Animali Mammiferi Rosicanti

 

 
    

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Animali Mammiferi Rosicanti

  

Animali Mammiferi Rosicanti

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VITA DEGLI ANIMALI - MAMMIFERI - ROSICANTI

CASTORI

CASTORO (Castor fiber)

DIPODI

TOPO DEL LABRADOR (Neozapus labradorius)

TOPO DELLE PIRAMIDI (Jaculus jaculus)

SCIRTETE CAVALLINO (Allactaga saliens)

PEDETE LEPORINO (Pedetes caffer)

CINCILLIDI

CINCILLA (Chinchilla chinchilla)

CINCILLA LANIGERO (Chinchilla lanigera)

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INTRODUZIONE

I Rosicanti sono un complesso di animali che fa parte degli unguiculati. Il loro nome perfettamente si attaglia alla loro abitudine di rosicare. L'ordine è caratterizzato da due grandi denti roditori in ogni mandibola, che rappresentano non solo gli incisivi, ma anche i canini e i falsi molari. Tali denti roditori sono molto sporgenti e ben visibili. Per quanto riguarda la forma esterna del corpo questo presenta numerosissime variazioni: ora è snello e lungo, ora corto e compresso, coperto di peli morbidi o rivestiti di pungenti aculei. La coda è in alcuni lunghissima, in altri appena accennata, un vero moncone; le orecchie variano per lunghezza e dimensione. Le estremità sono in alcuni attrezzate per saltare, in altri per correre.

Vi sono, però, alcuni caratteri comuni a tutte le famiglie e le specie: il corpo è, nella maggior parte dei rosicanti, cilindrico e posa su zampe corte, di eguale lunghezza; la testa è attaccata a un collo corto e grosso; gli occhi piuttosto sporgenti e grandi; le labbra carnose, ornate di lunghi mustacchi sono fesse sul davanti; i piedi anteriori sono muniti di quattro dita, quelli posteriori di cinque. Le dita sono in alcuni collegate fra loro da una membrana natatoria e sono fornite di forti unghie. Il pelame si presenta dovunque della stessa lunghezza e tutt'al più si allunga in un ciuffetto all'estremità delle orecchie, o si infoltisce alla coda.

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Le differenze somatiche di questo ordine di animali sono comunque grandissime e si può dire che l'unico carattere che veramente li accomuni sono i grandi denti roditori. Questi denti sono notevolmente più grossi di tutti gli altri, curvati ad arco, quelli superiori sono sempre molto più torti di quelli inferiori, taglienti come uno scalpello, triangolari o quadrangolari alla radice; in alcuni piani, in altri convessi, lisci o scanalati e di colore bianco o giallognolo o rossiccio; la superficie esterna è rivestita di uno smalto duro come il ferro. I denti dei roditori hanno infine un altro grande vantaggio rispetto ai denti di tutti gli altri mammiferi, ed è il fatto che possono crescere illimitatamente. La loro radice è in un alveolo scavato profondamente nella mandibola, che contiene nella sua estremità posteriore, in una insenatura imbutiforme, un germe sempre attivo che serve a riprodurre senza interruzione il dente, via via che si logora. L'affilatura del dente si conserva col continuo sfregamento dei denti l'uno contro l'altro; le due mascelle possono agire solo perpendicolarmente dall'avanti all'indietro.

Si può facilmente rendersi conto della verità della nostra affermazione sull'illimitata e continua crescita dei denti in questi animali, rompendo a un coniglio uno dei suoi denti roditori. Si vedrà allora il dente opposto crescere tanto più rapidamente perché l'animale non lo può più logorare con quello superiore, poi lo si vedrà sporgere fuori dalla bocca a forma di arco e infine incurvarsi come un corno, disturbando e spesso rendendo impossibile il lavoro degli altri denti e quindi la nutrizione dell'animale. Le labbra dei Rosicanti sono ornate da lunghi mustacchi.

In alcune specie, all'interno delle guance, si trovano delle borse che si estendono fino alla zona delle spalle e che servono all'apertura di queste borse quando devono essere riempite; per lo svuotamento, invece, provvede l'animale con la pressione delle zampe anteriori sulla superficie esterna delle guance. Molto sviluppate appaiono le ghiandole salivari. Lo stomaco è formato da due scompartimenti comunicanti fra loro per mezzo di un canale stretto. La lunghezza degli intestini è pari a sette volte quella del corpo. Le ovaie della femmina sboccano in un utero a forma di intestino, che prosegue con una lunga vagina.

Le facoltà intellettive di questi animali sono poco sviluppate. Essi comparvero sulla terra all'inizio dell'epoca terziaria, ma all'epoca diluviale erano già numerosissimi. In merito alla loro diffusione sulle varie zone della terra, ritengo sia bene riferire integralmente quanto ebbe a scrivere il Blasius: «In mezzo alla neve e ai ghiacci eterni, in tutti i luoghi ove ancora un caldo raggio di sole dà per poche settimane una vita breve e stentata alla vegetazione, nelle tranquille e solitarie alture nevose delle Alpi, nelle vaste e deserte steppe del Nord, si trovano rosicanti. Ma quanto più ricca ed ubertosa è la vegetazione, tanto più vivace e moltiplicata è la vita di quest'ordine di animali, che non lasciano inabitato un solo cantuccio della terra».

 

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Anche il modo di vita di quest'ordine di animali è estremamente variato. Vi sono alcune specie assolutamente arboricole ed altre terrestri; alcune vivono nell'acqua, altre in gallerie sotterranee che scavano esse stesse; altre ancora nelle boscaglie o in campi aperti. Sono tutti animali vivaci che, a seconda del luogo in cui vivono, sanno meglio arrampicarsi o correre, saltare, scavare o nuotare. Hanno i sensi molto acuti, sono allegri e vivaci, ma sono anche paurosi; non sono tuttavia mai astuti né cauti. Soltanto alcuni di essi, delle vere eccezioni, manifestano cattiveria, ostinatezza e ferocia, come ad esempio, i topi. Alcuni vivono in coppie, altri in famiglie, altri ancora in schiere e gruppi; vivono d'accordo anche con altri animali, ma non si affezionano ad essi. Spaventati o nel pericolo, con la maggiore velocità possibile, si nascondono nella loro tana.

I Rosicanti si cibano fondamentalmente di sostanze vegetali: radici, scorze d'albero, foglie, frutta di ogni tipo, erbe, tuberi, farinacei e persino fibre legnose. Alcuni si cibano anche di sostanze animali e sono dei veri e propri carnivori. Le specie più deboli usano radunare nelle proprie tane numerose provviste che consumano poi nei mesi d'inverno. Fra i mammiferi, i Rosicanti rappresentano gli architetti e alcuni di essi erigono dimore veramente artistiche, che da secoli formano oggetto di grande ammirazione per gli uomini. Molti passano l'inverno in un sonno letargico durante il quale consumano per le calorie necessarie alla vita, il grasso abbondantemente ammassato sotto la loro pelle durante l'estate.

L'importanza della vita della natura di questo ordine di animali è grandissima. Se non fossero soggetti a morte di varia natura, l'intero globo sarebbe da essi conquistato e saccheggiato. Comunque, essi fronteggiano con la straordinaria prolificità, di cui sono dotati, la guerra di sterminio che uomini e animali conducono contro di loro.

Una sola coppia di rosicanti può, in un anno, generare migliaia di piccoli, che in poco tempo sono in grado di coadiuvare i genitori nella terribile azione di distruzione e di rapina. L'uomo, perciò, nella lotta che conduce a questi animali, agisce in stato di legittima difesa.

Solo pochissime specie sanno affezionarsi all'uomo e pochissime quindi meritano di venire addomesticate. Di alcuni rosicanti si adoperano la carne e la pelle. Delle numerose famiglie, in cui alcuni naturalisti suddividono l'ordine dei Rosicanti, elenco qui di seguito le principali.

 

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CASTORI

CASTORO (Castor fiber)

Esso costituisce da sé solo una propria famiglia. Si è tentato di unire a lui l'Ondatra ed il Miopotamo, ma i due animali a motivo della maggiore affinità colle arvicole, coi mesomidi e coi muriformi, furono di nuovo divisi dal Castoro.

Alcuni naturalisti credono che il Castoro d'America si debba dividere da quello d'Europa ed hanno perciò chiamato quello Castor americanus; ma, siccome la differenza tra i due animali è minima, altri ascrivono ad un'unica specie il Castoro, abiti pure l'America, l'Asia o l'Europa. Il nostro Castoro è conosciuto fin dall'antichità più remota.

Eliano lo chiama Castor, Plinio Fiber Linneo riunì le due denominazioni nel nome scientifico ora adottato. Dagli antichi scrittori non impariamo gran che: Aristotile dice che, come la lontra, va a cercare il cibo nei laghi e nei fiumi. Plinio parla degli effetti del grasso di castoro. Dice anche che esso morde ferocemente e non lascia l'uomo prima di avergli rotto le ossa, che abbatte gli alberi come se possedesse una scure, che ha la coda di un pesce, mentre nel resto rassomiglia alla lontra.

Abbiamo anche la famosa descrizione del vescovo d'Upsala, Olaus Magnus, nella quale abbondano gli errori e le più strane favole relative a questo animale. Il vescovo riferisce che, contrariamente a quanto afferma il Solinus, che ritiene le acque del Mar Nero le sole adatte alla riproduzione ed al soggiorno del Castoro, questo vive in gran numero sul Reno e sul Danubio, sulle paludi della Moravia e sui fiumi del settentrione assai meno esposti al traffico della navigazione. Nel nord il Castoro fabbrica sui fiumi le sue portentose abitazioni. I castori, osservati durante il lavoro, si vedevano andare in società ad abbattere un albero lo recidevano coi loro denti e lo portavano al loro accampamento. Per far ciò vi era un vecchio castoro facchino, sempre pronto: esso veniva gettato a terra, gli si legavano le legna tra le zampe anteriori e le posteriori, lo si trascinava fino al punto ove si compivano i lavori, e, dopo averlo scaricato del peso, si riportava al punto ove altra legna attendeva di essere caricata. I denti del Castoro sono talmente taglienti che recidono un albero come un coltello bene affilato.

La casa consiste in due o tre camere ben sovrapposte e fabbricate in modo che il corpo resti fuori dell'acqua, mentre la coda vi rimane immersa. Questa coda è squamosa, come quella dei pesci, ha la pelle coriacea e costituisce uno squisito e prelibato boccone per chi è debole di stomaco.

Il Castoro è molto utile. Secondo l'altezza più o meno grande delle sue case, fa prevedere lo stato futuro delle acque, e i contadini saprebbero se debbono o no coltivare i campi sino alla sponda del fiume, se osservassero, appunto, la misura di dette case, perché, certamente, i terreni sulla riva saranno inondati, se il Castoro fabbrica molto alto.

Il suo pelame è morbido e soffice e lo difende meravigliosamente contro il freddo rigoroso; è anche bellissimo come ornamento delle vesti. Gli antichi scrittori abbellirono di nuove aggiunte le fandonie che già si narravano a proposito dei castori: Marius, medico in Ulma ed in Augusta, scrisse nel 1640 un libriccino di ricette a proposito delle virtù salutari del Castoro. Frank lo arricchì nel 1685.

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La pelle ed il grasso, il sangue, i peli, i denti, i testicoli dell'animale vengono considerati farmaci eccellenti. Con il pelo si confezionano cappelli che preservano da malattie; i denti, appesi al collo dei bambini, facilitano la dentizione; il sangue è applicato agli usi più diversi.

Nessun animale è scemato rapidamente come il Castoro. Oggi l'area di diffusione è ancora assai estesa. Anticamente, però, la sua patria era molto più vasta. Si è creduto riconoscerlo nei geroglifici egiziani e perciò si ritiene esistesse in Africa. La religione dei Magi indiani proibisce di uccidere i castori, quindi anche in India avranno dimorato. In Francia ed in Germania se ne trovano. In Inghilterra sono stati distrutti. Ora, per quanto raro, si trova lungo il corso dei più grandi fiumi, ma dappertutto va diminuendo. Viveva ancora presso l'Elba prima del 1848 ed in numero imponente, essendo protetto dalle leggi sulla caccia; ma da che ogni contadino lo perseguita, il Castoro va rapidamente scemando. In Europa, i luoghi ove vive ancora in numero ragguardevole, sono l'Austria, la Polonia, la Svezia e la Norvegia.

Questo rosicante è assai più comune in Asia che in Europa. I grandi fiumi della Siberia ne posseggono ancora in gran numero e neppure è raro nei piccoli corsi d'acqua che si vanno a scaricare nel Mar Caspio.

In America è molto diminuito di numero, in conseguenza della persecuzione di cui è fatto oggetto. La Hontax, che viaggiò in America circa due secoli or sono, racconta che nei boschi del Canadà non si poteva andare per pochi chilometri senza imbattersi in una colonia di castori. Presso gli stagni, i cacciatori hanno molto da fare per tutto l'anno. Naturalmente, se si pensa che solo dal Canadà, per parecchi secoli, vennero esportate ogni anno più di 4.000 pelli di castoro, si comprende facilmente come il numero di questi animali sia in forte diminuzione.

Il Castoro è urlo dei più grossi rosicanti. Nei maschi adulti, la lunghezza del corpo può raggiungere 75 o 90 centimetri, quella della coda 30 centimetri, l'altezza al garrese è di 28 centimetri, il peso può variare da 20 a 25 chilogrammi. Tra il castoro che abita l'America e quello del continente antico esiste un'unica differenza nella linea facciale, che è più arcuata nel primo e nella pelliccia più scura. Il corpo è tozzo e forte, più grosso dietro che davanti; il dorso arcuato, il ventre penzolante, il collo grosso e corto, la testa larga di dietro, più sottile sul davanti, piatta sul cranio, con un muso breve ed ottuso; le zampe corte sono robustissime, più lunghe le posteriori; i piedi hanno cinque dita e i posteriori sono palmati fino all'unghia con una larga membrana.

La coda che non si distingue chiaramente dal tronco è tondeggiante alla radice, appiattita nel mezzo e larga sino a 13 centimetri, quasi tagliente ai margini e, vista di sopra, di forma ovale.

Le orecchie, allungate e tondeggianti, sono piccole e brevi, quasi nascoste nel pelame, pelose dentro e fuori e possono venire adagiate sulla testa in modo da avere quasi perfettamente chiuso il condotto uditivo. Gli occhi sono piccoli e distinti per una membrana nititante. La pupilla è verticale. Le narici, munite di cartilagini rigonfie, possono venire anche chiuse; lo squarcio della bocca è piccolo, largo il labbro superiore, solcato nel mezzo. Il Castoro è tutto ricoperto di peli ad eccezione delle piante dei piedi, della membrana interdigitale, e degli ultimi due terzi della coda. Il pelame consiste in una lanugine foltissima, arricciata, sericea, con setole scarse, lunghe, dure e lucide, brevi sulla testa e sulla parte inferiore del dorso; sono lunghe cinque centimetri sul resto del corpo. Sul labbro superiore si trovano alcune file di setole fitte e dure, ma non ugualmente lunghe. Il colore della parte superiore è bruno-castano-cupo tendente al bigio. La parte inferiore è più chiara: la lanugine, di un bianco argenteo alla base, passa alla punta al bruno-gialliccio. I piedi hanno un colore più fosco di quello del corpo, la coda alla radice è coperta per un terzo da lunghi peli, nuda nel rimanente e coperta da piccole squame cutanee piatte, tondeggianti, fra le quali spuntano alcuni peli duri, diritti, rivolti all'indietro. Il colore di quella parte nuda è un pallido-bigio-nericcio, con sfumatura azzurrina.

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Raramente si trovano castori bianchi o macchiettati. La struttura interna del corpo presenta molte singolarità. I denti incisivi, d'un giallo zafferano, sono grossi e robusti, piani davanti, lisci, quasi triangolari, a guisa di scalpello. Essi sporgono molto fuori dalle mandibole. Quattro molari formano il rimanente della dentatura. Dieci vertebre sono dorsali, nove formano la parte lombare, quattro il sacro e ventiquattro la coda. Le ossa sono tutte forti e larghe e sostengono fortissimi muscoli. Sviluppatissime sono soprattutto le parotidi e lo stomaco, lungo, bipartito da uno stringimento, è ricchissimo di ghiandole. Gli organi genitali e quelli orinari sboccano nell'intestino retto. Nei due sessi si trovano nella parte inferiore della cavità ventrale, presso l'ano e alle parti genitali, due ghiandole secernenti, divise l'una dall'altra, che sono note come borse del castoro.

Le parti interne di queste ghiandole sono ricoperte da una membrana mucosa, che è divisa in pieghe e borsette a foggia di squame. La storia naturale del Castoro si riassume come segue: il Castoro vive nei luoghi già descritti, per lo più in coppie e in piccole o grandi famiglie nei luoghi più solitari.

Lo si trova ora molto raramente nelle terre abitate e in tal caso, come la lontra, vive in semplici gallerie sotterranee, senza pensare ad erigersi palazzi. Il forestale di Meyerink, che per molti anni osservò le colonie dei castori, ne dice quanto segue: «Ora abitano ancora là parecchie coppie di castori in tane che rassomigliano a quelle del tasso; sono lunghe da 10 a 20 metri, sboccano sul livello dell'acqua ed hanno anche uscite verso terra. Le case dei castori misurano trenta o quaranta passi e sono formate da mucchi di grossi rami che tagliano dagli alberi vicini e scorzano perché se ne cibino. Nell'autunno i castori ricoprono le case di melma o di terra argillosa tolta dalla sponda del fiume ed applicata con l'aiuto dei piedi e del petto. Quelle case sembrano un forno ove si cuoce il pane: esse non servono al Castoro come abitazione, ma per rifugiarsi se lo straripamento dell'acqua lo scaccia dalle gallerie.

Si è notato perfino che, a volte, nell'estate, preparano argini per fronteggiare delle inondazioni. I castori avevano scelto nel fiume un piccolo rialzo, da ogni parte del quale gettarono nell'acqua grossi rami, colmando gli interstizi con fango e canne. L'argine fu, a volte, rovinato; ma nella notte successiva venne riparato».

Alle osservazioni del Meyerink è utile aggiungere le osservazioni del dottor Sarazin, che visse per più di vent'anni nel Canadà, quelle di Hearne, che passò tre anni nella baia di Hudson e quelle del principe di Wied. Essi affermano che i castori scelgono per dimora un ruscello, le cui sponde giudichino adatte alla costruzione delle loro case, ed un luogo ricco di sostanze alimentari.

La prima operazione è quella di fabbricare un argine per rialzare il livello dell'acqua in modo che giunga sino al suolo delle loro capanne.

L'argine, largo alla base da tre a quattro metri, va assottigliandosi verso la cima fino a 60 centimetri circa. Per questo lavoro scelgono generalmente legni grossi e lunghi da 60 centimetri a due metri, li piantano saldamente nel suolo, badando a mettere i legni molto accostati, poi introducono in mezzo dei pezzi più piccoli e più pieghevoli, otturando i vuoti con del fango. Lavorano così man mano che l'acqua si eleva e smettono, quando questa raggiunge il livello del suolo.

L'argine è così saldo che ci si può camminare sopra con sicurezza; i castori tappano immediatamente col fango ogni buco che osservano. L'acqua è mantenuta sempre ad un livello di almeno un metro e venti centimetri al disopra delle gallerie in modo che nell'inverno il ghiaccio non possa arrivare a chiuderne l'imboccatura. Se l'acqua scarseggia, l'argine è diritto; ma se vi è una discreta corrente, l'argine fa un arco in quel senso. Al di sopra dell'argine, sulla parte meridionale dell'isola, spesso anche in mezzo al fiume, i castori fabbricano, sopra uno strato di palafitte, i loro castelli.

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Scavano gallerie oblique dalla sponda verso l'alto, e sul rialzo fabbricano una collinetta somigliante ad un forno da pane, alta da 1 a 2 metri con un diametro di 3 o 4 metri e munita di pareti molto robuste, formate di pezzi di legno grossi e resistenti, gettati giù alla rinfusa e collegati tra loro da un misto di sabbia e di fango. Questa dimora ha una camera a volta come un forno; il pavimento è sparso di ramoscelli. Accanto all'apertura si trova un granaio, dove sono ammucchiate le provviste, come radici e ramoscelli, in quantità considerevole.

I castori lavorano diligentemente all'abitazione ed ammassano provviste finché non venga loro impedito dal ghiaccio l'andare in cerca di cibarie. Se l'acqua sale troppo in alto, essi fanno un buco nella cupola e scappano. Spesso i castori restano nella stessa casa per tre o quattro anni: a volte ne fabbricano una nuova accanto a quella vecchia e talora collegata con essa. Alcuni naturalisti affermano che il Castoro si serve della coda come del principale strumento da costruzione; ma Hartwright, il più fedele e sicuro osservatore, pensa invece che il Castoro usi i piedi per appianare le pareti.

Naturalmente solo i castori riuniti in società fabbricano vasti argini e grandi castelli; quelli che vivono soli, si scavano, come le lontre, semplici tane.

Il Castoro prepara con i denti il materiale da lavoro; taglia nettamente, d'un colpo rami di 26 millimetri di spessore, butta giù i fusti, rosicchiandoli tutto all'intorno, ma più profondamente dalla parte del fiume in modo che cadano da quella parte, nell'acqua. Le tracce del suo lavoro consistono in numerose schegge a forma di squame, che sembrano recise in modo così netto come se fossero state prodotte da uno strumento d'acciaio. A volte il Castoro taglia dei tronchi di più di 30 centimetri di diametro e li fa cadere. Il principe di Wied dice che i guardaboschi erano addoloratissimi dei danni fatti dal Castoro; si trovavano, infatti, buttati giù e ammassati alla rinfusa dei meravigliosi pioppi di 45 centimetri di diametro. Gli alberi vengono dapprima spogliati dei loro rami, poi ritagliati in pezzi grossi che vengono usati come pali; i ramoscelli, invece, vengono utilizzati per costruire le pareti dei palazzi dei castori. Tutta la brigata divora la corteccia oppure la ripone per l'inverno. Un osservatore ebbe la fortuna di vedere un castoro con la sua famiglia. Egli così riferisce: «Nel crepuscolo, la famiglia si mosse rapidamente nell'acqua e si avvicinò alla sponda. La madre fu la prima ad approdare e, dopo essersi lungamente fermata per accertarsi che non vi fosse alcun pericolo, si avviò fra i salici; dietro di lei trottavano tre piccini che potevano avere la mole di gatti giunti alla metà del loro sviluppo somatico. Appena furono penetrati nella macchia, si udì il rumore di un energico rosicchiare e poco dopo cadde un fusto. Allora, tutta la famiglia si affrettò a recidere i rami, forse per mangiare subito la scorza. Dopo alcuni minuti ricomparve la madre che portava fra i denti la cima di un piccolo tronco di salice. Anche i piccini aiutavano a portarlo nell'acqua. Dopo essersi un po' riposata, tutta la brigata riprese il carico e, con gran fretta e senza più riposare, nuotò via con la sua preda per il medesimo cammino da cui era venuta».

Altri raccontano che parecchi castori portarono nell'acqua un grosso tronco con i denti, ma dopo averlo diviso in tanti pezzi lunghi da 1 a 2 metri. I castori preferiscono per le loro costruzioni e come cibo i salici, i pioppi, gli ontani, le betulle.

Il Castoro, come tutti i rosicanti, è più attivo di notte che di giorno. «Poco dopo il tramonto», dice Meyerink, «abbandonano le loro gallerie, fischiano con forza e balzano rumorosamente nell'acqua. Nuotano per qualche tempo intorno al castello con maestria e rapidità sia che seguano la corrente, sia che la risalgano e non escono dall'acqua prima di essersi assicurati che nulla li minacci. Una volta approdati, si allontanano circa cinquanta passi per andare in cerca di alberi da mangiare o per rimediare il materiale per fabbricare. Anche d'inverno vanno, di notte, in cerca di alimento; tuttavia, a volte, per una o due settimane, non abbandonano le loro abitazioni, e si contentano di mangiare la corteccia dei pezzi di salici portati nell'autunno dentro le loro gallerie».

Il Castoro non è poi rozzo ed impacciato come potrebbe sembrare a prima vista.

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Nell'acqua si muove con sveltezza e rapidità. Nuota con le zampe posteriori usando la coda come timone; porta le zampe anteriori protese sotto il mento. A terra corre in modo goffo; il suo incedere, le sue mosse ricordano quelle del criceto. Per esplorare intorno, si drizza sulle zampe posteriori, e per mangiare, siede diritto e prende i rami tra le zampe anteriori, facendoli ruotare per roderne la scorza.

Il Castoro, in libertà, è un animale estremamente timido e pauroso; anche durante i suoi pasti preferisce avere pronta una via di scampo ed è proprio per questa ragione - e non per una sua particolare disposizione poetica - che preferisce mangiare seduto vicino ad acque profonde verso cui volge il suo muso, pronto a fuggire al minimo segno di pericolo. Durante la notte, poi, si assicura una continua, attenta sorveglianza, ponendo numerose sentinelle pronte ad avvisare i compagni con un particolare scoppiettio della lingua. Tutti i sensi del Castoro sono molto sviluppati, ma soprattutto la vista, l'olfatto e l'udito possono essere considerati eccellenti. E' straordinariamente abile nel nuoto. I suoi denti sono un'arma terribile che gli dà la supremazia su molti altri animali. Gli osservatori delle abitudini di vita del Castoro e delle sue caratteristiche particolari affermano che con un morso esso è in grado di staccare netta la zampa di un cane che lo insegua.

Ad eccezione della lontra, che insidia i piccoli del castoro con furberia e circospezione riuscendo spesso a penetrare nel castello turrito, si può affermare che questo non ha altri nemici temibili fra gli animali; mentre l'uomo resta sempre il suo nemico numero uno. A seconda dei luoghi di abitazione, il Castoro ha diversi periodi per l'accoppiamento; infatti alcuni naturalisti affermano che questo avvenga all'inizio dell'inverno, altri invece indicano i mesi di febbraio e di marzo come il periodo dell'amore di questi animali. Il periodo dell'accoppiamento è comunque molto importante per la caccia, in quanto il Castoro innamorato è l'esca migliore per la cattura di altri individui affini.

L'Audubon ci dà informazioni precise su questo tipo di caccia: il Castoro innamorato - racconta il naturalista - scarica in un luogo determinato le sue ghiandole; un altro individuo, adescato dall'odore, ricopre con la terra l'untume deposto dal primo e vi aggiunge il proprio e così agisce un terzo castoro e poi un quarto in modo che spesso vengono formati dei veri e propri monticelli di quella materia che emanano un fortissimo odore. Generalmente le trappole per i castori vengono appunto unte con il contenuto di quei monticelli, cosicché, attratti dall'odore, facilmente i castori vengono presi nelle trappole mentre si preparano a scaricarvi sopra il contenuto delle loro glandole.

La femmina partorisce dopo due o quattro mesi, e generalmente deposita da due a quattro piccini, ciechi, li allatta per un mese e vigila su di essi con tenerezza ed affetto. In questo periodo il maschio, che vive con una sola femmina ed a questa rimane fedele, si allontana da casa e va a vivere in qualche galleria vicina alla sua vecchia abitazione. Dopo quattro settimane di vita i piccoli sono già in grado di mangiare i ramoscelli teneri che la madre porta loro e dopo sei settimane escono già dalla tana. All'età di due anni i castorini sono atti alla riproduzione. Essi rimangono nella casa dei loro genitori, i quali si costruiscono invece una nuova dimora poco lontano.

Presi giovani, i castori sono facilmente addomesticabili. Hearne racconta di aver avuto parecchi castori così bene addomesticati che correvano alla sua chiamata, lo seguivano come cani e si rallegravano delle sue carezze. Essi si trovavano particolarmente bene in compagnia delle donne e dei bambini, tanto che si rattristavano se questi rimanevano troppo a lungo lontani e facevano grandi feste al loro ritorno. I castori di Hearne, poi, tenevano la loro camera molto pulita e in ordine e in qualunque stagione, anche durante il più rigido freddo, andavano a deporre i loro escrementi fuori di casa. Si nutrivano di carne, di pesce e di frittelle di riso.

Anche Buffon ebbe per lunghi anni un castoro addomesticato; in verità questo non si affezionò mai a nessuno in particolare, tuttavia era mansueto e si lasciava prendere in braccio. Quando Buffon era a tavola, esso si avvicinava e chiedeva qualcosa da mangiare con una voce flebile e lamentosa e con un cenno della zampa e tutto ciò che gli veniva dato se lo portava via e lo mangiava di nascosto.

Per porre un freno alla progressiva distruzione di questi animali, dato l'alto numero di vittime della caccia di frodo, sono stati istituiti in parecchi luoghi dei veri e propri «vivai» di castori. Ne esistono in Boemia, in Russia, in Austria, in Germania, in Baviera e in molti altri Paesi e con questi si cerca di far fronte alle stragi compiute dai cacciatori che, come dicevamo, fanno ai castori una caccia accanita e più o meno autorizzata. Infatti i vantaggi che offre la caccia al castoro sono enormi: la sua carne è ottima, la pelliccia pregiata e con le setole si ottengono cappelli e guanti di ottima qualità. Molti popoli selvaggi dell'America attribuiscono ai castori una intelligenza di poco inferiore a quella dell'uomo e assicurano che essi hanno un'anima immortale; noi pensiamo che queste affermazioni siano un po' esagerate!

 

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DIPODI

Questi animali, che per la struttura del corpo ricordano vivamente i canguri, rappresentano la nona famiglia. E' evidente in essi la sproporzione fra le zampe anteriori e quelle posteriori così come nei canguri: il rapporto tra le zampe davanti e quelle di dietro è di uno a tre. Anche la coda somiglia a quella dei canguri, è altrettanto lunga e dotata all'estremità di un ciuffo. La testa, invece, è completamente diversa: è grossa e munita di mustacchi abbastanza lunghi - comunque più lunghi che in qualsiasi altro mammifero - e spesso tali da raggiungere la lunghezza del corpo.

I Dipodi hanno occhi rotondi e grandi, indici della loro vita notturna. Sono animali vivaci e graziosi. Le orecchie sono di media grandezza, erette a forma di cucchiaio e di una lunghezza che varia fra un terzo e il totale della lunghezza della testa; il collo è grosso e rigido. Le zampe anteriori terminano con 5 dita, quelle posteriori sono fornite di tre dita con uno o due rudimenti posteriori. Il pelame è folto e morbido, generalmente color sabbia.

La struttura interna presenta molte particolarità: il cranio si distingue per l'ampiezza e per i grandissimi condotti uditivi; le vertebre del collo sono saldate in un solo pezzo; la colonna vertebrale è formata di 11 o 12 vertebre dorsali; 7 o 8 vertebre lombari; 3 o 4 vertebre sacrali; il numero delle vertebre caudali arriva a volte a 30. La parte più notevole di tutto lo scheletro è il tarso: i diversi ossi posti l'uno accanto all'altro si fondono in un solo osso lunghissimo alla cui estremità si trovano le articolazioni delle dita; questa conformazione è particolare alla classe degli uccelli, ma assente in ogni altro mammifero. La dentatura somiglia a quella degli altri rosicanti: il numero dei molari è generalmente di tre per ogni serie, ma a volte si trova anche un rudimento di dente prima dei veri molari; gli incisivi sono lisci in alcuni, in altri sono solcati.

I Dipodi abitano l'Africa e l'Asia; alcune specie si trovano anche nel sud-est dell'Europa e due generi sono propri dell'America settentrionale. Vivono negli spiazzi nudi, nelle steppe erbose e negli aridi deserti. La dimora dei Dipodi è generalmente scavata in terreni argillosi e sabbiosi, raramente sulle alture, più spesso sull'orlo folto e cespuglioso delle praterie. Una specie vive anche in montagna. Passano il giorno nelle loro tane sotterranee, che si ramificano in numerose gallerie e che sboccano in un notevole numero di uscite. Al crepuscolo escono dal covo e cominciano la loro allegra vita notturna. I Dipodi vivono in società; il loro cibo consiste in radici, tubercoli, grani e semi, frutta, foglie, erba. Alcuni rodono anche la corteccia dei cespugli e molti divorano insetti, uccelli e perfino carogne. Per mangiare assumono una posizione semi-eretta, stanno seduti sulle zampe posteriori e si puntellano sulla coda; portano il cibo alla bocca con le zampe anteriori. Il loro incedere è veramente singolare: a differenza dei canguri, i Dipodi procedono collocando una zampa davanti all'altra, alternandole rapidamente; ma quando corrono affidano la loro fuga alle sole zampe posteriori con le quali spiccano dei notevoli salti, mentre con la coda pelosa dànno alla corsa la direzione voluta. Le zampe anteriori, durante le fughe, stanno o sotto il mento o conserte sul petto ed è a questa particolare posizione che questo animale deve il suo nome di Dipus, ossia bipede.

La specie più grande dei Dipodi è in grado di spiccare salti della lunghezza di circa sei metri; e tutti comunque possono superare con un salto una distanza di circa venti volte superiore a quella del loro corpo. I salti si susseguono rapidamente e, quando l'animale è al massimo della velocità, non si vede altro che un oggetto giallo che fende l'aria come una freccia. Mentre pascolano, camminano, come il canguro, sulle quattro zampe; sedendo, si posano sempre sulla pianta delle estremità posteriori.

In tutte le specie sono notevolmente sviluppati tutti i sensi e particolarmente l'udito e la vista. Sono timidi paurosi e pronti alla fuga. La specie più grande se aggredita, si difende colpendo l'avversario con le zampe posteriori come fanno i canguri; le specie più piccole, invece, non fanno mai uso delle loro armi naturali e preferiscono darsi a fuga precipitosa in direzione della loro tana. La voce dei Dipodi è una specie di miagolìo; alcuni, però, emettono un cupo grugnito; tuttavia, difficilmente questi animali fanno udire la loro voce.

Ai primi freddi cadono in letargo o comunque si addormentano per qualche tempo; ma in nessun caso ammassano vettovaglie nei depositi come fanno gli altri rosicanti.

Difficilmente i Dipodi si adattano alla prigionia, anche a causa della delicatezza del loro corpo. Comunque nel breve tempo in cui riescono a sopravvivere, essi si dimostrano dei piacevolissimi compagni per l'uomo: sono mansueti, innocui e allegri. La carne di questi animali è gustosissima e la pelle abbastanza pregiata. La famiglia dei Dipodi viene generalmente divisa dai naturalisti in sei generi.

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TOPO DEL LABRADOR (Neozapus labradorius)

E' il primo del genere dei dipodi che si presenta alla nostra osservazione. Vive nell'America settentrionale. Per la conformazione del suo corpo il Topo del Labrador si avvicina molto ai dipi propriamente detti, ma per il pelame e per la coda ci ricorda molto i topi. La sua corporatura è quasi uguale a quella del Ratto selvatico (Mus Sylvaticus), essendo questa una delle specie più piccole della famiglia. Il corpo è allungato, più grosso dietro che davanti, il collo è anch'esso lungo e grosso; la testa è lunga e sottile; il muso, di una lunghezza media, è piuttosto aguzzo; il naso è peloso, la bocca piccola; le orecchie di media grandezza e di forma ovale, tondeggianti all'apice; gli occhi sono piuttosto piccoli, i mustacchi non oltrepassano la lunghezza del capo. Le zampe anteriori sono cortissime, sottili e terminano con un piede munito di 4 dita e di un rudimento di pollice; le zampe posteriori sono tre volte più lunghe di quelle anteriori, ben proporzionate ed hanno al piede cinque dita di cui le due esterne più corte delle tre mediane. Tutte le dita sono munite di unghie sottili e ricurve, ad eccezione del rudimento di pollice che ha un'unghia piatta. La coda è lunghissima, tonda, sottile fin dall'attaccatura, va via via assottigliandosi fino a terminare in una punta aguzza; è cerchiata, squamosa e coperta di pochi peli. Il pelame, sul corpo, è invece folto e liscio e ricorda quello del nostro arvicola campagnolo. Nella parte superiore è di colore bruno-scuro, misto di giallo-bruno; anche sui fianchi il colore è bruno-giallo con sfumature nere, mentre è bianco nella parte inferiore del corpo; le orecchie sono esternamente brune. D'estate, a volte, il colore giallo-bruno dei fianchi occupa una zona molto estesa, ma d'inverno scompare ogni traccia di gialliccio, per lasciare il posto a una tinta omogenea bruno-scura. Le orecchie sono coperte esternamente da peli neri e gialli; gli orli della bocca sono invece bianchi; i piedi posteriori sono bigi, quelli anteriori bianchi. La lunghezza del corpo di questo animale è di dodici centimetri; la coda misura 15 centimetri e l'altezza al garrese è di soli 5 centimetri. Il Topo del Labrador vive nell'America settentrionale, nel Labrador, nel Canadà, fino al Lago degli Schiavi, e forse anche più a nord è possibile incontrare questo grazioso animale. La sua tana, profonda circa 50 centimetri, viene scavata generalmente al margine delle praterie, nelle fitte boscaglie, vicino ai boschi. E' un animale notturno, che trascorre il giorno nascosto nella sua tana e che di notte vaga in società in cerca di cibo. All'inizio dell'inverno, quest'originale animale si ravvolge in una palla di argilla, tenendo la coda ben stretta intorno al corpo.

Si racconta che una volta un giardiniere del Labrador, scavando, trovò, alla profondità di circa 50 centimetri, una palla di terra così ben fatta che rimase ammirato a guardarla; poi, preso un piccone, la divise in due parti e trovò dentro, ben raggomitolato e addormentato, il Topo del Labrador. In estate, invece, esso è vivacissimo, saltella qua e là gioiosamente, stando ritto sulle zampe posteriori.

Il Davis fece a sue spese l'esperienza della velocità che questo animale è capace di raggiungere durante la fuga, impiegando più di un'ora a catturarne un esemplare, benché fosse aiutato in questa strana battuta da altri tre uomini. L'animale - a quanto racconta Davis - spiccava salti di 30 centimetri di altezza e di un metro o un metro e mezzo di lunghezza, e si lasciò prendere solo quando fu stanchissimo. In un bosco sarebbe assolutamente impossibile prenderne uno, a causa della facilità con cui si insinua nei cespugli.

 

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Il Topo del Labrador si addomestica facilmente ed anche per il tipo di cibo di cui si nutre non presenta alcuna difficoltà al padrone. Ci gioviamo a questo proposito dell'esperienza dell'Audubon che racconta: «Possedetti una femmina dalla primavera all'autunno. Pochi giorni dopo che si trovava in schiavitù, essa si sgravò di due piccini che crebbero bene e nell'autunno erano quasi completamente sviluppati. Gettai nella loro gabbia uno strato di terra di 30 centimetri ed essi si misero subito a scavare una tana con due uscite. Di solito erano silenziosi; ma se introducevo un topo nella gabbia, strillavano spaventati. Durante tutto il tempo in cui li tenni, dimostrarono sempre di essere paurosissimi. Tutto quello che trovavano nella gabbia lo nascondevano immediatamente nel covo. Di giorno rimanevano quasi sempre nascosti, ma di notte facevano un chiasso indiavolato. Mangiavano frumento, granoturco e grano saraceno. Scavavano numerosi magazzini che riempivano di cibarie; non appena uno era pieno, cominciavano subito a scavarne un altro».

Riguardo alla riproduzione, lo stesso Audubon afferma di aver trovato piccini in tutti i mesi estivi, per lo più in numero di tre e che questi si attaccano con tanta forza alle poppe materne che la madre è in grado di trasportarli dovunque tenendoli così aggrappati. Gli animali da preda del nord sono i peggiori nemici del Topo del Labrador. L'uomo non gli dà la caccia, non essendo la sua carne commestibile. Anche la sua pelliccia non è di alcun pregio, né può essere utilizzata.

Gli Altomidi o Dipi del deserto (Haltomys) sono gli animali che presentano nel grado più perfetto tutte le particolarità della loro famiglia.

Hasselquist notò che sembrano formati da diversi animali uniti insieme: «Si potrebbe dire che queste bestiole hanno la testa della lepre, i mustacchi dello scoiattolo, il grugno del maiale, il corpo e le zampe anteriori del topo, i piedi posteriori dell'uccello e la coda del leone».

Soprattutto interessante è la struttura del cranio degli Altomidi che caratterizza questi animali come abitanti del deserto. Vi si trova ampio spazio per tutti gli organi sensori. Il padiglione delle orecchie è grande e membranoso, poco coperto di peli è il meato uditivo che per mezzo delle ossa zigomatiche, singolarmente prominenti, è uno dei più particolari di tutta la classe dei mammiferi. Gli Altomidi hanno occhi grandi e vivaci con un'espressione dolce; le narici sono ampie e dilatate; il senso del tatto è degnamente rappresentato dai lunghissimi mustacchi posti a raggiera intorno ai due lati della testa. Il collo è corto e poco mobile, la coda lunghissima, molto più lunga del corpo, rivestita di peli intorno alla radice e munita all'apice di un ciuffo pennuto. Le zampe anteriori sono molto corte e durante il salto restano ben aderenti al corpo e quasi nascoste fra i peli. I piedi anteriori hanno solo quattro dita con unghie e un rudimento di pollice con o senza unghia; le unghie, poi, sono generalmente lunghe, ricurve, aguzze. Le zampe posteriori sono sei volte più lunghe di quelle anteriori ed hanno parimenti lunghi sia i tarsi che i femori. Ai tarsi sono articolate tre dita, di cui il medio è il più lungo. Le dita sono ricoperte di dure setole, più lunghe nella parte inferiore. Il pelame è morbido, sericeo, bigio-azzurrognolo sul dorso, più in basso color sabbia e nero o bruno-scuro verso le zampe; di sotto è bianco con strisce longitudinali sui fianchi. La radice della coda è bianca, a metà di un colore scuro e all'apice termina con un pennacchio bianco. La struttura interna presenta anche alcune strane somiglianze con quella degli uccelli; infatti, come in questi, anche negli Altomidi le grosse ossa della metà posteriore del corpo sono, negli individui adulti, cave e dure. Queste salde ossa sono mosse da muscoli robusti, cosa questa che spiega il perché la parte posteriore del corpo sembra tanto più grossa dell'anteriore. Le vertebre del collo sono in alcune specie saldate solo in parte, in altre completamente saldate.

E' notevole il fatto, che si osserva oltre che in questi, anche in tutti gli altri animali atti alla corsa, della straordinaria semplicità di conformazione del piede e della sua conseguente e relativissima mobilità.

Le tre dita del piede degli Altomidi hanno generalmente soltanto due falangi e sono molto corte; inoltre possono piegarsi soltanto dall'alto in basso, non avendo movimenti laterali. Correndo, sfiorano il terreno soltanto con la punta estrema della falange dotata di unghia. Le setole, lunghe e dure che si trovano sulle piante dei piedi, servono ad impedire che l'animale scivoli, correndo, e gli assicurano una salda base. In alcune specie si trovano attaccati al metatarso uno o due rudimenti di dita, che però non toccano mai il terreno. Le femmine hanno quattro paia di capezzoli: due si trovano sul petto, un paio sul ventre e l'altro all'inguine. I denti sono solcati.

 

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TOPO DELLE PIRAMIDI (Jaculus jaculus)

E' questa una delle tante specie che formano l'ordine degli altomidi. Il corpo del Topo delle Piramidi ha una lunghezza di 16 centimetri, e la coda misura 20 centimetri. Le orecchie hanno generalmente una lunghezza pari a due terzi di quella del capo, sono di un colore uniforme, all'esterno sono coperte di peli fulvi e internamente di corti e fini peli dello stesso colore. La coda, caratteristica di questo ordine, ha la forma di una freccia; la parte vicina all'attaccatura è coperta di peli corti di colore giallo-fulvo, più pallido al di sopra, bianchiccio di sotto; il fiocco terminale è bianco o nero. La parte superiore del corpo è color sabbia macchiettato di nero, la parte inferiore è bianca, come pure una larga striscia che parte dal dorso ed arriva trasversalmente sulle cosce.

Questi strani e graziosi animaletti hanno origini remotissime. Tracce della loro presenza ci giungono, attraverso i secoli, nelle prose e nelle poesie degli autori greci e latini. Plinio, Teofrasto ed Eliano ci parlano di «Topi bipedi» nelle loro opere. Perfino sulle monete e sugli ornamenti dei templi romani e pagani si trovano rappresentazioni figurate del Topo delle Piramidi. Esso è anche ricordato nella Bibbia, e Isaia minacciò di castigo coloro che lo mangiavano.

Il Topo delle Piramidi è un animale molto diffuso: vive in gran parte dell'Africa settentrionale e orientale, nell'Asia occidentale e giunge fino alla Nubia centrale. Abita le pianure asciutte, le steppe e i deserti; vive nei paesaggi più squallidi e desolati; e perfino dove sembra impossibile trovare traccia di vita a causa dell'aridità del suolo, lo si trova spesso in numerose società. In quei luoghi esso vive sovrano, dividendo il suo impero soltanto con la pernice del deserto e con il corrione isabellino. Scava le sue gallerie molto ramificate e poco profonde nel duro suolo ghiaioso. Tutta la società contribuisce al lavoro di scavo, servendosi delle proprie unghie affilate e talvolta anche dei denti acuti. A volte il Topo delle Piramidi fissa il suo domicilio fra le mura di qualche vecchio rudere di torre.

Nonostante l'elevatissimo numero di individui di questa specie, difficilmente è possibile vedere un Topo delle Piramidi. In realtà non si tratta di un animale molto pauroso, come alcuni naturalisti vogliono affermare, ma piuttosto di un animale assai irrequieto, che non sta mai fermo in uno stesso posto più di un minuto. Inoltre è difficile individuarlo anche stando a poca distanza da esso, perché il colore del suo pelame si confonde con quello della sabbia, cui somiglia perfettamente. Infine, i suoi sensi acutissimi gli permettono di avvistare il nemico, quando questo è ancora lontano. Si tratta, come abbiamo già detto, di un animale graziosissimo, i cui movimenti hanno una rapidità e velocità degna di un uccello e che destano grande meraviglia.

Quando cammina tranquillamente, il Topo delle Piramidi procede ponendo a terra un piede dopo l'altro in modo quasi umano; nella fuga, invece, procede a sbalzi rapidissimi cosicché sembra quasi che voli. Durante la corsa il corpo si mantiene in posizione quasi eretta, mentre la coda è tesa in linea retta all'indietro. E' assolutamente impossibile per un uomo raggiungere questo animale quando è in fuga, come è anche difficilissimo riuscire a prenderlo di mira e colpirlo.

In posizione di riposo, il Topo delle Piramidi siede comodamente sulle zampe posteriori, puntellandosi sulla coda e tenendo le zampe anteriori strette al petto come fanno i marsupiali. Si nutre di bulbi e di radici, di foglie, di frutta, di semi e persino di carogne e di insetti. E' un animale fondamentalmente notturno; capita tuttavia, a volte, di vederlo anche di giorno, durante le ore canicolari, seduto comodamente davanti alla sua tana, quando nessun altro animale oserebbe mettere il muso fuori del covo a causa del calore soffocante del sole africano. Esso teme invece molto di più l'umidità e il freddo e durante l'inverno cade in un torpore che somiglia molto al letargo degli animali del nord. Non si hanno nozioni precise sulla sua riproduzione. Gli arabi affermano tuttavia che la femmina si prepara una profonda camera rivestita con i peli della parte inferiore del suo corpo, nella quale depone da due a quattro piccoli.

 

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I più accaniti cacciatori di questo animale sono appunto gli arabi che, apprezzandone molto la carne, lo inseguono e lo prendono con vari metodi. Generalmente, però, usano un sistema semplicissimo: muniti di un lungo bastone si recano nelle zone maggiormente abitate dai topi delle piramidi; turano la maggior parte delle gallerie e pongono davanti all'unica uscita libera una rete. Poi cominciano a bucare con il bastone le varie gallerie in modo che il topo, impaurito, si precipiti verso l'uscita, dove rimane impigliato nella rete. In questo modo gli arabi riescono a prendere da dieci a venti individui in una sola volta.

Il Fennec e il Karakal, oltre all'uomo, sono agguerriti nemici di questo animale; ma il più spietato è certamente la vipera di Cleopatra (Uraeus haje), un serpente velenosissimo dell'Africa. Questa vipera abita proprio negli stessi luoghi in cui vive il Topo delle Piramidi, nella cui tana penetra con facilità, facendo poi strage degli abitanti indifesi.

Per mia esperienza personale posso affermare che è questo un animale facilmente addomesticabile e che mostra fin dall'inizio una grande fiducia nel padrone. Ne ho ricevuti, durante il mio soggiorno in Africa, a volte 10 o 12 al giorno. Io li mettevo in una grande stanza per poterli meglio osservare. Già dal primo giorno della loro vita in prigionia si lasciavano toccare e prendere in mano e bisognava anzi stare attenti a non pestarli quando si entrava nella loro stanza, tanto tranquilli rimanevano, malgrado la presenza di un uomo. Fra di loro, regnava la massima concordia; a volte si stringevano l'uno vicino all'altro, soprattutto quando faceva un po' fresco. Mangiavano volentieri i cavoli e i legumi e perfino le foglie di rosa. Generalmente i miei prigionieri dormivano tutto il giorno, dalla mattina presto fino alla sera tardi. Anche durante la notte, a volte, si riposavano un po', spesso per una mezz'ora, ma per il resto del tempo erano vivacissimi. Per dormire, questo animale prende un atteggiamento del tutto particolare: generalmente siede sui calcagni, tenendo le estremità dei piedi in aria molto divaricate; china la testa in giù in modo che la fronte tocchi il suolo e che il muso stia appoggiato al ventre; la coda forma una grande curva al di sopra dei piedi. L'animale, in questa posizione, somiglia ad una palla, dalla cui superficie spuntano solo i piedi e in questa posizione resta addormentato per tutto il giorno e fino alla tarda sera. A quell'ora esso si sveglia e comincia a far pulizia: si spiana le orecchie, fa udire la sua debole voce simile a un colpo di tosse, poi con un salto esce dal suo nido e dà inizio alla sua vita notturna. Molto del suo tempo lo impiega a tenere in ordine il suo pelame morbido: pettina e liscia un pelo per volta e anche la coda è oggetto di grandi attenzioni. Per compiere questa operazione si giova molto delle piccole zampe anteriori; afferra con le due zampette un pezzo di pelle, ne toglie via con i denti i parassiti, poi lo lecca finché non sia ben liscio.

Per bere, il Topo delle Piramidi usa un sistema veramente originale: immerge la zampetta nel liquido e poi la lecca, e ripete questa operazione per più volte finché non si sia dissetato. I sensi di questo animale sono molto sviluppati, soprattutto la vista e l'udito, ma anche l'olfatto è ottimo. Anche le sue facoltà intellettive sono notevoli: si avvezza presto al luogo in cui vive; riconosce perfettamente le persone che si occupano di lui. E' gentile innocuo, docile, pulito e quando è sveglio è allegro e vivace.

I suoi escrementi somigliano a quelli degli altri topi. L'orina non lascia cattivo odore anche perché ne fa in piccolissime quantità. La sua carne è saporita e la sua pelle lucente viene generalmente utilizzata per ornare vestiti e borse, anche se il pelo facilmente cade e la pelle stessa è poco resistente. E' un animale che non arreca danno alcuno, poiché vive in luoghi ove nessun altro animale potrebbe vivere.

 

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SCIRTETE CAVALLINO (Allactaga saliens)

Si distingue dalla specie precedente soprattutto per la forma del cranio, dei denti e dei piedi posteriori. L'osso del metatarso è in questo ancora più lungo e robusto ed ai due lati si trovano due ossicini più piccoli che portano dita rudimentali. I piedi posteriori hanno cinque dita, di cui tre collegate all'osso maggiore e le altre due agli ossicini laterali. Il cranio è più stretto all'indietro e molto più arrotondato che non nei dipi. Sulla parete esterna dei denti incisivi manca la scanalatura; i molari, invece, sono molto più scanalati che non nelle specie precedenti. Per gli altri caratteri lo Scirtete somiglia in tutto al Topo delle Piramidi.

Lo Scirtete Cavallino ha una mole press'a poco simile a quella dello scoiattolo; il suo corpo è lungo 18 centimetri, mentre la coda misura ben 26 centimetri le orecchie hanno una lunghezza pari a quella del capo. Il pelame ha nella parte superiore un colore rossiccio-giallo con sfumature bigio-pallido; i fianchi e le cosce sono molto più chiari; la parte inferiore e le zampe sono internamente bianche. Dalla parte superiore della coscia fino alla coda si nota una macchia bianca, allungata come una striscia; una macchia dello stesso colore è visibile sulle zampe posteriori. La coda è giallo-rossiccia fino al fiocco che è nero nella prima metà e bianco alla punta; la forma della coda è quella di una meravigliosa freccia.

Quest'animale è dotato di una straordinaria eleganza ed armonia di forme; la testa, tondeggiante, è veramente bella ed e fornita di due occhi vivacissimi, con le pupille tonde, luminosi ed intelligenti. Ha orecchie grandi, ma ben formate e mustacchi lunghissimi, neri, con l'estremità bigia, ordinati in otto file ai due lati del labbro superiore. Le zampe posteriori hanno una lunghezza pari a quattro volte quella delle anteriori; il dito medio è il più lungo, le due laterali arrivano appena alla prima falange, e le altre sono così in alto e così corte che non toccano mai il suolo. Le unghie dei piedi posteriori sono corte, ottuse e simili a zoccoli; quelle delle zampe anteriori sono lunghe, ricurve e affilate.

Gli scirteti cavallini vivono nelle stesse località in cui vivono i topi del deserto, ma molte specie si trovano nelle steppe dei kirghisi e alcune anche nell'Europa orientale e meridionale. La loro patria, però, è soprattutto l'Asia, dove sono ben noti ai russi col nome «Semljanoi-Saez»; ai mongoli col nome «Alakdaga» o puledro multicolore, ai kalmucchi come «Morin-Jelma» o cavallo saltante e ai tartari come «Tya-Jelman» o lepre cammello. Lo Scirtete Cavallino abita le pianure scoperte delle steppe asiatiche e il suolo fangoso. Vive in società, ma non molto numerose. Di giorno dorme nella sua tana e di notte scorrazza in cerca di cibo. Quando pascola tranquillamente, cammina sulle quattro zampe come i canguri; fuggendo, invece, salta sulle due sole zampe posteriori. E' capace di superare, con un salto, spazi enormi, perché si aiuta a prendere lo slancio anche con la coda. Questa specie di Scirtete è in grado di correre a una velocità tale che il miglior cavallo non può raggiungerlo. E' un animale timido e pauroso e scappa rapidamente al minimo rumore, sia pure provocato dallo stormire delle fronde. Inseguito, non fugge mai in linea retta, ma scappa a zig-zag finché non abbia raggiunta una buca nella quale nascondersi.

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Le tane sono formate da una galleria centrale alla quale fanno capo diverse piccole e tortuose arterie ramificate. Dalla galleria centrale si accede alla camera centrale, comunicante con alcune altre camere. Dalla camera centrale, poi, parte una galleria che rappresenta l'uscita di sicurezza per l'animale, quando è inseguito fino alla tana.

Un'abitudine originalissima dello Scirtete Cavallino è quella di otturare tutte le gallerie della tana quando si trova in casa; cosicché si può essere certi che una tana è vuota quando le sue gallerie sono aperte. Generalmente due o tre coppie vivono nella stessa tana e questo spiega l'esistenza di più camere comunicanti.

Lo Scirtete Cavallino si ciba di ogni sorta di vegetali, ma la parte fondamentale del suo nutrimento è costituita dai bulbi; apprezza tuttavia anche gli insetti e qualche lodola delle steppe e le sue uova. Rosica la corteccia dei cespugli e mangia la parte più tenera delle piante. La femmina partorisce d'estate - sembra più volte - spesso fino a 8 piccini, ma generalmente da 5 a 6. Sulla durata della convivenza dei figli con la madre non si hanno notizie precise. Si sa invece con certezza che questo animale cade in letargo all'inizio dell'inverno; all'approssimarsi dei rigidi freddi, esso, dopo essersi raggomitolato su sé stesso e dopo aver chiuso accuratamente tutte le gallerie, si sprofonda in un sonno pesante e lungo. Pare che non ammucchi vettovaglie nei depositi.

La carne di quest'animale è considerata gustosissima dalle popolazioni indigene che gli fanno una caccia spietata. I fanciulli mongoli sono i suoi più accaniti persecutori; per catturarlo, essi allagano la tana dopo aver posto una rete sull'entrata. Spesso, però, lo Scirtete riesce ad evadere dall'uscita di sicurezza che sbuca generalmente molto lontana dal foro di entrata. Gli indigeni affermano che di notte quest'animale succhia il latte delle pecore e delle capre e che penetra fra le greggi e le spaventa facendo pazze capriole. In realtà queste accuse non rispondono a verità e servono solo agli indigeni per giustificare la loro ferocia.

Sulla vita dello Scirtete Cavallino in schiavitù siamo costretti a rifarci - non avendo esperienze dirette - alle osservazioni che ci ha comunicato Haym, il quale a suo tempo ebbe occasione di osservare un esemplare per oltre un anno: «Quando mi portarono questo animale tentai di dargli diversi alimenti; nei primi tre o quattro mesi non mangiò altro che mandorle, pistacchi e frumento macinato senza mai bere. Più tardi mi accorsi che mangiava volentieri anche le mele, le carote e soprattutto i legumi. Sdegnava invece le piante aromatiche. Una volta lo posi su un mucchio di rena ed esso ne mangiò tanta da accrescere di molto il suo peso. Non esalava alcun cattivo odore ed era così mansueto che lo si poteva prendere in mano e accarezzarlo senza timore che esso potesse mordere. Era timido e pauroso tanto che tremava anche alla presenza del più piccolo animale. Era buono di indole, vivace e allegro. Posso dire che si era affezionato a me per la cura che io avevo di lui».

 

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PEDETE LEPORINO (Pedetes caffer)

E' la specie più notevole fra i topi saltatori. Abita l'Africa meridionale dove è noto con il nome di «omiciattolo terragnolo». Somiglia ai canguri per la parte posteriore del corpo piuttosto larga e terminante con una robusta coda; ma per la struttura interna del corpo somiglia molto più ai topi saltatori. Manca completamente la borsa ventrale che nel Pedete Leporino è solamente accennata con una piega della pelle che la femmina presenta nella zona inguinale, ma che non ha alcuna funzione né per l'allevamento né per l'allattamento dei piccoli. Il suo corpo è allungato e molto ingrossato nella parte posteriore; il collo è grosso e molto più mobile che nei topi saltatori. Le zampe posteriori sono cortissime, ma più robuste che nelle altre specie della famiglia e terminano con un piede al quale si trovano 5 dita fornite di unghie lunghe e ricurve. Le zampe posteriori sono lunghissime e robuste, hanno un piede con 4 dita collegato ognuno con un particolare osso metatarsico. Le dita hanno unghie forti, larghe, corte, quasi a forma di zoccolo. Il dito medio è il più lungo, le laterali sono cortissime e poste tanto in alto che non toccano mai il terreno. La coda è lunghissima, robusta, folta; è sottile alla radice e va, via via, ingrossandosi a causa dell'abbondante pelame e termina in un fiocco. La testa è grossa, larga di dietro, com pressa sui lati, ha il muso di una media lunghezza, piuttosto ottuso. Il labbro superiore è fesso e la bocca grande. Ha grandi occhi sporgenti, le orecchie sono di media lunghezza, strette ed aguzze. I mustacchi invece sono piuttosto corti. Per la struttura dei denti ha molta rassomiglianza con i suoi affini. La femmina è dotata di quattro capezzoli sul petto.

Il Pedete Leporino ha il pelo lungo, folto, morbido e sericeo; il suo colore ricorda quello della nostra lepre; è giallo-fulvo-rosso-bruniccio nella parte superiore, con qualche sfumatura di nero; è invece bianco nella parte inferiore. Anche per la mole questo animale somiglia alla nostra lepre; il suo corpo misura infatti oltre 4 centimetri e la coda è anche più lunga del corpo. Se ne trovano, in numero notevole, al Capo di Buona Speranza, sia nelle località montuose che nei piani aperti talvolta in numero tale da formare vere e proprie colonie. Si scavano tane sotterranee con lunghe gallerie superficiali molto ramificate che portano tutte verso una camera profonda. In queste camere i pedeti vivono in parecchie coppie e perfino in intere famiglie, dividendo a volte il loro alloggio con le pecchie selvatiche. Per scavare, questi animali, adoperano tanto i denti che le zampe e scavano con tale velocità che - a quanto affermano gli ottentotti - difficilmente un uomo armato di pala o di vanga riesce a tener loro dietro.

Il Pedete Leporino è un animale notturno, la sua vita attiva comincia solo al crepuscolo. Al calare delle prime ombre lo si vede strisciare lentamente fuori dalla tana e girovagare in cerca di radici, di foglie e di semi. Interrompe continuamente le sue ricerche per origliare e spiare in tutte le direzioni; esso è infatti un animale paurosissimo e sempre inquieto. Quando non mangia, occupa il tempo facendo una accurata pulizia al suo bel pelo. A volte, raramente in realtà, fa udire la sua voce assai simile ad un belato. Per mangiare, siede comodamente sulle zampe posteriori e porta il cibo alla bocca con quelle anteriori.

La sua corsa, come quella dei canguri e dei dipi, è una serie di salti che si succedono rapidamente. Si dà lo slancio con le zampe posteriori e con la coda e ricade sulle zampe, mantenendo il corpo in posizione eretta. Le zampe anteriori rimangono piegate sul petto come nei canguri. Con un salto, generalmente, supera uno spazio di due o tre metri, dimostrando una straordinaria leggerezza e una resistenza del tutto particolari. Solo il freddo e l'umidità riescono a smorzare la vivacità di questo animale.

Quando viene aggredito, il Pedete Leporino si difende coraggiosamente a colpi di zampe posteriori, provocando a volte delle profonde ferite con le unghie forti ed aguzze. Sul periodo di riproduzione di questo animale si hanno scarse notizie; si sa però con certezza che la femmina partorisce in estate tre o quattro piccoli che allatta per un lungo periodo e che a lungo vivono in coabitazione con la madre. Alle prime piogge i pedeti leporini si rinchiudono nella loro tana, raggomitolati strettamente e l'uno ben vicino all'altro, senza cadere in un vero e proprio letargo.

Il Pedete Leporino vive facilmente e a lungo in schiavitù, dimostrandosi fin dall'inizio mansueto e fiducioso. Anche in stato di prigionia conserva il suo amore e la sua abitudine alla pulizia; si può nutrirlo con frumento, pane, cavoli e insalata. Dorme nascondendo il capo tra le cosce e tenendo le orecchie sugli occhi. La sua carne è considerata ottima dai coloni olandesi e la pelle viene da questi adoperata per gli stessi usi per cui da noi si usa la pelle di lepre.

 

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CINCILLIDI

Si tratta di un insieme di animali che vivono in America e che formano una piccola famiglia i cui caratteri sono stati studiati solo recentemente, ma i cui individui erano noti già in tempi antichissimi per il commercio della pelle sviluppatissimo in quel periodo. Segnano il passaggio fra i topi e le lepri. Oggi si conoscono ben cinque specie di questa famiglia, riunite in tre gruppi in base al numero delle dita dei piedi posteriori e degli anteriori e ad altre piccole particolarità. In generale possiamo dire che gli Eriomidi sono conigli con una lunga e folta coda. Il loro pelame è il più morbido fra quelli di tutti gli altri mammiferi. Il colore è un bigio-chiaro misto di bianco, di bruno-nero o giallo. La colonna vertebrale è formata da dodici vertebre, otto lombari, due sacrali e venti caudali. La dentatura ricorda quella della lepre. Tutte le specie vivono nell'America meridionale per lo più sulle alte montagne rocciose sotto il limite delle nevi. Ma una specie vive in pianura, nelle regioni del deserto. Dimorano in tane naturali fra le rupi, o in gallerie che scavano essi stessi. Sono animali socievoli, vivono in numerose famiglie nella stessa tana; sono poco amanti della luce e la loro vita si svolge prevalentemente di sera e di notte; sono animali veloci, vivaci e agili. Si cibano di cortecce e di radici, di tubercoli e di licheni e spesso anche di frutta. Sono timidi e paurosi, innocui e codardi e una sola specie, se aggredita, sa difendersi. La loro riproduzione è di poco inferiore a quella delle lepri. Sopportano bene lo stato di schiavitù e si dimostrano affettuosi, allegri, puliti e mansueti. Fra i loro sensi, il più sviluppato è l'udito; le loro facoltà intellettive sono scarse. Alcune specie arrecano gravi danni a causa della loro abitudine di scavare le radici. La loro carne è ottima e la loro pelliccia molto preziosa e quindi, da morti, ripagano i danni fatti da vivi.

 

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CINCILLA (Chinchilla chinchilla)

Si tratta dei cincilla propriamente detti e appartengono al primo genere. Si distinguono sugli affini per la testa assai grossa, le larghe orecchie tondeggianti, i piedi posteriori che in alcuni terminano con 5, in altri con 4 dita e per il lungo, pregiato pelame, straordinariamente morbido e sericeo. Il loro corpo è lungo 30 centimetri, mentre la coda misura 13 centimetri all'osso e 20 considerando la lunghezza del pelo che lo ricopre. Il pelame è dovunque molto lungo, è fine e morbidissimo, e sul dorso e sui fianchi raggiunge oltre 26 millimetri di lunghezza. I peli sono alla radice bigio-turchini cupi cerchiati di bianco e bigio-scuri all'apice. Il colore in generale sembra argentino con sfumature scure. Le parti inferiori ed i piedi sono bianco-puri, la coda ha due fasce scure sopra, i mustacchi sono bruni alla radice e bruno-bigi alla punta. Gli occhi sono neri e grandi.

I peruviani, fin dal tempo degli Incas, adoperavano il pelame del Cincilla per tessere drappi e stoffe preziose; descrizioni particolareggiate di questo animale le abbiamo già nelle opere di scrittori antichi come Acosta e Molina. Attualmente le pellicce di Cincilla sono articolo di vasto commercio. I pellicciai distinguono due specie di Cincilla dal colore del pelo.

E' possibile scorgere questi animali anche in pieno giorno, seduti davanti alle loro tane, in una zona d'ombra, ma soprattutto se ne trovano in grandi quantità nelle prime, fresche ore del mattino e al crepuscolo. In quelle ore, infatti, il Cincilla è attivissimo, gira in cerca di cibo o va semplicemente a spasso per le creste delle giogaie sterili e rocciose ove non si trova più alcuna traccia di vegetazione. Si aggira, inoltre, con straordinaria velocità lungo pareti rocciose apparentemente del tutto nude. Si arrampica per otto o dieci metri verticalmente con tanta sveltezza che l'occhio può a stento seguirlo. E' un animale pauroso e a volte basta un colpo di fucile sparato in aria per veder sparire d'improvviso centinaia di individui che prima affollavano le rocce. Ognuno si sprofonda, in un baleno, in una fessura e scompare quasi per magìa. Il loro incedere sui tratti piani delle montagne somiglia molto più al saltellare che al camminare. Per riposarsi, siedono sulle estremità posteriori con le anteriori strette al petto e la coda tesa all'indietro. Per arrampicarsi si aggrappano con le quattro zampe alle fessure delle rocce e la minima sporgenza basta loro per posare il piede con grande sicurezza.
Sulla riproduzione di questi animali non si sa nulla di certo. In ogni stagione dell'anno si sono trovate femmine in avanzato stato di gravidanza e gli indigeni affermano che il numero dei nati varia fra quattro e sei. Dal momento in cui i piccoli sono in grado di camminare e uscire dalla tana in cerca di cibo, la madre si disinteressa di loro.

I cincilla sono animali facilmente addomesticabili e per la loro grazia, la vivacità, l'estrema pulizia rappresentano una piacevole compagnia per il loro padrone. Sono inoltre innocui e fiduciosi, ma oltremodo impiccioni: ficcano il naso ovunque, vogliono curiosare in ogni luogo e per far ciò si arrampicano sui mobili, frugano, rovistano e scavano. Le loro facoltà intellettive sono pari a quelle del nostro coniglio domestico. Non si riesce ad avere da essi affetto ne riconoscenza. Si possono nutrire con erba secca e trifoglio. In libertà mangiano anche radici e muschi. Anche i cincilla, per mangiare, siedono sulle zampe posteriori e portano il cibo alla bocca con quelle anteriori. In passato essi erano largamente diffusi ovunque e giungevano fino al mare; ma la caccia spietata, di cui sono oggetto a causa della preziosa pelliccia che copre il loro corpicino, li ha costretti a ritirarsi sempre più in su fino a rimanere, oggi, soltanto sulle alte montagne. Il metodo di caccia degli europei è sempre stato quello comunemente usato con il fucile ma bisogna dire che in realtà con questo sistema ben pochi individui si possono prendere perché al primo colpo si nascondono tutti accuratamente nelle loro tane dalle quali non escono poi per molto tempo. Gli indiani invece usano un sistema ben più sicuro: essi tendono lacci davanti a tutte le crepe della roccia (che servono da tana ai cincilla) e la mattina dopo vanno a raccogliere il frutto della caccia che di solito è piuttosto abbondante; oppure ricorrono alla caccia con la donnola del Perù (Mustela agilis), che si introduce nella tana dei cincilla, li uccide e poi li porta fuori al padrone.

Esemplari di cincilla

 

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CINCILLA LANIGERO (Chinchilla lanigera)

E' il rappresentante cileno del cincilla. Il suo modo di vita è del tutto uguale a quello del suo affine precedente, e così anche i caratteri generali della sua struttura fisica e il colore del pelame; ma è molto più piccolo, poiché la lunghezza totale di un individuo adulto di questa specie può raggiungere al massimo 35 o 40 centimetri, di cui un terzo circa appartiene alla coda.

Il suo pelame è forse anche più bello e più morbido di quello del suo affine. I peli, particolarmente fitti, sono lunghi sul dorso 20 millimetri e 26 millimetri sui fianchi e nella parte posteriore del corpo. Ha un colore bigio-cinerino chiaro con screziature più scure, la parte inferiore dei piedi è bigio-opaca con sfumature giallicce. I peli della coda sono alla radice e alla punta di colore bianco-sudicio e nero-bruni nel mezzo; la parte inferiore è bruna.

Le prime notizie precise sull'Eriomide lanigero ce le fornì il Molina. Egli scrive: «La sua lana è fina come i fili che tessono i ragni e così lunga che può essere filata. Abita sottoterra nei campi del Cile ed ama vivere in compagnia dei suoi simili. Si ciba di cipolle di varie piante bulbose che nascono in abbondanza in quei luoghi. La femmina partorisce due volte l'anno cinque o sei figli. Esso ha un'indole così docile e mansueta che preso fra le mani non morde né tenta di fuggire. Se lo si tiene in grembo si accovaccia tranquillo come se stesse nel suo nido; questa sua calma deriva, però, più da pusillanimità che da fiducia. E' un animale pulitissimo e non emana alcun cattivo odore».

La vita dell'Eriomide lanigero in schiavitù ci è stata descritta invece dal Bennet. Racconta questo naturalista - che ebbe modo di studiare da vicino un esemplare della specie portato a Londra - che si trattava di un animale mansueto, ma che a volte tentava di mordere. «Era raramente allegro - scrive il Bennet -. Soleva sedere sulle zampe posteriori ma poteva anche alzarsi sui piedi e rimanere in posizione eretta per qualche tempo. Generalmente era tranquillo e calmo, ma al minimo rumore manifestava una grande irrequietezza. Ad ogni altro cibo preferiva i chicchi o le piante succose. Si arrampicava facilmente, saltando poi da altezze di due o tre metri; il suo modo di camminare era qualcosa di mezzo fra la corsa del coniglio e il saltare dello scoiattolo. La coda, che nel riposo teneva sempre ricurva all'insù, si allungava appena l'animale affrettava il suo passo. I lunghi mustacchi stavano continuamente in moto; le orecchie stavano ripiegate in giù nello stato di riposo, e si drizzavano in avanti al minimo rumore. Fuggiva la luce angosciosamente e ricercava sempre i luoghi più scuri. La sua voce era simile a un lungo brontolio quando veniva preso in mano».

Gli americani del Sud mangiano volentieri la carne dei due cincilla e traggono grande profitto dalla loro pelliccia con la quale fanno berretti, manicotti e guarnizioni.

 

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SCOIATTOLI - PTEROMIDI O SCOIATTOLI VOLANTI - TAGUAN (Petaurista petaurista) - SCIUROTTERO COMUNE O LIUTAGA DEI RUSSI (Sciuropterus russicus) - ASSAPAN (Glaucomys sabrinus) - SCOIATTOLO COMUNE (Sciurus vulgaris) - SCOIATTOLO NERO (Sciurus niger) - SCOIATTOLO MAGGIORE (Ratufa macrura) - SCOIATTOLO MINORE (Nannosciurus exilis) - BURUNDUK (Eutamias asiaticus) - TAMIA AMERICANA (Tamias striatus) - SCHILU DEGLI ABISSINI (Xerus rutilus) - SABERA DEGLI ARABI (Xerus leucorumbrinus) - MARMOTTE - SPERMOFILO COMUNE (Citellus citellus) - SPERMOFILO LEOPARDINO (Citellus hoodii) - CINOMIDE O CANE DELLE PRATERIE (Cynomys ludovicianus) - BOBAC (Marmota bobac) - MARMOTTA (Marmota marmota)

 

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GEORICHI - GEOMIDE DEL CANADA O GOFFER (Geomys bursarius) - BATIERGO (Bathyergus maritimus) - SPALACE (Spalax hungaricus) - GHIRI - GHIRO COMUNE (Glis glis) - NITELA O TOPO QUERCINO (Heliomys quercinus) - MOSCARDINO (Muscardinus avellanarius) - TOPI - MERIONE OBESO (Psammomys obesus) - RATTO COMUNE (Rattus rattus) - RATTO GRIGIO O TOPO DECUMANO (Rattus norvegicus)

 

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TOPO, TOPOLINO DI CASA (Mus musculus) - TOPO SELVATICO (Apodemus sylvaticus) - TOPO DEI CAMPI O TOPO CAMPAGNOLO (Apodemus agrarius) - TOPOLINO DI RISAIA (Micromys minutus) - TOPO DI BARBERIA (Arvicanthis barbarus) - CRICETO O HAMSTER (Cricetus cricetus) - IDROMIDE (Hydromys chrysogaster) - ARVICOLE - ONDATRA (Ondatra zibethica) - RATTO D'ACQUA - CAMPAGNOLO DELLA NEVE (Microtus nivalis) - ARVICOLA GLAREOLO (Clethrionomys glareolus) - ARVICOLA AGRESTE (Microtus agrestis) - ARVICOLA CAMPAGNOLO (Microtus arvalis) - ARVICOLA SOTTERRANEO (Pitymys subterraneus - LEMMING DI NORVEGIA (Lemmus lemmus)

 

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LAGOTIDE (Lagidium cuvieri) - VISCACCIA (Lagostomus maximus) - PSAMMORITTI - DEGU (Octodon degus) - TUCUTUCO (Cbnomys magellanicus) - CERCOMIDE (Cercomys cunicularius) - MESOMIDE SPINOSO (Mesomys ferrugineus) - CAPROMIDE COMUNE O HUTIA-CONGO (Capromys pilorides) - COYPU (Myocastor coypu) - AULACODO (Thryonomys swinderanus) - ISTRICI - SFIGGURO DEL MESSICO (Coendou mexicanus) - CHETOMIDE SUBSPINOSO (Chaetomys subspinosus) - CUANDU (COENDOU PREHENSILIS) - URSONE (Erethizon dorsatus) - ATERURA D'AFRICA (Atherurus africanus)

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ISTRICE DI GIAVA (Acanthion javanicus) - ISTRICE COMUNE O PORCOSPINO (Hystrix cristata) - CAVIE - PORCELLINO D'INDIA O CAVIA COMUNE (Cavia porcellus) - APEREA (Cavia aperea) - MARA (Dolichotis australis) - AGUTI (Dadyprocta aguti) - CAPIBARA (Hydrochoerus hydrochoeris) - PACA (Cuniculus paca) - LEPRI

 

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LEPRE (Lepus europaeus) - LEPRE ALPINA (Lepus timidus) - ERNEB DEGLI EGIZIANI (Lepus aethiopicus) - CONIGLIO (Oryctolagus cuniculus) - LAGOMIDE ALPINO (Ochotona alpina) - OCOTONA (Ochotona ochotona) - LAGOMIDE MINORE (Ochotona pusilla)

 

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