lunghi sono nel mezzo finemente solcati, quelli più brevi sono lisci; quelli sottili e pieghevoli giungono ad una lunghezza di 3 centimetri; quelli brevi e duri invece misurano soltanto da 1 a 2 centimetri. Molti sono grossi tre millimetri. Tuttavia risultano cavi e pieni di un midollo spugnoso all'interno.

Il colore degli aculei è bruno-nero-scuro alternato di bianco. La radice e la punta sono generalmente bianche; i più brevi sono bruno-neri e cerchiati, ma hanno anche bianca la radice e la punta. All'estremità della coda si trovano aculei di forma diversa, di appena 5 centimetri di lunghezza, ma grossi circa 5 millimetri. Consistono in tubi a pareti sottili, troncati, aperti nelle estremità, e simili a cannelli di penna, mentre le loro radici sono steli lunghi, sottili e flessibili. Tutti gli aculei sono poco saldamente conficcati nella pelle: a volontà possono essere drizzati e adagiati all'indietro per mezzo di un grosso e robusto muscolo che si stende sotto la pelle ed è suscettibile di una energica contrazione. Essendo poco saldi, cadono facilmente nei movimenti più forti, e hanno dato origine, così, alla favola che l'animale può scagliare gli aculei contro i suoi nemici. La parte inferiore del corpo è coperta di peli bruno-scuri con la punta rossiccia. Intorno al collo si trova una fascia bianca; le unghie sono nere, di colore corneo, gli occhi neri. Questi sono i caratteri che bastano a distinguere questo animale.

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Gli istrici che si trovano in Europa si suppone provengano dall'Africa settentrionale, forse dall'Atlantide e trasportati in Europa dai Romani. Non abbiamo autorità per stabilire se ciò sia vero o meno, e ci sembra strano che i Romani abbiano potuto dare diritto di cittadinanza appunto a questa singolare creatura. Ciò nonostante è vero che questo animale era noto agli antichi, poiché Claudio gli consacra una lunga poesia, mentre Plinio ne dà una minuta descrizione corredata di tutte le favole spacciate sul suo conto. Attualmente l'Istrice si trova soltanto lungo le coste del Mediterraneo, principalmente in Algeria, Tunisia e Tripolitania. In Europa è comune nella campagna di Roma, in Sicilia, in Calabria e in Grecia.

Questo animale conduce una vita solitaria e malinconica: di giorno, riposa in gallerie profondamente scavate, basse, che si è preparate esso stesso; di notte, viene fuori e se ne va in giro in cerca di cibo. Si alimenta di piante di ogni qualità e specialmente di cardi e di altre cibarie, di radici e di frutta, della corteccia di diversi alberi e dei petali di molti fiori. Staccata la pianta con i denti, l'abbocca con gli incisivi e la tiene salda con le zampe anteriori mentre mangia. I suoi movimenti sono lenti e sgarbati, l'andatura è tarda e cauta, la corsa poco rapida. L'Istrice dimostra molta destrezza solo nello scavare, sebbene sia di gran lunga inferiore a quella che dovrebbe essere per sfuggire ad un nemico svelto e agile. In autunno e durante l'inverno si trattiene più del solito nella sua tana, passandovi intere giornate dormendo; ma non è soggetto ad un vero letargo. L'Istrice, sorpreso fuori dal suo nascondiglio, alza minacciosamente la testa ed il collo, drizza di botto tutti gli aculei del suo corpo e produce con essi un rumore particolare, che proviene principalmente da quelli cavi della coda. In una grande commozione scalpita sul suolo con le zampe posteriori, e se viene catturato emette un piccolo grugnito simile a quello del maiale. Sono questi i soli suoni che possa produrre. In quei movimenti alcuni di quegli aculei cadono, ed è ciò che ha dato luogo all'erronea credenza sopra menzionata.

Malgrado il terribile stormire degli aculei, l'Istrice è un animale perfettamente innocuo, pacifico, che si spaventa facilmente, lasciando via libera ad ognuno e non pensando mai a far uso dei suoi affilati denti. Gli aculei non sono poi per nulla armi offensive, costituendo il solo mezzo di difesa che possiede la povera bestia. Chi gli si avvicina incautamente può talvolta rimanere ferito, ma il cacciatore cauto ed abile non ne è mai punto; può tranquillamente afferrare l'Istrice per la criniera e portarlo via senza difficoltà, se fa uso delle più semplici cautele. Quando qualcuno gli si accosta, l'Istrice rovescia il capo all'indietro, drizza gli aculei del dorso e muove due passi verso l'avversario: ma un bastone che gli si pari dinanzi basta per arrestarne lo slancio, mentre un panno alquanto spesso disarma completamente il guerriero. Nel caso di estremo pericolo l'Istrice si raggomitola, come il riccio, e allora riesce molto difficile il sollevarlo. In generale, però, si può dire che per quanto sembri terribilmente armato, soggiace ad ogni abile nemico. Il leopardo, ad esempio, come abbiamo già avuto occasione di dire, sa abilmente, con una zampata sulla testa, uccidere il poveretto senza il minimo danno.

Le facoltà intellettuali sono scarse nel nostro Istrice e nei suoi affini, appena si può parlare di intelligenza in esso, sebbene non si possa negargli un certo istinto. Il più sviluppato dei suoi sensi sembra l'olfatto, l'udito e la vista sono ottusi.

Il tempo dell'accoppiamento varia secondo i diversi climi delle zone che abita: si può ammettere che dappertutto ricorre al principio della primavera, in gennaio nell'Africa, in aprile nell'Europa meridionale. Per quel tempo i maschi cercano le loro femmine e vivono parecchi giorni con esse. Dopo 60 o 70 giorni la femmina partorisce nei suoi covi da due a quattro piccini in un morbido giaciglio rivestito di foglie, di radici e di erbe. Gli animaletti nascono con gli occhi aperti e con il corpo coperto di fini aculei, molli e strettamente aderenti, i quali si induriscono rapidamente; crescono con una sorprendente velocità, sebbene raggiungano tutta la loro mole solo in un'età più avanzata. Appena i figli sono capaci di procurarsi il cibo, abbandonano la madre e si rendono indipendenti.

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Non si può veramente dire che l'Istrice arrechi danni all'uomo, poiché non è frequente in alcun luogo. Mentre le devastazioni, che produce accidentalmente nei giardini che si trovano nelle vicinanze della sua tana, meritano appena di essere prese in considerazione. Dove vive, se ne sta quanto più è possibile lontano dall'uomo in completa solitudine, ed è per questo raro che si renda molesto. Ciò nonostante è inseguito con accanimento: i suoi aculei servono a molti usi, e la carne viene mangiata in alcuni luoghi. Si cattura lo stupido solitario con trappole che si appostano davanti alla sua tana, oppure lo si fa arrestare nella scorreria naturale da cani ammaestrati allo scopo, e non si ha che da rialzare dal suolo l'animale tramortito, oppure uccidendolo con un colpo sul naso. Nell'Agro romano la caccia all'Istrice passa per un gran divertimento, e non si può negare che non si trovi qualcosa di singolare e dilettevole nel modo con cui esso viene insidiato. L'Istrice, in quella regione, scava a preferenza le sue gallerie nei profondi fossi che solcano l'Agro, e quando sbuca fuori di notte è raro che abbandoni l'immediata vicinanza del suo cavo. Nella notte buia si parte alla caccia con cani ben ammaestrati che si mettono sulle tracce dell'animale, lasciandoli cercare. Un sonoro e collerico latrato annunzia che i cani hanno scovato uno degli atleti spinosi, e indica il luogo dove deve impegnarsi la lotta, seppure si può parlare di lotta. I cacciatori accendono le loro lampade, che tengono pronte, e si accostano al luogo dello spettacolo. Appena i cani si accorgono dell'arrivo dei padroni, guaiolano di gioia e si precipitano con furore crescente sopra la selvaggina. Da parte sua l'Istrice tenta di rispondere loro brontolando, stropicciando gli aculei, grugnendo e sbuffando, e coprendosi alla meglio con gli stessi aculei appuntati in molte direzioni. I cacciatori infine formano un cerchio intorno all'animale e ai suoi avversari, e al vivo chiarore delle lampade accese è molto facile sopraffare l'Istrice nel modo suaccennato e ucciderlo, oppure prenderlo vivo e portarlo a casa.

Molti italiani, fino allo scorso secolo, giravano di villaggio in villaggio con questi animali addomesticati come facevano i savoiardi con le marmotte. Essi facevano vedere lo strano animale per qualche soldo e ricavavano, così uno scarso sostentamento. Con qualche cura è facile mantenere l'Istrice comune in stato di schiavitù per 8 o 10 anni; se è trattato bene, facilmente si addomestica ancora. I prigionieri giovani imparano a conoscere l'uomo che li cura e lo seguono come dei cani; tuttavia questi animali non possono mai disfarsi della timidezza e della prudenza loro innate: la minima cosa basta per spaventarli e quindi angosciati e tremanti rumoreggiano con il loro spinoso rivestimento. Non sopportano cattivi trattamenti e si irritano facilmente. Carote, patate, insalate, cavoli e altri vegetali formano il loro cibo in schiavitù, ma preferiscono le frutta. Se vengono nutriti di foglie o di frutta succose possono vivere perfettamente senza acqua, mentre bevono sempre di rado anche con il cibo asciutto. Nonostante tutto, però, non si può affermare che l'Istrice sia un gentile compagno dell'uomo: non lo si può tenere che difficilmente in camera. Corre attorno sbadatamente, danneggiando questo e quello con gli aculei, rosicando i piedi delle tavole, le porte, tutto il legname, ed è perciò un noioso compagno. E' più gradevole quando si fabbrica una casa sua propria di pietra, come si fa oggi nei giardini zoologici: gli si appresta una spelonca artificiale, dinanzi alla quale si prepara uno spazio lastricato circondato da una cancellata. Di giorno esso dorme all'interno della sua abitazione, di sera fa capolino fuori brontolando, stormendo, chiedendo cibo. Subito si abitua a venire a prendere il cibo dalla mano dei visitatori, e ciò lo rende interessante a tutti quelli che si occupano a lungo di esso. Solo in questo caso si può dire che non è così tozzo né così sgarbato come sembrava: afferra gentilmente il cibo con le zampe anteriori, e sa come ben impadronirsi delle cose afferrate. Rompe le noci con bel garbo, prende graziosamente un pezzetto di zucchero; insomma compie tutto quello che si riferisce all'arte del mangiare con la gentilezza propria dei rosicanti.

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CAVIE

Parecchi piccoli rosicanti, alti, grossi e taluni più grossi di tutti, i quali si distinguono dagli altri per le unghie brevi, larghe, quasi a foggia di zoccolo, formano la famiglia delle Cavie. Il nostro porcellino d'India appartiene a questa schiera. Ma cadremmo in un falso concetto di tutta la famiglia considerandone questo animaletto come il tipo. I caratteri essenziali di questa famiglia sono: orecchie grandi, un moncone di coda, piante dei piedi nude, unghie larghe a mo' di zoccolo e pelame ruvido. La dentatura si compone di 4 molari per parte, quasi uguali, e di incisivi grandi, larghi, generalmente bianchi davanti. La colonna vertebrale conta di solito 19 vertebre dorsali, 4 sacrali e da 6 a 10 caudali. Tutto lo scheletro è robusto, talvolta massiccio.

Tutte le Cavie abitano esclusivamente l'America centrale e meridionale, nelle regioni più diverse. Le une le pianure, le altre i boschi e tratti asciutti, paludi rocciose e persino l'acqua. Queste si nascondono in buchi, nei vecchi tronchi d'albero, nelle spaccature delle rocce, nelle siepi e nei cespugli; quelle in tane che si scavano da loro o che furono abbandonate da altri animali. Quasi tutte sono socievoli e fanno vita più notturna che diurna. Si cibano di vegetali di ogni sorta: erbe, piante aromatiche, fiori, radici foglie, cavoli, semi, frutta e corteccia di alberi. Per mangiare assumono la posizione eretta e, sedute sulle estremità posteriori, tengono il cibo saldo tra le zampe. I loro movimenti sono agili, sebbene la loro andatura abituale sia piuttosto lenta. Tuttavia sanno correre, in caso di bisogno, abbastanza rapidamente, e alcune specie sono anche svelte. Molte vanno nell'acqua e nuotano con la maggiore abilità e a lungo. Tutte sono pacifiche e innocue, paurose; i piccoli timidissimi, inquieti e mansueti, i più grossi alquanto più animosi. Ciò nonostante al sospetto del minimo pericolo, che si avvicina, se la svignano come meglio possono. Tra i loro sensi i più sviluppati sono l'udito e l'olfatto, mentre le loro facoltà intellettuali sono infime. Si addomesticano facilmente, si avvezzano all'uomo, che imparano molto bene a conoscere, senza peraltro affezionarsi interamente. La loro moltiplicazione è considerevole, il numero dei piccini varia tra 1 e 8 e molte specie partoriscono parecchie volte l'anno. Questo è a un dipresso tutto quello che possiamo dire intorno a questa famiglia: l'esame dei generi più importanti ci insegnerà il resto.

 

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PORCELLINO D'INDIA O CAVIA COMUNE (Cavia porcellus)

Si può considerare come il rappresentante del primo genere. Sappiamo che questo animale ci viene dall'America meridionale, ma gli americani del Sud, invece, sostengono che sia stato loro portato dall'Europa, per cui esso segue la sorte degli altri animali domestici: non ha patria. A lungo è stato cercato il Porcellino d'India nella sua patria, e molti naturalisti hanno considerato l'Aperea come il vero suo capostipite, ma sono tali le differenze tra l'uno e l'altro che non si può accettare come verosimile questa supposizione. Inoltre, si è invano cercato di fare accoppiare i due animali; e questo prova che fra i due animali vi è soltanto affinità di famiglia e non di specie.

Il nostro Porcellino d'India è una delle più amabili bestiole domestiche dell'intero ordine dei rosicanti, tanto per la sua sobrietà, quanto per la sua innocuità e la sua buona indole; se gli si dà una stalla asciutta e bene arieggiata, è facile mantenerlo. Esso mangia ogni sorta di vegetali, dalle radici alle foglie, tanto i semi come le piante fresche e succose, anzi qualche varietà nella sua alimentazione non gli dispiace. Se ha un cibo succoso può stare benissimo senza bere, benché accetti il latte con molto piacere; se gli si dà da mangiare a sufficienza, non c'è da prendersi altro pensiero per esso. Sempre contento, amabile, sopporta con filosofia indifferente persino i cattivi trattamenti: per questo è un gradito trastullo per i bambini, che si consacrano con passione al suo allevamento. La sua indole, per molti riguardi, ricorda quella dei conigli, per altri quella dei topi. Il suo camminare non è molto rapido, e consiste in passi saltellanti; tuttavia, tutt'altro che impacciato, è anzi piuttosto agile. Nel riposo, sta abitualmente sulle quattro zampe, col capo posato a piatto sul suolo. Può anche drizzarsi sulle estremità posteriori. Per mangiare porta gli alimenti alla bocca con le zampe anteriori; corre senza tregua attorno al suo domicilio, di preferenza lungo le pareti, dove si è presto segnato un bel liscio sentiero. E' un vero piacere vedere molti individui raccolti assieme: l'uno corre sulle piste dell'altro, e tutta la comitiva fa così più di cento volte, senza interruzioni, il giro della stalla. La loro voce è una specie di grugnito, che ha fatto dare loro il nome di porcellino, ed un particolare brontolio e squittio.

Il maschio e la femmina vivono uniti e si trattano con molta tenerezza. Puliti, come la maggior parte dei rosicanti, si leccano l'un l'altro continuamente, ed adoperano le zampette anteriori per pettinare il pelame del consorte. Se uno di essi dorme, l'altro veglia sulla sua sicurezza; ma se il sonno è troppo lungo, cerca di destarlo con la lingua e con la zampa: in fondo, non è giusto che uno dorma tanto a lungo, approfittando della generosità dell'altro. Appena il dormiente apre gli occhi, l'altro s'addormenta e lascia il primo a fare a sua volta la guardia.

Il maschio tratta molto teneramente la femmina, ed in ogni modo cerca di esprimerle il suo affetto e la sua devozione: talvolta permette che la sposina dorma più a lungo, accettando esso il compito di fare la guardia anche se avrebbe una gran voglia di appisolarsi. Anche gli individui dello stesso sesso stanno d'accordo finché non entra in gioco il bisogno di mangiare, o quello di procacciarsi il posto migliore per mangiare e per riposare. Due maschi innamorati che si accapigliano in onore d'una bella femmina giungono ad un alto grado di furore, digrignano i denti, percuotono col piede il suolo e si prendono a calci o si strappano i peli. Capitano anche casi in cui fanno serio uso dei denti riportando larghe ferite, mentre la baruffa ha fine soltanto quando uno dei maschi si è impossessato della bella contesa, oppure è rimasto vincitore nella battaglia, poiché l'altro competitore se n'è andato.

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APEREA (Cavia aperea)

L'Aperea è comune nel Paraguay, nella pampas di Buenos Aires, e in genere in tutta l'America. Sta fra le erbe, nei cespugli, nei campi e, soprattutto, in quelli che circondano i poderi, senza penetrare nei boschi. Non scava gallerie, né si allontana volentieri dalla sua dimora. Nei giardini è dannosa perché divora le piante più diverse. Di giorno, si tiene nascosta, e sbuca fuori solo verso il tramonto. Non si può definire paurosa, ma quando le si va vicino si nasconde sotto qualche oggetto; se è presa in mano strilla fortemente. Corre con velocità, ma è tanto stupida che tutti gli uccelli di rapina e le fiere la ghermiscono con facilità. Ciò nonostante è diffusissima, forse perché la femmina partorisce ripetute volte durante l'anno, sebbene generalmente non abbia più di due piccini per volta. La sua carne è mangiata con grande gusto dagli indiani.

L'Aperea misura in lunghezza 26 centimetri ed 8 in altezza. Il pelame è fatto di peli dritti, duri, aderenti, setolosi, che sono piuttosto adagiati sulla pelle. Alcuni peli soltanto rivestono le orecchie, il dorso e i piedi, mentre sulla bocca si trovano d'ambo le parti setole dure e lunghe. Nell'inverno, i peli delle parti superiori sono bruni e gialli con punte rossicce, quelli delle parti inferiori bigio-giallognoli, quelli dei piedi bianco-brunicci. Durante l'estate, i colori sono più pallidi, e le parti superiori ed esterne appaiono bruno-bigie con riflessi rossicci. Le setole della faccia sono nere, le unghie brune. I due sessi si rassomigliano perfettamente per il colore e finora nessuna variazione è stata osservata a tale riguardo.

La dentatura dell'Aperea è quasi uguale a quella del Porcellino d'India, tuttavia gli incisivi sono più ricurvi ed i molari meno lunghi che non nel nostro animale domestico. Il Porcellino d'India offre sempre tre colori misti in modo irregolare: rosso, giallo e bianco, che sono divisi in macchie ora più piccole ora più grandi; nell'Aperea il colore è quasi sempre uniforme. Inoltre esistono altre differenze: il cranio dell'Aperea è più sporgente in avanti, quello del Porcellino d'India più largo di dietro e più arcuato. Nell'Aperea le ossa nasali terminano superiormente a punta, nel Porcellino d'India sono tagliate trasversalmente; nell'Aperea il foro occipitale è circolare, nel Porcellino d'India è maggiore il diametro verticale. L'angolo facciale dell'Aperea misura 15 gradi, quello del Porcellino d'India 11 gradi soltanto, e così di seguito. In verità, sono queste notevoli differenze e tali da giustificare la separazione dei due animali. Per tutto il resto, invece, fatta eccezione che il Porcellino d'India è un amabile animale domestico, mentre non si può dire altrettanto dell'Aperea, i costumi di vita e l'indole dei due animali non si discostano sensibilmente.

 

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MARA (Dolichotis australis)

Il Mara somiglia meno al Porcellino d'India che non alle altre specie della famiglia. In complesso rammenta la lepre, da cui, tuttavia, si distingue per le gambe alte e le orecchie più brevi e più ottuse. Il corpo è esile, allungato, più sottile davanti che non posteriormente, le gambe sono piuttosto lunghe, le posteriori più di quelle anteriori. I piedi posteriori hanno 3 dita, gli anteriori ne hanno 4: queste sono brevi, mentre le prime sono più lunghe; ma sia le une che le altre sono libere e armate di unghie lunghe e robuste. Il collo, alquanto esile, sostiene un capo compresso, aguzzo al muso, con orecchie piuttosto strette, lunghe, tondeggianti e diritte, e con occhi di media grandezza vivaci; il labbro superiore è spaccato. La coda breve è rivolta all'insù, le piante dei piedi sono pelose sino al polpastrello. Il pelame è morbido, folto e lucido; i peli sono brevi e aderenti. Sulla parte posteriore il colore è un bigio-bruno particolare con macchiette bianche; sui fianchi e sulla faccia esterna dei piedi questo colore tende al chiaro cannella. Una macchia nera, che si trova sopra la regione caudale, è decisamente limitata da una fascia bianca che scorre sulla parte superiore della coda. Tutta la parte inferiore è bianca, ma sul petto il bianco passa al bruno-cannella chiaro che si estende fino alla coda, mentre questa è di nuovo bianca. I mustacchi nero-lucidi spiccano vivamente tra gli altri peli. Negli adulti la lunghezza del corpo arriva a 45 centimetri, di cui la rudimentale coda ha solo 4 centimetri; l'altezza al garrese può giungere sino a 44 centimetri, e fa sì che, a prima vista, questo animale sembri piuttosto un piccolo ruminante che non un rosicante.

Il dotto Azara fu il primo che gli assegnò il suo vero posto tra i rosicanti. «Chiamano questo animale lepre» dice Azara «sebbene sia molto diverso da quello che vive in Spagna. E' più grosso e più massiccio, non corre tanto e si stanca più presto, per cui un cacciatore con un buon cavallo può in breve raggiungerlo e ucciderlo, sia con la lancia sia con l'archibugio. Quasi sempre se ne trovano parecchi insieme, o almeno il maschio poco distante dalla femmina. Abitualmente si alzano ambedue nello stesso tempo e corrono via insieme; spesso nella notte si ode la sua acuta e spiacevole voce che suona press'a poco come oovi: se è prigioniero o viene preso e tenuto in mano, grida nel medesimo modo».

I selvaggi e il nostro popolino mangiano la sua carne tenera, ma la stimano assai meno di quella degli armadilli: in verità ha un sapore molto diverso da quello della nostra lepre europea. Anche Darwin dette particolari esatti intorno a questo notevolissimo animale: da questo naturalista sappiamo che il Mara non si spinge oltre il 37.mo grado di latitudine, fermandosi con piacere nel deserto pietroso e privo di acqua della Patagonia. E' anche presente nei dintorni di Cordova e nella Repubblica Argentina, ma ai giorni nostri dappertutto è poco frequente. Del resto ciò si spiega facilmente per via della sua timidezza, che lo rende accessibilissimo alla caccia dell'uomo e degli altri animali. Il Mara, infatti, prende la fuga appena ha sentore del minimo pericolo, e il branco che si trova sempre radunato scappa rapidamente dietro una guida, seguendola a piccoli salti non interrotti, e senza deviare dalla linea retta.

 

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Gli Indiani fanno al Mara un'accanita guerra, non tanto per la sua carne quanto per ottenerne la bella pelliccia, di cui si fanno tappeti e coperte molto stimati sia per la loro morbidezza che per il loro elegante aspetto. Quanto all'indole, poi, i mara si riposano stirandosi e allungandosi con il massimo piacere, ma ad un lieve fruscio si drizzano, si puntellano sui piedi anteriori e dietro sulle calcagna, rimanendo in tale posizione, immobili come statue, senza il minimo movimento, adocchiando e origliando nella direzione del rumore. Perdurando questo, si alzano del tutto, rimangono qualche minuto sospesi e infine, se loro sembra che il pericolo si avvicini sempre più, si dànno ad un galoppo tutto particolare. Corrono per soli pochi passi, siedono, si alzano, corrono ancora alcuni passi, di nuovo sostano, vanno fino a 50, 60, oppure 100 passi oltre, e prendono soltanto allora la fuga, sebbene sempre con simili interruzioni. Tutta la loro corsa è piuttosto rapida, perché sono in grado di spiccare salti di 1 o 2 metri. Un buon veltro potrebbe raggiungerli, ma un cavaliere deve per lungo tempo inseguirli e stancarli se vuole arrivare loro sopra.

I mara si alimentano delle scarse erbe che produce la loro misera patria; del resto vanno anche nelle piantagioni e fanno buon pasto nei campi, principalmente quando sono seminati a trifoglio. Staccano con i denti l'erba dalla radice, si drizzano e mangiano in quell'atteggiamento, senza muovere altro che le mandibole. Mentre sono così affaccendati si ode un rumore di masticazione abbastanza forte, ed è curioso davvero il vedere i lunghi steli e le foglie dell'erba sparire senza che si possa scorgere temporaneamente l'apertura della bocca. Le sostanze succose convengono perfettamente a questo animale per spegnere la sua sete. E difatti, un Mara nutrito con civaie fresche, non ha mai bisogno, neppure allo stato di schiavitù, di una sola goccia d'acqua.

Il Mara è previdentissimo: per dormire e per mangiare sceglie i luoghi sempre più scoperti, come se sapesse che anche dai cespugli può essere tradito. Per ciò la caccia di questo animale ha le sue gravi difficoltà; ma oggi non è difficile prenderlo di mira con lo schioppo. Nel giaciglio non si lascia cogliere, perché i suoi sensi sono tanto acuti che esso si accorge da una grande distanza dell'avvicinarsi di un nemico.

Allo stato di schiavitù, il Mara è una gentile, innocua e pacifica bestiola. Sin dal primo anno dimostra molta confidenza al suo padrone, prendendogli senz'altro dalla mano il cibo offertogli e lasciandosi toccare e accarezzare senza dimostrare alcuna inquietudine. E' particolarmente sensibile alle carezze: se lo si liscia, inarca la schiena, gira la testa da una parte, come se volesse vedere quella mano che gli fa tanto bene, e manda un grugnito o brontolio che denota una grande contentezza.

Il prigioniero dorme soltanto la notte, ma poco, ed è immediatamente desto se ode un rumore.

 

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AGUTI (Dadyprocta aguti)

Questo animale, che si chiama anche «Lepre dorata» per via del suo elegante pelame, è una delle più leggiadre specie di tutta la famiglia. Il suo pelame è fitto, liscio e aderente; il pelo ruvido, duro, quasi setoloso, ha una viva lucentezza e colore giallo-limone-rossiccio, misto di nero-bruno; ha 8 o 4 cerchi alternati di più chiaro e di più scuro; d'onde nasce il colore misto. In alcune parti del corpo, però, domina il giallo, mentre il nero o si dilegua del tutto o forma soltanto uno stretto cerchio. Da ciò risulta che il colore complessivo varia a seconda dei movimenti dell'animale, del gioco della luce sul complesso, e infine della più o meno grande lunghezza dei peli. La faccia e le estremità sono rivestite di brevi peli, la parte inferiore e la regione sacrale hanno peli più lunghi, le cosce hanno peli quasi di 8 centimetri: la gola è nuda. Sul capo domina il colore rossiccio, e così anche sulla nuca, sulla parte anteriore del dorso e sulla parte esterna delle zampe; ma l'animale è più gialliccio nella parte posteriore e neLla regione sacrale, perché la punteggiatura è meno fitta. Il colore generale cambia anche a seconda delle stagioni: l'Aguti è di colore più chiaro in estate, più cupo durante l'inverno. La lunghezza del corpo di un maschio adulto giunge a 45 centimetri, e quella del moncone della coda solo a 13 millimetri. L'Aguti abita attualmente la Guiana, il nord del Brasile e del Perù. E' rappresentato da specie affini nel Brasile meridionale e in gran parte del Paraguay. Qui, come dovunque, abita i boschi, e tanto le umide foreste vergini, quanto quelle asciutte dell'interno del Paese. Si spinge anche sino alle pianure erbose limitrofe e vi fa la parte della lepre. Non si avventura nei campi scoperti: per lo più si trova nelle buche del terreno o nelle cavità degli alberi, e più spesso solo che in compagnia. E' così timido e pauroso, così pronto a fuggire, da rendere quasi impossibile osservarlo in libertà. Di giorno se ne giace tranquillo nel covo, poiché si aggira soltanto nei luoghi dove si sente perfettamente sicuro. Al tramonto viene fuori in cerca di cibo, e se il tempo è bello si aggira tutta la notte qua e là. Se si mette un cane sulle tracce dell'Aguti, generalmente si riesce, a meno che il covo non sia nella boscaglia, ad impossessarsi dell'animale. Il cane abbaia alla selvaggina, e si può giungere allora alla tana e scovarla; ma se l'Aguti si accorge a tempo della presenza del cane, prende immediatamente la fuga e l'agilità, la velocità della sua corsa, lo mettono presto fuori pericolo. Si accovaccia nella prima macchia che incontra e rimane nascosto al suo avversario.

L'Aguti è un animaletto innocuo e pauroso; esposto a molti pericoli, esso deve alla straordinaria agilità dei suoi movimenti e all'acutezza dei suoi sensi se può scampare alla morte. Nel saltare ricorda molto certe piccole antilopi ed i moschi: la sua corsa è una serie di passi saltellanti che si susseguono con tanta rapidità da far credere quella fuga un galoppo allungato. L'andatura tranquilla è un passo piuttosto lento. L'olfatto primeggia tra i suoi sensi, e anche l'udito è assai sviluppato. La vista invece sembra essere meno buona, mentre il gusto non è certamente fine. Le facoltà intellettuali sono scarse, e un certo senso d'orientamento è la sola qualità che si noti in esso. Si nutre di varie sorta di piante, mangiando le radici, i fiori e i semi: nessuna sostanza vegetale resiste ai suoi acuti incisivi che riescono a rompere le noci più dure. Nelle località coltivate si rende molesto con le sue visite alle piantagioni di canna da zucchero ed agli orti.

L'Aguti si moltiplica rapidamente, e si trovano femmine gravide in ogni mese dell'anno, specie in ottobre, al principio delle piogge, in primavera, o comunque prima della siccità.

 

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In quel tempo il maschio si cerca una femmina e l'incalza con fischi e brontolii, finché la bella, all'inizio molto restia, si sia fatta più condiscendente. Nel caso opposto esso cerca di ottenere l'intento con la violenza; almeno così possiamo concludere da un'osservazione fatta sui prigionieri. Una femmina che mettemmo con due maschi fu da essi così maltrattata e morsicata, che dovemmo allontanarli per non vederla soccombere ai cattivi trattamenti, e ci vollero settimane per curare le ferite prodotte dagli sgarbati corteggiatori. Poco dopo l'accoppiamento, gli individui dei due sessi si separano e vivono isolatamente. La femmina torna al suo antico giaciglio e lo dispone per accogliere i futuri ospiti, cioè lo tappezza quanto più può morbidamente con foglie, radici e peli, poi vi depone i figli e li allatta parecchie settimane con la maggiore tenerezza, e finalmente li accompagna per qualche tempo attorno, al fine di insegnare loro a pascolare e di proteggerli. Se si avvicina il padre, la madre si precipita tra loro, con il pelo irto, abbocca i suoi rampolli e li porta in un cantuccio ciò dura per parecchi giorni, ed esattamente fino a quando i figli mostrano di conoscere la madre e di saper evitare la pericolosa vicinanza del signor babbo. Dopo 4 o 5 giorni il padre sembra avvezzarsi alla vista dei figli, e il pericolo può dirsi scongiurato. I piccini sogliono appiattarsi in qualche nascondiglio da dove sbucano, appena li punge l'appetito, con voci dolenti, accolte dalla madre con un tenero brontolio: essa siede sulle estremità posteriori e li lascia poppare comodamente. Un rumore inaspettato li ricaccia in fondo al nascondiglio fino a quando, meglio familiarizzati con le cose esterne, essi cominciano a muoversi a poco a poco e a seguire la madre. Dopo alcuni giorni dalla nascita rosicano gli stessi cibi della madre, e crescono senza difficoltà. Nascendo hanno già i tratti caratteristici dei loro genitori e se ne scostano appena nella forma esterna. Degno di nota è che gli aguti prigionieri trascinano fuori dall'interno della tana ogni cadavere, deponendolo dinanzi all'ingresso della galleria: questo costume è in strettissimo rapporto con il grande amore di questi animali per la pulizia.

Tra i numerosi nemici che mangiano l'Aguti sono in prima fila i grossi felini e i cani del Brasile; perché l'uomo, per quanto accanitamente lo perseguiti, gli fa poco danno. Non è difficile prenderlo: basta appostare trappole sul suo sentiero per impadronirsene di sicuro; lo si cattura anche con il sussidio del cane, come hanno sperimentato molti cacciatori. Alcuni naturalisti hanno per lungo tempo sostenuto che l'Aguti non è suscettibile di addomesticamento, ma si ingannavano, come oggi è dimostrato da chiunque abbia visitato questo o quello dei grandi giardini zoologici.

Reingger racconta che, preso giovane e accuratamente educato, l'Aguti diventa quasi un animale domestico. «Ho veduto» dice il dotto naturalista «diversi aguti che si potevano lasciar correre in libertà, senza che se la svignassero; persino in mezzo ai grandi boschi non lasciano di proprio impulso il loro soggiorno, quando siano per bene addomesticati. Vidi nei boschi del Paraguay settentrionale, nelle capanne di alcuni abitanti, due aguti addomesticati, che mattina e sera se ne andavano nel bosco e passavano con i padroni il pomeriggio e la notte. Non sono affezionati all'uomo, ma è l'abitudine al loro soggiorno che reprime in essi l'amore alla libertà. Non distinguono il loro custode da altre persone, obbediscono raramente alla sua chiamata, e vanno in cerca di lui solo quando li punge la fame. Si lasciano toccare malvolentieri, non soffrono soggezione, vivono a modo loro, tutt'al più possono essere ammaestrati a cercare il cibo in un determinato luogo. Del resto, in schiavitù modificano il loro modo di vivere in questo, che scorazzano di giorno e riposano la notte. Di solito cercano un angolo oscuro del loro giaciglio, lo tappezzano accuratamente con paglia e foglie, talvolta con pezzetti di panno, calzette e via discorrendo, che sminuzzano in pezzetti con i denti. D'altra parte non arrecano gravi danni eccetto quando vengono rinchiusi nel qual caso rosicano qualunque oggetto che non sia troppo duro. I loro movimenti sono leggerissimi: camminano a passi lenti, posando solo le estremità delle dita e inarcando fortemente il dorso, oppure corrono con galoppo allungato, o fanno salti che non la cedono a quelli della nostra lepre. Raramente fanno udire la loro voce, tranne quando sono irritati: allora emettono un grido fischiante, talvolta brontolano, ma sempre sottovoce, specie quando trovano qualcosa da rosicare.

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Spaventati o incolleriti, drizzano i peli della loro schiena, e spesso ne perdono così una parte. Si nutrono di tutto quello che si mangia in casa, ma la carne non è da loro gradita, o la mangiano solo in caso di mancanza di altro cibo più adatto. Le rose sono la loro leccornia preferita: appena portato in casa uno di questi fiori, fiutano immediatamente e si mettono a cercarlo. Abitualmente prendono il cibo con i denti incisivi e lo tengono tra i due rudimenti di pollice dei piedi anteriori, mentre siedono sulle zampe posteriori come lo scoiattolo. Talvolta mangiano anche accovacciati, specie quando hanno davanti piccolissimi bocconi. Raramente bevono, e quando lo fanno, si limitano a lambire l'acqua».

I nostri prigionieri divertono molto per via di alcune loro caratteristiche che non si riscontrano in nessun altro animale: hanno l'abitudine di sotterrare una parte del cibo, per assicurarsi contro il bisogno.

Appena si protende loro il vitto, vi si precipitano sopra avidamente, prendono alcuni bocconi, poi scelgono un pezzetto di carota o di qualche altro frutto, lo portano via nella bocca, scavano una piccola buca in un posto qualunque, vi depongono il loro tesoro, lo ricoprono di terra, e pigiano e pestano questa con le zampe anteriori. Ciò facendo, agiscono con rapidità, con tanto garbo e ordine da rallegrare chiunque li osservi. Compiuta la importante faccenda, vanno in cerca di nuovi rinforzi, e daccapo come prima. E' insomma comico vederli sbirciare sospettosamente attorno e badare accuratamente a non essere veduti, quando nascondono il loro tesoro: se si avvicina loro qualche altro animale, essi rizzano di botto il pelo ed avanzano con cipiglio irato contro il seccatore. Sembrano essere grandemente gelosi del loro cibo: i più piccoli loro compagni di schiavitù devono rubare ogni boccone che mangiano, e persino i compagni più forti, come per esempio paca e marmotte, devono contendere per il cibo.

L'amore dei nostri prigionieri per la pulizia si manifesta in tutte le occasioni. Essi tengono il pelame sempre ravviato, e sembrano avere molta cura di non insudiciarsi. Conservano in perfetto ordine la loro tana, e ogni corpo estraneo che vi si introduca accidentalmente ne viene sollecitamente portato fuori.

 

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CAPIBARA (Hydrochoerus hydrochoeris)

Appartenente alla nostra famiglia, può, almeno per un verso, essere considerato come il più notevole di tutti i rosicanti: è la specie più grossa e più tozza di tutto l'ordine. Esso porta a buon diritto il suo nome latino che vuole dire Porcellino d'acqua, perché la sua forma e il pelame setoloso del suo corpo ricordano decisamente il maiale. I suoi caratteri sono: orecchie piccole, labbro superiore fesso; difetto di gota, breve membrana natatoria interdigitale e robuste unghie a zoccolo, come anche dentatura molto particolare. Gli incisivi sono sviluppati in modo veramente gigantesco: hanno lo spessore minimo di quasi 20 millimetri, e sulla parte anteriore parecchie scanalature piatte. Il rimanente della dentatura si compone di 4 molari, in ogni fila, che hanno radici proprie, e sembrano composti di laminette. Il corpo è tozzo e massiccio, il collo breve, la testa allungata, alta e larga, con il muso ottuso e un'espressione molto particolare. Gli occhi assai grandi, tondi e sporgenti, le orecchie sono arrotondate superiormente, rivolte all'infuori sul margine anteriore, mentre posteriormente sono intaccate. Le estremità posteriori sono notevolmente più lunghe delle anteriori; le zampe anteriori hanno 4 dita, le posteriori ne hanno soltanto 3. Caratteristica è anche una piega della pelle che circonda l'ano e le parti sessuali, in modo da renderle invisibili, e da far sì che maschio e femmina non si possano discernere. Non si può propriamente parlare di un colore determinato del pelo scarso e ruvido: un bruno indeciso, con un riflesso di rosso o di giallo-bruniccio, si stende sul corpo senza spiccare in nessun punto. Solo le setole intorno alla bocca sono decisamente nere. Un Capibara adulto giunge quasi alla mole di un maiale domestico di un anno e del peso di poco meno di 50 chilogrammi. La lunghezza del corpo è di oltre 1 metro l'altezza al garrese di 45 centimetri.

Il Capibara abita il Paraguay sino al Rio de la Plata e specialmente le sponde dei fiumi, dei ruscelli, dei laghi, senza spostarsi oltre 100 passi. Impaurito, manda fuori un grido acuto o si caccia istantaneamente nell'acqua, dove si muove con facilità, emergendo con le sole narici. Se il pericolo è maggiore, o se l'animale è ferito, si tuffa e nuota sott'acqua per lunghi tratti. Ogni famiglia sceglie ordinariamente un determinato luogo, che si riconosce agevolmente dai monticelli di escrementi; il Capibara non scava gallerie. Corre malamente; è pacifico, quieto, stupido. Siede a lungo sulle estremità posteriori senza muoversi. La sua carne è grassa e stimata dai selvaggi. La femmina partorisce una volta l'anno da 4 a 8 figli, per lo più sopra un po' di paglia ammucchiata, i quali seguono più tardi la madre. I giovani possono essere addomesticati senza fatica. Corrono liberamente attorno, vanno e vengono, rispondono alla chiamata, si rallegrano quando vengono grattati. Alcuni naturalisti hanno descritto questo animale più minutamente, e da essi sappiamo quanto segue: il Capibara è diffuso in tutta l'America meridionale. Si trova dall'Orinoco sino alla Plata, e dal Mare Atlantico sino alle Ande. Le regioni basse, boscose, paludose, generalmente i fiumi e le sponde dei laghi e le paludi sono la sua dimora; ma preferisce i grandi fiumi. In certe località è molto comune. Nei luoghi abitati, tuttavia, è più raro come ben si intende, che non nelle solitudini, dove si vede soltanto la mattina o alla sera, mentre nelle valli fluviali non abitate e raramente percorse si può vedere anche di giorno numeroso, sempre nell'immediata vicinanza dell'acqua, sia pascolando, sia seduto a mo' di cane sulle zampe posteriori raccostate. Tale atteggiamento sembra quello più favorevole al riposo di questo strano intermedio tra i rosicanti e i pachidermi; si vede raramente accovacciato sul ventre.

 

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La sua andatura è un lento passo; ma in caso di bisogno procede per sbalzi. La sua corsa non dura a lungo: invece nuota con maestria e attraversa facilmente i corsi d'acqua. Del resto nuota solo se è inseguito, o se difetta di cibo da una parte del fiume. Per quanto sia affezionato ad una data località, generalmente l'abbandona quando è esposto a persecuzione. Non possiede un giaciglio propriamente detto, sebbene soggiorni regolarmente nel luogo preferito delle sponde. Il suo nutrimento si compone di piante acquatiche e della corteccia di giovani alberi, e solo quando è vicino a luoghi coltivati mangia cocomeri e granoturco giovane. Il Capibara è un animale quieto e tranquillo. Ci si accorge a prima vista che si ha a che fare con un essere di sensi molto ottusi e di scarsissima intelligenza. Il cacciatore può osservarlo a suo agio per lunghe ore, ma la sua vita presenta poche varietà e stanca presto l'osservatore. Non si vede mai trastullarsi con altri della sua specie, mentre gli individui di un branco se ne vanno a lenti passi in cerca di cibo, oppure riposano nell'atteggiamento già descritto. Di tanto in tanto volgono un poco il capo per vedere se qualche nemico si mostra all'orizzonte; se ciò è non si affrettano a fuggire, ma se ne vanno lentamente verso l'acqua. Al contrario, li assale un indicibile spavento, se scorgono qualche nemico in mezzo a loro: in questo caso si precipitano nell'acqua e nuotano lestamente per sottrarsi al pericolo. Se non sono abituati a vedere l'uomo, prima di fuggire lo contemplano a lungo.

Allo stato di schiavitù il mantenimento non costa alcuna fatica: mangiano tutte le sostanze vegetali; come il maiale, hanno bisogno di un cibo abbondante, ma non delicato. L'erba fresca e succosa è loro graditissima: pascolano come il cavallo e come questo bevono, ingoiando a lunghi sorsi, ed accordano la loro preferenza alle carote, alle rape ed alla crusca.

Il Capibara ama il caldo senza temere il freddo: in novembre seguita a tuffarsi senza esitare e senza inconvenienti nell'acqua gelata.
Nel gran caldo cerca l'ombra di grossi cespugli, e vi si scava anche una tana poco profonda. Volentieri si avvoltola nella melma, ed è quindi sommamente sudicio e disordinato. I suoi peli sono arruffati e si incrociano per diritto e per traverso l'uno sull'altro. Sarebbe un vero maiale se l'acqua non si incaricasse di pulire il suo setoloso vestimento.

Si dimostra indifferente verso gli altri animali: non si accapiglia mai con nessuno, e si lascia fiutare senza darsi per inteso dai curiosi. Ciò nonostante, in caso di bisogno, non è assolutamente così stupido, o così mite come sembra, e sa ben difendersi.

Solo gli indiani mangiano la carne del Capibara, che ha un sapore di grasso particolarmente ripugnante, stomachevole per gli europei, ma che se viene prima sbollentata e battuta diventa tanto saporita quanto la più tenera carne di vitello. Gli abitanti bianchi dell'America meridionale dànno per puro divertimento la caccia al nostro animale, sorprendendolo improvvisamente, tagliandogli la strada e gettandogli il laccio al collo; ma gli si dà caccia più spesso nei fiumi. Ferito si precipita nell'acqua, ma presto tenta di raggiungere la terra, se non si sente esausto dalla ferita. In caso di bisogno esso sa difendersi ancora valorosamente, regalando al suo nemico gravi ferite. Dopo l'uomo, il peggior nemico del Capibara è il giaguaro, il quale giorno e notte è sulle sue orme, e nelle vallate lungo i fiumi il Capibara è probabilmente il bottino che cade più sovente vittima della belva.

 

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PACA (Cuniculus paca)

E' l'ultima specie della famiglia di cui ci siamo interessati qui sopra. La testa singolarmente grossa, gli occhi grandi e le orecchie piccole, la coda rudimentale, le gambe alte, i piedi anteriori e posteriori con 5 dita, il pelame setoloso, sottile, aderente, 4 incisivi e 16 molari, e particolarmente lo strano e sviluppato arco zigomatico e lo stesso osso interamente cavo, sono i caratteri di questo animale. La cavità dell'osso è probabilmente da considerarsi come una continuazione delle borse guanciali. Queste esistono anche, ma non hanno la capacità che mostrano in altri rosicanti: formano propriamente solo una piega della pelle. Da esse parte una stretta fessura che si apre nel basso della cavità dello zigomatico, la quale deve essere considerata come la vera base guanciale. Internamente è rivestita di una sottile pelle e chiusa a metà, sicché sta in comunicazione con la cavità boccale solo per mezzo di una piccola apertura. Finora non si è potuto con certezza stabilire il suo vero ufficio, sebbene alcuni naturalisti vi abbiano trovato del cibo. Il cranio dell'animale riceve una particolare impronta dallo sviluppo dell'osso zigomatico: questo è singolarmente alto e angoloso. Una così strana conformazione non si trova in nessun altro mammifero. Il pelame del Paca è composto di peli brevi, strettamente aderenti, che sono bruno-gialli sulle parti superiori ed esterne, e bianco-giallicci sulle parti inferiori e sulla faccia interna delle gambe. Cinque file di macchie bianco-giallicce, di forma tonda od ovale, scorrono sui fianchi, dalle spalle sino al margine posteriore delle cosce. La fila inferiore si confonde in parte con il colore del corpo. Alcune setole sono disposte intorno alla bocca, sopra gli occhi e si dirigono all'indietro. L'orecchio è breve e poco peloso, le piante e le punte dei piedi sono nude. I maschi adulti hanno oltre 60 centimetri di lunghezza e sono alti oltre 30 centimetri. L'aspetto del Paca ricorda quello di un maialetto: la testa è larga, il muso ottuso, il labbro superiore fesso, le narici allungate, le orecchie brevi e tondeggianti, il collo corto, il dorso massiccio, le gambe robustamente conformate e le dita munite di unghie. La coda si accenna solo come una sporgenza pelosa. Il Paca è diffuso per la maggior parte dell'America meridionale: si estende da Surinam, attraverso il Brasile sino al Paraguay; si trova anche nelle Antille meridionali. Quanto più solitaria e selvaggia è la regione, tanto più frequente lo si trova: nelle regioni popolate è diventato invece raro. Abita il margine dei boschi, dove si scava nel suolo una tana profonda circa un metro e mezzo, passandovi l'intera giornata dormendo. Verso sera se ne va in cerca di cibo, visitando volentieri le piantagioni di canna da zucchero e di cocomeri, nelle quali arreca considerevoli danni. Vive in coppia o solitario. La femmina partorisce durante l'estate un unico figlio, che tiene, a quanto assicurano i selvaggi, nascosto nella sua tana durante l'allattamento, conducendolo poi con sé per parecchi mesi in giro.

Allo stato di schiavitù il Paca, anche se giovane, si mostra molto ritroso e diffidente, e tenta di mordere quando qualcuno gli si accosta. Di giorno se ne sta nascosto, di notte va in giro, cerca di raspare sul suolo, grugnisce e tocca appena il cibo offertogli. Dopo pochi mesi perde a poco a poco la selvatichezza e comincia ad avvezzarsi alla prigionia. Più tardi diviene ancora più mansueto: si lascia toccare, accarezzare e si avvicina al padrone ed alle persone estranee. Ciò nonostante non dimostra mai affetto per nessuno; e siccome spesso i bambini lo tormentano, esso modifica a poco a poco le sue consuetudini, sebbene raramente tenti di fare del male. Lo si alimenta con tutto quello che si mangia in casa, fatta eccezione per la carne; abbocca i cibi con i denti incisivi e lambisce i liquidi. E' amantissimo della pulizia, depone le orine e le feci ad una certa distanza dal suo giaciglio, che si è preparato in un cantuccio con cenci, paglia e frammenti di cuoio. La sua andatura è un passo o una corsa veloce a sbalzi. La viva luce del giorno sembra abbagliarlo, tuttavia i suoi occhi non luccicano nell'oscurità.

La pelle del Paca è troppo sottile e il suo pelame troppo ruvido perché si possa trarre qualche beneficio dalla sua pelliccia. Nei mesi di febbraio e di marzo è assai grasso, e allora la sua carne è molto saporita e stimata. Nel Brasile, unitamente all'aguti e a diverse specie di armadilli, esso forma la cacciagione ordinaria delle selve.

Allo stato di schiavitù, ma si presume anche in quello libero, il Paca è riconosciuto come un animale pigro e senza attrattive. Di giorno sbuca fuori raramente, e fa capolino soltanto verso il tramonto. Vive in pace o, meglio, con indifferenza con l'aguti e con una marmotta, non si mostra tollerante, ma non aggredisce mai i compagni. Siccome è molto facile da accontentare, non richiede né cibo delicato, né un'elegante dimora.

 

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LEPRI

Seguendo l'esempio del maggior numero dei naturalisti, collochiamo la lepre alla fine del nostro ordine. Chi non conosce gli animali dai lunghi mustacchi, dalle lunghe orecchie, la cui timidezza è proverbiale sin dall'antichità, la cui saporita carne faceva già al tempo dei Romani andare in sollucchero il buongustaio? Con ragione si può dire che nell'ordine dei rosicanti, dopo i topi, non vi sia animale più popolare della lepre, rappresentante tra noi di una famiglia non molto numerosa. Ognuno l'ha avuta sott'occhio, ognuno la conosce, almeno esteriormente: eppure la lepre è meno nota di altri animali che molti uomini non hanno mai veduto, e solo lo studioso ne conosce a fondo l'indole e la vita.

Le Lepri formano una famiglia assai distinta: sono gli unici rosicanti che abbiano più di due denti anteriori, poiché dietro i lunghi e larghi incisivi sono due veri incisivi, piccoli, ottusi, quasi quadrati. Ciò dà alla dentatura delle lepri un carattere del tutto particolare, che non si riscontra in nessun altro animale. Ogni mandibola conta da 5 o 6 molari composti e appiattiti. Lo scheletro è notevole per diverse particolarità; crediamo bene tuttavia lasciare da parte ogni altro ragguaglio anatomico e aggiungere soltanto che le vertebre dorsali sono 12, le lombari 9 le sacrali da 2 a 4 e da 12 a 20 le caudali. I caratteri generali della lepre sono: corpo allungato con lunghe gambe posteriori, cranio allungato con grandi occhi, grandi orecchie, piedi posteriori con 4 dita e anteriori con 5, labbro fesso, mobilissimo, aperto profondamente, con grandi mustacchi da ambo i lati e pelame fitto, quasi lanoso.

Questa famiglia, che comprende poche specie, è diffusa per gran parte della terra. Tutte le parti del mondo, ad eccezione della Nuova Zelanda e delle sue Isole, albergano Lepri: si trovano in ogni clima, in pianura e in montagna, nei campi scoperti o tra i crepacci delle rupi, sopra e sottoterra, insomma dovunque, e dove cessa una specie ecco subito un'altra a surrogarla; la località che non garba a questa, trova in quella un abitante soddisfatto. Tutte si nutrono delle parti tenere e succose dei vegetali; ma si può dire che non risparmiano nulla di quanto può loro piacere: divorano le piante dalla radice sino al frutto, e preferiscono soprattutto le foglie delle erbe basse. La maggior parte vive in società sino ad un certo punto e rimane fedelissima al luogo scelto o trovato: qui stanno nascoste di giorno in una spelonca o tana, mentre di notte girano intorno per cercare cibo. Ciò non pertanto non si può dire che siano veri animali notturni: per dirla con esattezza, riposano soltanto nelle ore meridiane, e se si credono al sicuro corrono mattina e sera anche sotto i cocenti raggi del sole. I loro movimenti sono del tutto particolari: la nota velocità delle Lepri si manifesta unicamente nella corsa mentre nell'incedere lento esse si muovono in un modo sommamente goffo e impacciato, a causa delle lunghe gambe posteriori che rendono difficile un'andatura uniforme. Tuttavia dobbiamo riconoscere che sanno con grande maestria effettuare in mezzo alla più sbrigativa corsa le svolte più inaspettate, manifestando una straordinaria sveltezza. Tutte le specie sono decisamente terragnole e completamente inette all'arrampicarsi. Evitano anche l'acqua, sebbene in casi di estremo bisogno guadino i ruscelli. Il primo dei loro sensi è certamente l'udito, il quale giunge ad uno sviluppo che pochi altri animali presentano, ma certamente nessun altro rosicante. L'olfatto è debole, se non cattivo, e la vista è addirittura infelice. Le facoltà intellettuali sono di natura assai contraddittoria: in generale le Lepri non corrispondono al concetto che l'uomo si è fatto di esse. Si sogliono dire bonarie, pacifiche, innocue e codarde; ma sanno provare molto bene che possono essere anche l'opposto. Gli osservatori attenti non vogliono sentir parlare di quella certa bonarietà, e proclamano ad alta voce che le Lepri sono cattive e inquietissime. Tutti conoscono la loro timidezza, la loro prudenza e la loro selvatichezza: ma pochi conoscono la loro sveltezza, la quale va crescendo con gli anni sino ad un grado veramente meraviglioso. La loro codardia non è poi così grande come generalmente si crede: si fa loro veramente torto, mettendo in evidenza questo carattere, con cui il nostro vecchio Linneo stigmatizzò per sempre l'amico dalle lunghe orecchie.

La voce della lepre è un cupo brontolio, e nell'angoscia un grido alto e lamentevole. La lepre fischiante, che appartiene alla famiglia, giustifica il suo nome. La voce, che del resto si ode raramente, è sostenuta da un particolare scalpitio delle zampe posteriori, che serve tanto ad esprimere la collera quanto il timore, oppure come segnale di avviso.

 

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Se la prolificità delle Lepri non è così grande come negli altri rosicanti, tuttavia è sempre considerevole, e il vecchio proverbio dei cacciatori che la lepre in primavera se ne va sola in campagna per ritornare in 16 nell'autunno è di una perfetta esattezza nei luoghi dove la vita sorride al nostro animale, e dove la persecuzione non è così accanita. Per lo più partorisce varie volte durante l'anno, e ha da 3 a 6 e perfino 11 piccini. Quasi tutte le madri trattano la prole in un modo alquanto sgarbato, ragione per cui molti piccini muoiono. Inoltre un intero esercito di nemici sta sulle piste della saporita selvaggina, nemici vari, secondo le località, ma sempre numerosi.

Pertanto non deve costituire meraviglia se con un numero tanto sterminato di nemici le Lepri non si moltiplichino, come altrimenti avverrebbe: fortuna per noi che la cosa sia così! Altrimenti le Lepri divorerebbero i frutti dei nostri campi in tutte le regioni dove hanno il sopravvento e diverrebbero un vero flagello. Tra noi, l'utilità che recano alle mense e all'industria compensa ampiamente il danno.

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SCOIATTOLI - PTEROMIDI O SCOIATTOLI VOLANTI - TAGUAN (Petaurista petaurista) - SCIUROTTERO COMUNE O LIUTAGA DEI RUSSI (Sciuropterus russicus) - ASSAPAN (Glaucomys sabrinus) - SCOIATTOLO COMUNE (Sciurus vulgaris) - SCOIATTOLO NERO (Sciurus niger) - SCOIATTOLO MAGGIORE (Ratufa macrura) - SCOIATTOLO MINORE (Nannosciurus exilis) - BURUNDUK (Eutamias asiaticus) - TAMIA AMERICANA (Tamias striatus) - SCHILU DEGLI ABISSINI (Xerus rutilus) - SABERA DEGLI ARABI (Xerus leucorumbrinus) - MARMOTTE - SPERMOFILO COMUNE (Citellus citellus) - SPERMOFILO LEOPARDINO (Citellus hoodii) - CINOMIDE O CANE DELLE PRATERIE (Cynomys ludovicianus) - BOBAC (Marmota bobac) - MARMOTTA (Marmota marmota)

 

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GEORICHI - GEOMIDE DEL CANADA O GOFFER (Geomys bursarius) - BATIERGO (Bathyergus maritimus) - SPALACE (Spalax hungaricus) - GHIRI - GHIRO COMUNE (Glis glis) - NITELA O TOPO QUERCINO (Heliomys quercinus) - MOSCARDINO (Muscardinus avellanarius) - TOPI - MERIONE OBESO (Psammomys obesus) - RATTO COMUNE (Rattus rattus) - RATTO GRIGIO O TOPO DECUMANO (Rattus norvegicus)

 

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TOPO, TOPOLINO DI CASA (Mus musculus) - TOPO SELVATICO (Apodemus sylvaticus) - TOPO DEI CAMPI O TOPO CAMPAGNOLO (Apodemus agrarius) - TOPOLINO DI RISAIA (Micromys minutus) - TOPO DI BARBERIA (Arvicanthis barbarus) - CRICETO O HAMSTER (Cricetus cricetus) - IDROMIDE (Hydromys chrysogaster) - ARVICOLE - ONDATRA (Ondatra zibethica) - RATTO D'ACQUA - CAMPAGNOLO DELLA NEVE (Microtus nivalis) - ARVICOLA GLAREOLO (Clethrionomys glareolus) - ARVICOLA AGRESTE (Microtus agrestis) - ARVICOLA CAMPAGNOLO (Microtus arvalis) - ARVICOLA SOTTERRANEO (Pitymys subterraneus - LEMMING DI NORVEGIA (Lemmus lemmus)

 

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CASTORI - CASTORO (Castor fiber) - DIPODI - TOPO DEL LABRADOR (Neozapus labradorius) - TOPO DELLE PIRAMIDI (Jaculus jaculus) - SCIRTETE CAVALLINO (Allactaga saliens) - PEDETE LEPORINO (Pedetes caffer) - CINCILLIDI - CINCILLA (Chinchilla chinchilla) - CINCILLA LANIGERO (Chinchilla lanigera)

 

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LAGOTIDE (Lagidium cuvieri) - VISCACCIA (Lagostomus maximus) - PSAMMORITTI - DEGU (Octodon degus) - TUCUTUCO (Cbnomys magellanicus) - CERCOMIDE (Cercomys cunicularius) - MESOMIDE SPINOSO (Mesomys ferrugineus) - CAPROMIDE COMUNE O HUTIA-CONGO (Capromys pilorides) - COYPU (Myocastor coypu) - AULACODO (Thryonomys swinderanus) - ISTRICI - SFIGGURO DEL MESSICO (Coendou mexicanus) - CHETOMIDE SUBSPINOSO (Chaetomys subspinosus) - CUANDU (COENDOU PREHENSILIS) - URSONE (Erethizon dorsatus) - ATERURA D'AFRICA (Atherurus africanus)

 

LEPRE (Lepus europaeus) - LEPRE ALPINA (Lepus timidus) - ERNEB DEGLI EGIZIANI (Lepus aethiopicus) - CONIGLIO (Oryctolagus cuniculus) - LAGOMIDE ALPINO (Ochotona alpina) - OCOTONA (Ochotona ochotona) - LAGOMIDE MINORE (Ochotona pusilla)

 

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