PRESENTAZIONE
L'ipotesi che un giorno
il calcolatore elettronico possa raggiungere o superare le capacità
intellettuali degli esseri umani è stata prosa in considerazione molte
volte. Inizialmente si trattava di affermazioni senza basi concrete: non era
realistico pensare che i programmi esistenti potessero ragionare, pianificare,
apprendere, sentire, formulare concetti, usare il linguaggio o pensare in modo
creativo più di quanto potessero farlo i loro predecessori meccanici come
le marionetta, il soldatino a molla e il carillon. D'altra parte, l'intelligenza
era considerata una caratteristica propria dell'uomo, e per poterne essere
dotata, la macchina avrebbe dovuto assumere caratteristiche pressoché
indistinguibili da quelle umane. Cosi i primi calcolatori furono chiamati
"cervelli elettronici" e John von Neumann, uno degli architetti del
calcolatore oggi più comune, formulò una analogia esplicita fra il
calcolatore ed il cervello. Molti associano ancora i dati con la conoscenza
umana, l'esecuzione di un programma con i processi decisionali, fino ad
attribuire una forma di "coscienza" ai computer.
Il programma
delle moderne ricerche sull'intelligenza artificiale, comunemente detto AI,
è riassunto efficacemente nella seguente. "Se possiamo formulare una
teoria abbastanza completa e precisa circa ogni aspetto dell'intelligenza,
allora possiamo anche tradurla in un programma per calcolatori. Il programma
costituisce di per sé un'espressione della teoria, ma dovrebbe anche, se
la teoria è valida, avere il potere di far manifestare al calcolatore un
comportamento del tutto simile a quello che la teoria pretende di saper
descrivere". Concretamente, molti ritengono che, per poter avanzare pretese
al titolo di " intelligente ", un computer, o meglio un programma su
di esso funzionante, dovrebbe essere in grado di sostenere una conversazione, o
una serie di conversazioni, con degli esseri umani senza mai rivelare la sua
natura. Già ora esistono programmi che simulano questa capacità in
modo ancora molto approssimativo. Si possono citare, fra gli altri, molti
interessanti "giochi di avventura", in cui il giocatore umano fornisce
dei comandi alla macchina in "linguaggio naturale", ossia usando le
espressioni della vita quotidiana, con l'obiettivo di portare a termine un gioco
in cui è simulata un'avventura fantascientifica o poliziesca. Il
programma interpreta il comando ricevuto dando delle risposte
"sensate", basate su un dizionario che gli consente di collegare fra
loro le diverse componenti delle frasi e di ricostruirne il riferimento alla
situazione presentata. La sua natura viene comunque "svelata" quando
è costretto, come prima o poi accade sempre, a chiedere la riformulazione
di una frase per noi ovvia ma che esula dalle sue preregistrate capacità
comprensive. Inoltre questi programmi, almeno al momento attuale, mancano di uno
dei requisiti fondamentali dell'intelligenza: la capacità di apprendere
autonomamente.
Al di là di queste pur affascinanti applicazioni
ludiche, le ricerche sull'intelligenza artificiale sono condotte con grande
serietà in molti paesi, specialmente negli Stati Uniti e in Giappone. In
quest'ultimo il governo, in associazione con imprese private e
università, ha varato un ambizioso programma mirante a progettare e
costruire una nuova generazione (la quinta) di calcolatori, dotati di
caratteristiche "intelligenti". Essi vedrebbero moltissime
possibilità di applicazione nell'industria, dove già oggi si
stanno diffondendo i robot che emulano funzioni umane pericolose e ripetitive,
nella ricerca e nella difesa. Negli USA, infatti, grande attenzione è
rivolta all'intelligenza artificiale nell'ambito delle ricerche sul cosiddetto
"scudo spaziale", che potrebbe portare innovazioni di grande
utilità anche nella vita civile.
Un cenno a parte meritano, per lo
sviluppo che hanno avuto e per i risultati pratici che già si sono
ottenuti, i cosiddetti "sistemi esperti", programmi che consentono
all'utente di porre domande e ottenere risposte relative a un settore di
conoscenza specifico (la patologia, la chimica, la prospezione geologica, la
farmacologia, ecc.). I sistemi esperti, e ne esistono già moltissimi,
sono spesso in grado di giustificare le proprie risposte e di dirigere
efficacemente l'utente verso la soluzione del problema con un processo
fortemente interattivo. Ma la loro utilità è limitata al loro
specifico settore di applicazione, quello per il quale sono stati dotati delle
conoscenze adatte, elaborate in gran parte da esseri umani.
I ROBOT NELLA STORIA
La nascita dei robot affonda la sue radici nella
storia antica, contrariamente alla credenza comune che li vuole
"figli" del nostro secolo. I primi studiosi ad occuparsi di queste
macchine furono i Greci della scuola di Alessandria, che progettarono una serie
di marchingegni senza però rendersi conto delle possibilità
d'impiego utilitaristiche. Solo molti secoli dopo, nel Rinascimento, vennero
ideate delle strutture meccaniche particolari, impiegate soprattutto in medicina
e in chirurgia. La più celebre di esse è senza dubbio la mano di
ferro descritta dal famoso chirurgo francese Ambroise Paré (vissuto dal
1509 al 1590): questa protesi, realizzata da un armaiolo, fu applicata al
celebre cavaliere Goetz von Berlichingen che aveva perso una mano nella
battaglia di Landshut. Gli storici dell'epoca affermano che il cavaliere tedesco
continuò a combattere per altri quarant'anni con la mano di ferro,
studiata appositamente per lui. I meccanismi di questa protesi non sono
conosciuti e quindi non sappiamo di quali possibilità di movimento
potesse disporre Goetz von Berlichingen, ma la sua realizzazione e applicazione
rappresentano senza dubbio un grosso passo in avanti per le cognizioni
chirurgiche dell'epoca.
Secondo alcuni storici inoltre, già nel XIV
secolo sarebbero state realizzate protesi simili e addirittura Plinio afferma
che il romano M. Sergio aveva una mano meccanica.