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Animali Mammiferi Rosicanti |
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Animali Mammiferi Rosicanti... trapaninfo.it TweetVITA DEGLI ANIMALI - MAMMIFERI - ROSICANTIGEORICHI GEOMIDE DEL CANADA O GOFFER (Geomys bursarius) BATIERGO (Bathyergus maritimus) SPALACE (Spalax hungaricus) GHIRI GHIRO COMUNE (Glis glis) NITELA O TOPO QUERCINO (Heliomys quercinus) MOSCARDINO (Muscardinus avellanarius) TOPI MERIONE OBESO (Psammomys obesus) RATTO COMUNE (Rattus rattus) RATTO GRIGIO O TOPO DECUMANO (Rattus norvegicus)
INTRODUZIONEI Rosicanti sono un complesso di animali che fa parte degli unguiculati. Il loro nome perfettamente si attaglia alla loro abitudine di rosicare. L'ordine è caratterizzato da due grandi denti roditori in ogni mandibola, che rappresentano non solo gli incisivi, ma anche i canini e i falsi molari. Tali denti roditori sono molto sporgenti e ben visibili. Per quanto riguarda la forma esterna del corpo questo presenta numerosissime variazioni: ora è snello e lungo, ora corto e compresso, coperto di peli morbidi o rivestiti di pungenti aculei. La coda è in alcuni lunghissima, in altri appena accennata, un vero moncone; le orecchie variano per lunghezza e dimensione. Le estremità sono in alcuni attrezzate per saltare, in altri per correre. Vi sono, però, alcuni caratteri comuni a tutte le famiglie e le specie: il corpo è, nella maggior parte dei rosicanti, cilindrico e posa su zampe corte, di eguale lunghezza; la testa è attaccata a un collo corto e grosso; gli occhi piuttosto sporgenti e grandi; le labbra carnose, ornate di lunghi mustacchi sono fesse sul davanti; i piedi anteriori sono muniti di quattro dita, quelli posteriori di cinque. Le dita sono in alcuni collegate fra loro da una membrana natatoria e sono fornite di forti unghie. Il pelame si presenta dovunque della stessa lunghezza e tutt'al più si allunga in un ciuffetto all'estremità delle orecchie, o si infoltisce alla coda.
Le differenze somatiche di questo ordine di animali sono comunque grandissime e si può dire che l'unico carattere che veramente li accomuni sono i grandi denti roditori. Questi denti sono notevolmente più grossi di tutti gli altri, curvati ad arco, quelli superiori sono sempre molto più torti di quelli inferiori, taglienti come uno scalpello, triangolari o quadrangolari alla radice; in alcuni piani, in altri convessi, lisci o scanalati e di colore bianco o giallognolo o rossiccio; la superficie esterna è rivestita di uno smalto duro come il ferro. I denti dei roditori hanno infine un altro grande vantaggio rispetto ai denti di tutti gli altri mammiferi, ed è il fatto che possono crescere illimitatamente. La loro radice è in un alveolo scavato profondamente nella mandibola, che contiene nella sua estremità posteriore, in una insenatura imbutiforme, un germe sempre attivo che serve a riprodurre senza interruzione il dente, via via che si logora. L'affilatura del dente si conserva col continuo sfregamento dei denti l'uno contro l'altro; le due mascelle possono agire solo perpendicolarmente dall'avanti all'indietro. Si può facilmente rendersi conto della verità della nostra affermazione sull'illimitata e continua crescita dei denti in questi animali, rompendo a un coniglio uno dei suoi denti roditori. Si vedrà allora il dente opposto crescere tanto più rapidamente perché l'animale non lo può più logorare con quello superiore, poi lo si vedrà sporgere fuori dalla bocca a forma di arco e infine incurvarsi come un corno, disturbando e spesso rendendo impossibile il lavoro degli altri denti e quindi la nutrizione dell'animale. Le labbra dei Rosicanti sono ornate da lunghi mustacchi. In alcune specie, all'interno delle guance, si trovano delle borse che si estendono fino alla zona delle spalle e che servono all'apertura di queste borse quando devono essere riempite; per lo svuotamento, invece, provvede l'animale con la pressione delle zampe anteriori sulla superficie esterna delle guance. Molto sviluppate appaiono le ghiandole salivari. Lo stomaco è formato da due scompartimenti comunicanti fra loro per mezzo di un canale stretto. La lunghezza degli intestini è pari a sette volte quella del corpo. Le ovaie della femmina sboccano in un utero a forma di intestino, che prosegue con una lunga vagina. Le facoltà intellettive di questi animali sono poco sviluppate. Essi comparvero sulla terra all'inizio dell'epoca terziaria, ma all'epoca diluviale erano già numerosissimi. In merito alla loro diffusione sulle varie zone della terra, ritengo sia bene riferire integralmente quanto ebbe a scrivere il Blasius: «In mezzo alla neve e ai ghiacci eterni, in tutti i luoghi ove ancora un caldo raggio di sole dà per poche settimane una vita breve e stentata alla vegetazione, nelle tranquille e solitarie alture nevose delle Alpi, nelle vaste e deserte steppe del Nord, si trovano rosicanti. Ma quanto più ricca ed ubertosa è la vegetazione, tanto più vivace e moltiplicata è la vita di quest'ordine di animali, che non lasciano inabitato un solo cantuccio della terra».
Anche il modo di vita di quest'ordine di animali è estremamente variato. Vi sono alcune specie assolutamente arboricole ed altre terrestri; alcune vivono nell'acqua, altre in gallerie sotterranee che scavano esse stesse; altre ancora nelle boscaglie o in campi aperti. Sono tutti animali vivaci che, a seconda del luogo in cui vivono, sanno meglio arrampicarsi o correre, saltare, scavare o nuotare. Hanno i sensi molto acuti, sono allegri e vivaci, ma sono anche paurosi; non sono tuttavia mai astuti né cauti. Soltanto alcuni di essi, delle vere eccezioni, manifestano cattiveria, ostinatezza e ferocia, come ad esempio, i topi. Alcuni vivono in coppie, altri in famiglie, altri ancora in schiere e gruppi; vivono d'accordo anche con altri animali, ma non si affezionano ad essi. Spaventati o nel pericolo, con la maggiore velocità possibile, si nascondono nella loro tana. I Rosicanti si cibano fondamentalmente di sostanze vegetali: radici, scorze d'albero, foglie, frutta di ogni tipo, erbe, tuberi, farinacei e persino fibre legnose. Alcuni si cibano anche di sostanze animali e sono dei veri e propri carnivori. Le specie più deboli usano radunare nelle proprie tane numerose provviste che consumano poi nei mesi d'inverno. Fra i mammiferi, i Rosicanti rappresentano gli architetti e alcuni di essi erigono dimore veramente artistiche, che da secoli formano oggetto di grande ammirazione per gli uomini. Molti passano l'inverno in un sonno letargico durante il quale consumano per le calorie necessarie alla vita, il grasso abbondantemente ammassato sotto la loro pelle durante l'estate. L'importanza della vita della natura di questo ordine di animali è grandissima. Se non fossero soggetti a morte di varia natura, l'intero globo sarebbe da essi conquistato e saccheggiato. Comunque, essi fronteggiano con la straordinaria prolificità, di cui sono dotati, la guerra di sterminio che uomini e animali conducono contro di loro. Una sola coppia di rosicanti può, in un anno, generare migliaia di piccoli, che in poco tempo sono in grado di coadiuvare i genitori nella terribile azione di distruzione e di rapina. L'uomo, perciò, nella lotta che conduce a questi animali, agisce in stato di legittima difesa. Solo pochissime specie sanno affezionarsi all'uomo e pochissime quindi meritano di venire addomesticate. Di alcuni rosicanti si adoperano la carne e la pelle. Delle numerose famiglie, in cui alcuni naturalisti suddividono l'ordine dei Rosicanti, elenco qui di seguito le principali.
GEORICHILa famiglia dei Georichi comprende alcuni animali brutti e deformi, la cui vita sotterranea era sconosciuta fino a poco più di un secolo fa. Vivono nell'Antico e nel Nuovo mondo, fatta eccezione per l'Australia, e abitano nelle pianure arenose dove scavano nel suolo lunghe gallerie. Sono animali solitari: ciascuno vive isolato nella propria tana perché ha un'indole burbera e scontrosa. Fuggono la luce e trascorrono grandissima parte della loro vita nelle gallerie sotterranee, dove lavorano soprattutto di notte. Sono velocissimi nello scavare e alcuni sono abilissimi nell'approfondire i propri buchi verticalmente. Mangiano piante, radici, bulbi, tubercoli e a volte anche erba, corteccia, semi e noci.I Georichi che vivono nei Paesi più freddi ammassano durante la buona stagione grande quantità di vettovaglie che consumano poi d'inverno, dal momento che non cadono in letargo. La femmina partorisce, nel proprio nido, da due a quattro figli. Possiamo dire, in conclusione, che i Georichi sono animali brutti e dannosi e che somigliano esternamente alle talpe: il loro corpo, infatti, è cilindrico, le orecchie non sono visibili, anche gli occhi restano nascosti, le zampe scavatrici sono simili a quelle delle talpe, il pelame è corto e morbido. La dentatura invece li distingue nettamente dalle talpe: i Georichi infatti sono muniti di potenti incisivi. Le zampe anteriori e le posteriori hanno cinque dita con potenti unghie falciformi e piante nude. Le specie di un genere di questa famiglia sono completamente cieche. GEOMIDE DEL CANADA O GOFFER (Geomys bursarius)E' il primo genere dei Georichi, da alcuni naturalisti considerato come una famiglia a parte. Essi hanno ampie borse guanciali; i piedi hanno cinque dita con unghie lunghissime e robuste agli anteriori e corte ai posteriori; la coda è pelosa alla radice e nuda all'apice.Il Goffer è molto più piccolo del criceto; il suo corpo misura 21 centimetri di lunghezza e la coda 7; l'altezza al garrese è di 7 centimetri. Il pelame è foltissimo, morbido e fino. I peli, alla radice, sono di un bigio-azzurro-cupo, all'estremità sono rossicci e nella parte inferiore sono bigio-giallicci. La coda e i piedi sono poco pelosi e di un colore biancastro. I naturalisti, che per primi ebbero la possibilità di esaminare il Goffer, lo avevano ricevuto dagli indiani, che, per divertirsi, gli avevano riempito le borse guanciali di terra, di modo che pendevano pesanti fino al suolo. Quelle borse ispirano il nome tedesco con cui l'animale viene definito e che significa «Topo dalla borsa». Il Goffer è largamente diffuso: dalle Montagne Rocciose all'Est dal Mississippi all'Ovest. Conduce, come la talpa, una vita sotterranea; scava numerose gallerie ramificate che coprono grandi distese e si allungano in opposte direzioni. Spesso i suoi scavi fanno assumere al terreno l'aspetto di un campo arato. Solo qualche volta, e soprattutto d'estate, fa capolino alla superficie della terra, mentre in inverno cade in letargo. Per la vita sotterranea del Goffer ci rifacciamo a quanto ha scritto l'Audubon: «In un giardino scoprimmo parecchi mucchi di terra smossa di fresco; scavammo perciò sulle tracce di un goffer e scoprimmo così diverse sue gallerie nelle più opposte direzioni. Una delle principali correva a una profondità di 30 centimetri dalla superficie. Seguimmo tutta la galleria e notammo così che le migliori piante erano state rovinate da quegli animali che ne avevano rosicato le radici. La galleria terminava presso un cespuglio di rose. Seguimmo allora un'altra galleria che terminava presso le radici di un grosso faggio di cui i goffer avevano roso la corteccia. Esplorando ancora, trovammo molte altre gallerie, alcune delle quali dal giardino giungevano fino a un lontano bosco e perciò dovemmo smettere la nostra investigazione. I mucchi di terra gettati da quella specie sono alti da 30 a 40 centimetri e sono disposti assai irregolarmente a una distanza di 10, 20 e spesso 30 e più centimetri l'uno dall'altro».
Dell'affine del Goffer del Canadà, e precisamente di quello della Georgia, ci parla invece il Gesner: «Il Goffer georgiano è solito scavare le sue gallerie a 30 centimetri circa di profondità e rigetta i suoi mucchi di terra a intervalli di circa 30 centimetri, disposti a zig-zag. Le gallerie presentano numerose ramificazioni. La camera centrale è scavata a una profondità di 1 metro e 50 centimetri sotto le radici di un albero: è grande, rivestita di morbida erba e serve al Goffer per riposare e per dormire. La femmina partorisce alla fine di marzo da 5 a 7 figli, in un'altra stanza, anch'essa rivestita di erba ma con l'aggiunta di molto pelo. Molto spesso, vicino alla camera principale si trova un'altra camera che serve da deposito per le vettovaglie consistenti in radici, pomi, noci e semenze». Il Goffer si dedica soprattutto dalle 4 alle 10 del mattino al suo lavoro di scavo, aggiungendo, a volte, da 3 a 5 metri di galleria al giorno. A volte, interrompe il suo lavoro per intere settimane. Il suo olfatto è eccellente e l'udito perfetto. Cammina in modo goffo, trascinandosi penosamente, senza mai saltare e spesso posa i piedi anteriori con le unghie volte in sotto e trascina la coda sulla terra. Può correre con la stessa disinvoltura indietro e in avanti, però mai velocemente; è invece rapidissimo, quando si muove nelle sue gallerie. Quando mangia, spesso si siede sulle zampe posteriori, mentre con quelle anteriori porta il cibo alla bocca; per dormire si aggomitola su sé stesso e nasconde il capo fra le zampe sul petto. Quando pascola, si empie con la lingua le borse guanciali che poi vuota con la pressione delle zampe davanti. Spesso esso vuota le sue borse nella dispensa della sua abitazione attraverso un condotto verticale, che poi tura accuratamente. Il Goffer è in grado di causare gravi danni alle colture a causa della sua abitudine di scavare e di rosicare le radici delle piante. BATIERGO (Bathyergus maritimus)E' il rappresentante africano dei georichi. E' anche questo un animale brutto, tozzo, goffo, con il corpo cilindrico, la testa larga e ottusa, senza orecchie, con occhi piccolissimi e il naso largo e cartilaginoso alla punta. Le zampe sono corte e i piedi hanno cinque dita. Il pelame è fitto, morbidissimo e fino; i mustacchi lunghi e duri circondano il capo e la coda mozza termina con un ciuffetto raggiato. I denti roditori sono lunghissimi, sporgenti, ricurvi e bianchi; il paio superiore è diviso da una profonda scanalatura. Il pelame è gialliccio di sopra, bigio di sotto. Il modo di vivere del Batiergo è in tutto simile a quello della nostra talpa.Pone la sua dimora nelle spiagge, mentre evita con cura i terreni sodi e ricchi di piantagioni. Si trova in buon numero nelle dune lungo le coste. Conduce una vita sotterranea, scava nella sabbia profonde gallerie ramificate. Queste gallerie sono più ampie di quelle della talpa, data anche la sua maggiore mole. Il Batiergo è nemico della luce e da questa si ripara accuratamente. Se per caso viene alla superficie del terreno, riesce a stento a scappare, spingendosi goffamente avanti come un cieco e cercando di sprofondare di nuovo sotto il terreno. Se viene afferrato, morde rabbiosamente. Il suo lavoro di scavo si svolge prevalentemente verso le sei del mattino e verso la mezzanotte. Per ucciderlo, i contadini aspettano che esso sia al lavoro. Quando vedono comparire i mucchi di terra, allora spazzano via la terra, pongono sull'apertura una rapa gialla o qualche altra radice legata a una cordicella, che fa capo al grilletto di un fucile, la cui canna è diretta verso il buco. Appena l'animale tira la rapa, l'arma si scarica e lo uccide. Altri contadini preferiscono, invece, ucciderlo immettendo acqua nella sua tana e facendolo affogare. Non si hanno notizie sulla sua riproduzione.
SPALACE (Spalax hungaricus)E' la specie europea della famiglia dei georichi. E' certamente il più brutto fra gli scavatori. Ha il muso ottuso, non ha occhi né orecchie visibili; la testa è più grossa del corpo. Il collo è corto, grosso come il corpo e del tutto privo di flessibilità. La coda è completamente assente. Le zampe sono corte e munite di dita e unghie robuste. Gli occhi hanno la grossezza di un granellino di papavero e non riescono a vedere, poiché sono completamente nascosti sotto il pelo.Per la forma e per il modo di vivere lo Spalace somiglia molto alla talpa volgare. Il suo corpo è lungo 20 centimetri, pesa circa 250 grammi. Il cranio è appiattito, la fronte piana, il muso tondeggiante ed ottuso, il naso grosso, largo, cartilaginoso. La testa è orlata da un margine di pelle spessa e sporgente, che scorre dal naso alla tempia. E' fornito di robusti denti roditori, che sporgono fuori della bocca; questi sono fortissimi, uniformemente larghi e affilati. In ogni mandibola si trovano tre molari; mancano completamente le borse guanciali. Le dita dei piedi anteriori sono l'uno ben staccato dall'altro e unite alla base da una corta membrana: sono dita robuste, munite di forti unghie scavatrici. Il pelame è fitto, liscio, morbido, più lungo nella parte superiore che in quella inferiore. Il margine membranoso vicino alla testa è coperto di peli duri. I mustacchi sono corti e fini; le dita sono nude, ma le piante dei piedi sono circondate di peli lunghi, duri e volti all'insù. Il colore è bruno-gialliccio con sfumature cinerine. La testa è più chiara verso il muso e bruniccia nella parte posteriore. La zona della bocca, il mento e le zampe sono bianco-sudici, la parte inferiore è cinerino-scura con strie longitudinali bianche sulla parte posteriore del ventre, mentre macchie bianche appaiono tra le zampe posteriori. Lo Spalace comune vive in una piccola parte dell'Europa meridionale ed orientale, ma si trova anche in Asia occidentale. E' comunque diffuso soprattutto nella Russia, sulle sponde del Volga e del Don, in Ungheria e in Moldavia. Se ne trovano alcuni esemplari anche in Turchia e in Grecia. Abita nelle pianure asciutte e nelle località fertili, dove scava tane sotterranee piuttosto profonde, dalle quali lunghe gallerie partono alla superficie. Anch'esso solleva mucchi di terra piuttosto ravvicinati. Nell'opera di scavo si aiuta molto con i suoi potenti incisivi, con i quali recide le forti radici degli alberi. Col capo e col muso spinge in su la terra e la lancia indietro con le quattro zampe. Nel periodo dell'accoppiamento, spesso compare alla superficie e si riscalda al sole vicino alla femmina. Al minimo segno di pericolo si caccia rapidamente nella tana o scava prontamente una galleria nella quale nascondersi. Più spesso esce dalle sue gallerie di mattina presto o addirittura di notte. I suoi movimenti sulla superficie sono assai goffi e impacciati, sottoterra, invece, si spinge in avanti o indietro con grande facilità. Fra i suoi sensi, il migliore è certamente l'udito. Infatti, si è osservato che lo Spalace è molto sensibile al rumore e, quando compare all'imbocco della sua galleria, origlia attentamente in tutte le direzioni. Al minimo fruscio solleva maggiormente il capo e prende un atteggiamento minaccioso o sparisce senz'altro sottoterra. E' un animale cattivo, morde con sveltezza e si difende valorosamente da qualunque nemico. Divora con gusto radici e tubercoli, ma, in caso di bisogno, mangia anche la corteccia degli alberi. D'inverno, non cade in letargo o almeno continua a lavorare finché il terreno non è completamente gelato. In uno dei vari nidi che compongono la tana, tappezzato di fini radici, la femmina partorisce d'estate i suoi piccini, in genere due o quattro. Lo Spalace è noto in Russia col nome Slaptz, ossia il cieco; in Galizia con quello di Biemmi-Bisak, e in Ungheria come Foldi-Kolok.
GHIRISono un gruppo di rosicanti simili agli scoiattoli, graziosi e gentili animaletti, di mole minore e piacevoli per le loro abitudini. Differiscono dagli scoiattoli nella struttura interna. Essi hanno il corpo piuttosto stretto, somigliante a quello del topo più che a quello dello scoiattolo muso aguzzo, orecchie assai grandi, la coda folta con lunghi peli laterali, quattro dita ed un pollice rudimentale ai piedi anteriori e cinque dita a quelli posteriori. La forma del corpo è assai simile a quella dello scoiattolo. La colonna vertebrale è formata da 13 vertebre con le costole, di 6 senza costole, di tre vertebre sacrali e di 22 o 23 vertebre caudali. Non conosciamo che sei o sette specie distinte di questa famiglia e tutte vivono nel continente antico. Prediligono i luoghi alquanto elevati: colline, boschi, lande e giardini.Si rintanano nel cavo degli alberi e fra i rami, oppure nelle fessure delle muraglie, ma sempre bene nascosti. In genere, dormono tutto il giorno ed escono di sera per far preda; per questo motivo è assai difficile vederli. Quando l'animale ha dormito, è svelto e vivace, corre e si arrampica ottimamente, ma non riesce a spiccare salti. Nelle regioni temperate, dormono per tutto l'inverno nelle loro tane. Ve ne sono alcuni che, prima del sonno invernale, ammucchiano provviste che consumano quando si svegliano di tanto in tanto, mentre altri hanno provveduto così bene a rimpinzarsi che possono benissimo digiunare, consumando il grasso accumulato. I Ghiri si cibano di semi e frutta di ogni specie, ma taluni mangiano anche insetti, uova ed uccelli. Quando mangiano, si mettono in posizione eretta, portando il cibo alla bocca con le zampe anteriori. Alcuni di essi amano vivere riuniti in gruppi o a coppie, mentre ve ne sono di quelli che sdegnano la società degli altri. In estate, la femmina dà alla luce quattro o cinque piccoli e li alleva con grande amore. E' facile addomesticare un ghiro preso giovane, per quanto questi animaletti poco tollerino di essere toccati. L'utilità che ci viene dai Ghiri è minima, ma minimi sono anche i danni che essi ci possono arrecare. GHIRO COMUNE (Glis glis)E' uno dei tanti animali più noti di nome che non di vista. I romani avevano fondato istituti appositi per l'allevamento di questo animale. Usavano circondarli di boschi di quercia e di faggio, di mura lisce sulle quali il Ghiro non poteva arrampicarsi. Nel recinto, poi, si preparavano nidi nei quali essi potessero dormire e deporre i piccoli, si nutrivano di ghiande e di castagne e poi si catturavano e si mettevano in botti o in recipienti di argilla per ingrassarli. Tali recipienti venivano chiamati Glurari. Alcuni Glurari furono trovati negli scavi di Ercolano: erano piccoli recipienti, piani al di dentro, chiusi nella parte superiore da un'inferriata. Vi si ponevano parecchi ghiri insieme e si provvedevano di un abbondante nutrimento in modo da ingrassarli moltissimo. Venivano poi serviti come arrosto nelle tavole dei ricchi.Il Ghiro è contraddistinto dalla forma dei molari: ne ha quattro per ciascuna mandibola, due più grossi nel mezzo e più piccoli gli altri. La corona è tondeggiante, ma molto scanalata e con particolari rilievi trasversali. Le orecchie sono di grandezza media, la coda pennata e assai lunga. La lunghezza di un ghiro è di 28 centimetri, 13 dei quali sono per la coda. Il pelame, morbido e fitto, è cinerino nella parte superiore, ora più chiaro, ora più fosco con una sfumatura di bruno-nericcio, più chiaro sui fianchi, è bigio-bruniccio nella linea in cui il dorso si divide dalla parte inferiore; questa, poi, e la faccia interna delle zampe, sono d'un bianco-latteo e lucide come l'argento. Le parti superiori ed inferiori sono ben separate. Il naso e il labbro superiore tra i mustacchi sono bigio-bruni, bianche la parte inferiore del muso, le guance e la gola sin dietro le orecchie; i mustacchi sono neri. Intorno agli occhi ha un cerchio bruno-scuro. Le orecchie sono esternamente bigio-bruno-scure, più chiare sull'orlo. La coda è bruno-bigia con sotto strie longitudinali bianchicce. Esistono, però, molte modificazioni. La vera patria del Ghiro sono l'Europa meridionale ed orientale. Si trova in Spagna, in Grecia, in Italia ed anche nella Germania meridionale. S'incontra spesso nell'Austria e in tutti i paesi limitrofi; ma più comune è nell'Ungheria e nella Russia meridionale. Nel Caucaso si incontra frequentemente.
Sceglie come abitazioni le alture e specialmente i boschi frondosi, soprattutto di querce e di faggi. Durante il giorno si nasconde nelle fessure delle rupi, nel cavo degli alberi, in tane abbandonate, nei nidi delle gazze e delle cornacchie. Di sera scivola fuori alla ricerca del cibo, poi si ritira nuovamente nel nido per digerire in pace; mangia di nuovo e dorme infine, avvoltolato in compagnia della sua femmina o di altro suo simile. Solo durante la notte si può osservare quanto esso sia agile, svelto, vivace, abile nell'arrampicarsi e nel saltare da un ramo all'altro o anche dall'alto a terra, proseguendo poi a correre saltellando con vivacità. Tale spettacolo si può godere solo di notte nei luoghi che da prima si sono riconosciuti abitati dal Ghiro; altrimenti, nell'oscurità, sarebbe impossibile scoprirne la presenza. Pochi rosicanti possono stare alla pari del Ghiro per la voracità. Esso mangia finché può contenere il cibo: il suo cibo preferito sono le ghiande e le nocciole, ma non disprezza le noci, le castagne, le frutta dolci e succose, né i cibi animali e, perciò, se riesce ad entrare in un nido, vi porta la strage. Beve assai poco e se ha frutta succose non beve affatto: Finché dura l'estate, esso si aggira in cerca di cibo, rimpinguandosi in vista del prossimo digiuno invernale; ogni tanto si pone seduto sulle estremità posteriori, in posizione eretta e porta il cibo alla bocca con le estremità anteriori. Verso l'autunno ammucchia vettovaglie e le ammassa vicino al nido, nella dispensa. In quest'epoca è già molto grasso, ma cerca di mangiare ancora quanto più a lungo può; poi comincia a preparare i quartieri d'inverno. Si fa un nido di muschio morbido o nelle tane sotterranee, o nella fenditura delle rocce o delle vecchie mura, o nelle cavità di antiche piante; si aggomitola poi in compagnia di altri suoi simili e si abbandona al sonno molto prima che il termometro scenda a zero; nelle regioni montane fin dall'agosto, in pianura verso l'ottobre. Durante il sonno è perfettamente insensibile e si potrebbe tranquillamente trasportare da un luogo all'altro senza che si scuota dalla sua immobilità. Deposto in una camera calda, a poco a poco riprende i sensi, comincia a distendere le membra, lascia uscire un po' della sua orina chiara, d'un giallo oro, e si muove sempre di più, senza dar segni di vivacità, ma piuttosto restando sempre mezzo addormentato. In libertà, si sveglia pure ogni tanto, mangia qualche piccola cosa, ma svogliatamente, desideroso di riprendere il sonno interrotto. Certi ghiri che Lenz tenne in una camera fredda si destavano ogni quattro settimane, mangiavano e si addormentavano di nuovo, in modo da sembrar morti. Il Ghiro si sveglia tardi in primavera, verso la fine di aprile. Quindi la durata del suo sonno è di sette mesi; perciò giustamente i tedeschi lo chiamano: «sette dormiente». Poco dopo il risveglio, avviene l'accoppiamento e, dopo circa sei settimane, la femmina partorisce in un nido, appositamente preparato e reso morbido e caldo, tre o sei piccini nudi e ciechi che crescono rapidamente, poppano per poco tempo e poi si mettono alla ricerca del cibo. Il Ghiro non fa mai il proprio nido all'aperto come lo scoiattolo, ma lo cela gelosamente. Del resto, ha molti nemici che lo cercano per divorarlo: la martora, la puzzola, il gatto selvatico, il gufo, la civetta, sono i suoi nemici più accaniti e per quanto esso mostri un grande coraggio nel difendersi con i morsi e con le deboli unghie, pure è costretto a soccombere. Anche l'uomo lo perseguita per la carne e per la pelle, quando è bene ingrassato. Lo si adesca, scavando per esso, nell'inverno, delle abitazioni calde, ben rivestite di muschio, di paglia e di foglie secche, provviste di faggiole, il suo cibo preferito, in luoghi ben esposti al sole. I ghiri, adescati dal loro cibo preferito, entrano in quelle gallerie, mangiano e si dispongono al sonno invernale, durante il quale vengono facilmente presi. In alcune zone i contadini prendono i ghiri con trabocchetti sospesi agli alberi o nascosti davanti alle tane, mettendovi, come esca, un frutto succoso. La levata delle trappole avviene di notte. I contadini si recano nel bosco, tolgono la preda ed appostano di nuovo il trabocchetto. Durante l'autunno la presa dei ghiri è piuttosto facile: se ne catturano a volte, da un solo cacciatore, alcune centinaia. Il Ghiro è raramente tenuto in schiavitù; non ha un carattere gentile. Mangiando in maniera eccessiva, non è dotato dal lato intellettuale e non possiede buone qualità. Suo pregio è la grande nettezza: si alliscia continuamente. Non si affeziona, lo si trova sempre ostile e digrigna i denti contro chi gli si avvicina. Se stuzzicato, morde rabbiosamente a più riprese per dimostrare che non vuole essere molestato. Guai se gli si fa mancare il cibo! E' capace di rodere l'inferriata della gabbia o di addentare la coda di un compagno, poiché, non appena sente lo stimolo dell'appetito, diventa incredibilmente furioso e cattivo.
NITELA O TOPO QUERCINO (Heliomys quercinus)Differisce dai ghiri per la dentatura. Nei ghiri i denti hanno la corona piana, mentre nelle eliomidi è incavata. Nelle mandibole di quelli il primo molare ha sei liste trasversali, mentre in queste sono soltanto cinque, sette i tre seguenti, otto l'ultimo della mandibola. Inoltre, il Ghiro si distingue per la coda, i cui peli sono brevi alla radice, lunghi, irti, bicolori all'estremità. Le parti superiori ed inferiori del corpo sono variamente colorate. In Europa vivono due specie di eliomidi. Questo animaletto giunge alla lunghezza di 16 centimetri, la coda ne misura 11, l'altezza al garrese è di 6 centimetri. La testa e le parti superiori sono bigio-bruno-rossicce, bianca la parte inferiore. Intorno all'occhio si trova un cerchio nero-lucido che prosegue sotto l'orecchio fino ai lati del collo. Davanti e dietro l'orecchio si notano una macchia bianca e, sopra questa, una nera. La coda alla base ha peli aderenti bigio-bruni, all'estremità è irta, pennata e tricolore, nera sopra e bianca sotto. La radice dei peli è bigia, soltanto la punta è bianca con sfumature di pallido-giallo. Le due principali tinte sono nettamente separate l'una dall'altra. Le orecchie sono di colore carnicino, i mustacchi neri con la punta bianca, le unghie chiare, i denti superiori scuri, gli inferiori giallo-chiari. L'aspetto di questo mammifero è vispo ed intelligente. Esso abita le zone temperate dell'Europa centrale ed occidentale ed è anche rappresentato nella parte orientale dalla Driade. Ne troviamo in Francia, Belgio, Svizzera, Italia, Germania ed Ungheria. Vive nelle pianure come nelle colline, ma predilige le foreste in montagna, con alberi fronzuti benché si trovi anche nella Selva Nera. Il suo cibo è quello stesso del ghiro; ma spesso ruba anche nelle case il grasso, il burro, il lardo e divora uova ed uccellini. Riesce benissimo ad arrampicarsi e a saltare. Il suo nido è alquanto diverso da quello del ghiro, perché è allo scoperto; talvolta, però, si rintana nelle fessure dei muri, in gallerie di talpe o in vecchie tane di topi. Se gli riesce, gli piace impadronirsi dei nidi degli scoiattoli.Il tempo dell'accoppiamento ricorre nella prima metà di maggio. Vari maschi si disputano accanitamente il possesso della femmina, facendo un chiasso infernale, trasformandosi da animali pacifici in animali litigiosi, cattivi, ringhiosi, pronti alla zuffa. Se uno dei litiganti si lascia sopraffare, viene divorato dai suoi simili. Dopo una gestazione di quattro o cinque settimane, la femmina dà alla luce da quattro a sei piccoli, nudi e ciechi e li depone in un nido confortevole, preparato con cura, che apparteneva a qualche scoiattolo o corvo o anche merlo, scacciati per forza. Il nido viene rivestito all'interno di soffice muschio o di peli, e chiuso tutto all'intorno, con una sola apertura. La madre allatta i piccoli e, quando questi sono capaci di nutrirsi da sé, porta loro cibo abbondante. Se qualcuno si attenta a prendere i piccini, viene assalito dai terribili denti della madre che difende, come una furia, i suoi figli. E' veramente strano che la Nitela, sempre tanto pulita, lasci il proprio nido in uno stato di sudiciume deplorevole. Le deiezioni, ammucchiate, ammorbano l'aria all'intorno, tanto che cani ed uomini riescono ad individuare l'esistenza di uno di tali nidi anche a grande distanza. I piccoli, in poche settimane, sviluppano al punto da raggiungere la mole della madre, ma non si allontanano per godere ancora della sorveglianza di questa, nella ricerca del cibo. Dopo un anno sono atti alla riproduzione. Se il tempo è favorevole, la femmina partorisce una seconda volta nell'anno. Giunto il tempo del letargo invernale, la Nitela si cerca un buco nel muro o in un cavo d'albero, oppure anche qualche galleria asciutta di talpa; là si aggomitola, spesso in compagnia di altre nitele e si addormenta profondamente. Se la temperatura è particolarmente mite, si desta di quando in quando, mangia un po' delle provviste e, non appena il freddo torna a farsi sentire, ricade in letargo. Però anche durante il sonno presenta una discreta sensibilità alle molestie esterne. Raramente si desta prima della fine di aprile. La Nitela è assai malvista nei frutteti. Uno solo di questi animali è capace di devastare un intero raccolto di pesche e di albicocche. Esso cerca sempre le frutta più mature e succose, assaggiandone parecchie, che lascia poi deteriorare sulla pianta. Non esiste ostacolo per questa piccola ladra: essa si arrampica sugli alberi, s'insinua nelle maglie della rete o le rosica se sono troppo fitte; passa perfino nella rete metallica. I danni che produce la rendono odiosa ai proprietari di frutteti e di giardini, che la perseguitano senza tregua. La sua utilità è nulla perché né la carne né la pelle sono buone. Per prenderla, le si preparano dei trabocchetti oppure lacci di fil di ferro. Meglio ancora è affidarne la cattura ad un gatto che, insieme alla donnola, alla civetta, alla martora, è il suo accanito nemico. Essa può lottare coraggiosamente contro questi nemici, ma finisce sempre per soccombere. I contadini, che abitano vicino ai boschi, risparmiano appositamente la vita ai nemici della Nitela. Questo animaletto non si adatta alla prigionia e, se disturbato o catturato, fa uso degli acutissimi denti. Inoltre, ha le piacevoli qualità del ghiro e cioè dorme durante il giorno, mentre di notte si avventa contro le inferriate della gabbia, le morde rabbiosamente e fa un chiasso indiavolato. Getta a terra e frantuma tutto ciò che trova sul suo passaggio ed è difficilissimo riagguantarlo. Nell'osservare con quale violenza si scaglia sui piccoli mammiferi che le vengono offerti, si ha un'idea della ferocia della sua natura. Strozza un uccello in un secondo, in un minuto un topo ringhioso. Essa ha la ferocia della donnola, unita alla voracità dei ghiri.
MOSCARDINO (Muscardinus avellanarius)Si distingue dalla nitela per la dentatura: il primo molare superiore ha due rilievi trasversali, il secondo ne ha cinque, il terzo sette, il quarto sei, il primo inferiore ne ha tre ed i tre seguenti ne hanno sei. Le orecchie sono più piccole, la coda è tutta coperta di peli brevi. Le parti superiori ed inferiori sono del medesimo colore.E' uno dei più gentili ed allegri rosicanti di tutta l'Europa, bello di forma e di colore: ha un'indole dolce ed è pulitissimo. Esso è il più adatto ad essere il compagno di camera dell'uomo e sa attirarsene l'affetto. E' della mole del nostro topolino; la sua lunghezza può essere al massimo di 15 centimetri, di cui la metà appartiene alla coda. Il pelame è uniformemente rosso-gialliccio, più chiaro al di sotto, bianco sulla gola e sul petto. Il fondo del pelame è cinerino, tranne che nei punti bianchi. Rossiccio-chiara è la regione degli occhi e delle orecchie; la parte superiore della coda è un po' più scura i piedi sono rossi, le dita bianche. Durante l'inverno, la parte superiore e l'ultima metà della coda prendono una tinta nericcia. Gli individui giovani sono d'un giallo-rossiccio vivo. Il pelame folto e liscio è aderente e lucido. Il piccolo Moscardino vive nell'Europa centrale: non oltrepassa al nord la Svezia e l'Inghilterra. Al sud non va oltre la Toscana e la Turchia del Nord. Ad est non oltrepassa la Galizia, l'Ungheria e la Transilvania. E' assai comune nel Tirolo, nella Carinzia, nella Stiria, nella Boemia e nell'Italia settentrionale. Il suo modo di vivere è simile a quello del ghiro. Abita le pianure e le montagne, ma non oltrepassa il limite dei mille metri. Elegge preferibilmente la sua dimora nelle boscaglie basse e nelle siepi o in alcuni cespugli di avellane. Anch'esso, come i ghiri, è un animale notturno; di giorno dorme accovacciato in qualche ripostiglio; di notte va in cerca di cibo. Si nutre di noci, nocciole, mandorle, frutta succose, bacche e gemme degli alberi; ma preferisce in maniera singolare le nocciole che sa aprire e vuotare senza spogliarle dei gusci. Vive in piccole società: talvolta, uno o due moscardini si fabbricano un nido morbido, caldo, fatto di foglie, di muschio, di radici tenere e di peli; nel più fitto della boscaglia e di notte, sbucano fuori quasi sempre in compagnia di vicini di nido. Essi sanno arrampicarsi fra i più fitti ramoscelli degli alberi, non solo come gli scoiattoli e gli altri ghiri, ma anche a somiglianza della scimmia, perché si vede spesso il Moscardino appeso ad un ramo con una sola zampetta per raggiungere una noce. Spesso si può vederlo correre sulla parte inferiore di un ramo, sicuro e veloce. Il tempo della riproduzione è nel cuore dell'estate: raramente prima del luglio. Dopo una gestazione di quattro settimane circa, la femmina dà alla luce tre o quattro piccoli, nudi e ciechi. I piccini crescono rapidamente, ma poppano il latte materno per oltre un mese, nonostante siano già capaci di allontanarsi dal nido. Da principio, tutta la famiglia si avvicina ai cespugli di avellane e vi si trastulla cercando le nocciole, ma, al primo rumore, tutti corrono a rintanarsi nel nido. Prima che giunga il momento di rinchiudersi nel nido per il sonno invernale, i piccoli sono già grassi e grossi come i genitori ed hanno saputo procurarsi viveri di riserva. Verso la metà di ottobre, ogni Moscardino si è preparato un involucro fatto di frasche, foglie di conifere, muschi ed erbe per rinchiudervisi; poi cade in un letargo profondo al punto che si può prenderlo e palleggiarlo, senza che esso dia segni di vita. Dorme così da sei a sette mesi, a seconda che l'inverno sia più o meno mite. E' ben difficile impadronirsi di un moscardino quando è sveglio; ma una volta preso, si può dire addomesticato. Non tenta di difendersi, non morde; al più, emette uno stridio acuto quando è spaventato. Portato nella casa dell'uomo, si rassegna subito alla schiavitù; perde presto la sua timidezza, ma si mantiene selvatico nonostante accetti di buon grado le carezze. Lo si nutre di noci, di frutta e di pane. Mangia poco e sembra abbia soggezione; anzi, dapprima mangia soltanto di notte. Non beve né acqua né latte. La sua abitudine di pulizie - ha un'indole particolarmente vivace e scherzosa - l'avvenenza delle sue forme, ne fanno una gradita compagnia per l'uomo. In Inghilterra viene tenuto come animale domestico, nella gabbia. Non manda nessun cattivo odore e si può, quindi, tenerlo anche in una stanza di soggiorno. D'estate emana un lievissimo odore di muschio. In schiavitù cade nel letargo invernale solamente se il luogo in cui vive è
soggetto a mutamenti di temperatura. Esso cerca allora di fabbricarsi un
involucro, vi si avvolge e si addormenta in un angolo della gabbia. Si risveglia
se portato in un luogo più caldo o preso fra le mani, ma poi cede nuovamente al
sonno. Se durante il sonno lo si prende in mano, si avverte ben presto il calore che ritorna: allora quella palla di pelo si muove, respira, si allunga, allontana dalle guance le zampe posteriori, le dita delle anteriori spuntano fuori dal pelame del mento e la coda si allontana dal corpo. Il Moscardino fa udire suoni quasi di zufolo; gli occhi si aprono lentamente e subito si richiudono. Infine, la luce e il calore vincono il sonno; uno degli occhi si apre, si richiude abbagliato dalla luce; il respiro si fa più profondo, più rapido, le grinze del musetto si spianano, le guance si abbassano, i mustacchi si dispongono a raggiera. Infine, la bestiolina si drizza e sembra chiedere una nocciola, ma neanche dopo averla avuta essa si dimostra soddisfatta. Vuole dormire ancora ed infatti, al più presto, torna ad aggomitolarsi e si addormenta più saldamente ancora». Lo Schlegel attribuisce l'anormale formazione di grasso nei ghiri alla scarsa respirazione e quindi all'economia di ossigeno che ne dovrebbe operare la combustione. Egli afferma, infatti: «Il grasso dei ghiri non è la causa del loro sonno, ma l'effetto. La causa della pinguedine si deve ricercare nel difetto di combustione dei grassi per mezzo dell'ossigeno, che dovrebbe trasformarli in acido carbonico ed acqua». Ciò avviene coi temperamenti flemmatici: lo scarso movimento, un sonno esagerato, una diminuita attività respiratoria, si trovano in tutti questi animali che cadono nel letargo invernale. La pesatura di animali in letargo indica, generalmente, una lieve diminuzione di peso; ma è assai importante l'osservazione fatta dai professori Saci e Valentin che riscontrarono un notevole accrescimento di peso nelle marmotte dormienti; mentre, se fosse vero che gli animali, durante il letargo, consumano il proprio grasso, si sarebbe dovuta trovare una diminuzione di peso durante il più profondo sonno e per l'assoluta mancanza di nutrimento. Moscardino o topo delle noccioline
TOPINessun'altra famiglia, come questa, può insegnarci cosa siano i rosicanti Questa famiglia è la più diffusa e in via di diffusione costante. E' vero che i Topi sono animali piccoli, ma il loro numero supplisce a ciò che manca alla mole. Si distinguono per il muso aguzzo, occhi neri e grandi, orecchie larghe, cave, poco pelose, coda lunga e pelosa, spesso anche nuda squamosa, zampe delicate con piede terminante in cinque dita, pelame morbido e breve. Tuttavia, questi sono i caratteri generali; ma molti topi si avvicinano ad altre famiglie dello stesso ordine. Alcuni somigliano ai porcospini per le setole pungenti; altri, per i piedi palmati e le zampe corte ricordano i castori; altri, infine, per la coda pelosa, gli scoiattoli.In genere hanno i denti roditori stretti, grossi, con un taglio più a scalpello o con una punta più acuta, lisci o convessi davanti, bianchi o coloriti, oppure divisi da una scanalatura longitudinale. Il rimanente della dentatura è formato da tre molari per parte. Talvolta il loro numero scende a due o a uno. Possono avere tubercoli smaltati o radici divise. Molti si logorano nella masticazione e allora la superficie appare piana. Dodici o tredici vertebre portano le costole, l'osso sacro è formato da tre o quattro di esse, mentre la coda può rivestirne da 10 a 36. Alcune specie hanno le borse guanciali, mentre altre ne mancano del tutto. I Topi abitano in tutto il mondo; tutte le parti della terra ne sono infestate e, se esistono ancora isole felici risparmiate da questo flagello, si pensa che non tarderanno ad accoglierli, perché questi animali dallo spirito vagabondo non conoscono limiti alla loro invadenza. Ogni regione, ogni clima, ogni abitudine giova alla loro esistenza. Né il caldo, né il freddo eccessivo li abbattono; quindi se ne trovano anche in vicinanza delle nevi perpetue. Certo, preferiscono le zone più popolate, i campi ben coltivati, le piantagioni. Tuttavia si adattano a vivere anche nelle zone paludose, sulle sponde dei fiumi e dei ruscelli e perfino nelle sterili pianure; è sufficiente per loro un po' di erba secca e qualche cespuglio. Ve ne sono alcuni che sfuggono la vicinanza dell'uomo; mentre la maggior parte importuna l'uomo seguendolo ovunque, perfino sul mare. Infestano case, giardini, granai, stalle, campi e boschi. Pochi sono quelli che vivono solitari o a coppie. I più amano la società e si riproducono con una rapidità spaventosa: il numero dei figli di una sola gestazione può raggiungere i 21 e si riproducono più volte all'anno. Essi sono un vero tormento per l'uomo. Nei loro movimenti sono agili e destri; possono correre, saltare, arrampicarsi, nuotare. Sanno insinuarsi in un bucolino stretto e sanno scavare con i robusti denti. In genere eleggono la notte per le loro operazioni, rendendo più difficile la persecuzione. Sono cauti e prudenti, ma anche arditi, sfacciati, furbi. Il loro olfatto e l'udito sono perfetti. Si cibano di tutto quanto è mangiabile nel regno animale e vegetale. Divorano semi, frutta, radici, cortecce, erbe, fiori e, con egual piacere, carne, latte, grassi, sangue, pelle e ossa. La carta ed il legno vengono da loro rosicchiati e fatti a pezzi. Non bevono quasi mai, mentre sono ghiotti di liquidi che contengono sostanze alimentari. Portano il cibo alla bocca con le zampe anteriori; ma molti si servono anche della coda per riuscire a divorare delle ghiottonerie che non potrebbero avere altrimenti. Per esempio, tuffano la coda nei recipienti che contengono olio o latte e leccano il prezioso liquido che vi rimane attaccato. In questo modo distruggono assai più di quello che mangiano e, perciò, si possono annoverare fra i più dannosi nemici dell'uomo ed è spiegabile, quindi, l'odio di cui questi li ricambia. Pochissimi, fra i Topi, sono animali inoffensivi ed innocui e vengono considerati benevolmente anche a causa della leggiadria delle loro forme e della bontà della loro indole. Fra questi, inoltre, alcuni stanno al di sopra degli altri mammiferi per l'artistica costruzione dei loro nidi e, in quanto, per il minore bisogno di cibo e per il numero d'individui non eccessivo, non provocano l'odio dell'uomo. Vi sono alcune specie che abitano le regioni più fredde e temperate, le quali cadono in letargo durante l'inverno e si ammucchiano provviste abbondanti; altre specie organizzano delle vere e proprie migrazioni in un numero sterminato. Le specie addomesticabili sono assai scarse anche perché ben pochi sono i topi che possono piacere per la docilità di indole, per la tranquillità e per la tolleranza verso tutte le altre specie affini. In genere, posti in gabbia, per quanto allevati con cura e nutriti con diligenza, i topi restano ringhiosi, spiacevoli. Non arrecano nessuna utilità, perché, sebbene di alcuni si adoperi la pelle e si mangi la carne, pure il danno che essi apportano è tanto grande da coprirne ad usura il lieve vantaggio. Alcuni naturalisti pongono i Merioni (Meriones) o Topi Corridori tra la famiglia dei topi, altri invece li considerano come una famiglia particolare, sebbene ne riconoscano la grande somiglianza con i topi genuini. Il loro corpo è più tozzo che allungato, il collo è breve e grosso, la testa corta, larga di dietro, aguzza davanti, il muso acuminato, la coda della lunghezza del corpo, generalmente pelosa, talora a ciuffetto, non mai nuda. Le membra posteriori sono un poco più lunghe di quelle anteriori, i piedi hanno cinque dita, ma il pollice anteriore è un semplice bitorzolo ad unghia piatta. Le unghie delle altre dita sono brevi, poco aguzze e ricurve. Le orecchie e gli occhi sono grandi, il pelame è folto, aderente, liscio e morbido bruno rossiccio o fulvo nella parte superiore, più chiaro o bianco nella parte inferiore. I Merioni sono assai diffusi nell'Africa, nell'Asia meridionale e nell'Europa sudorientale. Il loro modo di vivere è proprio dei topi. Preferiscono le regioni coltivate, ma se ne trovano anche nelle steppe e nelle pianure più aride. Vi sono delle specie che si riuniscono in schiere, che arrecano danni gravi. La maggior parte di essi scava delle profonde gallerie per passarvi il giorno. Non appena cade la notte, escono in cerca di cibo. Sono rapidi e vivaci soprattutto nella corsa e da ciò il loro nome. Alcuni di essi spiccano salti di tre o quattro metri di altezza. Sono però timorosi come tutti gli altri topi ed, al più piccolo fruscìo, fuggono a rintanarsi nel nido. Si cibano di semi, di radici e di grano. Nei campi coltivati producono danni considerevoli; staccano le spighe e se le portano nel nido per consumarle comodamente, oppure raccolgono i chicchi per metterli in serbo per l'inverno. Essi ammucchiano una tale quantità di vettovaglie che spesso, scavando i granai, si può trovare oltre uno staio di spighe bellissime nascoste in terra. I Merioni mangiano volentieri anche gli insetti. Essi possono vivere senz'acqua; infatti vivono a miglia di distanza da ruscelli e sorgenti, senza preoccuparsene. Producono tali devastazioni nei campi che, giustamente, vengono odiati e sterminati. Non si riesce a distruggerli, nonostante si faccia loro una caccia accanita, per la grande loro fecondità. Nessuna notizia attendibile è ancora giunta riguardo alla loro riproduzione; si sa soltanto che la femmina partorisce più volte all'anno una numerosa prole. Gli individui in schiavitù sono miti, agili, puliti e mansueti. Se per un certo periodo mancano di cibo, si abbaruffano fra di loro e si divorano a vicenda la coda. Modello tridimensionale di topo da laboratorio
MERIONE OBESO (Psammomys obesus)Ha la mole del nostro topo delle chiaviche. E' lungo 31 centimetri, di cui 13 appartengono alla coda. Sul dorso è color sabbia, macchiettato di nero gialliccio con fini strisce nere, le orecchie giallo-chiare, le zampe giallo-uovo. Dei mustacchi, gli uni sono neri, gli altri bianchi e finalmente neri alla radice, chiari all'apice. Il Merione Obeso si trova in Egitto. Esso abita i luoghi sabbiosi del deserto o i mucchi di ruderi che circondano le antiche città egiziane. Scava profonde gallerie che si diramano in tutti i sensi sotto macchie basse o cespugli, che coprono a mala pena le sue dimore e che gli servono come cibo quotidiano.I merioni si mostrano anche di giorno e non è quindi difficile osservarli. Spesso se ne vede una schiera che corre e gioca allo scoperto, ma che è subito messa in fuga dall'avvicinarsi di un uomo o di un cane: se però tutto ritorna tranquillo, ecco che da un buco si vede riaffiorare una testolina e in breve la schiera esce nuovamente all'aperto, rinfrancata. Si dice che siano ottimi corridori. Gli arabi li ritengono animali impuri e perciò non dànno loro la caccia; ma i cani erranti, al contrario, ne sono accaniti persecutori e sono capaci di sostare a lungo davanti alla tana del Merione, in attesa di ghermirlo. Dehne ci ha dato una particolareggiata descrizione della vita del Merione Obeso in stato di schiavitù e merita riferire alcune delle sue osservazioni: «Questi animali sono sensibilissimi al freddo. Nel giardino zoologico di Berlino si è ottenuta la loro riproduzione; tuttavia, sono sempre assai rari. Ricevetti da Berlino un maschio che però morì presto per l'eccessiva pinguedine. Mangiava ogni sorta di frutta succose, ma anche semi, pane, latte, semola, biscotti. Rosicava patate, barbabietole, carote; apriva i noccioli di susine e ne divorava avidamente il contenuto. Era pulitissimo e deponeva gli escrementi in un angolo della gabbia. Non esalava nessun fetore e l'orina era così scarsa da non bagnare neppure la segatura posta sotto la sua gabbia; rosicchiava a lungo i fili della gabbia senza, però, tentare di farci un buco. I piedi anteriori erano quasi nascosti dal lungo pelame sericeo. Più tardi, ebbi invece una piccola femmina; ma era assai più vivace del maschio. Per tutta la notte correva su e giù per la gabbia; di giorno dormiva accovacciata sulle estremità posteriori, la testa fra le cosce, la coda sotto la testa, disposta a cerchio. Il Merione Obeso femmina partorì il 1° settembre sei piccini. Subito allontanai dalla gabbia il maschio e fornii alla madre del fieno fresco, col quale fece un comodo giaciglio per i suoi piccoli. I neonati emettevano un suono stridulo fin da quando avevano poche settimane. La madre li curava amorosamente, ricoprendoli di fieno fresco, quando si allontanava. I piccoli poppavano con forza; erano vivacissimi. A soli quattro giorni dalla nascita erano bigi, a sei giorni il loro corpo era tutto coperto da una fine peluria azzurrognola, tendente al colore ardesia. La crescita avvenne rapidamente. Il tredicesimo giorno erano tutti rivestiti di peli sottili del colore particolare e fulvo della madre. Già si poteva distinguere chiaramente la punta nera alla base, che si sarebbe trasformata successivamente in coda. Correvano intorno al loro giaciglio, benché fossero ancora ciechi. La madre, però, cercava di nasconderli con cura, riportandoli sempre nel giaciglio. Al sedicesimo giorno di vita, i piccoli aprirono gli occhi e cominciarono a rosicchiare avena, orzo, granoturco. Al trentunesimo giorno avevano raggiunto la mole del topolino, e cominciarono a poppare assai raramente; allora mangiavano un po' di tutto: pane di semola, biscotti, pane, avena, orzo. Amavano molto i semi di zucca e di canapa e non altrettanto pere, mele ed altre frutta. Il 5 ottobre, il maschio, che era stato chiuso fin dal 1° settembre, fece
udire suoni distinti, trillanti e gorgheggianti, molto simili a quelli del
porcellino d'India. Questi suoni avevano la durata di un quarto d'ora. Con
grande meraviglia mi accorsi il giorno dopo che la madre aveva di nuovo
partorito ben cinque piccoli; il che significava che si era accoppiata al
maschio immediatamente appena sgravata». I topi appartenenti al denominativo dei Topi Ratti (Mus) sono purtroppo a tutti noi molto noti. Fra essi si trovano quelle specie che hanno seguito l'uomo in tutta la terra e che vivono perfino nelle isole più remote. In alcuni luoghi si conosce perfettamente il numero di anni passato dal loro primo apparire. L'uomo non è affatto grato a questi animali dello straordinario attaccamento da essi dimostrato verso la sua persona, la sua casa la sua stalla e li perseguita accanitamente, con ogni mezzo; tuttavia, non si riesce a sterminare questi dannosissimi ladri domestici che su tutto operano per distruggere: mobili, vesti, cibi, libri. Per questa ragione l'uomo ritiene i topi come un flagello domestico, riunendo in questo giudizio tutte le specie, comprese alcune che, in verità, non meritano la cattiva fama attribuita loro. I Topi Ratti presentano tutti i caratteri della loro famiglia: sono stati divisi in gruppi, ma senza l'appoggio di caratteri spiccanti. Le basi su cui si fonda la suddivisione sono: la lunghezza della coda e la dentatura. In generale, questi topi si distinguono per il muso aguzzo, peloso, il labbro superiore spaccato, i mustacchi lunghi e durissimi disposti in cinque serie, gli occhi nerissimi grandi e tondi, le orecchie sporgenti, la coda lunga scarsamente coperta di peli o di squame. I piedi anteriori presentano quattro dita, una delle quali è rudimentale, i piedi posteriori cinque. La dentatura è composta di tre molari per ogni mandibola che scemano in grossezza dall'avanti all'indietro. La corona del dente è tubercolare, ma col tempo si appiana e nascono allora linee trasversali che poi scompaiono. Il pelame è costituito da una certa lanugine e da setole più lunghe; il colore dominante è il nero-bruno con qualche variazione in bianco-giallo. La distinzione in Ratti e Sorci è d'uso popolare. In verità, l'unica differenza sensibile sta nel fatto che i ratti sono più grossi e più brutti, mentre i sorci sono piccoli e graziosi. Nei ratti la coda può avere da 200 a 260 anelli di squame, mentre nei sorci solamente da 120 a 180. Quelli hanno piedi tozzi e pesanti, questi snelli e fini. I ratti adulti misurano oltre 31 centimetri, mentre i topi non più di 23; quelli hanno pieghe trasversali nel palato, nettamente divise, mentre nei topi le pieghe trasversali sono divise solo cominciando dalla seconda. Si vede quindi come i caratteri distintivi siano tali che solo un naturalista può concepirne l'evidenza. Diverso, invece, assai chiaramente, è il modo di vivere dei ratti e dei topi. Nel secolo decimoquinto alcuni alti dignitari della Chiesa dichiararono al bando di questa i ratti che, tuttavia, seguitarono a moltiplicarsi a dismisura. Allora i pastori protestanti tentarono un altro mezzo per sbarazzarsi dei ratti che apparivano come uno dei più tormentosi flagelli per l'umanità, scagliato da Dio a punizione dei peccati. Si ordinò in tutto il paese un solenne giorno di digiuno e di preghiera. I fedeli si recarono in pellegrinaggio alle chiese, implorando l'Onnipotente affinché preservasse i loro pastori dal flagello dei ratti; purtroppo quel giorno di penitenza fu vano. Neppure ai nostri giorni, nonostante le strabilianti invenzioni, si è trovato il mezzo di distruggere i ratti che seguitano a moltiplicarsi in maniera impressionante in tutta la superficie del globo. In Europa le due specie seguitano a vivere l'una accanto all'altra, sebbene la specie più forte abbia ormai acquistato una signoria indiscussa su tutto quanto è di proprietà dell'uomo, dalle vettovaglie al le dispense fino ai suoi rifiuti.
RATTO COMUNE (Rattus rattus)E' di colorito piuttosto uniforme. Le parti superiori del corpo e della coda sono di un bianco-cupo, tinta che va pian piano confondendosi con quella più chiara della parte inferiore. La coda, più lunga del corpo, ha da 250 a 260 cerchi di squame. I solchi palatini sono lisci. I maschi adulti misurano 33 centimetri di lunghezza, di cui 15 sono del corpo. Quando comparve per la prima volta in Europa questa specie? Non si può determinare tale epoca, giacché degli antichi scrittori nessuno vi fa accenno. Dalle opere di Alberto Magno, naturalista germanico, si può dedurre che già al XII secolo la specie esisteva in Germania. E' possibile che, come il suo robusto affine, provenga dalla Persia, ove ancora oggi esiste in numero inverosimile. Al principio il Topo Comune e il Topo Decumano coesistevano pacificamente; ma presto quello fu sopraffatto da questo, assai più forte, e diminuì di numero in proporzione dell'accrescimento dell'altro. Tuttavia è assai diffuso in tutto il mondo, ad eccezione delle regioni più settentrionali che sembrano esserne esenti. Non vive più, però, in società, ma isolato dappertutto. Esso seguì l'uomo in tutte le sue peregrinazioni, viaggiò con lui per terra e per mare fino all'America, all'Africa, all'Australia. Le navi, senza volere, lo trasportarono sulle lontane spiagge degli altri continenti ed esso provvide poi ad avventurarsi nell'interno. Oggi è comune nella Persia, nell'India, nell'Africa fino al Capo di Buona Speranza, in Egitto ed in Barberia, in ogni parte dell'America, nell'Australia e perfino nelle più lontane isole dell'Oceano Pacifico. Possiamo dire che non c'è alcuna parte del mondo antico e nuovo che sia riuscita a salvarsi dalla nefasta intrusione di questi piccoli e dannosissimi animali.
RATTO GRIGIO O TOPO DECUMANO (Rattus norvegicus)E' molto più grosso ed ha una lunghezza di 41 centimetri, di cui 18 appartengono alla coda. La tinta della parte superiore del corpo è diversa da quella della parte inferiore. Infatti, tutto il collo e il dorso, compresa la coda, sono di color bigio-bruno, la parte inferiore bianco-bigio molto spiccante. La coda ha circa 210 anelli di squame, i solchi palatini sono granulosi. In genere, la linea di mezzo del dorso è un po' più scura dei fianchi che tendono, invece, al bigio pallido. Il fondo del pelame è bigio-bruno di sopra, di sotto più chiaro e quasi bianco. Sui piedi anteriori si notano, a volte, dei peli brunicci; non è raro il caso di individui completamente bianchi, con occhi rossi. E' quasi certo che la patria originaria del Topo Decumano fu l'Asia centrale, o meglio l'India e la Persia. Si hanno notizie quasi certe della sua invasione in Europa. Eliano doveva conoscerlo, per quanto la grossezza da lui attribuita all'animale non corrisponda a verità. Questo scrittore afferma che il Topo Caspio (questo è il nome che fu dato all'animale) viaggiava in numerose schiere, attraversava a nuoto i fiumi e, per far ciò, si attaccava con i denti alla coda dell'individuo che lo precedeva. Così egli seguita: «Quando giungono nei campi, divorano le biade e si arrampicano sugli alberi per saccheggiarli, ma sono distrutti dagli uccelli di rapina che si lanciano su di loro dall'alto. Non la cedono di mole all'icneumone, sono feroci e ringhiosi ed hanno di quei tali denti che possono rosicare il ferro come certi topi che vivono presso Babilonia, di cui le belle pellicce, trasportate in Persia, servono di fodera agli abiti».Pallas fu il primo a descrivere il Topo Decumano come un animale europeo. Egli racconta che nell'autunno del 1727, dopo un terremoto, i topi furono riversati in Europa dalle terre Caspie e dalle steppe. Essi attraversarono il Volga presso Astrakan e si sparsero verso ponente. Nel 1732 essi vennero trasportati in Inghilterra da vascelli provenienti dall'India orientale e da lì cominciarono il loro viaggio intorno al globo. Nella Prussia apparvero nel 1750, a Parigi nel 1753, nella Germania nel 1780. In Danimarca si videro fin dal 1840 circa, in Svizzera già dal 1800. Nel 1775 ne fu invasa l'America settentrionale, ove al più presto raggiunsero un numero impressionante. Nel 1825 non erano ancora penetrati nel Canadà. Non si sa con sicurezza quando fecero la loro apparizione in Spagna, nel Marocco, in Algeria, in Egitto e al Capo di Buona Speranza; ma certo si è che oggi sono diffusi dovunque. Le due specie si rassomigliano nei costumi, nelle abitudini e nell'aspetto al punto che una sola descrizione serve per tutti e due. Unica differenza sta nel fatto che il Topo Decumano preferisce le parti inferiori dei fabbricati, le cantine umide, i condotti sotterranei, le chiaviche, le fosse e le sponde dei fiumi, mentre il Topo Comune sceglie, come domicilio, la parte superiore delle case, il granaio, le soffitte. Nel rimanente, le due specie sono simili, completamente. Tanto l'una che l'altra abitano la casa dell'uomo, dovunque possano procurarsi il cibo. Si annidano ovunque faccia loro comodo: in un luogo immondo come nel più elegante; dovunque si creano, con la loro sporcizia, il luogo adatto. Vivono nella stalla, nel fienile, nel giardino, sulla sponda del fiume, sulla spiaggia del mare, nei canali, nelle cloache delle grandi città, per quanto il Topo Comune cerchi di allontanarsi il meno possibile dalle abitazioni dell'uomo. Esso è un nemico acerrimo di questo, ma non lo abbandona: si studia di tormentarlo in tutti i modi. Non vale, contro il Topo, né muro, né siepe, né porta, né serratura. Rosica e scava ovunque per aprirsi una strada, attraversa i più resistenti tavoloni di quercia e le muraglie più spesse. Solo ponendo ad una grande profondità le fondamenta di una casa, riempiendo di cemento i vuoti tra le pietre e aggiungendo alla muratura uno strato di cocci di vetro, si è al sicuro dagli attacchi dell'odioso animale. Tuttavia, guai se una pietra del muro si muove! Esso dirigerà subito tutti i suoi sforzi verso di quella per aprirsi un varco. Il danno che arrecano i topi agli alimenti supera di molto quello arrecato alle pareti delle abitazioni. L'uomo non mangia nulla che non piaccia anche ai topi. Manca loro soltanto il gusto d'inebriarsi d'acquavite; non contenti di urla così larga scelta di cibi, essi divorano avidamente anche altre sostanze e, se occorre, anche esseri vivi. Gradiscono perfino i più immondi rifiuti delle case, anche la carogna putrefatta la trovano di loro gradimento. Mangiano cuoio, carne, grano, corteccia di alberi, tutte le specie possibili di vegetali. Si conoscono esempi, degni di fede, di bambini divorati vivi ed ogni contadino sa bene come essi insidiano gli animali domestici. Sono capaci di praticare buchi nel ventre dei maiali ingrassati, rosicano la membrana che unisce le dita delle oche appollaiate le une vicino alle altre, rosicano le cosce e il dorso alle tacchine che covano; rapiscono i pulcini, li affogano nell'acqua e poi se li portano a terra per mangiarli comodamente. Se in un luogo essi si moltiplicano più del solito, non si può resistere.
Accade che a volte raggiungono cifre delle quali non possiamo farci un'idea. Si dice che a Parigi, in quattro settimane, abbiano raggiunto il numero di 16.000 ed in uno scorticatoio, in una sola notte, abbiano divorato fino alle ossa 35 cadaveri di cavalli. Essi comprendono quando l'uomo è nell'impossibilità di sopraffarli ed allora divengono sempre più imprudenti e sfacciati. Se non si sapesse quale tormento essi costituiscono, farebbe ridere il loro portamento ardimentoso. Nella mia casa, molti anni addietro, non avevo che due gatti, ma pigri e svogliati al punto da lasciare che i topi facessero il comodo loro: ebbene, questi si moltiplicarono in modo tale che non si poteva avere un istante di riposo. Quando eravamo a pranzo, essi scendevano allegramente le scale, passeggiavano per la stanza avvicinandosi alla tavola, per vedere se potevano arraffare qualche cosa. Scacciati, si allontanavano per un momento e poi tornavano per ricominciare il loro gioco. Durante la notte, facevano un baccano indiavolato sotto il tetto, come se ci fosse un esercito furioso. Erano sorci, sempre preferibili ai topi, che sono peggiori. Las Cases racconta che il 27 giugno 1816 Napoleone e i suoi compagni dovettero digiunare, perché i topi, penetrati di notte nella cucina, ne avevano portato via ogni cosa. Là erano assai numerosi e cattivissimi. Riuscirono a rosicare le mura e le pareti di legno della povera abitazione del grande imperatore, in pochissimi giorni. Mentre Napoleone mangiava, entravano nella stanza da pranzo e bisognava impegnare con loro delle lotte accanite. Un giorno l'imperatore trovò un grosso topo nel cappello. Non era possibile allevare dei polli, cosa che i servitori avrebbero fatto volentieri, perché i topi divoravano tutto e andavano a ricercare i volatili perfino sulle piante ove dormivano. I topi sono nocivi specialmente ai marinai, perché non vi è bastimento che ne sia libero; essi invadono le navi durante il carico delle merci e poi si moltiplicano in modo tale che spesso mettono in pericolo le navi stesse. Quando il vascello di Kane rimase gelato all'80° di latitudine, durante un viaggio al Polo, i topi erano in numero tale da procurare grandissimi danni. Si pensò di asfissiarli ed a tal fine, chiusi tutti gli spiragli, si incendiò un miscuglio di zolfo, cuoio ed arsenico; ma questo rimedio non giovò a nulla. Allora fu accesa una grande quantità di carbone di legna, nella certezza che i topi non sarebbero sopravvissuti alle terribili esalazioni dell'ossido di carbonio. Si rischiò, così, di dar vita ad un incendio, per fortuna presto domato; due marinai furono lì lì per rimanere asfissiati, ma delle centinaia di topi esistenti nella nave, solamente 28 furono trovati morti e i superstiti si moltiplicarono in modo tale che misero in serio pericolo tutte le provviste, divorandole e sfuggendo a tutte le scarpe; facevano il loro nido nei letti, tra le coltri, nei berretti, nelle casse di provviste divorandole e sfuggendo a tutte le insidie con la massima furberia. Si provò allora a gettare un cane ardito e valoroso nella stiva per stabilire l'ordine fra quelle bestie odiose; ma ben presto si udirono le urla lamentose del cane sopraffatto. Tratto fuori, si vide il cane con la pelle dei piedi rosicchiata. Un esquimese ebbe alfine la felice idea di distruggere i topi con le frecce e la sua caccia poté dirsi davvero fortunata, tanto che Kane poté avere, ogni giorno, brodo di carne fresca. Poi fu rinchiusa nella stiva una volpe che prese a mangiare con soddisfazione i topi che prendeva in gran numero. I topi riescono perfettamente negli esercizi ginnici. Corrono, si arrampicano, nuotano, spiccano grandi salti. Il Topo Decumano, poi, è più abile del Topo Comune tanto nel nuoto, quanto nell'agilità dei movimenti.
Esperto nell'arte della pesca, si tuffa sott'acqua, inseguendo gli abitanti genuini del liquido elemento. Quando teme un pericolo, corre ad immergersi in un ruscello, in un fosso o in uno stagno e per alcuni minuti è capace di correre sul fondo, mentre il Topo Comune non lo fa se non in caso di estremo bisogno. Il Topo Decumano ha ottimi sensi, e fra questi prevalgono il senso dell'udito e quello dell'olfatto; soprattutto l'udito percepisce, oltre i minimi rumori, i più leggeri fruscii a grande distanza; il gusto, sappiamo purtroppo, come infallibilmente lo guidi a scegliersi i migliori bocconi. Non vi è altro da dire sulle facoltà intellettuali di questo dannoso animale; esso possiede una furberia ed una scaltrezza che lo conducono a sfuggire spesso alle insidie tese dall'uomo. Fra le due specie esiste una eterna lotta che porta, naturalmente, alla soppressione del più debole da parte dell'affine meglio dotato dalla natura; tuttavia sono assai frequenti anche le lotte tra fratelli. Infatti, durante la notte, in un luogo, in cui siano numerosi, si sente un continuo baccano fatto di fughe precipitose, tonfi, ringhi, tutte le manifestazioni di continue baruffe. I maschi più vecchi vengono banditi dalla società e debbono cercarsi un cantuccio lontano dai loro simili per finire in pace i propri giorni. L'accoppiamento è sempre accompagnato da chiasso, da squittii, da lotte accanite, perché i maschi si disputano in tal modo il possesso della femmina. Dopo circa un mese di gestazione la femmina partorisce da 5 a 21 piccini, graziosi tanto che a tutti piacerebbero, se non fossero quei noiosi animali che conosciamo. Dehne tenne vivi alcuni individui albini del Topo Decumano e ci dà utili informazioni sulla giovinezza dei piccoli e sul comportamento dei vecchi. «II 1° marzo ebbi da un topo bianco sette figli. La madre si era fabbricato un nido assai fitto in una gabbia di fil di ferro. I piccoli potevano avere la mole di un maggiolino ed erano rossi come sangue. Ad ogni movimento della madre, facevano udire uno stridulo gridolino. Al giorno 8 erano già perfettamente bianchi. Apersero gli occhi dal 13 al 16. Il 18 sera si lasciarono vedere per la prima volta, ma la madre, accorgendosi che erano osservati, li prese uno dopo l'altro in bocca e li trascinò indietro. Tuttavia alcuni fecero capolino da un altro buco. Gentili bestioline della mole del topolino di risaia con una coda di circa sette centimetri. Il 31 avevano già la grossezza del topolino, il 28 quella del topo selvatico. Poppavano ancora di quando in quando (li vidi poppare il 2 aprile), giocavano insieme, si davano la caccia e si baloccavano nel modo più dilettevole e talvolta si accomodavano sulla schiena materna e si facevano portare attorno. Oltrepassavano di molto in gentilezza il topolino. Il 9 aprile tolsi la madre ai piccoli e la rimisi col maschio. L'11 di maggio ebbi un'altra nidiata. Dei nati il 1° marzo, avevo messo al principio di aprile una coppia in un grande bicchiere di vetro con un orifizio di 20 centimetri. Nel pomeriggio dell'11 giugno, vale a dire nell'età di 203 giorni, mi dette sei piccoli. Malgrado la larghezza del bicchiere, la madre sembrava trovare lo spazio troppo ristretto per la sua prole. Essa si affaticava invano a fare un più vasto nido, ove nascondere i poveri piccini, al punto che nulla più si vedeva di loro; ma presto si trovarono tutti radunati. La madre li allattò fino al 23 ed essi erano già pressoché bianchi: ma ad un tratto scomparvero; la madre li aveva tutti divorati!». Reichenbach vide lo stesso fatto prodursi per parecchie volte successive:
«Ebbi diverse vicende coi miei topi bianchi - dice egli -; hanno già quattro
volte figliato da quattro a sette individui ed ogni volta i genitori li hanno
mangiati. L'ultima volta osservai che il padre pure afferrava e rotolava i
piccini che strillavano lamentevolmente. Allora segregai il maschio, ma scappò,
fece per tre settimane il matto nella camera senza lasciarsi pigliare né in
trappole, né in altro modo, poiché non si poteva muovere tra i molti armadi.
Alla fine, parve che durante la notte si fosse involato dalla finestra superiore
aperta, perché correva con la maggiore velocità lungo le pareti verticali».
Bevono con gran gusto il latte. I semi di zucche e di canapa sono ghiottonerie per essi. Per solito si dà loro pane superficialmente inzuppato di latte o d'acqua. Di quando in quando hanno anche patate cotte, che mangiano con piacere. Non concedo loro, come neppure a tutti gli altri rosicanti, che ho in schiavitù, né carne, ne lardo, cibi loro prediletti, perché quell'alimentazione comunica alla loro orina e perfino alle loro evacuazioni un fetore ributtante e penetrante. L'odore sgradevole particolare dei topi che ne infettano durevolmente tutti gli oggetti che toccano, manca del tutto al Topo Decumano, se lo si mantiene nel modo prescritto. I topi decumani manifestano molta scaltrezza: se la loro gabbia di legno è munita all'esterno di latta, cercano di rosicare il legno e quando hanno lavorato qualche tempo, afferrano tra le zampe l'inferriata, per misurarne la forza del legno e vedere se sono presto a buon punto. Quando si netta la loro gabbia, spingono con il muso e le zampe le immondizie verso l'esterno per liberarsene». Amano la società dei loro simili. Sovente si fanno un nido comune e si riscaldano vicendevolmente accoccolandovisi fitti fitti. Ma se uno di essi muore, gli altri gli sono subito sopra, gli aprono il cranio, ne mangiano il contenuto e divorano tutto il resto, tranne le ossa e la pelle. Appena le femmine sono pregne, giova segregare i maschi, che non le lasciano in pace e mangiano i piccini. La madre ha molto amore per i figli; li accudisce con cura e quelli rispondono in ogni modo possibile alla tenerezza dimostrata loro. La vita è tenacissima in essi. Volevo una volta metter fine, affogandolo, ai mali di un topo albino, dell'età di un anno. Aveva alla collottola un foro della grossezza di un pisello, dal quale si vedevano i muscoli interni. Non avevo visto nessun indizio che la piaga si sarebbe potuta sanare. All'opposto, il male pareva dilatarsi ancora di più ed il contorno della piaga era infiammato e spelato per la circonferenza di circa 2 centimetri. Dopo che ebbi tenuto l'infermo sei volte nell'acqua ghiacciata, esso viveva ancora, e si puliva con le zampe per togliersi l'acqua dagli occhi. Infine, quando apersi il recipiente, balzò fuori nella neve e tentò di fuggire. Lo deposi allora in una gabbia, sopra uno strato di paglia e fieno, e lo portai in una camera calda. Si riebbe tanto rapidamente che fu evidente non essergli stato affatto dannoso il bagno freddo. La sua voracità aumentò anziché diminuire. Dopo alcuni giorni lo riportai dalla camera calda in una non riscaldata, ma gli diedi del fieno ed esso ne fece subito un comodo giaciglio. Con grande stupore m'accorsi allora che la piaga si restringeva ogni giorno: e l'infiammazione sparì e, dopo 14 giorni, la guarigione era perfetta. Il bagno ghiacciato aveva evidentemente operato il miracolo. Nessun altro rosicante, esposto ad un simile e ripetuto bagno, avrebbe potuto sopravvivere; tale resistenza era dovuta chiaramente al modo di vita del Topo Decumano, di cui l'acqua è il secondo elemento». Gli incisivi inferiori si allungano spesso in un modo straordinario nei topi
addomesticati e si girano a spirale. In certi casi erano passati attraverso la
pelle delle guance, impedendo al topo di mangiare tanto che esso finiva per
morire di fame. Il 17 gennaio 1744 compare, davanti al tribunale di Lipsia, Cristiano Kaiser, garzone mugnaio di Lindenan, il quale depone che il mercoledì precedente ha preso nel mulino di Lindenan un Re dei topi, composto da 16 capi con le code aggrovigliate, che tentò di saltargli addosso tanto che egli fu costretto ad ucciderlo.
Questo Re dei topi fu richiesto da Giovanni Faszhaner di Lindenan e dal suo
padrone Tobia Iagern, mugnaio di Lindenan, col pretesto di volerlo dipingere.
D'allora in poi non lo ha più restituito, anzi, mostrandolo come cosa rara, si è
guadagnato molto danaro. Perciò il postulante prega dunque umilmente di
condannare Faszhaner «cum expensis» alla restituzione immediata del suo Re dei
topi ecc. «Per esaminare quel che era di vero nella storia del Re dei topi, mi recai il 16 gennaio a Lindenan e trovai nell'osteria del Corno della Posta, sopra una tavola in una camera fredda, un mucchio di 16 topi morti, di cui 15 erano intrecciati insieme con le code così da formare come un gomitolo fatto al centro. Accanto a quei 15 topi legati insieme stava il 16° staccato appositamente per studiarlo. Esaminai i corpi e le code e notai: 1) che tutti quei topi avevano la testa, la schiena, i quattro piedi con la loro forma naturale; 2) il colore in alcuni cenerognolo, in altri era più scuri, in altri quasi nero; 3) alcuni erano lunghi circa 25 centimetri; 4) la loro grossezza era proporzionata alla lunghezza; 5) le code potevano essere calcolate di una lunghezza superiore a quella del corpo. Con un bastone sollevai il mucchio di topi e vidi che le code si sarebbero potute districare facilmente, ma ne fui impedito dai presenti. Comunque, mi resi conto che i sedici topi non erano un Re dei topi di un sol pezzo, ma un complesso di topi di varia grossezza, vario colore ed anche di diverso sesso. Mi spiego anche il perché quegli animali si sono attorcigliati insieme in quel modo: durante il freddo che precedette la scoperta di quel viluppo, quegli animali si erano riuniti insieme per riscaldarsi. Probabilmente si erano messi in modo che le teste fossero esposte più al caldo e le code verso il freddo. Le deiezioni dei topi collocati al disopra, cadendo sulle code degli altri, possono essere state la causa di quella ripugnante unione. Stando così le cose, è probabile che i topi, appena hanno cercato di andare in cerca di cibo, sentendosi così saldati l'uno all'altro, si siano dibattuti aggrovigliando sempre di più i nodi delle code. Questo è il risultato delle mie osservazioni». Può darsi che siffatti casi siano più frequenti di quel che si creda, ma che
raramente vengano scoperti. Comunque, in molte località, esiste ancora il
pregiudizio al punto che chiunque si imbatta in un Re dei topi, si affretta ad
ucciderlo. Tre trebbiatori udirono un acuto gridio nella casa forestale e ben presto si resero conto del fatto che la trave della stalla era scavata di sopra. In quella buca trovarono una grande quantità di topi vivi. Il cavo della trave aveva una profondità di circa 15 centimetri ed era tenuto assai pulito. Il passaggio era facile per i vecchi topi che dovevano alimentare la loro prole. Un servitore prese l'impegno di snidare i topi che non volevano o non potevano abbandonare quell'abitazione e di portarli nell'aia. Là, i quattro uomini videro che 28 topi erano saldamente attaccati per la coda e disposti in circolo all'intorno di quel nodo. Anche altri 14 topi erano ripartiti ed uniti nello stesso modo. Tutti parevano tormentati da un vivace appetito ed apparivano sani. Tutti erano di uguale grossezza e parevano nati nell'ultima primavera. Dal colorito si sarebbero detti topi comuni. Sembravano perfettamente pacifici e allegri e si sottomettevano a tutto quello che i quattro uomini decidevano a loro riguardo. I quattordici furono portati vivi nella camera del forestale e una gran folla venne a contemplare il gruppo meraviglioso. Lo spettacolo ebbe fine nel modo seguente: i trebbiatori portarono i prigionieri nel letamaio e li percossero fino ad ucciderli tra gli applausi della folla. Allora li infilzarono a due forche da letame e, tirando le due parti opposte, staccarono tre topi dagli altri. Le tre code non si strapparono, ma serbarono pelle e peli. I 28 furono portati all'albergo ed esposti all'ammirazione dei curiosi; dopodiché furono gettati nel letamaio. Se quella gente avesse saputo che quei re dei topi potevano arricchirla tutta, avrebbe di certo vegliato con ansia sulla vita di quegli strani forzati e li avrebbe condotti in giro per tutta la Germania. Innumerevoli mezzi si sono adoperati per distruggere i topi. Si sono appostate trappole, tese insidie, escogitati sistemi di caccia. Se i topi si accorgono di essere accanitamente perseguitati, emigrano, ma per far ritorno non appena la persecuzione rallenti. Quando poi sono ritornati, il flagello si moltiplica in modo tremendo.
I mezzi più usati per distruggere i topi sono i veleni di ogni qualità, che si collocano nei luoghi più frequentati da essi; ma questo sistema è pericoloso per gli uomini e per gli animali, perché i topi che hanno inghiottito il veleno rigettano facilmente una parte di esso, avvelenando tutto ciò che viene a contatto con quella sostanza. In molte località esiste il pregiudizio che si possano scacciare i topi tenendo nel cortile un gallo nero o bianco, senza coda. Lenz ricercò l'origine della cosa e trovò quanto segue: un oste aveva comprato un albergo e vi aveva portato un gallo privo della coda, nero, insieme alle galline; per l'appunto riuscì a liberare la casa dai topi che vi abitavano da tempo immemorabile; da questo fortuito episodio nacque il pregiudizio cui abbiamo accennato. Tuttavia il nostro naturalista osservò che i topi non si peritavano di mangiare lardo, mele e barbabietole davanti ad un gallo scodato nero, e seppe da un amico (che, secondo il suo desiderio, fece un tentativo analogo con un gallo scodato bianco) che i topi lo avevano divorato. Ad ogni modo, i più accaniti e validi nemici dei topi sono sempre le poiane, i gufi, i corvi, le donnole, i gatti ed i cani, per quanto certe volte capiti che i gatti non abbiano il coraggio di cimentarsi con i topi, specialmente con quelli decumani. Dehne vide in Amburgo cani, gatti e topi andarsene insieme a diporto. Fra i gatti esistono molte specie che conducono con passione la caccia ai topi, sebbene in principio incontrino una certa difficoltà a domare quel ringhioso rosicante. Un gatto prendeva topi prima di aver raggiunto un terzo della sua grossezza e li perseguitava con un accanimento tale che una volta fu trascinato su per un muro da un topo enorme, né lasciò la presa, anzi, rese il topo in condizioni da non poter più nuocere, mordendolo con giudizio. Da quel giorno quel bravo gatto divenne un accanito nemico dei topi ed in breve liberò tutto il podere da quel flagello. Non è poi cosa indispensabile che il gatto catturi i topi, perché la sua presenza basta a scacciarli dalla stalla e dal fienile, dalla cantina e dalle camere. Per i topi è certamente spiacevole avere vicino il loro mortale nemico. Non godono più un momento di pace. Esso si aggira silenzioso nell'oscurità senza dar segno di vita, esplorando ogni buco con le sfavillanti pupille, origliando presso i passaggi; piomba come un fulmine sui topi e li abbranca con le acute unghie e coi denti appuntiti. I topi non sopportano di vivere in un modo così agitato e preferiscono emigrare in luoghi ove possano stare tranquilli; quindi il gatto rimane il migliore amico dell'uomo perché gli riesce di scacciare ospiti così molesti. Anche la puzzola e la donnola rendono gli stessi servigi, l'una in casa, l'altra nel giardino e nelle stalle. Contro questi due ladri si trova facilmente riparo chiudendo bene la stalla e il pollaio. Si sono visti dei topi fingersi morti in momenti di particolare pericolo. Una volta mio padre aveva preso un topo che giaceva immobile nella trappola e si lasciava ballonzolare di qua e di là. Tuttavia l'occhio era troppo lucido per trarre in inganno un tale osservatore. Mio padre gettò allora il topo nel cortile davanti al suo nemico e subito si vide il commediante in vita e svignarsela con tutta la possibile velocità. Fu inutile: il gatto gli piombò sopra prima che avesse percorso due metri. Più gentili e graziosi di quei brutti ladri domestici sono i veri topolini, per quanto, nonostante la forma piacevole a vedersi e l'indole allegra, siano i peggiori nemici dell'uomo e perseguitati da questo con grande accanimento. Chiunque vede il Topolino Domestico, non può non riconoscerne la graziosità, comprese le donne che, però, sono pronte a strillare ed a fuggire se uno di tali animaletti entri nella cucina. Tuttavia, l'acutezza dei denti e la straordinaria golosità sono difetti tali che eccitano lo sdegno e la collera anche della persona più mite. L'impossibilità di salvare le proprie cose dalla voracità dei topi, malgrado serrature ed altri sbarramenti, malgrado nascondigli all'apparenza ben chiusi, è veramente irritante. Perciò, dovunque, si fa ai topolini domestici una guerra di sterminio. In Germania come in Italia vi sono le seguenti quattro specie di topi: il Topolino, il Topo selvatico, il Topo campagnolo, il Topolino di risaia. Il primo e l'ultimo meritano una descrizione particolareggiata, sebbene anche il secondo e il terzo abbiano spesso contatti con l'uomo; i primi tre sono accanitamente perseguitati, l'ultimo è sopportato un po' meglio perché non molesta direttamente l'uomo. Tra tutti i roditori, il Topolino di risaia è quello più piccolo e più aggraziato, e nello stesso tempo, uno di quei pochi che non può arrecare gravi danni.
LAGOTIDE (Lagidium cuvieri)
- VISCACCIA (Lagostomus maximus) - PSAMMORITTI - DEGU (Octodon degus) - TUCUTUCO (Cbnomys magellanicus)
- CERCOMIDE (Cercomys cunicularius) - MESOMIDE SPINOSO (Mesomys ferrugineus) - CAPROMIDE COMUNE O HUTIA-CONGO (Capromys pilorides)
- COYPU (Myocastor coypu) - AULACODO (Thryonomys swinderanus) - ISTRICI - SFIGGURO DEL MESSICO (Coendou mexicanus)
- CHETOMIDE SUBSPINOSO (Chaetomys subspinosus) - CUANDU (COENDOU PREHENSILIS) - URSONE (Erethizon dorsatus)
- ATERURA D'AFRICA (Atherurus africanus)
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