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Animali Mammiferi Rosicanti |
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Animali Mammiferi Rosicanti... trapaninfo.it TweetVITA DEGLI ANIMALI - MAMMIFERI - ROSICANTILAGOTIDE (Lagidium cuvieri) VISCACCIA (Lagostomus maximus) PSAMMORITTI DEGU (Octodon degus) TUCUTUCO (Cbnomys magellanicus) CERCOMIDE (Cercomys cunicularius) MESOMIDE SPINOSO (Mesomys ferrugineus) CAPROMIDE COMUNE O HUTIA-CONGO (Capromys pilorides) COYPU (Myocastor coypu) AULACODO (Thryonomys swinderanus) ISTRICI SFIGGURO DEL MESSICO (Coendou mexicanus) CHETOMIDE SUBSPINOSO (Chaetomys subspinosus) CUANDU (COENDOU PREHENSILIS) URSONE (Erethizon dorsatus) ATERURA D'AFRICA (Atherurus africanus)
INTRODUZIONEI Rosicanti sono un complesso di animali che fa parte degli unguiculati. Il loro nome perfettamente si attaglia alla loro abitudine di rosicare. L'ordine è caratterizzato da due grandi denti roditori in ogni mandibola, che rappresentano non solo gli incisivi, ma anche i canini e i falsi molari. Tali denti roditori sono molto sporgenti e ben visibili. Per quanto riguarda la forma esterna del corpo questo presenta numerosissime variazioni: ora è snello e lungo, ora corto e compresso, coperto di peli morbidi o rivestiti di pungenti aculei. La coda è in alcuni lunghissima, in altri appena accennata, un vero moncone; le orecchie variano per lunghezza e dimensione. Le estremità sono in alcuni attrezzate per saltare, in altri per correre. Vi sono, però, alcuni caratteri comuni a tutte le famiglie e le specie: il corpo è, nella maggior parte dei rosicanti, cilindrico e posa su zampe corte, di eguale lunghezza; la testa è attaccata a un collo corto e grosso; gli occhi piuttosto sporgenti e grandi; le labbra carnose, ornate di lunghi mustacchi sono fesse sul davanti; i piedi anteriori sono muniti di quattro dita, quelli posteriori di cinque. Le dita sono in alcuni collegate fra loro da una membrana natatoria e sono fornite di forti unghie. Il pelame si presenta dovunque della stessa lunghezza e tutt'al più si allunga in un ciuffetto all'estremità delle orecchie, o si infoltisce alla coda.
Le differenze somatiche di questo ordine di animali sono comunque grandissime e si può dire che l'unico carattere che veramente li accomuni sono i grandi denti roditori. Questi denti sono notevolmente più grossi di tutti gli altri, curvati ad arco, quelli superiori sono sempre molto più torti di quelli inferiori, taglienti come uno scalpello, triangolari o quadrangolari alla radice; in alcuni piani, in altri convessi, lisci o scanalati e di colore bianco o giallognolo o rossiccio; la superficie esterna è rivestita di uno smalto duro come il ferro. I denti dei roditori hanno infine un altro grande vantaggio rispetto ai denti di tutti gli altri mammiferi, ed è il fatto che possono crescere illimitatamente. La loro radice è in un alveolo scavato profondamente nella mandibola, che contiene nella sua estremità posteriore, in una insenatura imbutiforme, un germe sempre attivo che serve a riprodurre senza interruzione il dente, via via che si logora. L'affilatura del dente si conserva col continuo sfregamento dei denti l'uno contro l'altro; le due mascelle possono agire solo perpendicolarmente dall'avanti all'indietro. Si può facilmente rendersi conto della verità della nostra affermazione sull'illimitata e continua crescita dei denti in questi animali, rompendo a un coniglio uno dei suoi denti roditori. Si vedrà allora il dente opposto crescere tanto più rapidamente perché l'animale non lo può più logorare con quello superiore, poi lo si vedrà sporgere fuori dalla bocca a forma di arco e infine incurvarsi come un corno, disturbando e spesso rendendo impossibile il lavoro degli altri denti e quindi la nutrizione dell'animale. Le labbra dei Rosicanti sono ornate da lunghi mustacchi. In alcune specie, all'interno delle guance, si trovano delle borse che si estendono fino alla zona delle spalle e che servono all'apertura di queste borse quando devono essere riempite; per lo svuotamento, invece, provvede l'animale con la pressione delle zampe anteriori sulla superficie esterna delle guance. Molto sviluppate appaiono le ghiandole salivari. Lo stomaco è formato da due scompartimenti comunicanti fra loro per mezzo di un canale stretto. La lunghezza degli intestini è pari a sette volte quella del corpo. Le ovaie della femmina sboccano in un utero a forma di intestino, che prosegue con una lunga vagina. Le facoltà intellettive di questi animali sono poco sviluppate. Essi comparvero sulla terra all'inizio dell'epoca terziaria, ma all'epoca diluviale erano già numerosissimi. In merito alla loro diffusione sulle varie zone della terra, ritengo sia bene riferire integralmente quanto ebbe a scrivere il Blasius: «In mezzo alla neve e ai ghiacci eterni, in tutti i luoghi ove ancora un caldo raggio di sole dà per poche settimane una vita breve e stentata alla vegetazione, nelle tranquille e solitarie alture nevose delle Alpi, nelle vaste e deserte steppe del Nord, si trovano rosicanti. Ma quanto più ricca ed ubertosa è la vegetazione, tanto più vivace e moltiplicata è la vita di quest'ordine di animali, che non lasciano inabitato un solo cantuccio della terra».
Anche il modo di vita di quest'ordine di animali è estremamente variato. Vi sono alcune specie assolutamente arboricole ed altre terrestri; alcune vivono nell'acqua, altre in gallerie sotterranee che scavano esse stesse; altre ancora nelle boscaglie o in campi aperti. Sono tutti animali vivaci che, a seconda del luogo in cui vivono, sanno meglio arrampicarsi o correre, saltare, scavare o nuotare. Hanno i sensi molto acuti, sono allegri e vivaci, ma sono anche paurosi; non sono tuttavia mai astuti né cauti. Soltanto alcuni di essi, delle vere eccezioni, manifestano cattiveria, ostinatezza e ferocia, come ad esempio, i topi. Alcuni vivono in coppie, altri in famiglie, altri ancora in schiere e gruppi; vivono d'accordo anche con altri animali, ma non si affezionano ad essi. Spaventati o nel pericolo, con la maggiore velocità possibile, si nascondono nella loro tana. I Rosicanti si cibano fondamentalmente di sostanze vegetali: radici, scorze d'albero, foglie, frutta di ogni tipo, erbe, tuberi, farinacei e persino fibre legnose. Alcuni si cibano anche di sostanze animali e sono dei veri e propri carnivori. Le specie più deboli usano radunare nelle proprie tane numerose provviste che consumano poi nei mesi d'inverno. Fra i mammiferi, i Rosicanti rappresentano gli architetti e alcuni di essi erigono dimore veramente artistiche, che da secoli formano oggetto di grande ammirazione per gli uomini. Molti passano l'inverno in un sonno letargico durante il quale consumano per le calorie necessarie alla vita, il grasso abbondantemente ammassato sotto la loro pelle durante l'estate. L'importanza della vita della natura di questo ordine di animali è grandissima. Se non fossero soggetti a morte di varia natura, l'intero globo sarebbe da essi conquistato e saccheggiato. Comunque, essi fronteggiano con la straordinaria prolificità, di cui sono dotati, la guerra di sterminio che uomini e animali conducono contro di loro. Una sola coppia di rosicanti può, in un anno, generare migliaia di piccoli, che in poco tempo sono in grado di coadiuvare i genitori nella terribile azione di distruzione e di rapina. L'uomo, perciò, nella lotta che conduce a questi animali, agisce in stato di legittima difesa. Solo pochissime specie sanno affezionarsi all'uomo e pochissime quindi meritano di venire addomesticate. Di alcuni rosicanti si adoperano la carne e la pelle. Delle numerose famiglie, in cui alcuni naturalisti suddividono l'ordine dei Rosicanti, elenco qui di seguito le principali.
LAGOTIDE (Lagidium cuvieri)I Lagotidi fanno parte del secondo genere e si distinguono dai precedenti per la maggiore lunghezza delle orecchie e della coda, per la foltezza del pelo su tutto il corpo, per i piedi muniti di 4 dita e per i lunghissimi mustacchi. Per le abitudini di vita e per la dentatura, invece, i due generi si somigliano perfettamente. Questi animali vivono sugli altipiani delle Cordigliere fino al limite delle nevi perpetue ad altezze di 4.000 o 5.000 metri fra le nude rocce. Sono allegri e vivaci e si nutrono di vegetali. La mole del Lagotide è pari a quella del nostro coniglio; ma le sue zampe posteriori sono molto più sviluppate e la coda è più lunga e più folta. Le orecchie misurano 8 centimetri di lunghezza, sono ripiegate al margine esterno e sono arrotondate all'apice; sono poco pelose al di fuori e quasi completamente nude nella parte interna, ma il margine presenta un folto ciuffetto. Il pelame è lungo e morbidissimo. I peli sono bianchi alla radice, bianco-sudici all'apice e misti di bruno-gialliccio. In complesso il pelame presenta un colore bigio-cinerino, più chiaro sui fianchi e tendente al gialliccio. La coda è coperta da peli corti sotto e ai lati, lunghi e arruffati di sopra. I mustacchi sono neri e lunghi fino alle spalle.
VISCACCIA (Lagostomus maximus)Questo animale somiglia più ai cincilla che non alle specie del genere precedente. Il corpo assai breve ha dorso fortemente arcuato, le zampe anteriori hanno quattro dita e sono brevi, le robuste zampe posteriori sono del doppio più lunghe ed hanno 3 dita. Il collo è breve, la testa grossa, tondeggiante, piatta di sopra, compressa sui lati; il muso è breve ed ottuso. Sulle labbra e sulle guance si presentano mustacchi di una particolare rigidezza, somiglianti più a fili d'acciaio che a materie cornee ed aventi una grande elasticità al punto da risuonare se vengono sfregati. Il capo si distingue per le orecchie strette, ottuse verso la punta, membranose, quasi nude; gli occhi di media grandezza, molto divergenti; il naso ricoperto di peli ed il labbro superiore profondamente fesso. Le piante dei piedi posteriori sono pelose davanti, nude e callose nella loro metà posteriore; al contrario sono del tutto nude le piante dei piedi anteriori, le quali sono armate di unghie brevi, rivestite di morbidissimi peli, mentre i piedi posteriori hanno unghie più lunghe e più forti. La dentatura e la struttura interna del corpo non offrono particolarità di sorta. Il corpo è rivestito d'un fitto pelame, di cui la parte superiore consiste di peli regolarmente spartiti di nero e di bigio, per cui il dorso sembra piuttosto scuro. La lunghezza del corpo è di 52 centimetri, di 18 quella della coda, e 13 centimetri è l'altezza al garrese.La patria della Viscaccia sono le Pampas o steppe erbose da Buenos Aires sino alla Patagonia. Ricerca con preferenza le località solitarie e deserte, ma viene fin presso i luoghi abitati, mentre i viaggiatori spesso le vedono numerose, e in fila ai lati delle strade che percorrono le grandi distese. La dimora preferita della Viscaccia si trova negli estesi tratti nudi o scarsamente coperti di vegetazione e nelle aride pianure. Qui l'animale scava le sue tane sotterranee, per lo più presso un cespuglio, o meglio a breve distanza dai campi. Le tane sono scavate in comune, ed in comune abitate. La Viscaccia, amante della pulizia, non tollera mai un compagno di casa che non sia accurato al pari di essa, e si allontana immediatamente se un intruso la molesta col suo sudiciume. Così capita che il suolo è talvolta tutto smosso sopra una superficie di un miglio quadrato; e tale è il caso nella provincia di Santa Fe nella Repubblica Argentina. Di giorno tutta la famiglia se ne sta rintanata; verso il tramonto fa capolino questo o quell'individuo, e sul fare della notte una numerosa società si è già radunata davanti alle buche. Si investiga con somma cura se tutto è al sicuro, e si esplora a lungo intorno alla tana prima di decidersi a mangiare. Le erbe, le radici, la corteccia delle piante formano la parte principale dell'alimentazione; ma se si trovano campi poco discosti, questi animali li visitano con assiduità, cagionandovi vere devastazioni. Anche mangiando sono sempre cautissimi, né vi è mai il pericolo che dimentichino per un istante la propria sicurezza. Ora l'uno ora l'altro si drizzano sulle zampe posteriori e sbirciano ed origliano accuratamente. Al più lieve fruscìo tutta la brigata prende la fuga, precipitandosi nelle buche con una fretta da non dirsi e con alte grida, e lo spavento è tale che per un pezzo seguitano a strillare ed a squittire anche quando hanno raggiunto la mèta. Nei loro movimenti le viscacce hanno molta somiglianza coi conigli; tuttavia sono assai inferiori quanto a velocità. Sono vivaci, allegre, e più del coniglio disposte a scherzare. Mentre pascolano si fanno continui tiri tra loro, corrono in fretta attorno, balzano grugnendo l'una contro l'altra, si fiutano il muso, ecc. Una loro caratteristica è assai singolare: come la volpe dell'America meridionale e lo sciacallo, esse portano via tutte le cose che rinvengono nelle loro gite per la prateria, le recano presso la buca e le ammucchiano senz'ordine all'interno, probabilmente come giocattoli. Colà si trovano ammucchiati persino ossa, fuscelli, sterco di bovini ed oggetti smarriti a caso, che per loro non possono essere minimamente utili. La loro voce è forte e sgradevole: consiste in un particolare grugnito che non si può descrivere. La femmina partorisce due o quattro piccini, i quali sono perfettamente sviluppati in capo a due o quattro mesi. La madre li ama moltissimo e li difende in caso di pericolo. All'avvicinarsi di un cacciatore, essa si drizza sulle zampe posteriori, balza a più di 30 centimetri dal suolo e si precipita sbuffando e grugnendo sul suo avversario e con tanta violenza ch'egli ha un gran da fare per liberarsi col calcio del fucile dal furibondo animale. Soltanto quando vede che tutto è inutile, e che non può salvare il figlio, essa si ritira verso una tana vicina, ma di lì guarda sempre, con visibile angoscia e profondo furore, l'uccisore del figlio.
Se i piccini vengono presi e portati via, si addomesticano facilmente e possono, al pari del nostro coniglio, essere mantenuti senza difficoltà. Tuttavia l'animale, specie quando diviene adulto, si mostra sempre inquieto, morde e graffia, confermando col suo contegno tutte le qualità che si sono osservate negli individui selvatici. Si può alimentare con pane, carote ed altri legumi. Si dà la caccia alla Viscaccia, non tanto per la carne e per la pelle ma per i danni che arreca con le sue sotterranee escavazioni. Nei luoghi dove abbonda è pericolosissimo il cavalcare, perché spesso il cavallo sfonda il sottile strato che ricopre la galleria e ne è per lo più molto scosso, seppure non cada rompendosi una gamba e buttando giù il cavaliere. Per scacciarla dai luoghi abitati si mette in uso ogni mezzo, applicando persino il fuoco e l'acqua per la sua distruzione. Gli indiani delle steppe credono che la Viscaccia, chiusa nella sua tana, non sia capace di liberarsi e che debba morire se non la dissotterrano le compagne; per questo essi turano i principali sbocchi delle gallerie e legano, a quelli aperti, uno dei loro cani come sentinella affinché serva a tenere in dietro le caritatevoli viscacce sino a tanto che non tornino essi stessi con i lacci, con le reti e coi furetti. La spiegazione di questa strana opinione è facile: le viscacce rinchiuse si guardano bene dal venir fuori appena s'accorgono della presenza del cane; per cui il migliore mezzo rimane quello di ucciderle col fucile quando sono allo scoperto e di inondare le loro gallerie quando, spaventate, si ritirano nelle tane.
PSAMMORITTIUna famiglia veramente non molto numerosa, ma ben distinta, somigliante ai topi, che abita l'Africa e l'America del Sud, sono gli Psammoritti o, come altri li chiamano, muriformi (Muriformes). La somiglianza di questi animali con i topi è soltanto esterna e decisamente senza importanza per la varietà dei topi stessi, mentre la struttura interna distingue meglio le due famiglie. La forma e i colori degli Psammoritti ricordano in qualche modo i topi. Le orecchie sono brevi, larghe, scarsamente pelose; i piedi anteriori hanno quattro dita, i posteriori ne hanno cinque; la coda è lunga e squamosa come nei veri topi, ma qui finisce la somiglianza con i topi stessi. Il morbido e fine pelame appare in alcuni psammoritti ruvido, setoloso, persino sparso di aculei, cerchiati longitudinalmente. La coda non solo è pelosa, ma a ciuffetti. La dentatura conta quattro molari in ciascuna serie la cui superficie ha sul margine tre o quattro ripiegature di smalto. Nella parte superiore dell'osso zigomatico si trova un ampio foro attraverso il quale passa una porzione del muscolo massetere, che anteriormente si inserisce sul lato del muscolo; l'altra porzione si inserisce nel modo consueto. La colonna vertebrale ha, oltre al solito numero delle vertebre del collo, 11 dorsali, tre o quattro sacrali e da 24 a 44 vertebre caudali. Il numero delle vertebre lombari varia notevolmente. Gli Psammoritti vivono nei boschi o in pianure scoperte; gli uni nelle siepi e le boscaglie, gli altri nelle piantagioni, tra le rocce, sulle sponde dei fiumi e dei torrenti e persino sulla spiaggia del mare. Abitualmente vivono in società, in tane scavate da essi e munite di numerosi sbocchi; alcuni sono bravi scavatori che, come le talpe, rigettano cumuletti di terra, e quasi di continuo stanno sotto il suolo; altri abitano le boscaglie e si accampano con somma destrezza sugli alberi. Il tempo della loro opera è la notte; pochi sono anche operosi di giorno. Nel complesso sono tozzi e impacciati; tuttavia si deve notare in alcuni la grande velocità con la quale si muovono sugli alberi. Alcune specie sono acquatiche e sanno nuotare e tuffarsi proprio bene. La maggior parte dei rosicanti si ciba di vegetali. Alcuni mangiano anche piccoli animali, come lucertole, chiocciole e altri molluschi. Da quanto si è saputo finora non cadono in un vero letargo invernale.Tra i loro sensi primeggiano l'udito e l'olfatto; la vista è sviluppata solo in pochi, ed è, come ben si intende, molto rudimentale nelle specie che vivono sotto terra. Le loro facoltà intellettuali sono infime, e le specie più grosse e più perfette danno solo qualche indizio di intelligenza. Però, la loro affinità con i topi si svela nella scaltrezza, nel loro coraggio, sebbene la maggior parte sia timida e paurosa, codarda e pronta a fuggire. Sopportano la prigionia con abbastanza facilità e molto bene vi si adattano. Sono curiosi irrequieti, imparano a conoscere chi ha cura di loro e divertono con la loro indole gentile. La loro moltiplicazione è piuttosto considerevole: il numero dei piccoli varia tra due e sette, ma partoriscono, come, gli altri rosicanti, parecchie volte durante l'anno, costituendo eserciti assai nocivi alle piantagioni e ai campi. Il poco utile che si ricava dalla loro carne e dalla loro pelle non regge il confronto con le loro devastazioni.
DEGU (Octodon degus)E' un animale che segna per così dire il passaggio tra gli scoiattoli e i topi, e somiglia a quelli forse più ancora che non a questi. L'animale rammenta il nostro moscardino, almeno per il colore. Di sopra è bigio-bruniccio, regolarmente macchiato; sotto bruno-bigio, più scuro sul petto e sulla nuca, più ancora sulla radice della coda, quasi bianca. Le orecchie sono al di fuori bigio-scure, bianche all'interno; i mustacchi in parte bianchi e in parte neri, la coda nera al di fuori e al vertice, bigio-chiara di sotto sino al primo terzo della sua lunghezza.La lunghezza totale del Degu è di 28 centimetri, di cui 8 circa appartengono alla coda. Al garrese l'animale ha 8 centimetri circa. Vive nelle siepi e nelle boscaglie: persino nell'immediate vicinanze di città popolose corre senza paura sulla via maestra e penetra sfacciatamente nei giardini e nei verzieri, dove fa danni tanto con il rosicare quando con la velocità. Raramente si allontana dal suolo per arrampicarsi sui rami inferiori dei cespugli: aspetta con provocante audacia l'avvicinarsi dei suoi nemici, e allora si precipita con una confusione estrema, portando la coda ritratta negli imbocchi della sua ramificata tana, per fare capolino di nuovo poco dopo da un altro luogo. Nei suoi costumi questo animale somiglia più allo scoiattolo che non al topo. Malgrado la mitezza del clima dove esso vive, nella zona centrale del Cile, raduna vettovaglie, ma non cade in letargo. Il tempo dell'accoppiamento, la durata della gestazione e il numero dei piccoli sembrano, malgrado l'abbondanza di questi animali, non essere ancora bene conosciuti. Si può unicamente concludere che il Degu è suscettibile di una grande moltiplicazione. Sopporta facilmente la schiavitù; presto si addomestica e torna gradevole al padrone per la sua gentilezza e la sua pulizia. Del resto non offre la minima utilità: non si fa uso né della sua carne né della sua pelle.
TUCUTUCO (Cbnomys magellanicus)Questo animale, appartenente al secondo genere della nostra famiglia, si diffonde dal Brasile meridionale sino allo Stretto di Magellano, ed è diffusissimo nella Patagonia. Il viaggiatore che per la prima volta visiti quelle terre, ode suoni particolari, diversi l'uno dall'altro: sorta di grugniti che risuonano ad intervalli regolari, e corrispondenti quasi alle sillabe tu-cu-tu-co. Altri suoni provengono dall'animale, cui servono da appellativo. Il Tucutuco raggiunge la mole di un criceto semi-adulto: il corpo misura 20 centimetri, la coda 6 e l'altezza al garrese è di 10 centimetri. Il colore della parte superiore è bigio-bruniccio con sfumature giallicce e diverse screziature nere. I singoli peli sono color piombo alla radice, mentre all'apice per la maggior parte sono bigio-cinerini tendenti al bruniccio. Alcune rare setole terminano con punte nere; sulla parte inferiore tali setole mancano, e perciò il colore appare molto più chiaro. Il mento e la gola sono giallo-fulvi pallidi, bianchi i piedi e la coda. Questa è cerchiata e squamosa, e scarsamente munita di sottile peluria.Dobbiamo l'importante scoperta alla prima descrizione del Tucutuco di Darwin, che rese così grandi servigi alla storia naturale della parte meridionale d'America. La descrizione dei costumi di questo animale non è stata ancora compiuta. Il Tucutuco fu scoperto all'entrata orientale della Città di Magellano, e trovato di là verso il Nord e l'Ovest nella maggior parte della Patagonia. Le sterili pianure estese, aride, arenose, gli dànno dimora. Qui smuove, come la talpa, vaste superfici, per lo più di notte; di giorno sembra riposarsi, sebbene si oda anche spesso la sua voce. Il suo incedere sul suolo piano è molto tozzo e disadatto, incapace di balzare al di sopra del più piccolo ostacolo; è così maldestro che lo si può facilmente prendere per la coda. Tra i suoi sensi primeggiano l'olfatto e l'udito, la vista è poco buona e alcuni tipi sono addirittura ciechi. Si ciba esclusivamente delle radici dei cespugli che crescono in quelle terre, e ogni tanto ne ammucchia anche, sebbene non sia soggetto al letargo invernale. Per mangiare, il Tucutuco prende il cibo tra le zampe anteriori, come i topi, e lo porta alla bocca. Gli indigeni della Patagonia che nella loro misera patria non hanno molta scelta mangiano la carne di questo animale e perciò gli danno una spietata caccia. In alcune località i viaggiatori si lamentano degli scavi sotterranei, perché i cavalli lanciati al trotto sfondano i sottili strati che ricoprono le gallerie dei tucutuco. Quanto alla loro indole non abbiamo molte notizie.
CERCOMIDE (Cercomys cunicularius)E' un animale molto simile al nostro surmulotto, con naso assai arcuato, grandi orecchie, grandi occhi, grosse labbra, lunghi mustacchi, unghie affilate e pelame fitto, morbido, giallo-bruno al di sopra, bruniccio al di sotto, con piccola coda di topo e dentatura molto varia, di lunghezza di corpo di 15 centimetri, con la coda di 18 centimetri, della vita del quale non si ha la minima notizia. Vive in Brasile, dove è frequente nella provincia di Minas.
MESOMIDE SPINOSO (Mesomys ferrugineus)Appartenente al quarto genere della famiglia dei psammoritti, ha la forma di un topo, con testa grossa, muso ottuso e labbro inferiore spaccato. Gli occhi sono piccoli e le orecchie uniformi e diritte. Il collo è corto, il tronco grosso, le zampe sono corte e i piedi piccoli. Cinque dita hanno i piedi posteriori e quattro quelli anteriori, i quali presentano, inoltre, un rudimento di pollice; sono muniti di piccole unghie alquanto ricurve. La coda è ottusa alla punta e pelosa in tutta la sua lunghezza. Il pelame è fatto di peli morbidi, tra i quali spuntano sulla parte superiore e sulla inferiore del corpo una quantità di piccoli aculei bitaglienti diretti all'indietro. I denti sono piatti, graticolati sulla parte superiore, intaccati sulla inferiore. Gli incisivi sono piuttosto stretti e ordinariamente buoni. Ogni mascella ha quattro molari.Questo animale si ciba di radici, di erbe e di semi di frutta e di cespugli, perché dove permane non v'è altra vegetazione di cui possa nutrirsi. Raramente questo topo aculeato lascia il giaciglio di giorno; invece all'imbrunire lo si incontra spesso nei campi a più di trenta passi dalla sua abitazione. Quando trascorre la notte all'aperto, la sua voce spesso emette il suono ku-tu, e quindi qua e là viene chiamato con questo nome.
CAPROMIDE COMUNE O HUTIA-CONGO (Capromys pilorides)Mole piuttosto considerevole, corpo grosso e breve con la parte posteriore robusta, collo grosso e corto, testa lunga e larga con muso ottuso all'apice, orecchie di media grandezza, larghe, pressoché nude, e occhi assai grandi; labbro superiore aperto, robuste gambe, piedi posteriori con cinque dita, piedi anteriori con quattro (queste e quelle provviste di unghie affilate, ricurve, aguzze con un pollice rudimentale coperto di un'unghia piana), coda di media lunghezza, squamosa e scarsamente ornata di peli, sono i caratteri di questo animale e dei suoi congeneri. Il pelame è fitto, piuttosto ruvido, duro e lucido.Appena 32 anni dopo la scoperta dell'America questo animale era molto diminuito di numero a causa della caccia che gli davano gli indigeni. Ora vive esclusivamente a Cuba, sebbene anche qui venga distrutto nelle regioni abitate. L'Hutia-Congo abita i boschi più fitti e più estesi, e vive sia sopra gli alberi, sia nelle boscaglie, da cui sbuca nottetempo in cerca di alimenti. I suoi movimenti sugli alberi non si possono dire svelti, sebbene siano destri; mentre sul suolo, a causa del forte sviluppo della metà posteriore del corpo, è più pesante e ricorda quelli degli orsi. Per arrampicarsi e per mantenere l'equilibrio esso si serve della coda. Sul suolo si rizza spesso a mo' di lepre per guardarsi attorno; talvolta spicca salterelli come un coniglio e corre via, come un porcello, in un pesante galoppo. Tra i suoi sensi primeggia l'olfatto; l'ottuso apice del muso e le vaste narici, oblique, circondate da un margine rialzato e divise da un solco profondo, sono in continuo movimento, specialmente quando si trova vicino a qualche oggetto nuovo o sconosciuto. Le sue facoltà intellettuali sono minime: in generale è timido e mite, socievole e gentile con altri della sua specie, con i quali si trastulla senza mai battagliare. Se uno viene diviso dagli altri, tutti dimostrano una grande irrequietezza: si chiamano con suoni acuti e fischianti, rivedendosi si salutano con cupi grugniti. Persino mangiando si comportano bene, trastullandosi sempre allegramente; se inseguiti, si difendono con maggior coraggio di quanto si potrebbe supporre. Si cibano di frutta, foglie e cortecce. I prigionieri mostrano una speciale inclinazione per le piante aromatiche come la menta, la melassa e simili, che gli altri animali rosicanti respingono per la maggior parte. Bevono poca acqua, sebbene non possano farne del tutto a meno. In alcune località di Cuba, si dà caccia all'Hutia-Congo per la sua carne, e i negri soprattutto ne sono appassionati. Vanno a cercare la loro preda sugli alberi, e sanno con molta destrezza ghermirla tra i rami, oppure, di notte, sguinzagliano sulle orme cani che presto raggiungono e sopraffanno il povero animale, lento e impacciato. In passato gli abitanti del luogo adoperavano in questa caccia i cani indigeni e feroci, i carrasini, simili agli sciacalli, i quali si trovano ora nella sola Guiana. Un Hutia-Congo adulto misura in lunghezza circa 45 centimetri, la coda 20 centimetri, l'altezza al garrese è da 15 a 18 centimetri, il peso varia tra sei e otto Kg. Il colore del pelame è bigio-giallo-bruno, più rossiccio al garrese, bigio-bruno sudicio sul petto e sul ventre; le zampe sono nere, le orecchie scure; bigi il petto e una striscia longitudinale sul ventre. Spesso la parte superiore è molto scura; i peli alla radice sono bigio-pallidi, quindi ancora scuri, poi giallo-rossicci e di nuovo scuri. Sui fianchi, e soprattutto nella regione delle spalle, si incontrano alcuni peli bianchi isolati, che sono alquanto più duri. Negli individui giovani il bruno tende più al verdiccio e ne risulta una leggera sfumatura nera.
COYPU (Myocastor coypu)Questo animale è detto anche semplicemente Miopotamo, o castoro di palude, giacché ricorda vagamente nella forma e nell'indole il castoro comune. Tuttavia se ne distingue per la lunga e tonda coda, e per certi particolari della struttura interna, il che giustifica ampiamente il suo posto separato nella schiera dei rosicanti. Il corpo del Coypu è massiccio e il collo breve e grosso, la testa grossa, breve e larga, con il muso ottuso, e il cranio piatto. Gli occhi sono di media grandezza, tondi e sporgenti, le orecchie piccole, tondeggianti, alquanto più lunghe che larghe; il labbro superiore non è spaccato. Le gambe sono brevi e robuste, le posteriori un po' più lunghe delle anteriori; i piedi hanno tutti cinque dita, ma quelle dei posteriori sono assai più lunghe di quelle degli anteriori, e collegate da una larga membrana natatoria. Tutte le dita sono armate di lunghe unghie, molto ricurve e aguzze. L'unghia è piatta solo nel dito medio dei piedi anteriori. La lunga coda è molto grossa alla radice, e scema insensibilmente verso la punta: è tonda e molto tornita, squamata, riccamente ornata di pelo aderente, folto e ruvido. Il rimanente del pelame è folto, piuttosto lunghetto e morbido, ed è fatto di una lanugine quasi impenetrabile all'acqua, breve, morbida, e di setole più lunghe, molli, un po' lucide, che determinano il colore poiché ricoprono tutto il mantello. Nella dentatura ha incisivi lunghi e larghi che ricordano la dentatura del castoro, ma i quattro molari hanno in generale l'impianto dei generi e delle specie precedenti. Il Miopotamo giunge circa alla mole della lontra; la lunghezza del suo corpo è di oltre 45 centimetri, altrettanto quella della coda; l'altezza al garrese è di circa 30 centimetri. Tuttavia si trovano vecchi maschi che misurano 90 centimetri. Il colore generale dei peli è bigio torbido alla radice, bruno-rossiccio o giallo-bruno all'apice; le lunghe setole sono più scure; di solito il dorso è bruno-castano, e la parte inferiore è quasi bruno-nera. I fianchi sono di un rosso vivo.Gran parte dell'America meridionale temperata è la patria di questo animale, importante per la pelliccia che provvede. Si conosce il Coypu in quasi tutti i paesi situati a sud del Tropico del Capricorno. Negli Stati della Plata, a Buenos Aires e nella Patagonia, nel Cile centrale, esso è dovunque comune. La sua area di diffusione si estende dall'Atlantico sino al Pacifico, al di fuori delle alte giogaie. Manca nella Terra del Fuoco e nel Perù. Abitualmente abita in coppie le sponde dei laghi e dei fiumi, a preferenza dove l'acqua è poco fluente, e dove si trovano in grande quantità le piante acquatiche sì da formare un letto abbastanza saldo per sostenerlo. Ogni coppia si scava sulla sponda una buca profonda circa un metro e larga da 40 a 60 centimetri, dove passa la notte e talvolta anche una parte del giorno. In questa dimora la femmina partorisce più tardi da quattro a sei piccoli che seguono per tempo la madre. Il Coypu è un nuotatore eccellente, molto abile tuffatore. A terra, i suoi movimenti sono lenti, perché le gambe sono tanto brevi che il corpo quasi striscia sulla terra; per questo cammina sul suolo solo per recarsi da un'acqua all'altra. Minacciato, balza di scatto nell'acqua e vi si tuffa; se il pericolo continua si ritira infine nella sua tana, che altrimenti visita soltanto di notte, essendo un animale prettamente diurno. Le sue facoltà intellettuali sono infime. E' timido e pauroso, e rimane tale allo stato di schiavitù. Non si può dire intelligente, sebbene impari talvolta a conoscere il suo custode. Gli individui presi vecchi mordono furiosamente attorno a sé e sdegnano generalmente il cibo, per modo che si possono raramente conservare per più di alcuni giorni.
«Il Miopotamo» dice Wood «è un vivace e veloce animale, molto piacevole per i suoi modi. Nuota con un'abilità quasi uguale a quella del castoro, e si serve per ciò in maniera del tutto identica, dei piedi posteriori palmati. Con gli anteriori è estremamente destro, e quando si rizza se ne serve come se fossero mani. Spesso ho osservato a lungo i suoi dilettevoli giochi, e mi sono sommamente sollazzato del modo con il quale percorre a nuoto i suoi possedimenti, esaminando con la più seria attenzione ogni oggetto nuovo che gli si presenta. Appena gli si getta nel bacino una punta d'erba, l'afferra con le zampe anteriori, la scuote energicamente per levare tutta la terra dalle radici, la immerge nell'acqua e la lava con una destrezza da fare invidia ad una provetta lavandaia». La femmina partorisce una volta l'anno quattro o sei piccoli nella sua tana. Questi crescono rapidamente e seguono a lungo i genitori nelle loro scorrerie. Un vecchio naturalista assicura che, mettendoci tutta la necessaria fatica, questi piccini si possono ammaestrare alla perfezione. Noi non crediamo a questo asserto, perché riteniamo che ciò si riferisca piuttosto alla lontra, sotto il nome della quale (Nutria) il Miopotamo è ancora conosciuto dagli abitanti spagnoli dell'America. Per la sua preziosa pelliccia, questo animale è accanitamente perseguitato. I peli morbidissimi sono principalmente adoperati per la fabbricazione di capelli finti e vengono pagati a caro prezzo. A Buenos Aires si suole dare la caccia al castoro di palude con cani appositamente ammaestrati, che lo vanno a rintracciare nell'acqua e lo spingono a tiro del cacciatore, oppure, senz'altro, lo addentano, malgrado il grosso rosicante sappia difendersi coraggiosamente e con energia. Si tendono trappole nei luoghi asciutti che predilige, o davanti alla sua tana. Nel Paraguay non si dà la caccia al Miopotamo se non quando per caso lo si incontri; del resto non è facile raggiungerlo, perché al minimo rumore se la svigna e scompare, ed è ugualmente difficile ucciderlo con un solo colpo di fucile, perché il pelame lungo e liscio impedisce il passaggio del piombo. Mentre, se l'animale è soltanto ferito, sa scappare per bene per sottrarsi alla cattura; ma, se colpito alla testa, va giù come piombo ed è perduto, se un eccellente cane non sia al servizio del cacciatore.
AULACODO (Thryonomys swinderanus)E' questo l'animale che segna l'anello di transizione tra il Miopotamo e l'Istrice. Ha una lunghezza totale di 73 centimetri, di cui 20 spettano alla coda, con pelame particolarmente setoloso, che non ricopre né la coda né le gambe, ma il rimanente del corpo, specialmente la parte superiore; pelame che è fatto di lisce setole a foggia di aculei cerchiati, con punta pieghevole, e che ricorda vivamente il vestimento di alcuni istrici. Nella sua forma esterna l'Aulacodo somiglia molto al miopotamo, e si può dire che lo rappresenti nell'Antico Continente. Il corpo è robusto e compresso, la testa breve, il muso breve e largo, le orecchie piccole sembrano circolari e nude, le zampe brevi e con quattro dita; il paio anteriore ha un rudimento di pollice che porta un'unghia piatta, mentre le altre dita sono munite di robuste unghie falciformi. Negli individui giovani i peli sono giallicci e cerchiati di bruno-cupo, nei vecchi sono bigio-neri sul fondo, brunicci nel mezzo, neri all'apice e per lo più muniti di anelli bruno-gialli presso l'apice stesso. Il mento e il labbro superiore sono bianchicci, il petto giallo-sudicio, la parte inferiore del corpo giallo-bruniccia, macchiettata di bruno-bigio; le orecchie sono rivestite di peli bruno-giallicci, i mustacchi sono in parte bianchi e in parte neri. Gli incisivi superiori si fanno notare perché presentano tre profonde scanalature sulla metà interna della parte anteriore, mentre gli inferiori sono compiutamente lisci. I molari piuttosto uguali di forma sono quadrangolari, con due profonde ripiegature nella parte esterna e nel lato interno breve e largo; la fila inferiore ha una disposizione opposta.Si sa ancora poco dei costumi di questo animale. Abita l'Africa meridionale, nelle regioni piane, asciutte, dove non scava tane, ma si allestisce soltanto un nido di paglia tra le erbe o nella rena; ama le piantagioni di bambù e di canna da zucchero e, qualche volta, arreca gravi danni alle colture nei campi. La carne è saporita e tenera, e perciò gli si dà una caccia accanita.
ISTRICILa famiglia degli Istrici, che comprende grossi e tozzi rosicanti, non ha bisogno di una lunga descrizione riguardo ai caratteri esterni delle sue specie. Il vestimento aculeato fa riconoscere per affini tutti quelli che lo portano, per quanto siano diversi nella struttura. Fuori di tale particolarità i veri istrici non hanno tra loro molta somiglianza, ed è quindi veramente impossibile fornire una descrizione generale della famiglia. Tutt'al più si può premettere che il corpo è represso, il collo breve, la testa grossa, la coda o breve o sensibilmente allungata e, quindi, prensile; le gambe sono di uguale lunghezza; i piedi con quattro o cinque dita hanno larga pianta, le dita sono armate di artigli robusti e ricurvi, le orecchie e gli occhi sono piccoli, il muso, breve e ottuso, è spaccato al labbro superiore. Gli aculei differiscono molto in forma e in lunghezza: si presentano in file ritte tra uno scarso pelame, oppure sono circondati di setole tanto lunghe da ricoprirli interamente. Sono di un colore vario ed uniforme. Oltre alle vertebre del collo, la colonna vertebrale ne ha 12 o 13 che portano le costole, 5 senza costole, 3 o 4 sacrali, 12 o 13 caudali. Gli incisivi sono lisci o scanalati sulla parte anteriore, i 4 molari di ogni fila sono quasi ugualmente grossi e con ripiegature dello smalto.Tutti gli Istrici abitano le regioni temperate dell'antico e del nuovo continente. Là si trovano quelli dalla coda breve che fanno vita terragnola, qui le specie rampicanti dalla lunga coda. Sono animali notturni senza eccezione; tardi di indole e di movimenti, ottusi di sensi e deboli di spirito. Le specie dell'antico continente sono vincolate al suolo, quelle del nuovo sono arboricole. Vivono, secondo la loro natura, in boschi poco folti, nelle steppe o nelle grandi foreste. I primi, di giorno, stanno nascosti in tane o gallerie che si scavano da sé, gli ultimi accoccolati sopra un ramo forcuto alla cima, o in un cavo di albero. Non sono socievoli e si radunano soltanto nel tempo della riproduzione in piccoli gruppi che stanno insieme parecchi giorni. Per il resto dell'anno. ognuno vive per conto suo. I loro movimenti sono lenti, misurati, tardi, e specialmente le specie rampicanti destano meraviglia, rimanendo per ore e giorni interi nel medesimo atteggiamento. Tuttavia, si ingannerebbe chi credesse gli Istrici incapaci di movimenti più rapidi e più destri. Se la notte è scesa e gli animali si sono ben svegliati, gli uni corrono sgambettando rapidamente a terra, gli altri si arrampicano su e giù per i rami, se non con la rapidità dello scoiattolo, con una sufficiente sveltezza. Quelli che stanno a terra sanno anche scavare abilmente, superando tutte le difficoltà che offre loro il duro terreno. Tra i loro sensi, l'olfatto sembra senza eccezione il più perfetto, sebbene tra i rampicanti il tatto sia in certo modo sviluppato. La vista e l'udito, invece, sono assai imperfetti. Le loro facoltà intellettuali sono limitate, e l'intelligenza si trova al più basso livello: temono ogni altro animale, per quanto, in caso di pericolo incalzante, tentino di incutere terrore, arricciando la loro corazza e producendo un particolare crepitìo con gli aculei caudali. Sono stupidi, senza memoria, poco ingegnosi, cattivi e collerici. Nutrono poco affetto sia per i loro simili, sia per le altre creature, e un boccone prediletto può essere la causa di serie zuffe tra i componenti di una coppia. Non si vedono mai due istrici giocherellare insieme, oppure trattarsi tra loro amichevolmente; ognuno tira diritto per la propria via, prendendosi pensiero degli altri quanto meno è possibile. Non si affezionano mai all'uomo che li custodisce e li mantiene, né imparano a distinguere dagli altri il loro guardiano. La loro voce altro non è che un suono di cupo grugnito, sbuffi, lievi fremiti e uno squittire impossibile a descrivere. Una specie, tuttavia, grida forte. E' da credere che il nome di porcospini che si dà a questi animali è loro venuto dal grugnire, sebbene per ogni altro aspetto convenga poco al caso loro. Gli Istrici si nutrono di tutte le parti di un vegetale, dalla radice sino al frutto: a mo' degli altri rosicanti, portano il cibo in bocca con le zampe anteriori, o lo mantengono saldo al suolo mentre lo rosicano. Quasi tutti sembrano poter stare a lungo senza acqua, bastando loro la rugiada delle foglie che mangiano. Le osservazioni sulla loro riproduzione furono raccolte sul finire del secolo XVIII. L'accoppiamento si compie in un modo particolare. I piccini nascono da 7 a 9 settimane dopo, e il loro numero varia tra 1 e 4. Per l'uomo gli Istrici sono creature senza grande importanza: le specie terragnole si rendono talvolta moleste scavando le loro tane nei campi e nei giardini, ma compensano questo con la loro carne e con i loro aculei che, come si sa, prestano a molti e diversi usi una materia elegantemente disegnata e liscia. Le specie arboricole spesso devastano le piante e non servono a nulla. Nelle regioni fortunate dei Tropici le specie che vi si trovano non sono né utili né nocive. Oggi si conoscono all'incirca una dozzina di vari istrici. Le specie si raccolgono in due grandi scompartimenti che abbiamo già distinto all'inizio. Questi scompartimenti si suddividono in differenti specie, che si fondano per lo più su differenze esterne.
SFIGGURO DEL MESSICO (Coendou mexicanus)La lunghezza di questo animale è di circa 90 centimetri, di cui 30 appartengono alla coda. I lucidi peli sono finissimi e morbidi, alquanto crespi, e così lunghi che molti aculei ne sono perfettamente ricoperti. Questi si trovano sopra tutto il corpo ad eccezione delle parti inferiori, della faccia interna delle zampe, del muso e dell'ultima metà della coda, la quale, nuda di sopra, è munita di sotto di setole nere, gialle sui lati. Intorno al collo spuntano alcuni aculei a guisa di cravatta; nessun aculeo si trova dietro le gambe anteriori, e le gambe stesse dal ginocchio in giù ne sono libere. Il pelame sembra nero, perché i singoli peli, che sono alla radice di un bigio-chiaro che tende al bruniccio, sono al vertice di uno splendido nero. I lunghissimi mustacchi adornano il viso, alcune rigide setole spuntano sulla parte superiore delle cosce. Gli aculei sono in generale di colore giallo-zolfo con la punta nera; alla radice sono molto sottili, poi si ingrossano moderatamente e di nuovo si assottigliano. Nel mezzo sono lisci e alle estremità aguzzi come la punta di un ago, sono muniti di uncinetti rivolti all'ingiù. Nella regione degli occhi e delle orecchie sono così fitti che il pelame non si può vedere, mentre l'orecchio ne è completamente ricoperto. Sono più brevi là che non nelle altre parti del corpo e di colore più chiaro: i più lunghi e più scuri si trovano sul dorso. L'occhio è singolarmente sporgente, la pupilla è piccola quanto la capocchia di un fino spillo, ma è allungata; tutto l'occhio spicca come una perla di vetro sopra la testa. Quando l'animale è immobile si vede poco il suo vestimento pungente, ad eccezione degli occhi e delle orecchie. Il pelame sembra increspato mollemente, ma quando l'animale si indispettisce, numerose protuberanze tradiscono le punte nascoste tra i peli. Nell'ira, poi, gli aculei si drizzano in tutte le direzioni, e chi passasse loro la mano sopra li sentirebbe spuntare dappertutto. Stanno così poco saldamente conficcati nella pelle che cadono al più leggero contatto; se si passa una sola volta la mano sopra il dorso dell'animale, vengono giù a dozzine e alcuni rimangono certamente conficcati nella mano.Quanto alle sue abitudini di vita, lo Sfigguro del Messico per la maggior parte dell'anno vive solo in un determinato territorio, sempre tra gli alberi e tra i rami, muovendosi con agilità. Durante il giorno riposa raggomitolato sopra sé stesso, appollaiato nella biforcazione di un ramo; di notte, si aggira arrampicandosi lentamente e sospettosamente, ma con molta sicurezza. Il suo atteggiamento sull'albero e singolare: esso siede, a quello che si è potuto osservare nei prigionieri, sulle zampe posteriori, tenendo quelle anteriori molto vicine a queste, e spesso chinato in tale maniera che si appoggia sulle zampe; la testa è diritta perpendicolarmente all'ingiù, la coda sta in linea retta, ricurva sull'estremità, in modo da formare un uncino. Di solito assicura sé stesso con la sua coda prensile, che aggrappa ad un ramo; ma, altrimenti, siede anche saldamente sopra i più sottili rami, perché le sue larghe zampe anteriori, concave all'interno, sono molto adatte al forte appoggio. Nell'arrampicarsi preme saldamente sul ramo le larghe piante carnose, e lo stringe con i polpastrelli delle dita. Di giorno si muove di malavoglia, e non si muove affatto se lo si lascia in pace. Se lo si mette in libertà, invece, si affretta con passi vacillanti al primo albero che gli si para dinanzi; si arrampica lestamente sino alla cima e sceglie tra i rami un punto ombroso per nascondervisi, cominciando a mangiare. Se vuole passare da un ramo ad un altro distante, si assicura saldamente con i due piedi posteriori e la coda, allunga orizzontalmente il corpo e cerca di abbrancare con le zampe anteriori il ramo cui tende. In tale atteggiamento, che richiede una grande forza, esso può rimanere parecchi minuti, muovendosi con facilità in questa e in quella direzione. Appena afferra con le zampe anteriori il ramo desiderato, comincia ad allentare e sciogliere dapprima i piedi, poi la coda e allora abbandonato al proprio peso, si trova di sotto al ramo; comincia ad afferrarlo con la coda, dopo con le gambe posteriori, e infine risale immediatamente su di esso. Il suo cibo consiste principalmente di frutta, gemme, foglie, fiori e radici che porta alla bocca con le zampe anteriori. Il nostro prigioniero mangia anche molto volentieri la corteccia di giovani arbusti ma solo se può scegliere a suo talento. Nella gabbia lo si nutre di carote, patate e riso. Mangia anche pane di semola; in America lo si alimenta con banane.
Alla descrizione della vita di questo animale allo stato di schiavitù dobbiamo premettere le osservazioni di Azara: «Tenni» dice «per un anno, libero e senza acqua, nella mia camera un individuo adulto prigioniero. Quando veniva spaventato, correva con grande sveltezza, tuttavia lo raggiungevo sempre senza affrettarmi. Quando voleva correre, la parte dell'articolazione tra la tibia e il malleolo appariva come se non avesse spazio. I suoi movimenti sono goffi, eppure si arrampica facilmente su qualsiasi bastone, aggrappandosi così saldamente che ci vuole non poca forza per distaccarvelo. Una spalliera di seggiola, l'estremità di un piolo piantato verticalmente, gli bastano per dormire in pace e riposare. E' corto di ingegno, e tanto tranquillo e tanto pigro che talvolta passa da 24 a 48 ore senza che muti posto o alteri minimamente il suo atteggiamento. Il mio si muoveva solo quando doveva mangiare, ciò che capitava generalmente tra le 9 antimeridiane e le 4 pomeridiane. Un'unica volta osservai che anche di giorno correva attorno; ciò nonostante lo ritengono animale notturno. Nei primi giorni della sua cattività esso sedeva sopra una spalliera di seggiola e non mai sopra una superficie piana; ma, essendo un giorno salito sulla finestra e avendovi trovato lo spigolo di uno sportello, non cercò più altro luogo: vi passava la sua vita, sedendo immobile come una statua in un atteggiamento particolarmente strano. Senza puntellarsi con le zampe anteriori o con la coda, si teneva saldo soltanto con i piedi, posava le zampe anteriori l'una sull'altra e il muso nel mezzo come se dovesse baciarsi le mani. Così senza muoversi, senza neppure guardarsi attorno, stava sino all'ora del pasto. Un giorno deposi un topo morto sotto il suo cibo: preso da indicibile spavento, appena lo ebbe scorto si slanciò a precipizio al suo posto favorito. Faceva così anche se uno degli uccelli, che io lasciavo svolazzare liberamente per la camera, gli si avvicinava mentre mangiava. Prendeva pochissimo pane, mais, radice di maioc, erbe, foglie e fiori che gli erano offerti, ma gli piaceva cambiare spesso cibo. Molte volte mi accorsi che, sdegnando quelle ghiottonerie, mangiava persino la cera. Non morse mai, né graffiò, né fece danno alcuno. Mentre mangiava, adempiva le funzioni naturali, senza prendersi pensiero che le sue deiezioni andassero o no sull'alimento. L'olfatto è il senso più sviluppato in esso. Osservai, quando io prendevo il cioccolato, o entravo nella camera con fiori, che il mio prigioniero sollevava il muso e ne potei con certezza dedurre che percepisce gli odori da una certa distanza. La punta della sua coda è tanto sensibile che esso si scuote e rabbrividisce quando lo si tocca leggermente in quella parte. Del resto in esso non si riscontrano che stupidaggine e pigrizia; e si può dire che non sa fare quasi altro che mangiare e vegetare. Non venni mai a capo di scoprire in esso piacere o senso di benessere. Talvolta volgeva la testa quando era chiamato per nome; di solito non si guardava d'attorno; faceva, appunto, come se non potesse vedere e si lasciava toccare come se fosse stato di pietra; se gli venivo da vicino, allora bruscamente drizzava gli aculei, senza muoversi altrimenti. Si racconta che esso scagli i suoi aculei, e che questi, se giungono sino alla pelle, vi si insinuano sempre più per quanto piccola sia la ferita da essi cagionata, finché ricompaiono dalla parte opposta. Si pretende pure che esso scuota le frutta degli alberi e, rotolandovisi dentro, le infilzi e le porti via. Queste sono tutte fandonie. La sola cosa vera è che alcuni dei suoi pungiglioni per essere poco addentrati nella pelle, cadono quando li drizza per difesa; può benissimo anche avvenire che quelli che rimangono conficcati nel muso del cane imprevidente sembrino essersi alquanto addentrati; per questa sola ragione la carne si gonfia. Le pulci recavano gran fastidio al mio prigioniero che non smetteva di grattarsi». Poco ci rimane da aggiungere a questa descrizione dell'amico ed esperto naturalista. Le nostre osservazioni concordano essenzialmente con le sue, e più ancora con quelle di Burmeister. Durante l'intero giorno il nostro prigioniero sedeva tranquillo nella sua cassa, atteggiato nel modo suaccennato. Cominciava a muoversi lentamente solo dopo il tramonto. Se lo si toccava, faceva udire un gridolino alquanto lamentevole che ricordava il lamento di un cagnolino. Gli era sommamente sgradevole l'essere toccato; tuttavia, - come osserva molto giustamente Burmeister - «non faceva mai un tentativo di fuga, ma lasciava pacatamente avvicinarsi il nemico, senza muoversi dal posto dove stava; si chinava giù, drizzava gli aculei e gemeva quando era toccato». Il nostro non tentava di scappare dalla sua cassa e troviamo strano che quello di Azara non bevesse acqua, mentre quello che osservammo noi beveva regolarmente. Appena aveva mangiato, si avvicinava al suo abbeveratoio e vi attingeva con la mano allargata alcune gocce che leccava con tutto comodo. L'odore che spargeva, molto particolare, era sgradevolissimo.
Il nostro prigioniero era tormentato da pidocchi bruni, o animaletti simili ai pidocchi, in un modo veramente compassionevole. Gli insetti parassiti si trovavano a centinaia sul medesimo posto, soprattutto erano fitti nella regione del muso, e non si lasciavano sgomentare né dal grattare dell'animale, né dalla polvere insetticida di Persia cui ricorremmo alla fine. Oggi tali insetti si possono distruggere solo con i moderni insetticidi. Reingger assicura che, durante l'inverno, gli individui dei due sessi, sempre solitari nel resto dell'anno, si ricercano e vivono per qualche tempo appaiati. All'inizio dell'inverno nei loro Paesi, vale a dire verso il principio di ottobre, la femmina partorisce uno o due figli. Azara, che esaminò una femmina pregna, trovò soltanto un piccolo che era già, come la madre, rivestito di aculei. L'aspetto esterno dello Sfigguro del Messico, essendo poco attraente, non gli procura molto favore presso gli indigeni del Paraguay; ciononostante i selvaggi ne mangiano la carne, per noi intollerabile a causa dello sgradevole suo odore. Gli indiani gli danno la caccia press'a poco in modo identico a quello praticato dagli europei rozzi a danno del riccio. D'altra parte, neppure questa caccia sa di santità, giacché lo si fa cadere dall'albero e lo si ammazza a colpi di randello. I cani manifestano contro di esso il medesimo odio che dimostrano al nostro riccio; ma ne vengono spesso assai malconciati, perché mordendo il loro nemico, gli aculei si conficcano nel loro muso e nella lingua e vi cagionano dolorose infiammazioni.
CHETOMIDE SUBSPINOSO (Chaetomys subspinosus)Si distingue dallo sfigguro messicano essenzialmente per la conformazione del suo cranio e per gli aculei lunghi, sottili, con ondeggiature e ghirigori. La coda, squamosa e rivestita di brevi setole, misura in lunghezza i due terzi del corpo, è nuda all'apice, prensile, e si rivolge in su. Il corpo è compresso, davanti munito di brevi ed acuti aculei, che si allungano dietro e son molli a mo' di setole. La lunghezza complessiva dell'animale è di 75 centimetri, di cui oltre 30 appartengono alla coda. La testa, il collo le scapole e il dorso immediatamente sopra queste, sono coperti di aculei brevi, fitti, e d'un colore gialliccio-pallido o bigio-bianchiccio. Dalla testa in giù quegli aculei aumentano in lunghezza, prendono forma ricurva ed un disegno ondulato bigio-bianco o giallo-bigio. Sui fianchi e sulla parte posteriore del dorso si fanno sempre più lunghi e sottili, sono disposti in ordine piano, e stanno adagiati. La coda alla radice e nella parte superiore è rivestita di lunghe setole ondulate, e l'ano è circondato di setole gialle. Tutta la parte inferiore e la faccia interna delle quattro zampe sono rivestite di una lanugine setolosa aderente, lucida, bigio-gialliccia.La patria preferita di questo animale è gran parte del Brasile settentrionale e centrale, mentre la vita di esso non si scosta dagli altri suoi congeneri, soprattutto per quanto riguarda le abitudini.
CUANDU (COENDOU PREHENSILIS)Benché non molto sufficientemente, è un po' meglio conosciuto rispetto al precedente. Esso forma un genere facile da riconoscere, che si distingue dagli altri per il completo rivestimento di aculei. In generale, ha la forma di quelli descritti in precedenza, ma è alquanto più grosso e più robusto: la sua lunghezza è di oltre un metro, di cui 45 centimetri spettano alla coda. Gli aculei cominciano sulla faccia, seguitano sopra tutta la parte superiore del corpo, rivestono le gambe sino all'articolazione del malleolo, la coda nella sua metà superiore ed anche la parte posteriore del corpo, ma non sono affatto adagiati. Alcuni peli che spuntano tra di essi ne risultano per la maggior parte ricoperti, e si vedono soltanto se si scostano gli aculei. Questi sono tutti della medesima forma, sono duri e forti, quasi tondi, lisci e lucidi, molli alla radice, mediocremente grossi nel rimanente, a foggia d'ago, e riaffilano ad un tratto, per terminare in punta aguzza; le loro radici risultano piantate poco saldamente nella pelle. Sul dietro del dorso raggiungono una lunghezza di quasi 11 centimetri, ma si fanno più corti sotto il corpo, mentre al ventre si tramutano in vere setole, che sulla parte inferiore della coda sono di nuovo pungenti, cioè dure ed affilate.Il colore degli aculei è bianco-gialliccio chiaro, ma presso l'estremità spicca vivamente un cerchio bruno-scuro. Il pelo del muso è rossigno, bruno-rosso quello del resto del corpo, cosparso di alcuni peli bianchicci. I forti e lunghi mustacchi, disposti in fila, sono neri. Il Cuandu abita un tratto piuttosto esteso dell'America meridionale e centrale, e in alcune località è molto diffuso. Come i suoi affini dorme di giorno nell'atteggiamento sopra descritto in cima agli alberi, mentre di notte s'aggira lentamente, ma destramente, fra i rami. Il cibo del Cuandu consiste di foglie di ogni sorta. La sua carne è molto
apprezzata dagli indigeni, ed anche i suoi aculei vengono usati per molti usi.
Tra gli indiani circolano press'a poco le medesime frottole sparse fra noi
rispetto al porcospino. Molte razze indiane ne adoperano gli aculei a scopo di
medicina: si crede che, come le mignatte, operino benefici effetti, piantandoli
sulla pelle dell'ammalato. In nessun modo sopporta di essere toccato, così come fanno i suoi affini, e cerca sempre di spaventare l'importuno con rapidi movimenti in avanti; è possibile che abbia, ciò facendo, l'intenzione di fare uso dei denti. Per contro, se e preso per la coda, si lascia toccare senza difendersi: allora lo si può prendere anche in braccio e portarlo qua e là senza che esso tenti, come gli altri rosicanti, di mordere intorno. Nella collera rizza i suoi aculei in ogni direzione, e appare allora quasi il doppio di quello che è in realtà. Anche il suo colore muta di molto in quel momento, perché compare il giallo vivo nel mezzo degli aculei.
URSONE (Erethizon dorsatus)L'Ursone si distingue dal Cuandu per il corpo tozzo, per la coda breve che non ha la facoltà di aggrapparsi; ciononostante è anch'esso un eccellente arrampicatore, che passa sugli alberi la maggior parte della sua vita.L'Ursone giunge alla lunghezza di 75 centimetri, di cui la coda misura 18 centimetri. La testa è breve, grossa e ottusa; il muso troncato, le narici piccole si possono in parte chiudere per mezzo di una valvola semilunare. I piedi anteriori hanno quattro dita e sono senza pollici, i posteriori ne hanno cinque, munite tutte di unghie lunghe e affilate. Le piante dei piedi sono nude e ricoperte di una pelle reticolata. Un folto pelo lungo 10 centimetri sull'anca si cambia sulla parte inferiore e sulla punta della coda in setole pungenti, rivestendo il corpo. Tra le setole e i piedi spuntano sopra tutta la parte superiore del corpo aculei lunghi 8 centimetri, che in gran parte sono ricoperti dai peli. Il colore è misto di bruno, di nero e di bianco; i peli sono bruno-giallicci sul labbro superiore, color bruno di cuoio misti di nero e di bianco sulle guance e sulla fronte; i lunghi peli del tronco sono decisamente neri o bianchi; quelli sulla parte inferiore bianchi alla radice e bruni alla punta, quelli della coda bianco-sudici verso la punta. Questo animale abita le boscaglie della America settentrionale a nord della Virginia e del Labrador sino alle Montagne Rocciose. Non è raro neppure nelle località boscose del Missouri, mentre invece è quasi del tutto distrutto nelle regioni orientali. «Tra tutti i mammiferi della America del Nord» dice Audubon «l'Ursone presenta le più notevoli particolarità nel suo atteggiamento e nei suoi costumi. Sul suolo è più tardo nei movimenti di tutti gli altri mammiferi di quelle regioni, e, per quanto si possa considerare come animale lento, la moffetta può passare per un corridore in confronto all'Ursone, il quale, se non avesse la protezione dei suoi aculei, sarebbe stato da molto tempo annientato per gli attacchi del ghiottone, della lince, del lupo e del puma. Per sei mesi avemmo in gabbia un ursone vivo e avemmo modo di convincerci della potenza delle sue armi. A poco a poco si era fatto docile, e raramente faceva uso dei suoi aculei, di modo che, all'occorrenza, gli si concedeva il beneficio di una passeggiata nel giardino. Esso ci conosceva: se lo avvicinavamo, offrendogli una patata dolce o una mela, esso volgeva lentamente la testa verso di noi, ci guardava con piglio dolce e confuso, si avvicinava lentamente con passo titubante, prendeva il frutto dalla nostra mano, si drizzava sulle estremità posteriori, e quindi si portava il cibo alla bocca. Spesso, quando la porta era aperta, veniva nella nostra camera, si avvicinava con fiducia, si strofinava alle nostre gambe, e ci guardava supplichevole nella speranza di ottenere qualche leccornia. Invano tentammo di irritarlo, non drizzò mai i suoi aculei contro di noi. Ben diversamente si mostrava la sua indole quando gli si accostava un cane: in un baleno prendeva un atteggiamento difensivo, abbassando il naso, drizzando gli aculei, sferzando l'aria con la coda, e mostrandosi perfettamente pronto alla lotta. Un alano, grosso, iroso, in sommo grado battagliero, soleva aprirsi un passaggio sotto il recinto del nostro giardino per farci, di tanto in tanto, visite poco desiderate. Un mattino lo vedemmo correre nell'angolo del giardino contro un oggetto che si riconobbe per il nostro ursone. Questo, durante la notte, si era permesso una scappatella fuori della gabbia, e ora correva tutto lieto, quando il cane gli si presentò davanti. La minaccia abituale dell'ursone non sembrava trattenere l'alano, che forse credette avere a che fare con un animale che non dovesse essere più forte di un gatto. Sicché si precipitò a bocca spalancata sul corazzato personaggio, il quale apparve di botto raddoppiato di mole e, squadrando il nemico, colse il momento favorevole e gli vibrò con la coda un colpo così ben assestato che l'alano, perduto ogni coraggio e angosciato di dolore, si mise a guaire lamentevolmente. Aveva la bocca, la lingua, il naso tutti ricoperti degli aculei del suo avversario, e nella impossibilità di chiudere le mandibole, se ne fuggì con la bocca spalancata. Da quanto parve, la lezione gli giovò: nessuno fu in grado più tardi di indurlo a ritornare in quel luogo dove aveva ricevuto una così inospitale accoglienza e da cui aveva dovuto fuggire insalutato ospite. Sebbene gli aculei gli fossero stati levati dalla bocca, per parecchie settimane ebbe la testa gonfia, e passarono mesi prima che la bocca fosse guarita».
Molti altri naturalisti ce lo hanno descritto nello stesso modo. Catwrigt
racconta quanto segue della vita dell'Ursone allo stato libero: «E' un
arrampicatore maestro e nell'inverno probabilmente non scende a terra prima di
aver scorticato tutta la vetta di un albero. Abitualmente si muove per il bosco
in linea retta, e raramente passa davanti ad un albero senza arrampicarvisi,
salvo che questo sia troppo vecchio: preferisce le giovani piante e durante
l'inverno ne scortica a centinaia. Quelli che conoscono le abitudini di questo
animale lo cercano raramente invano, poiché le cortecce rosicate ne indicano la
via».
L'Ursone persevera con molta tenacia nel luogo una volta scelto; si può essere certi di trovarlo per mesi interi, ogni giorno al medesimo cavo di albero, che una volta ha scelto per suo giaciglio. Non cade in letargo invernale, tuttavia si può credere che durante le più rigide giornate d'inverno esso si ritiri nel suo nascondiglio. In quelle buche degli alberi, oppure nei cavi delle rocce, si trova il suo covo, e in aprile o maggio anche i piccini, generalmente due, più raramente tre o quattro. I piccoli, presi giovani dal covo e tenuti in schiavitù, si abituano presto al loro padrone ed a quanto li circonda. Si possono nutrire con ogni sorta di vegetali, e con pane che mangiano molto volentieri. Lasciandoli girare liberamente nei giardini si arrampicano sugli alberi e ne mangiano la corteccia e le foglie. Audubon racconta che il suo ursone era in collera soltanto allorquando lo si voleva togliere da un albero sul quale soleva salire. Il mantenimento di questo animale non presenta difficoltà, tuttavia non può sopportare il caldo. «Quando venne la primavera» dice Audubon «dovemmo persuaderci che il nostro povero ursone non era fatto per i paesi caldi. Quando aumentò il calore estivo, la povera bestia soffriva tanto che avremmo voluto portarlo nuovamente nei suoi boschi del Canadà: giaceva tutto il giorno boccheggiante nella sua gabbia, immobile, senza voglia di mangiare. Infine lo conducemmo al suo albero favorito, ed esso prese subito a rosicare la scorza: interpretammo ciò come un segnale favorevole, ma la mattina seguente era morto». L'Ursone diventa di anno in anno più raro, perché la caccia che gli si fa è spietata e senza risparmio di mezzi, soprattutto a causa della vendetta dei cacciatori i quali lo uccidono senza pietà per le ferite che fa ai loro cani da caccia. D'altra parte, all'infuori dell'uomo l'Ursone ha da temere ben pochi animali. La lince paga a caro prezzo un'aggressione all'Ursone, e così moltissimi animali, i quali, feriti da esso, quasi sempre muoiono. La pelle, spogliata degli aculei, è molto usata per la sua morbidezza, mentre gli aculei stessi vengono adoperati dai selvaggi principalmente per ornare i loro carnieri, gli stivali ed altri oggetti.
ATERURA D'AFRICA (Atherurus africanus)E' un animale relativamente snello, che misura tutt'al più 60 centimetri di lunghezza, di cui un terzo appartiene alla coda. Gli aculei, scanalati nel senso della lunghezza, hanno punta acutissima e uncinata. Il loro colore è bianco-sudicio alla radice dei peli e di un bruno difficile a definirsi nel rimanente: alcuni peli laterali hanno la punta bianca. Aumentano di lunghezza dall'avanti all'indietro; quelli che poggiano sulle spalle hanno circa 4 centimetri e quelli della parte posteriore del dorso sono lunghi circa 10 centimetri. Le piastrelle cornee del fiocco della coda sono di un bianco-gialliccio. Un pelame bianco-bruniccio fitto e serico riveste la parte inferiore, mentre mustacchi bruni, lunghissimi, con la radice più bianca, si trovano d'ambo i lati del muso.Sappiamo poco della vita di questo animale allo stato selvatico; ma si può arguire dal fare degli individui in schiavitù che i suoi costumi somigliano molto a quelli dei veri istrici. L'impressione che produce è più gradita di quella che fa l'istrice comune, poiché se ne rimane di giorno ben nascosto nel ripostiglio che si è preparato, o meglio nel suo lettuccio di fieno; con il tramontare del sole, invece, si anima e corre attorno al suo recinto con molta velocità, ma con passi malfermi. I suoi movimenti sono uniformi, rapidi e molto destri: si arrampica con leggerezza sopra mucchi di pietre e altri oggetti elevati, saltando rapidamente a terra. Di solito porta la coda ritta e gli aculei sono talmente drizzati che se ne possono vedere le radici chiare. Ciò avviene soprattutto quando l'animale è irritato, nel qual caso agita anche rumorosamente la coda, sebbene faccia meno strepito degli altri istrici. L'Aterura d'Africa si mostra molto più fiduciosa verso il suo custode che non gli istrici comuni: quando le si porge il cibo, essa viene avanti senza esitare, lo prende e se lo porta via con bel garbo. Gli individui di una coppia sembrano aver molto affetto l'uno per l'altro: di giorno se ne stanno riuniti insieme; di notte corrono in compagnia, si lisciano, si grattano, si leccano a vicenda anche tra gli aculei che l'uno raddrizza in modo da permettere all'altro di passare la lingua e le unghie in mezzo ad essi. Naturalmente dobbiamo subito dichiarare che una leccatina respinta da uno dei due può disturbare la pace e provocare la guerra: e in conseguenza di una siffatta sgarberia abbiamo perduto il maschio di una coppia cui la femmina incollerita aveva regalato sul capo un morso che lo condusse alla morte. Sebbene le aterure non siano tanto avvezze alla luce come tutti gli altri istrici, tuttavia di giorno volgono il capo sempre contro la luce che sembra fastidiosa ai loro occhi vivaci. Ciò nonostante escono prima del crepuscolo, mentre le altre specie attendono regolarmente la notte buia per venire fuori. I veri istrici sono i più tozzi membri di tutta la famiglia, e si riconoscono facilmente dalla loro corporatura corta, compressa, dalla testa grossa, con muso ottuso, posta su un collo robusto, dalla coda breve munita di aculei cavi, simili alla canna di una penna, e dal rivestimento di aculei molto sviluppati. Inoltre si distinguono per le orecchie piccole e tondeggianti, il labbro superiore largo, nonché per le narici molto aperte. La forma dei piedi si accorda con quella delle specie già descritte: il rivestimento di aculei ricopre principalmente i due ultimi terzi, o la metà posteriore del corpo, la parte anteriore di solito è rivestita di peli o di setole, che in alcune specie formano una criniera. Gli aculei sono i più grossi che si conoscano, ma una descrizione particolareggiata ci sembra inutile, essendo tanti gli usi cui si applicano, per modo che i nostri lettori li riconosceranno di certo per propria esperienza. Alcune specie non hanno criniera sulla nuca, ma solo lunghe setole, che si allungano a poco a poco e si trasformano in aculei piani, finemente aguzzi, scanalati profondamente dalla parte esterna. Questo sarebbe un carattere sufficiente, secondo il modo di procedere attualmente in uso, per dividere dalle altre la specie che ne è dotata, ascrivendola ad un genere particolare; ma vi sono anche altri caratteri, e più di tutti il numero diverso delle vertebre, che giustificano questa distinzione e riuniscono tutti gli animali che li possiedono in un genere particolare sotto il nome di Acanthion.
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