CLIMA E VEGETAZIONE DEL CONTINENTE EUROPEO
Nel continente europeo
troviamo un clima generalmente temperato che presenta, però, notevoli
varietà regionali determinate dalla latitudine, dalla distanza dal mare,
dall'altitudine e dalla disposizione dei rilievi montuosi. Possiamo, comunque,
suddividere il continente in:
a) Zona artica, con estati brevi e
clima molto freddo. Qui si stende la tundra, costituita da un insieme di muschi
e licheni che crescono stentatamente a causa del gelo permanente del
sottosuolo.
b) Zona settentrionale, con estati fresche e piovose ed
inverni piuttosto freddi. In questa zona predomina la taiga, con fitti boschi di
conifere e di betulle.
c) Zona atlantica in cui la Corrente del Golfo
e l'Oceano Atlantico attenuano i contrasti di temperatura fra inverno ed estate.
Questa zona è caratterizzata da boschi di latifoglie, ossia alberi a
foglie larghe e caduche, che rimangono perciò spogli durante
l'inverno.
d) Zona orientale, con piogge scarse ed estive; il clima
è caratterizzato da un forte contrasto tra estate ed inverno. Il
territorio è ricoperto prevalentemente da steppe, vaste regioni
pianeggianti ricche di vegetazione erbacea.
e) Zona mediterranea con
inverni molto miti; le precipitazioni, piuttosto scarse, sono concentrate nel
periodo invernale per cui si hanno inverni miti e piovosi alternati ad estati
calde ed asciutte.
Qui troviamo la classica vegetazione mediterranea, ricca
di alberi ed arbusti sempreverdi, spesso aromatici.
PREFAZIONE
Iniziamo qui a parlare della fauna d'Europa, E',
naturalmente quella che ci è più familiare, quella che siamo
sicuri, un giorno o l'altro, di incontrare lungo un sentiero di una foresta,
sulla riva di un fiume o dietro una siepe.
Quelli che ancora non hanno
avuto la fortuna di incontrare, di sera, un tasso mentre si reca,
trotterellando, all'appuntamento con le mele cadute dall'albero, o di
distinguere una lontra che ondeggia sott'acqua per risalire il fiume, almeno
conservano la legittima speranza di poter godere, un giorno, di questo
spettacolo.
Tutti abbiamo certamente avuto l'occasione di veder passare un
cervo o qualche cerbiatta, in una o nell'altra delle grandi foreste francesi,
tedesche o nordiche in cui vivono anche caprioli e cinghiali. Sui pendii delle
alte cime d'Europa, qualcuno di noi ha sorpreso le mandrie di camosci, di
stambecchi o di mufloni. Altri hanno il privilegio di aver scorto animali sempre
più rari come: Orsi, Ghiottoni o Linci.
Ma il nostro Continente non
ospita solamente questi animali importanti. Quanti piccoli mammiferi, quanti
uccelli, quanti rettili di ogni tipo, di ogni colore anche!... E come, tutti
questi animali, divengono appassionanti da osservare e da
descrivere.
ANIMALI DELLE ALPI
Gli animali delle Alpi vivono in un ambiente
particolare: il clima è rigido; la neve rimane a lungo sul suolo, i venti
spesso sono violenti.
Tra i mammiferi ricordiamo: lo stambecco (sul Gran
Paradiso), il camoscio (sulle Alpi in genere), il capriolo (sulle Alpi
Carniche), l'orso bruno (sull'Adamello e sulle Dolomiti). Questi animali sono
protetti da leggi che ne vietano la caccia, perché stanno scomparendo.
Ancora numerosi sono l'ermellino, la lepre, la marmotta, il ghiro e lo
scoiattolo. Tra gli uccelli, troviamo la dominatrice del cielo, l'aquila, il
gallo cedrone e il fagiano di monte. I fiumi, i torrenti e i freschi laghi
alpini ospitano la trota e il salmerino, gioia dei pescatori.
Nelle Alpi,
occorre guardarsi da animali pericolosi, quali lo scorpione germano che vive fin
oltre i metri 2.000, e la vipera aspis.
ANIMALI DEGLI APPENNINI
Gli Appennini ospitano sui loro pascoli numerosi
greggi, di pecore che salgono lassù a primavera, dopo aver svernato nella
pianura.
I cavalli sono diminuiti di numero, come gli asini e i muli, in
conseguenza del progredire della motorizzazione, ma rappresentano ancora un
valido aiuto per gli abitanti dei monti. Tra gli animali selvatici che vivono
sugli Appennini ricordiamo il cinghiale e il lupo, che nei tempi passati
rendevano malsicuri i sentieri montani e delle selve. Oggi il loro numero
è molto diminuito. Molto comuni in tutto l'Appennino sono lo scoiattolo,
che saltella fra gli alberi in cerca di semi e di frutta; la lepre ed il
coniglio selvatico, che recano danni alle colture agricole; il tasso, l'istrice
e il riccio, spietato nemico dei serpenti e degli insetti. Tra gli altri animali
che vivono nelle foreste dell'Appennino ci sono: l'orso bruno, quasi scomparso
in Italia; la volpe, che ama vivere tra burroni e grotte dove tiene la propria
tana e da dove parte per le sue scorrerie; il gatto selvatico, che ama vivere
nel folto della macchia, la donnola, la faina, la puzzola, capaci di sterminare
pollai interi.
Fra gli uccelli, i più comuni sono il passero, il
pettirosso, lo storno, il falco e il corvo, mentre l'aquila va facendosi sempre
più rara.
Diverse sono le specie di serpenti che strisciano sui
pascoli o si nascondono tra i cespugli e i sassi, ma il più temibile
è la vipera, che col suo morso velenoso è capace di uccidere in
breve tempo un uomo.
BERTUCCIA (Macaca sylvana)
Anche se l'Europa, come si dice, non è che
un piccolo capo del continente asiatico ed anche se, per questo motivo, essa
offre una collezione di animali selvatici che si ritrova in Asia, e
perciò anche in America, tuttavia alcuni elementi della sua fauna sono un
prestito dell'Africa. E' il caso, prima di tutti, della famosa scimmia di
Gibilterra, questa Bertuccia senza coda, della grandezza di un boxer, che vive
nel vicinissimo Marocco ed in Algeria. Tutto il mondo conosce la leggenda che la
riguarda: il giorno in cui non vi saranno più scimmie sulla rocca di
Gibilterra, questa cesserà di appartenere alla Gran Bretagna. E' per
questo che di tanto in tanto sono stati effettuati degli apporti segreti di
scimmie africane (notoriamente su ordine di Winston Churchill), affinché
l'effettivo di scimmie non rischi mai di estinguersi. Le Bertucce di Gibilterra
non sono addomesticate, ma familiarizzano volentieri e passano il giorno a
mendicare dolciumi ai turisti ed ai passanti. La notte esse dormono in caverne o
buche della rocca. Quando devono andare a bere, si recano tutte assieme ed i
vecchi maschi sorvegliano i dintorni, sebbene a Gibilterra non abbiano alcun
nemico e nell'Africa del nord ne abbiano sempre meno. Si ignora quali siano le
origini della Bertuccia, la sola scimmia europea. Ma, per gli zoologi, non
esiste alcuna prova che dimostri che essa è veramente autoctona. Si
preferisce pensare che sia stata condotta a Gibilterra in tempi molto antichi e
che qualche coppia evasa abbia finito per farvi razza. Il clima ed il biotopo
della rocca sono abbastanza simili a quelli del loro paese d'origine e questo
spiega come ciò sia potuto avvenire. Comunque siano andate le cose, quel
che è certo è che la presenza di questi simpatici quadrumani
attira un gran numero di turisti.
RICCIO D'ALGERIA (Aethechinus algirus)
Il Riccio d'Algeria non è molto differente
da quello d'Europa. Lo si può incontrare sulla costa mediterranea della
Spagna, nelle Baleari ed anche in Francia, nei Pirenei orientali ed in Provenza.
E' un poco più massiccio dell'altro, il pelo è più chiaro
sotto, il muso meno appuntito. I suoi aculei formano dei ciuffi separati da una
striscia, sulla sua fronte; le orecchie sono piccole e rotonde. Si sa che il
Riccio europeo si mostra sotto molteplici forme leggermente differenti, il che
ha dato luogo alla leggenda dei Ricci "a muso di maiale" e dei Ricci "a muso di
cane". Il Riccio d'Algeria è invece decisamente differente, per cui lo si
riconosce al primo colpo d'occhio, con un po' d'abitudine.
MANGOSTA ICNEUMONE (Herpestes ichneumon)
La Mangosta icneumone è anch'essa un
animale d'Africa e d'Asia "sperso" in Europa. La si trova esclusivamente nel
sud-ovest della Spagna, in qualche raro punto della costa dalmata ed anche in
qualche punto dell'Italia, dove l'animale è stato introdotto. La Mangosta
è un animale rossastro lungo cinquantacinque centimetri, più
quarantacinque per la coda, molto basso sulle sue zampe, dal peso che varia tra
i sette e gli otto chili e dotato di unghie non retrattili. La coda della
Mangosta è molto grossa all'origine e diminuisce gradatamente per
terminare a punta. Notturna, essa attacca i rettili, ma mangia anche ogni tipo
di piccolo mammifero, in particolare roditori, senza neppure rifiutare gli
uccelli, compresi quelli da cortile. Non bisogna dunque contare molto sulla sua
introduzione in una regione infestata da serpenti, per sbarazzarsi di essi.
D'altronde l'esperienza è già stata fatta, naturalmente a spese
dei pollai e degli allevamenti dei dintorni, il che è logico.
LINCE
LINCE PARDINA (Lynx pardina)
La Lince pardina, o
Lince del sud, esiste anche in Grecia ed in Romania; è scomparsa, sembra,
dall'Italia, dalla Sicilia, dalla Sardegna e dalla Francia. Più piccola
della Lince del nord, presenta la stessa coda corta terminante con una macchia
nera, le stesse basette e gli stessi ciuffi in cima alle orecchie. Interamente
macchiettata di scuro, con il corpo color rossastro, pesa da quindici a
venticinque chilogrammi, con un metro e dieci di lunghezza e settanta centimetri
di altezza massima al garrese. Essa vive nelle Sierre spagnole, ma è nei
Marismas, imboccatura del Guadalquivir, che è ancora più facile
trovarla. Grande amatrice di uccelli, la Lince del sud mangia anche molto
volentieri i conigli selvatici, di cui gli scrittori romani segnalavano
l'abbondanza molto prima dell'inizio della nostra epoca.
LINCE COMUNE (Lynx lynx)
Alcuni commentatori, studiosi dell'opera
dantesca, riconoscono nella Lonza di pel maculato, di cui Dante parla nel primo
canto della Divina Commedia, la presenza, forse, di una Lince comune.
"Ed
ecco, quasi al cominciar dell'erta, una lonza leggera e presta molto, che di pel
maculato era coperta". Questo animale era conosciutissimo e temutissimo sin dai
tempi remoti, molti secoli prima che Dante si occupasse di lui nei suoi scritti.
La lince comune, o Lince del nord, era presente nella maggior parte dei paesi
europei, ad eccezione della Spagna, del Portogallo e dell'Italia meridionale. La
sua scomparsa, in Francia, è decisamente recente ed ormai non la si trova
più che nell'Europa centrale e settentrionale. Essa si distingue dalla
Lince del sud, o Lince pardina, per la sua pelliccia molto meno macchiettata,
per una grandezza ed un peso leggermente superiori e per la pelliccia più
folta. In ogni modo, la Lince occupa un territorio molto esteso, ma non è
abbondante in nessun luogo. E' un animale discreto, silenzioso tranne che nei
periodi dell'amore, notturno, che non ritorna sui resti delle sue prede uccise
ed evita al massimo i contatti con gli uomini. Tuttavia in Svizzera, nelle Alpi,
nell'Europa centrale si raccontano storie di Linci, chiamate anche Lupi
cervieri, da far rabbrividire: mandrie intere di montoni sgozzati nel corso di
una notte e uomini sfigurati per l'attacco di questa fiera. Perché Lupo
cerviere? Le spiegazioni differiscono. Forse perché le Linci mangiavano
solamente il cervello delle loro vittime; forse perché attaccavano di
preferenza i cervi... Da ogni parte la leggenda rinchiude la Lince in un circolo
vizioso. In verità, questa piccola pantera europea (nonché
asiatica ed americana) è un animale tranquillo, facile da addomesticare,
ma capace di mettere in fuga la maggior parte dei suoi avversari, quando
è costretto e deciso a difendere la sua bella e folta pelliccia.
All'infuori di queste circostanze tragiche la Lince è un vicino discreto,
che preleva la giusta misura di cui ha bisogno per vivere nella fauna dei
dintorni e che non attacca veramente lite con nessuno, se non vi è
costretto dalle circostanze. Che sia una specie in via di sparizione è
sicuro, da molto tempo. Un gentiluomo alverniate che ne aveva uccisa una aveva
offerto la spoglia al re di Francia Luigi XVI. Prova evidente della
rarità dell'animale già a quei tempi... La Lince comune si
può considerare il felino più grande d'Europa; la sua lunghezza,
esclusa la coda piuttosto corta, raggiunge e, a volte, supera il metro, la sua
altezza al garrese è di circa ottanta centimetri ed il suo peso
può raggiungere i cinquanta chilogrammi. La testa è sormontata da
due lunghe orecchie che terminano con il caratteristico ciuffo di peli ed
è munita di due abbondanti e lunghe basette. Gli occhi, dalla pupilla
rotonda, sono grandi e gialli ed hanno un'espressione molto vivace che
giustifica la leggenda che vuole la vista della Lince estremamente acuta... Il
mantello di questo animale è molto bello e pregiato. Il pelo fitto,
morbidissimo ed assai lungo nel periodo invernale ha una tinta grigio rossastra
con numerose ed, a volte, indistinte macchie scure; la coda ha
l'estremità completamente nera. La Lince vive, di solito, isolata e, se
non è disturbata, si trattiene lungo tempo nel medesimo luogo. E'
un'ottima camminatrice, silenziosa come un gatto; sa correre talmente veloce che
nessun animale della foresta è in grado di sfuggirle; salta con
l'agilità di un leopardo; è capace di nuotare molto bene ed
è una formidabile arrampicatrice. Quando è sazia trascorre ore ed
ore seduta su un ramo di un albero, perfettamente immobile, assolutamente
indifferente a tutto ciò che può succedere intorno. La sua tana
è costituita da una cavità in un vecchio tronco, da una caverna
tra le rocce o da un fitto cespuglio; suo nutrimento sono i mammiferi di taglia
media tipo daini, cerbiatti, ecc., roditori di ogni specie ed uccelli che si
trattengono sul terreno o sui rami bassi degli alberi. La Lince, come abbiamo
detto, è un animale piuttosto pacifico, per cui è piuttosto facile
addomesticarla e, se trattata con molta cura, si affeziona al padrone e lo segue
come un cane.
CONIGLIO SELVATICO (Oryctolagus cuniculus)
Povero coniglio, così popolare ovunque
viva e così detestato dagli agricoltori! La mixomatosi, introdotta in
Francia da un apprendista stregone infastidito dalla presenza di questi roditori
nel suo parco, si è diffusa per tutta l'Europa e continua a decimare
questo piccolo popolo innocente dalle lunghe orecchie, dal posteriore tutto
bianco e dalla carne delicatamente profumata di timo e di maggiorana. I
cacciatori rimpiangono la loro selvaggina preferita ed anche i poeti, amici dei
chiari di luna ricchi di piccoli conigli burloni. Niente fa pensare che questa
orrenda epizoozia sia sul punto di essere sconfitta ed è l'esempio che
più colpisce di quello che si potrebbe chiamare un genocidio a livello
del genere animale; esso non è più scusabile di quelli inflitti a
volte alla specie umana...
GAZZA AZZURRA (Cyanocitta turcosa)
Uccello tipico della Spagna e del Portogallo, la
Gazza azzurra, che non si deve confondere con la Gazza parlante, le rassomiglia
veramente molto. Essa è più piccola, con la parte superiore del
capo nera, la gola molto chiara, le ali e la coda di un grazioso azzurro e il
resto del corpo grigio. Vive nei giardini, nei boschi, più volentieri in
quelli di ulivi, e nei vigneti; costruisce il suo nido tra i rami degli alberi,
di preferenza tra il tronco ed un grosso ramo, ed ama la compagnia dei suoi
simili. E' un uccello divorato dalla curiosità: la Gazza azzurra vuole
sapere tutto ciò che avviene nei dintorni del dominio dove essa vive
sedentariamente ripete poi, instancabilmente, le novità, come fanno anche
la Gazza parlante, così appropriatamente chiamata, e la Ghiandaia. Ma,
come questi ultimi, anch'essa diventa molto più discreta al momento della
nidificazione e delle covate, poiché non ci tiene ad attirare
l'attenzione dei suoi eventuali nemici sulle sue uova e sui suoi piccoli.
Più tardi essa si sposta, in gruppi composti da un numero più o
meno grande di individui, e tutte insieme vanno in cerca di notizie. Al di fuori
della Spagna centrale e meridionale e del Portogallo, la Gazza azzurra è
un uccello sconosciuto agli europei. E' un peccato poiché essa è
molto bella ed elegante, si adatta a vivere in voliera con qualche compagno e si
addomestica molto bene, come tutti gli altri membri di questa famiglia
così "intelligente", imparentata con i corvi. Questi "becchi dritti"
così screditati, a volte così ingombranti, ma sempre così
interessanti da studiare.
AVVOLTOIO BARBUTO (Gypaetus barbatus)
L'avvoltoio barbuto è uno degli uccelli
più straordinari che vi siano al mondo: la sua apertura alare uguale o
superiore a quella dei grandi avvoltoi, la sua lunghezza superiore al metro, la
sua lunga coda a forma di cono, la sua fisionomia scontrosa con una striscia
nera sopra ciascun occhio ed una barbetta scura, il suo meraviglioso volo che
utilizza, senza alcun movimento, le minime correnti aeree, tutto in lui
affascina. Il Gypaetus si nutre, come gli avvoltoi, unicamente di prede morte e
particolarmente di ossa. Il suo nome spagnolo, Rompiossa, sembra meglio scelto
del nome tedesco, Avvoltoio degli agnelli, poiché il Gypaetus inghiotte
tutto ciò che trova sotto forma di ossa. Se esse si rivelano troppo
grosse, le solleva e le lascia cadere dall'alto sopra una roccia, al fine di
sbriciolarle; poi ridiscende e si ingozza con queste briciole. E' sempre con
questo mezzo che l'uccello riesce a cibarsi anche di tartarughe e si pensa che
il poeta Eschilo, in Grecia, sia stato ucciso da un Gipeto che aveva lasciato
cadere una tartaruga, finita proprio sul cranio nudo del poeta. I Gipeti
nidificano sulle montagne, il più alto possibile, sulla parte
inaccessibile di un baratro a picco; il che, in linea di massima, mette le loro
preziose uova al riparo dagli abominevoli collezionisti. Divenuti rarissimi in
Europa, i Gipeti si incontrano oramai soltanto sulle montagne spagnole delle
Sierre, nei Pirenei, in Corsica, in Sardegna ed in Grecia. In Corsica si pensava
che la specie fosse estinta, quando una coppia è recentemente venuta a
nidificare sul monte Cinto, punto culminante dell'isola. Intelligenti ornitologi
hanno posto questo nido sotto la protezione dei pastori della regione, facendo
appello alle leggi dell'ospitalità corsa, e da allora mai nessun nido
d'uccello raro è stato protetto tanto efficacemente. Il Gipeto è
totalmente protetto, inoltre, dalle leggi di tutti i paesi d'Europa.
Innanzitutto perché svolge un ruolo utile facendo scomparire i cadaveri
degli animali sulle montagne, poi perché la specie è minacciata di
estinzione. Attualmente si raccomanda molto, per aiutarli a sopravvivere, che si
abbandonino, per loro uso e consumo, gli animali domestici morti. In pratica,
ciò che avveniva un tempo con le mandrie di montoni che transumavano.
Poiché il trasporto con autocarri ha ridotto fortemente la
mortalità tra questi animali, i Gipeti sono stati privati delle loro
risorse abituali. Essi non possono sopravvivere in altro modo, poiché
sono praticamente incapaci di attaccare prede vive. Tutto deve essere tentato
per evitare la sparizione di questi meravigliosi uccelli.
AQUILA
AQUILA IMPERIALE (Aquila heliaca)
L'Aquila imperiale
è, anch'essa, un uccello rarissimo. Essa si acquartiera nella Spagna di
sud-ovest, nella regione dei Marasmas, già notati come biotopi preferiti
delle Linci pardine, ed in Grecia. Questa grossa Aquila è di dimensioni
leggermente inferiori, in media, a quelle dell'Aquila reale. La si riconosce per
la testa e la nuca più chiare, bianche anziché giallastre; per le
piume bianche delle sue spalle e della sua schiena, soprattutto nella razza
spagnola, mentre la razza greca non mostra questo bordo
bianco.
AQUILA DI MARE (Haliaëtus albicilla)
L'Aquila di mare europea è molto simile
all'Aquila dalla testa bianca americana, all'Aquila pescatrice africana ed a
qualche altro uccello di questo genere. Raggiunge un'apertura alare grandissima,
il suo becco è uno dei più impressionanti del mondo alato ed i
suoi artigli sono estremamente sviluppati. Infatti essa è
contemporaneamente pescatrice e mangiatrice di carogne, poiché afferra in
pieno volo i pesci alla superficie dell'acqua servendosi dell'unghia del suo
pollice, ricurva a pugnale, e si posa vicino ai cadaveri per tagliarli a pezzi,
come fanno gli avvoltoi. Di modo che l'Aquila di mare è, alla fine,
più utile che nociva, ammettendo che possano esistere animali
nocivi.
L'Aquila di mare si riconosce per la sua coda bianca, soprattutto
negli adulti, mentre la parte superiore è scura. Essa vive nel litorale
scandinavo, in Cecoslovacchia ed in Austria. Altrove è praticamente
scomparsa.
AQUILA ANATRAIA MAGGIORE (Aquila clanga)
Esiste in Europa una bella collezione di Aquile
di piccole dimensioni, piccole in rapporto a quelle dell'Aquila reale, e che
godono tutte di una protezione che si vorrebbe veder rispettata totalmente.
L'Aquila anatraia vive nell'est dell'Europa, ma non al nord. Viene a volte
ritrovata anche in Gran Bretagna ed in Francia. Le sue dimensioni non superano i
settantadue centimetri, dal becco alla coda, e la sua tinta, uniforme, appare di
un bruno molto scuro, con rare macchie bianche superiormente, alla base della
coda. E' un uccello poco rapido che si sposta lanciando delle specie di urla
acute, simili a quelle di un piccolo cane, e che ama la vicinanza degli alberi e
dei corsi d'acqua. Essa costruisce il suo nido in un albero e caccia, in volo
picchiato, le piccole prede che si trovano sul suolo, principalmente i roditori
di ogni specie. Il suo becco non è molto forte, la sua testa è
molto grossa e i suoi artigli sono molto temibili. Quelle che si fanno uccidere
al di fuori del loro regno abituale, nell'est europeo, vengono automaticamente
classificate Aquile reali, automaticamente ed abusivamente. Ma i giornali di
tutti i paesi d'Europa farebbero bene a promuovere regolarmente delle campagne
per la protezione di tutti questi begli uccelli che diventano sempre più
rari. Non solo, malgrado la legge che li protegge, spariamo loro addosso, ma li
avveleniamo anche con gli insetticidi che, come primo effetto, li rendono
sterili. Le uova che questi depongono, infatti, non sono fecondate e non danno
pulcini e il numero di questi uccelli è già così basso che
qualche annata sterile basterebbe per farli scomparire, i giovani non
sostituendo più gli adulti. Essi non fanno alcun male, disdegnano o
temono i pollai e gli allevamenti e la bellezza del loro volo dovrebbe attirare
loro l'amicizia e la protezione di tutti gli uomini degni di questo nome. Se
così si può dire...
DONNOLA (Mustela nivalis)
Esistono molte varietà di Donnole. Tra
quelle europee, il tipo più comune che noi presentiamo qui misura
venticinque-trenta centimetri, più cinque circa per la coda. Una forma
pigmea che misura circa diciannove centimetri di lunghezza esiste in Finlandia e
nell'Europa orientale; un'altra specie sempre pigmea, ma un poco più
grande, vive in Spagna. Le Donnole sono animaletti dal tronco snello, sottile ed
elegante; il collo è molto lungo e largo quasi quanto il tronco, la testa
è allungata ed il muso appuntito è ornato di lunghe vibrisse; gli
occhi sono piccoli, ma molto vivaci, le orecchie non molto grandi sono
arrotondate, le zampe, corte ma molto robuste, sono armate di unghie appuntite e
taglienti; la pelliccia, molto morbida e rasata, è bruno rossastra nella
parte superiore e chiara in quella inferiore. Sono animali attivi, irrequieti,
rapidi che corrono con la schiena arcuata ed hanno un coraggio che rasenta la
temerarietà e l'incoscienza: abbiamo visto una Donnola saltare in testa
ad un cavallo che non le cedeva abbastanza in fretta il passo, resistere ad un
cane lupo furioso e venire a guardarci sotto il naso perché imitavamo il
verso di un sorcio. Poiché, se le Donnole sgozzano i piccoli conigli
selvatici o di conigliera, se esse terrorizzano i proprietari di pollai, bisogna
però precisare che esse costituiscono un freno naturale di qualità
alla proliferazione dei roditori domestici. Nessun grosso topo, nero o grigio,
è capace di tener testa alla temibile Donnola il cui ardore nel
combattimento è inimmaginabile per chi non l'ha mai vista all'opera.
Lanciando piccole grida superacute, essa salta a destra e a sinistra davanti al
roditore che non riesce a reagire, poi gli si scaglia contro e lo sgozza con un
colpo dei suoi denti aguzzi che non perdonano. Recentemente ci è capitato
di togliere un leprotto veramente minuscolo, un neonato, ad una Donnola che
l'aveva preso dietro l'orecchio e che cominciava a farlo sanguinare. Accorsi
alle sue grida, siamo saltati sui combattenti e abbiamo raccolto la piccola
vittima quasi svenuta. La Donnola, appena spaventata, e indietreggiata di
qualche metro ed è rimasta là, fissando con occhi furiosi la preda
derubata ed appena intimidita dal nostro intervento. Terribile, piccola
Donnola...
GENETTA COMUNE (Genetta genetta)
Il genere Genetta è abbastanza difficile
da studiare a causa della notevole variabilità delle forme
viventi.
La maggior parte degli zoologi sono però d'accordo nel
considerare sette specie, dato che le rimanenti sarebbero solo delle
varietà locali adattate a particolari ambienti.
Le Genette sono
diffuse in gran parte dell'Africa, eccetto il Sahara, in Asia Minore e
nell'Europa sud-occidentale.
Sono tutte di origine africana e sono
caratterizzate da un corpo molto allungato, elegantissimo, con un muso lungo e
appuntito, coda slanciata e sottile all'estremità. La lunghezza, coda
esclusa, può arrivare a 60 centimetri e il peso ai due chili. Il manto
è ornato di macchie scure non sempre ben definite e sparse su un fondo
chiaro: spesso sono allineate in serie longitudinali; sul dorso il pelo,
parzialmente erettile, è più scuro e forma una striscia continua
nerastra. La coda è anellata di chiaro e scuro e il muso, di colore
scuro, presenta sul labbro superiore e sotto gli occhi delle macchie biancastre.
Tipica è la forma delle orecchie, tondeggianti e molto prominenti. Gli
arti sono piuttosto corti e dotati di 5 dita, la pianta dei piedi è
pelosa eccetto una sottile linea longitudinale.
La Genetta comune o Genetta
europea, strano a dirsi, tende attualmente ad espandere il suo "areale" essendo
stata da tempo segnalata anche in Belgio, in molte località della
Germania ed in Svizzera.
La Genetta europea non è un mustelide, ma
un viverride, come lo Zibetto. La leggenda afferma che essa ha invaso l'Europa
di sud-ovest in seguito all'invasione ed all'occupazione araba, fino al punto di
arresto della battaglia di Poitiers (732). In seguito a questo avvenimento si
dice anche che Carlo Martello abbia dato a sette dei suoi prodi il titolo di
"compagni dell'ordine della Genetta". Si sarebbero trovate numerose pelli di
questo animale nei bagagli dei capi arabi e si sarebbe concluso che essi davano
molto valore a questa pelliccia, a dire il vero assai ruvida e povera. In
effetti è molto più probabile che la Genetta sia venuta
dall'Africa del nord via nave, con o senza l'aiuto dell'uomo, in tempi ben
più antichi, e che abbia fatto razza in Spagna e nella parte sud-ovest
della Francia trovandosi a proprio agio; gli arabi furono probabilmente molto
stupiti di trovarla già installata in quei luoghi. La si trova
attualmente ad ovest della linea Le Havre-Marsiglia, in Francia, in Spagna ed in
Portogallo. Ma, in rare occasioni come già abbiamo visto, ne sono state
viste e prese anche in Germania, in Belgio, in Olanda e nell'altra metà
della Francia. La Genetta europea ha le dimensioni di un gatto, ma in
proporzione è più lunga La testa è piccola ed allungata,
con il muso appuntito; le orecchie, corte e larghe, sono arrotondate. La testa
è piccola ed allungata, con il muso appuntito; le orecchie, corte e
larghe, sono arrotondate. Essa è striata longitudinalmente e la sua coda
molto lunga è anellata in nero e bianco. La Genetta vive nelle zone
collinose e montane, sassose, aride e poco ricche di vegetazione. Pur essendo
attiva anche di giorno, si muove prevalentemente di notte e si nutre,
soprattutto, di anfibi. rettili e pesci essendo una perfetta nuotatrice,
così come una rapidissima arrampicatrice. E' capace di allungarsi ed
appiattirsi al suolo più dei gatti, di insinuarsi in fessure anche
strettissime, di rimanere perfettamente immobile; per questo è quasi
impossibile che la preda prescelta possa evitare di essere afferrata. Le sue
pupille sono sensibili alla luce e le sue unghie semiretrattili. All'inizio del
Medioevo, quando l'Europa ignorava ancora l'esistenza del gatto, le Genette
semi-addomesticate vivevano nei castelli ed avevano il compito di divorare i
topi, come le puzzole della Grecia antica. Le une e le altre sono ritornate allo
stato selvatico, ma le Genette si lasciano sempre addomesticare molto
facilmente. Non è molto piacevole, però, tenerle vicine
perché il loro corpo emana un intenso odore di muschio che appesta
l'aria.
NIBBIO BIANCO (Elanus caeruleus)
Il Nibbo bianco, che gli spagnoli chiamano
precisamente "azul", cioè blu, nonostante il suo nome non si può
definire un nibbio e non è bianco. Esso è un piccolo rapace delle
dimensioni di un gheppio, dalle parti superiori grigio-azzurre e dalla testa
bianca con del nero sulle spalle.
E' molto diffuso in Africa, dal
Mediterraneo fino al Capo di Buona Speranza ed è presente anche in India
e nel sud dell'Europa.
Si intrattiene spesso con la propria compagna sui
rami più alti e nidifica in primavera. Costruisce il nido sugli alberi e
la femmina vi depone da 3 a 5 uova bianche o color crema pallido variamente
spruzzate di bruno-rossiccio.
Si nutre di una notevole quantità di
Roditori, Uccelli, Rettili, Anfibi, Insetti ed altri piccoli animali che avvista
in volo.
Le uova vengono covate per più di 4 settimane ed i genitori
si mostrano molto premurosi ed affettuosi.
Il Nibbio bianco che vive nel
sud dell'Europa si dimostra un eccellente ausiliario dell'uomo nella lotta
contro i piccoli roditori e gli insetti nemici delle culture. Lo si vede
soprattutto al mattino presto ed al cadere del giorno, mentre vola lentamente ad
una discreta altezza esplorando il terreno in cerca di prede. Durante le ore di
sosta rimane appollaiato sugli alti rami degli alberi o sulla cima dei pali.
Ultimo dettaglio: la sua coda, all'estremità, è leggermente
biforcuta. Naturalmente i cacciatori che appartengono alla specie di quelli che
tirano su tutto ciò che si muove o vola, non si fanno scrupoli
nell'abbattere questo utilissimo uccello, senza neppure cercare di conoscere il
suo nome e le sue abitudini.
STAMBECCO DEI PIRENEI (Capra pyrenaica)
Lo Stambecco dei Pirenei è una forma di
Capra hircus, così come lo sono altre forme locali, principalmente in un
certo numero di isole dell'arcipelago greco. Più ci si dirige verso sud,
più la taglia di queste capre selvatiche diminuisce, dalle Alpi fino al
sud della Spagna e di là verso la Grecia. La forma "pyrenaica" è
caratterizzata da una taglia di un metro e mezzo circa di lunghezza ed ottanta
centimetri circa di altezza al garrese. Lo Stambecco dei Pirenei, pur essendo
molto simile nell'insieme allo Stambecco delle Alpi, si identifica molto
rapidamente per l'attorcigliamento delle sue corna che non avviene sul piano
verticale, come nella varietà alpina. Infatti la Capra pyrenaica ha le
corna ricurve all'indietro, ma leggermente arrotolate anche sui lati,
allargandosi dal loro punto di partenza del cranio. A dire il vero questa forma
di corna è estremamente variabile, così come variabile è il
numero degli anni di crescita che esse portano in rilievo. Oltre che dalla forma
delle corna, lo Stambecco dei Pirenei è caratterizzato da una barbetta e
dalla colorazione del mantello bruno chiaro nella parte superiore, quasi bianco
in quella inferiore. Il pelo è fitto e piuttosto lungo nella stagione
invernale, rado durante il periodo del caldo. Nei Pirenei francesi non si vedono
ormai più Stambecchi ed anche dall'altra parte della frontiera non ne
rimane che un piccolissimo numero. Si dice che Alfonso XIII, ultimo re di Spagna
e grande cacciatore, abbia sterminato questa razza. La stessa cosa, e più
sicuramente ancora, avviene in Portogallo dalla fine del secolo scorso. Ma
restano ancora Stambecchi spagnoli più a sud, in quelle zone montagnose e
frastagliate che vengono chiamate sul posto Sierras ed in cui delle riserve
cercano di mantenere questo prezioso capitale di animali sempre più rari.
Gli Stambecchi amano le vette, che col loro piede molto sicuro traversano senza
sforzo e tra cui sfuggono gli uomini ed i loro temibili fucili. Coi loro gialli
occhi da capra, i vecchi maschi e le vecchie femmine sorvegliano i dintorni per
conto del gregge più o meno numeroso. Gli uni e le altre pascolano l'erba
profumata della montagna rimanendo nei settori più inaccessibili per
l'intero corso dell'anno, come se il freddo più intenso ed il calore
più torrido non avessero alcuna influenza su di loro. Al mondo non
esistono scalatori di rocce migliori delle differenti varietà di
stambecchi, gli zoccoli dei quali, anche sul ghiaccio, non scivolano
assolutamente.
DESMAN DEI PIRENEI (Galemys pirenaica)
La famiglia dei Desmanini presenta conformazione
e attitudine per la vita acquatica. I suoi componenti sono tipicamente privi di
orecchie esterne, nel senso che mancano del padiglione auricolare, pur
sentendoci benissimo. Hanno il muso che termina in una piccola proboscide, assai
mobile, arti anteriori con una membrana interdigitale, presente ma non
completamente sviluppata ed estesa.
Questa famiglia comprende, secondo la
maggior parte degli studiosi, due forme diffuse in Europa ed in Asia, entrambe
poco studiate.
Il Desman dei Pirenei può vantarsi di essere uno tra
gli animali meno conosciuti del continente. Pochissimi europei conoscono la sua
esistenza ed infinitamente meno sono quelli che possono vantarsi di averne visto
uno anche in fotografia. Questo insettivoro, delle dimensioni di una piccola
talpa, è molto simile ai toporagno, ma la piccola tromba che gli serve da
naso, irta di peli tattili, è in proporzione ancora più lunga e
mobile. Il Desman dei Pirenei vive lungo i bordi dei ruscelli e dei torrenti di
queste montagne, ad ovest ed in particolare sul versante francese. Sembra che
non abbia molta capacità nello scavare il terreno, per cui si insedia
nelle tane già scavate dai roditori.
E' un attivissimo cacciatore
che si muove in prevaLenza durante la notte e che ricerca le sue prede sia sul
terreno che in acqua. Non si conoscono molti dettagli sulla sua vita privata, ma
possiamo annunciare che Padre Richard, l'uomo che meglio conosce i castori in
Francia, sta per dedicarsi allo studio di questo animale. Potremo così,
in un prossimo futuro, essere meglio informati su questo raro animaletto. Il
lettore potrà forse stupirsi nell'apprendere che ancora nell'agosto del
1968 non esisteva alcuna fotografia di un Desman sorpreso in libertà,
almeno per quel che ci risulta. Bisogna osservare che i francesi si interessano
ancora molto poco alla fauna del loro paese, quando non si tratta di animali
commestibili o che possono essere venduti. Il Desman è presente nell'est
con una forma russa o siberiana (Desmana moschata) che si distingue per la mole
maggiore (fino a 20 centimetri) e per la coda, lunga pure una ventina di
centimetri, compressa di lato su tutta la sua lunghezza, tranne alla base per la
presenza nella parte inferiore di ghiandole che secernono un liquido dal forte
odore di muschio.
La pelliccia, molto bella, è bruno rossiccia di
sopra e grigio-cenerina con riflessi argentei di sotto.
I Desman muschiati
vivono nella Russia meridionale, tra il Volga e il Don, in altri bacini
nonché in parte dell'Asia nord-occidentale, preferendo le acque a lento
corso o stagnanti. Scavano nelle sponde elevate dei fiumi gallerie oblique, che
salgono rapidamente, con l'ingresso sommerso o a pelo d'acqua, e con una grande
camera-nido all'estremità, posta in genere al disopra del massimo livello
delle piene. Nuotano come Lontre servendosi della robusta coda, e sono attivi
nelle loro cacce anche quando il ghiaccio ricopre i fiumi ed i
ruscelli.
Ogni femmina può avere da 3 a 5 figli, anche due volte
all'anno. Il Desman muschiato fornisce, come già abbiamo visto, una
pelliccia molto bella e ricercata un tempo per i suoi riflessi: ai giorni nostri
invece non sembra che la pelle di questo animale sia minimamente conosciuta
dagli specialisti di pellicceria. Le mode passano: al momento, all'infuori dei
classici visoni, zibellini, volpi, castori, lontre o cincillà, la
richiesta è per i cappotti di pantera. Al punto che questa magnifica
fiera è in via di estinzione per la gioia delle signore eleganti. Una
volta di più, come ai tempi della moda delle penne di airone, della pelle
della scimmia colobo o delle piume di uccelli del paradiso, la moda influisce
pesantemente sulla sorte della fauna selvatica. Non dimentichiamo l'abominevole
scandalo delle piccole foche della specie di Groenlandia, che si massacrano a
centinaia di migliaia sulla banchisa internazionale dell'Atlantico del nord e
che si scorticano vive, per prendere la loro bianca pelliccia. Chi
impedirà ciò?...
CASTORO EUROPEO (Castor fiber)
I Castori, di aspetto abbastanza massiccio e
pesante, sono tra i roditori di forme maggiori arrivando fino a misurare 120 cm.
Di abitudini tipicamente rivierasche e semiacquatiche, hanno il corpo ricoperto
da una densa pelliccia, con peli della giarra relativamente grossolani e lanetta
molto fine La colorazione è bruno-marrone, con una certa
variabilità; gli arti e la coda sono in genere più scuri. Hanno un
cranio massiccio, abbastanza tondeggiante e dotato di arcate zigomatiche
bombate. Gli incisivi sono molto sviluppati e robustissimi, a crescita continua.
Gli arti presentano 5 dita, quelle dei piedi sono palmate e munite di unghie
robuste.
Caratteristica è la coda, lunga una trentina di centimetri
e larga 15, con la parte bassa a sezione circolare e ricoperta di peli, mentre
per il resto fortemente appiattita in senso orizzontale con carenatura sulla
parte superiore; si presenta in gran parte priva di peli e ricoperta invece da
scaglie esagonali delle quali alcune munite posteriormente di peli corti e
rigidi, abbondanti nei giovani ma mancanti negli individui più vecchi.
Gli occhi sono piccoli, le orecchie pelose e poco sporgenti; i maschi presentano
le ghiandole anali molto sviluppate, che nel Castoro europeo hanno aspetto di
sacco costituito da aggruppamenti di ghiandole a grappolo secernenti un
abbondante liquido oleoso.
I Castori vivono nei pressi dei corsi d'acqua o
dei laghi e si allontanano pochissimo dalla loro dimora. Alquanto impacciati sul
terreno, sono a loro agio in acqua dove nuotano tenendo le zampe anteriori
contro il corpo e avanzando grazie alla spinta impressa dalle zampe posteriori
palmate mentre la coda serve loro da ampio timone di direzione. Durante le loro
frequenti immersioni sono anche in grado di chiudere ermeticamente le narici e i
condotti uditivi.
Rimangono a lungo in immersione trattenendo il respiro:
possono resistere anche per qualche minuto e percorrere distanze superiori a
mezzo chilometro. Hanno un udito e un odorato molto sviluppati, ma vista debole;
si muovono preferibilmente alla sera limitandosi di giorno a prendere il sole.
Sono famosi costruttori di dighe e di "capanne" a cupola o a piramide costruite
con rami e tronchi cementati con fango. La capanna è sempre circondata
completamente dall'acqua e pur avendo l'ingresso al di sotto del pelo
dell'acqua, presenta un pavimento sempre al di sopra del livello massimo del
fiume. Ovviamente questo livello è sempre sotto stretto controllo
mediante abili manovre alla diga.
Quest'ultima viene sempre costruita in
modo che oltre alla funzione di sbarrare il corso d'acqua abbia anche quella di
mantenere il livello al di sotto del pavimento della capanna, ma al di sopra
degli accessi alla capanna stessa.
I Castori sono esclusivamente
vegetariani e si nutrono di radici e di tuberi oltre che di molte varietà
di piante erbacee.
Sono monogami e si riuniscono in gruppi costituiti da
una decina di coppie che lavorano spesso alla stessa diga. Gli accoppiamenti
avvengono in genere nel mese di gennaio ed i piccoli vedono la luce in aprile.
Ogni nidiata è in genere costituita da due-quattro piccoli. Possono
essere considerati dei sedentari in quanto non abbandonano mai la loro zona se
non in caso di eccessivo affollamento. La famiglia comprende un solo genere che
viene comunemente diviso in due specie: Castor fiber, euroasiatico e Castor
canadensis, americano. Esiste, sul nostro continente, un animale
pressoché identico al Castoro canadese, che, se ha rischiato di
scomparire, si è ripreso, da una cinquantina d'anni a questa parte,
abbastanza bene da poter ormai considerare la sua sopravvivenza assicurata. Dopo
essere stato presente in tutta l'Europa, tranne in quella del sud, fino alla
fine del XVIII secolo, è scomparso rapidamente davanti alle forme di
civilizzazione adottate dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dai Paesi
scandinavi, dalla Germania, dalla Russia, dalla Polonia, ecc. e si è
rifugiato nelle regioni più segrete, oppure è addirittura
scomparso. In Francia lo si trova attualmente negli affluenti della riva destra
del Rodano inferiore, dove, protetto convenientemente, prospera sotto la
sorveglianza di Padre Richard, un gesuita appassionato di zoologia... pratica.
In Svezia esso abbonda nuovamente in alcuni settori, come pure in Russia ed in
Polonia. La Germania e la Svizzera ne hanno ripopolato alcuni loro fiumi. Le
differenze tra il Castoro europeo e quello canadese sono minime ed anche le
abitudini sono quasi identiche. Il Castoro europeo può essere considerato
il più grande roditore del vecchio continente. Il suo aspetto è
molto simile a quello di una marmotta: forma piuttosto tozza, testa tondeggiante
con orecchie piccole ed arrotondate. La dentatura è estremamente forte,
tanto che un solo castoro adulto è in grado, nel corso di una notte, di
abbattere un albero.
L'influenza dei castori sulla configurazione dei
terreni è stata grande, in tempi molto antichi; tanto grande quanto
quella dei cani della prateria in America. In effetti i Castori, con la loro
abitudine di sbarrare i fiumi e di formare così dei laghi di ritenuta,
hanno invaso le valli, appianato immense regioni e creato, in qualche centinaia
di migliaia di anni, l'immenso territorio da grano che si estende dal bacino
parigino fino al cuore della Russia europea. Inoltre questi meravigliosi
architetti hanno insegnato agli uomini a costruire degli sbarramenti e delle
capanne e ad abbattere gli alberi in un punto preciso.
LONTRA EUROPEA (Lutra lutra)
Le Lontre non vanno d'accordo con i Castori di
cui sono, senz'altro, i più temibili nemici: sott'acqua avvengono a volte
delle dure battaglie dalle quali i Castori escono generalmente vincitori, grazie
alla temibile tagliola costituita dai loro denti di roditori giganti. Le Lontre
appartengono alla famiglia dei Mustelidi. Conformate per il nuoto che esse
praticano con gli arti anteriori aderenti al corpo e la coda che fa da timone,
esse divorano soprattutto i grossi pesci divenuti sterili e cannibali,
apportando così ai fiumi un equilibrio naturale apprezzabile. La Lontra
può arrivare ad un metro e mezzo circa di lunghezza ed ha un corpo che
ricorda un poco quello dei cani bassotti. La pelliccia, molto pregiata, è
formata da una lanetta molto spessa sovrastata da peli duri e lucenti; se la
pelliccia è in buone condizioni, non lascia giungere l'acqua a contatto
della pelle. Quando i pesci scarseggiano, le Lontre escono anche dai corsi
d'acqua per scorrazzare, di notte, nella campagna alla ricerca di roditori,
rettili, anfibi o prede di ogni tipo. Esse scavano le loro tane sugli argini,
con un'apertura sott'acqua ed un'altra, di soccorso, sul terreno, ben nascosta
in un cespuglio o tra le radici di un albero, in modo che sia difficile
scoprirla. Nella tana le femmine allevano teneramente i loro piccoli. Una coppia
di Lontre occupa un regno che si estende per una decina di chilometri lungo un
fiume di media importanza. Catturate giovani, le Lontre si addomesticano alla
perfezione e, in alcuni paesi, viene insegnato loro a pescare per conto del
padrone. Sono animali gai e giocherelloni, che non tengono spazio e che si
affezionano molto al padrone tanto da seguirlo continuamente, come può
fare un cagnolino. Poiché stanno lentamente scomparendo, le Lontre
dovrebbero essere protette in tutti quei luoghi, in Europa, in cui ne esistono
ancora; sarebbe, infatti, un vero peccato se questa specie dovesse
estinguersi.
PUZZOLA D'ACQUA (Mustela lutreola)
La Puzzola d'acqua, chiamata anche Visone
d'Europa, è un mustelide visibile solamente nella metà occidentale
della Francia ed in Russia. Lunga circa mezzo metro, di cui una quindicina di
centimetri spettano alla coda, ha un bellissimo mantello di color castano scuro,
con il mento, il labbro superiore e la gola macchiati di bianco. E' un animale
prettamente acquatico, con le zampe palmate, che non si allontana assolutamente
dagli stagni o dai lenti fiumi in cui vive e che si nutre di pesci, di topi
d'acqua, di crostacei, di anfibi e di rettili. Essendo un animale molto raro,
pochissime sono le persone che possono vantarsi di averne visto un esemplare o,
almeno, di conoscerne l'esistenza.
MUFLONE (Ovis musimon)
Ritorniamo nel sud dell'Europa per incontrare un
animale che ha veramente rischiato di sparire dalla superficie della terra, ma
che ha beneficiato, alla fine, di un così fortunato concorso di
circostanze favorevoli da essere introdotto, con successo, anche in numerose
regioni in cui prima era sconosciuto. Originario della Sardegna e della Corsica,
dove è stato a lungo cacciato a morte, il Muflone popola attualmente
numerosissime montagne francesi (Massiccio Centrale, Vosgi, Giura, ecc...),
tedesche, austriache ed italiane. Questo antenato dei nostri montoni domestici,
è un animale pesante e solido, che raggiunge i cento chilogrammi di peso;
i maschi portano delle corna arrotolate estremamente maestose, di cui si sanno
servire molto bene nel corso dei combattimenti furiosi che avvengono tra di
loro, in primavera. Il Muflone è certamente meno buon arrampicatore dello
stambecco o del camoscio. E' per questo che non lo si incontra sulle pareti
rocciose, né al livello dei ghiacciai o delle nevi eterne. Esso
preferisce la montagna detta da pascolo, le sue grasse distese di erbe profumate
e le sue foreste ombrose. In caso di necessità si adatta benissimo anche
alla pianura. Il capostipite di Muflone che è servito a ripopolare la
Francia, è vissuto parecchi anni nel parco di Chambord, in Turenna, ed i
suoi piccoli vi sono normalmente prosperati. Si sa che esistono altre razze di
montoni selvatici nel mondo, dai Bighorn americani agli Ammotraghi dell'Africa
settentrionale. Il Muflone corso è una varietà ben precisa ed ha
contribuito più di ogni altra all'origine dei nostri montoni domestici.
Si noterà con piacere che nella piccola patria d'origine, la Corsica,
sono stati creati nuovi parchi per la salvaguardia del Muflone, oltre alla
vecchia riserva della Bavella dove non ne restavano quasi più. Bisogna
dire, non certamente a discolpa dei bracconieri, ma per spiegare il loro
comportamento, che la carne di Muflone, come quella di stambecco, gode di
un'alta reputazione presso i gastronomi e che la domanda ha sempre superato
l'offerta, e di molto.
SITTA DI CORSICA (Sitta whiteheali)
Parleremo più avanti di un'altra Sitta,
più conosciuta e più grossa. La Sitta corsa, detta comunemente
Picchio muratore corso, non è visibile che nelle montagne dell'isola di
Bellezza, e solo in quelle ricoperte da foreste o da macchia E' un piccolo
uccello dal capo nero con una striscia bianca che passa sopra l'occhio e dalle
piume azzurre nella parte superiore, chiare in quella inferiore. Come le altre
Sitte, quella corsa si mostra sovente in un atteggiamento caratteristico, la
testa bassa e la parte posteriore sollevata, la coda verticale. Essa anima i
rami dei pini tra cui l'occhio fa fatica a seguirla; si arrampica e discende, la
testa sempre in basso, lungo i rami ed i tronchi e nidifica in un buco dei
vecchi alberi. E' un grazioso uccello che sfugge felicemente agli uccisori
amanti di piccoli arrosti o di spiedini, per la discrezione delle sue abitudini.
Il meraviglioso paesaggio che offre la Corsica all'interno dei suoi boschi o
lungo la sua macchia impenetrabile, ha bisogno di essere animato da numerosi
uccelli, altrimenti, mancando questi piccoli esseri, rimarrebbe un'impressione
di tristezza malgrado la magnificenza della vegetazione e la luminosità
del sole. Bisogna comprendere e far comprendere che anche gli uccelli hanno
ovunque un ruolo da recitare a fianco dei turisti.
ISTRICE CRESTATA (Hystrix cristata)
L'Istrice crestata è un roditore; non ha,
dunque, alcun legame di parentela con il riccio, sebbene abbia scelto, come lui,
di vestirsi di lunghi aculei al fine di scoraggiare eventuali aggressori. Grosso
animale che arriva ad una lunghezza di sessanta centimetri circa per un peso di
quindici chilogrammi, esso di notte passeggia grugnendo sottovoce ed agitando la
sua armatura, quando lo si disturba. Nulla resiste alla terribile forza dei suoi
denti, capaci di tagliare anche il legno più duro. L'Istrice non lancia i
suoi aculei su quelli che lo molestano, come molti credono, ma, poiché
questi sono attaccati alla sua pelle leggermente, a volte restano nella ferita
con grande danno per gli aggressori. Nessun animale, fosse pure un leone, riesce
ad avere la meglio su di un Istrice. Solamente l'uomo, con le sue armi moderne,
è capace di uccidere questo animale così ben equipaggiato per il
combattimento difensivo. A parte i suoi vicini ed alcuni specialisti, pochi
sanno che l'Istrice vive in Europa e vi si riproduce in libertà. Esso
abita la parte sud-ovest dell'Italia, la Sardegna ed il nord della Grecia. A
dire il vero, non si sa molto bene se vi sia arrivato da solo o se lo si
è aiutato. Alcuni pretendono, senza però averlo mai provato, che
la sua introduzione risalga all'epoca dei romani. L'Istrice vive in tane
naturali che sistema per rendere più comode; esce di notte; si mostra
assai discreto, ma rode a volte i vegetali in un modo veramente sfacciato
rendendosi insopportabile ai suoi vicini. Non è né una selvaggina,
né un bersaglio degno di un cacciatore, ma solamente un grazioso incontro
da fare di notte, alla luce dei fari, o al mattino presto quando si avvia
lentamente verso la propria tana. Incontro da fotografare o da filmare,
certamente, ma non da avvicinare!... Come i nove decimi degli animali selvatici,
l'Istrice si addomestica molto bene e gode volentieri della compagnia degli
uomini. Attenzione solamente alle gambe dei tavoli e delle sedie!...
BUFALO INDIANO (Bubalus bubalus)
In alcuni paesi del sud-est europeo, ed anche in
Italia, si incontrano talvolta dei grandi bovidi, più o meno ingobbiti,
che lavorano nelle risaie o che pascolano in libertà nelle pianure umide.
Si possono considerare, questi, come animali selvatici ed alcuni zoologi vanno
anche oltre affermando che questo Bufalo indiano, poiché Bufalo indiano
è, è un animale autoctono in Europa. E' un punto che resta da
determinare e non lo sarà tanto presto, poiché i documenti
sembrano mancare. Non è meno vero che, se si vuole avere un'idea di un
paesaggio asiatico con la minima spesa, basterà andare nei Balcani, in
Ungheria, in Romania, nel delta del Danubio o in Italia, in quello del Po e
guardare, da lontano poiché sono a volte piuttosto irascibili, questi
grossi animali dalle corna appiattite avanzare, sui loro larghi piedi,
nell'acqua fino al ginocchio. Il Bufalo indiano, che alcuni autori chiamano
Bufalo d'acqua, si trova un po' ovunque in quello stato semiselvaggio notato
precedentemente, fino negli Stati Uniti. I soli realmente ed indubbiamente
selvaggi vivono al Borneo. Non li si deve confondere con altri animali selvatici
asiatici quali il Gaur, il Gayal od il Banteng. La forza del Bufalo è
stupefacente. Se la collera lo prende è veramente capace di sventrare una
tigre, e si afferma che un paio di Bufali aggiogati battano in trazione tre paia
di buoi europei. Abbiamo detto precedentemente che essi sono a volte irascibili.
In effetti, anche se si lasciano condurre da un bambino senza mai reagire, essi
caricano volentieri gli sconosciuti che si avvicinano, con le conseguenze che si
possono immaginare. Diffidate dunque di questi grossi animali quando vi guardano
di sbieco, la testa bassa: la carica può sopravvenire da un momento
all'altro e, di preferenza, nel momento in cui girate loro la schiena... I
Bufali, in Europa, non si incontrano molto spesso, ad ogni modo, a meno che si
sia decisi a cercarli. Nel qual caso si prendano le proprie
responsabilità o, meglio, le... gambe in spalla!...
RICCIO D'EUROPA (Erjnaceus europaeus)
La differenza tra il Riccio d'Algeria e il Riccio
d'Europa è minima. Quest'ultimo non ha gli aculei divisi in due ciuffi
sulla fronte ed il suo muso è meno arrotondato, più appuntito. Un
segno scuro a forma di V macchia la sua figura più chiara, congiungendo
il muso ed i due occhi. Gli aculei sono tutti di uguale lunghezza: due
centimetri e mezzo circa. Amante dei giardini e dei vigneti, del sottobosco e
dei cortili, il Riccio si abitua molto bene alla vicinanza delle case degli
uomini. Esso esce di sera, caccia di notte, si nutre di chiocciole che estrae
delicatamente dalla loro conchiglia che immobilizza con le due zampe anteriori,
ingoia lumache ed insetti di ogni genere, mangia frutti, sorbisce a volte delle
uova e gli capita persino di divorare un pulcino od un coniglietto. Mangia
volentieri serpenti, quando ne trova, e soprattutto vipere non abbastanza rapide
per sfuggirgli. Esso non teme i loro morsi che si perdono nella corazza di spine
e anche se morsicato ferocemente al muso non ne soffre.
GHEPPIO (Falco tinnunculus)
Uno dei nemici dei Ghiri, dei Topi quercini e dei
Moscardini è questo piccolo falco dall'aspetto elegante e dal grido
acuto. Esso vive in tutta l'Europa, abita in prossimità delle
città e dei villaggi, bazzica nelle terre coltivate e nidifica spesso nei
buchi dei muri, che possono trovare negli edifici elevati. Lo si vede spesso
appollaiato su alberi o su cespugli, il che causa la sua perdita nei paesi dove
è ancora autorizzata l'abominevole caccia agli uccelli. Quando si vede un
Gheppio volare lentamente nel cielo, le ali appena mosse da un leggero
tremolìo, si può star certi che sta spiando un topo campagnolo, un
ghiro od un volo di cavallette, poiché esso apprezza molto anche gli
insetti. Come dire che il Gheppio è un uccello decisamente utile,
generalmente protetto, che non bisogna assolutamente scambiare con uno
sparviero. La sua ridotta dimensione, le sue ali appuntite, la sua coda lunga e
stretta ed il suo volo lo caratterizzano sufficientemente perché nessun
errore sia ammissibile. Ma troppi cacciatori non sanno resistere al piacere di
un bel colpo di fucile nell'aria!...
UCCELLI MARINI
Parleremo ora di alcune varietà di uccelli
marini, gli uni di specie comune, altri appartenenti a specie molto differenti,
tutti belli da veder vivere, interessanti da studiare ed utili. Tutti sono
minacciati, attualmente, dal crescente inquinamento delle acque del mare. La
catastrofe del Torrey Cannion, all'entrata della Manica, che ha sparso
più di 100.000 tonnellate di petrolio grezzo, fino alle coste della
Cornovaglia ed a quelle bretoni, ha provato che la nostra fauna selvatica
è ormai alla mercè del minimo errore di navigazione commesso da
marinai da quattro soldi. Le riserve francesi delle Sept-Iles, che ospitavano
un'importante colonia di Pulcinella di mare, di Urie e di Gazze marine, come
pure la più meridionale stazione di Sule bassane, sono state devastate a
morte. Occorreranno decine d'anni per rigenerarle: ora lo svuotamento delle
petroliere in alto mare non cessa mai ed inquina ogni anno un poco di più
le acque salate e le coste senza che i governi dei paesi interessati
intervengano utilmente. Bisogna dire che, da questo lato, l'avvenire è
oscuro per questi begli uccelli. L'Uria (Uria aalge), i Pulcinella di mare
(Fratercula artica), e le Gazze marine (Alca torda) sono, che il loro nome lo
indichi o meno, delle specie di pinguini dalle ali corte, dal volo difficile,
che sguazzano nell'acqua per pescare e che soffrono al massimo per i prodotti
nocivi fluttuanti alla superficie. La Sula bassana, immenso uccello bianco e
nero, si tuffa come una saetta ed esce dall'acqua quasi altrettanto rapidamente
dopo aver preso un pesce nel suo becco. Essa soffre meno, ma se ne va altrove. I
Gabbiani sono degli uccelli marini ben noti da un capo all'altro dei paesi
marittimi ed anche all'interno delle terre, dove essi risalgono i fiumi. Gli
Stercorari rassomigliano ai Gabbiani, ma le loro abitudini di pirati
differiscono. Non solo essi svuotano i nidi degli altri uccelli, ma rubano il
pesce a quelli che tornano dalla pesca, obbligandoli a vomitarlo in pieno cielo.
Si credeva, un tempo, che gli Stercorari si nutrissero degli escrementi degli
altri uccelli, da cui il loro nome. Il Fulmaro glaciale, chiamato anche
Procellaria dei ghiacciai, si riconosce per il suo colore grigio e per il suo
volo perennemente rasente le onde, o le rocce, quando si avvicina alle coste. Le
Rondini di mare hanno la coda largamente biforcuta. Quando si fidanzano, il
maschio porta sempre un pesciolino alla sua femmina e glielo offre sulla punta
del becco. Se essa accetta, le nozze saranno celebrate, se no il maschio se ne
va alla ricerca di un altro regalo e di un'altra bella. Tutti questi uccelli
vivono nei mari europei, più o meno a nord; alcuni si trovano nel
Mediterraneo o nei mari interni. Tutti hanno un ruolo importante da svolgere
nella natura: si dedicano, in concorrenza con i crostacei e con i pesci, alla
pulizia della superficie delle acque e delle spiagge messe a secco dalla bassa
marea. Tutti gli avanzi organici spariscono, grazie ad essi ed al loro
insaziabile appetito. In cambio essi sono protetti ovunque e sparare loro
può costare molto caro ad un cacciatore incosciente. Se si potesse
evitare loro anche il contatto con l'inquinamento da idrocarburi, i loro gruppi
rumorosi, perennemente in movimento al seguito di navi o sopra i porti, non
rischierebbero più di scomparire per la nostra più grande
desolazione. Notiamo che questi uccelli si addomesticano molto male, che
sembrano sempre assetati di libertà e che la loro alimentazione, quando
si tratta di pesce fresco, pone spesso dei problemi quasi insolubili... E' il
caso della Sula e di tutti i pinguini... Siamo obbligati a ritornare sulla
minaccia che incombe attualmente sull'avvenire degli uccelli marini non solo in
Europa, ma nel mondo intero. Sempre più la costruzione marittima si
incammina verso le petroliere giganti: 250.000 tonnellate, 300.000 tonnellate e,
presto, 500.000 tonnellate, se si crede alle notizie che vengono dal Giappone.
Se una di queste cisterne colossali, che una trentina di uomini conducono,
aiutati da perfetti radar, va ad urtare contro una roccia, sono altrettante
tonnellate di petrolio grezzo sparse sulla superficie del mare e, di
conseguenza, la morte per tutta la fauna toccata. Il rischio è enorme e
solo l'avvenire dirà se questo aspetto della nostra civiltà non
contribuirà massimamente alla sparizione della fauna marina, soprattutto
in spazi tanto ristretti quanto i mari europei: Manica, Mediterraneo, Mare del
Nord o Baltico. A riguardo, seri progressi sono stati realizzati a bordo stesso
delle navi cisterna giganti che possono ora recuperare tutto l'olio delle loro
riserve ed immagazzinarlo senza rigettarlo in mare, come era di regola sulle
petroliere negli anni passati. Il seguito di queste operazioni sarà
positivo? Meno rifiuti mortali da una parte, un enorme rischio dall'altra! Il
rimedio, la difesa per ciò che concerne quest'ultimo sarebbe
l'imposizione di rotte il più lontano possibile dalle coste, ma essendo
la rapidità redditizia non bisogna contarci molto. Inoltre, prima o poi,
la petroliera gigante deve accostarsi all'interno di un porto per vuotare i
depositi! L'avvelenamento del mondo da parte dell'uomo non è in via di
cessazione e sono gli animali selvatici che ne sono, ben inteso, le prime ed
innocenti vittime. Le prime vittime, poiché le seconde saranno gli
uomini! Lo sanno?... E non è troppo tardi per farlo comprendere loro?...
Chi, ai nostri giorni, accetta di ascoltare la ragione?...
CERVO
CERVO NOBILE (Cervus elaphus)
Gli esemplari maschi
del Cervo europeo, alla fine del mese di settembre si sfidano tra di loro e
chiamano le cerbiatte lanciando un bramito che ricorda il muggito del toro e che
rimbomba a lungo in piena foresta. I vecchi Cervi di sette anni, quelli che
hanno, a volte, molto più di cinque punte su ogni corno, a sinistra ed a
destra della loro testa, si sfidano, poi si affrontano. Le ramificazioni da
combattimento, lunghe e ricurve in aria come dei pugnali, situati, alla base di
ogni corno, tentano di sventrare l'avversario; le corone in cima alle corna,
all'impalmatura, picchiano come mazze: i due grandi animali indietreggiano, si
lanciano, le loro corna si urtano con rumore di rami secchi ed, a volte, restano
incastrate fino alla morte dei due maschi... Più spesso uno dei Cervi
piega i garretti, offre il fianco, viene malmenato e fugge, prima di essere
ucciso dal suo vincitore. Questi proclama il suo trionfo ai quattro angoli della
foresta, poi se ne va con la sua mandria di cerbiatte. Non tarderà a
lasciarle, poi a perdere le sue corna che ogni anno si rinnovano sempre
più belle, mentre le cerbiatte ed i giovani dell'anno precedente
resteranno raggruppati, attendendo le nascite della primavera. Ed il ciclo
continuerà, con, di tanto in tanto, l'eliminazione di un grande, vecchio
Cervo cacciato, battuto o ucciso da un rivale più giovane che lo
rimpiazza e rinnova il sangue della mandria. I Cervi vivono nei grandi boschi di
tutta la metà settentrionale dell'Europa. Essi ne escono per andare a
saccheggiare i raccolti, l'avena in particolare, o quando sono stretti troppo da
vicino dai cani dei cacciatori, nei paesi dove si pratica ancora la caccia al
Cervo. Nei paesi dell'Europa centrale, generalmente si caccia il Cervo con
l'avvicinamento o l'agguato, il che costituisce un altro procedimento di
eliminazione dei maschi troppo vecchi, dunque una specie di selezione naturale.
Molto tempo prima dei cacciatori, i lupi d'Europa cacciavano anch'essi il Cervo
inseguendo fino allo sfinimento il grande vecchio Cervo che avevano scelto
all'inizio della caccia, senza lasciarsi prendere dalle trappole. I cacciatori
non hanno fatto che imitare nei minimi dettagli le regole di caccia dei lupi,
fino a che non sono state trasgredite con l'utilizzazione di cani, cavalli,
automobili e radio portatili. E fu la fine della caccia ad inseguimento. I
Cervi, ornamenti delle foreste, pongono un problema se non vengono mai cacciati:
non hanno più nemici naturali, pullulano, sono affamati, sono ammalati e
scompaiono. Ogni grande parco naturale dovrà comportare un servizio
incaricato di mantenere l'equilibrio normale tra gli animali e la vegetazione di
cui si nutrono. Se no, sarà una sconfitta. I Cervi vivono una quindicina
d'anni al massimo, prima di morire della loro "bella morte", come scrisse
così bene Maurice Genevoix, il romanziere francese segretario perpetuo
dell'accademia francese, nel suo libro intitolato "La foresta perduta". Al
momento, gli enormi e vecchi Cervi arrivano a portare fino a ventiquattro
ramificazioni, come il celebre cervo di Ensleigh, in Gran Bretagna, morto
accidentalmente saltando sopra una grata. Certamente anche un tale animale non
raggiunge la maestà di un Wapiti del Canada, ma un vecchio Cervo dei
Carpazi, che passa lentamente nel sottobosco, costituisce uno spettacolo che non
si dimenticherà mai più.
I due animali di cui parleremo
ora vengono assegnati dagli studiosi ad un piccolo gruppo della più
grande famiglia dei Cervidi o Cervi. La loro posizione risulta un po'
particolare anche perché presentano una statura veramente piccola e, come
per i Muntjak, uno strano modo di segnalare la loro presenza durante la stagione
degli amori: abbaiando proprio come fanno i cani.
Sono diffusi solo in Cina
e nelle regioni limitrofe, ma alcuni esemplari, evidentemente sfuggiti alla
prigionia, sono stati segnalati anche in Europa.
IDROPOTE INERME (Hydropotes inermis)
L'Idropote, che non supera il peso di quindici
chili e non ha corna è, come già è stato detto, di origine
asiatica. Qualcuno di loro, fuggito da allevamenti o da collezioni particolari,
sembra aver fatto razza nelle Isole Britanniche. Ne sono stati uccisi o
catturati anche in Francia, di tanto in tanto. Uno di loro era divenuto la
mascotte di un reggimento inglese che l'aveva poi perso nel corso dello sbarco
delle truppe alleate, all'inizio dell'ultima guerra mondiale. Questi piccoli
cervi hanno una forma assai elegante e si notano per i canini, fortemente
sviluppati, che sporgono fuori dalle labbra. Il colore del loro mantello
è rossastro chiaro nella stagione estiva, molto scuro in quella
invernale. Sono animali molto timidi e paurosi che vivono a coppie o solitari in
zone acquitrinose; per questo vengono chiamati anche Cervi delle paludi. La loro
cattura non è facile perché sanno nascondersi molto bene e, in
caso di pericolo, fuggono con agilità straordinaria.
CERVULO MUNTJAK (Muntiacus muntjak)
Il Muntjak ha più o meno lo stesso peso,
forse un poco più abbondante. Le sue corna, munite di un solo ramo assai
corto e dirette leggermente all'indietro con la punta un po' ricurva, sono
appoggiate su grossi bernoccoli ricoperti di pelle vellutata. Anch'esso ha dei
canini che sporgono esternamente ed è venuto dalle Indie. Il Cervulo
muntjak ha il pelo corto e lucente, color bruno castano nelle parti superiori,
biancastro in quelle inferiori. Sono animali molto timidi che rimangono nelle
parti più fitte dei boschi, in cui sanno nascondersi molto bene.
Normalmente rimangono per tutta la vita nei posti in cui sono nati, a meno che
la zona diventi troppo pericolosa. Questo piccolo cervo è il "capriolo"
(traduzione inesatta) dei Libri della giungla del grande Rudyard Kipling, che
viene inseguito dai lupi e dalla tigre Shere Khan. E' soprattutto in Gran
Bretagna, dove vi ha fatto razza, che si può sperare di ritrovare il
Muntjak, ritornato allo stato selvaggio, ma anche qui rimane molto raro...
Questi graziosi, piccoli animali che non sono stati previsti per i nostri paesi
d'Europa, vi si sistemano, ciò nonostante, molto bene. Essi non hanno,
praticamente, alcun nemico dichiarato, all'infuori dei cacciatori; ma,
nonostante la loro bellezza, non ci faranno dimenticare i nostri Cervi ed i
nostri Caprioli...
CAPRIOLO (Capteolus capreolus)
Il Capriolo che presentiamo vive all'incirca
negli stessi paesi del Cervo nobile. Molto più piccolo e più
leggero (in media pesa dieci volte meno) non è che grazia ed astuzia, con
i suoi begli occhi dalle ciglia ricurve, le sue frementi narici nere, il labbro
inferiore bianco e la sua andatura danzante sotto due corna aguzze e biforcute.
Ma non bisogna fidarsi: se il Cervo è, a volte, brutale e pericoloso,
soprattutto nel periodo degli amori, il Capriolo lo è sempre e le sue
cariche sono temibili perché basse. Esso maltratta la sua femmina e la
lascia volentieri ai cani per potersi nascondere ed evitare la muta. A volte
uccide i suoi cerbiatti di cui è geloso, se la sua femmina non ha saputo
nasconderli o nasconderli abbastanza bene. Abitante delle foreste esso pure,
mangiatore di fuscelli, di foglie, di ramoscelli di edera, di piante di fragole,
il Capriolo sa prendersi gioco dei suoi inseguitori come nessun altro. Purtroppo
per lui, la sua carne è molto più ricercata di quella del Cervo e
fa troppo spesso le spese di questa eccellenza gastronomica. Non è,
comunque, in via di sparizione ed è in grado di ripopolare una foresta,
se lo si lascia in pace...
SIKA (Cervus nippon)
Il piccolo cervo Sika con le sue macchie bianche
su un fondo bruno rossastro è stato importato dal Giappone in Europa nel
corso degli ultimi cento anni. Di taglia intermedia tra quella del Cervo nobile
e quella del Capriolo, assai aggressivo, si ritiene che elimini quest'ultimo ed
è, per questo, spesso malvisto nei nostri paesi. Sembra che la Francia
sia il paese in cui è meglio riuscito ad impiantarsi, ma ha fatto razza
anche nella maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale, tranne in Italia ed
in Spagna. Esso vive a piccole mandrie o solitario, ma non offre mai uno
spettacolo paragonabile a quello del nostro Cervo autoctono, poiché non
ha mai più di quattro ramificazioni per corno. Inoltre non è mai
tanto grazioso ed elegante nei suoi movimenti quanto il Capriolo. Come la
maggior parte degli animali esotici introdotti in Europa, la sua presenza nei
nostri paesi non è una bella riuscita, per cui è meglio evitare
questo genere di acclimatazione.
LEPRE
LEPRE BRUNA (Lepus capensis)
La Lepre, Lepre "bruna"
per essere esatti, appartiene al folclore europeo del quale costituisce uno dei
personaggi essenziali, come pure l'animale che qui lo insegue: la Volpe. Nel
romanzo che ha per titolo il nome stesso di quest'ultimo animale, la Lepre viene
chiamata "Codardo". Questa parola è però sinonimo di "pauroso" e
si avrebbe torto a prenderlo alla lettera. La Lepre non è meno coraggiosa
degli altri animali, ma essa sa che la sua salvezza risiede nella forza e nella
rapidità delle sue lunghe zampe. Lepre "cappuccina" del centro della
Francia o grande Lepre rossa dell'Europa centrale, esse hanno tutte la stessa
reazione quando il cane o l'uomo le scovano: partire a piccoli passi,
saltellando sulle loro zampe, la schiena rotonda, poi, sempre in direzione della
salita, prendere il gran galoppo, a sessanta chilometri all'ora, tanto che solo
i levrieri sono capaci di seguirla. La Volpe non va così veloce: si
lascia distanziare, certamente, ma conosce i passaggi, i rifugi della sua preda;
inoltre prende la precauzione di piazzare bene il suo complice nel miglior
luogo. Generalmente è la femmina che insegue ed il maschio che sta in
agguato. Se quest'ultimo manca al suo dovere, non è raro sentire nella
notte le sue grida d'angoscia quando si lascia picchiare dall'inseguitrice
affamata. Lepri e Volpi vivono così, in eterna competizione, ma non
bisogna assolutamente pensare che le seconde si nutrano essenzialmente delle
prime. Non sarebbe vero: la Lepre non è che una selvaggina occasionale e
la base del menù della Volpe resta la collezione di magri roditori: topi,
topi selvatici, sorci, topi di fogna, inoltre anfibi, uccelli malati o azzoppati
che si catturano senza troppe difficoltà. Certamente il pollame tenta,
soprattutto se è mal difeso e soprattutto se lo si sa. Spetta agli uomini
difenderlo comprando della rete di buona qualità!... Per quel che
concerne la Lepre, la sua vita è esemplare: nasce il leprotto in
primavera, generalmente in un solco ornato con erba secca; è curato dalla
madre, la Lepre femmina, che resta a poca distanza e l'allatta regolarmente. Una
Lepre piccola può essere presa tra le braccia e vezzeggiata; purtroppo si
addomestica raramente e muore generalmente molto presto se la si separa dalla
madre. La qualità della carne della Lepre ed il suo peso ne fanno una
selvaggina ricercata, il che la minaccia di estinzione in alcune regioni dove
abbondava un tempo. E', nonostante ciò, un animale ammirevolmente
adattato alla sua vita, dalle abitudini appassionanti ed ancora semisconosciute.
LEPRE ALPINA (Lepus timidus)
La Lepre alpina, soprannominata "bianchina" dai
Savoiardi, vive nelle Alpi, in Irlanda, nel nord della Scozia, nella Russia
settentrionale e nella penisola scandinava. Essa è più piccola,
più rotonda, più "coniglio" della lepre ordinaria ed ha le
orecchie più corte, largamente bordate di nero. La sua coda, per contro,
non è nera nella parte superiore. Essa, nelle isole britanniche, a volte
non muta colore, ma ciò avviene sempre nelle Alpi (oltre i mille metri
d'altezza, poiché la sua zona si trova tra questa altezza ed i
tremilasettecento metri) ed in Scandinavia. In Inverno, nella neve, la Lepre
alpina diventa veramente invisibile e bisogna decisamente cascarci sopra per
vederla; essa possiede la preziosa facoltà di assumere il colore del
paesaggio al fine di passarvi inosservata. E' una forma di mimetismo automatico,
probabilmente determinato dall'aumento o la diminuzione del calore
solare.
E' un animale relativamente raro, molto poco conosciuto tranne che
dai cacciatori locali e che meriterebbe di essere protetto.
VOLPE
VOLPE ROSSA COMUNE (Vulpes vulpes)
Questa piccola fiera,
che non si mischia né al lupo, né allo sciacallo, né al
cane, che cambia aspetto con il clima, dalla varietà argentata del nord
alla Volpe rossa del sud dell'Europa, si rivela astuta, scaltra e capace di
adattarsi molto bene alla civiltà degli uomini. Essa vive, infatti, alla
periferia delle città, nei borghi, nei paesi e nelle case isolate, non
fugge l'uomo se non quando vi è costretta e vive volentieri coi suoi
avanzi, che sceglie prudentemente di notte. I suoi piccoli, con la loro dolce
pelliccia irsuta, sono tanto adorabili quanto i leprotti; come questi si
adattano poco alle delizie del nostro lusso: restano generalmente ansiosi,
diffidenti, mordaci, fuggitivi, sempre pronti a rubare, a graffiare ed anche a
mordere. Di tanto in tanto, però, si trova una piccola Volpe che commuove
con la sua gentilezza, la sua dolcezza e la sua comprensione. Lo scrittore
francese Simone Jacquemard, che conosce meglio di chiunque altro l'animo di
questi folletti della notte, non mi contraddirà certo.
VOLPE BIANCA (Alopex lagopus)
La Volpe bianca si riconosce e si distingue dalle
altre Volpi per le sue piccolissime orecchie arrotondate, per la sua coda molto
folta dietro la quale essa sa nascondersi e ripararsi, secondo quanto si dice, e
per lo splendore della sua stessa pelliccia, variabile secondo le sottospecie
cui l'animale appartiene e secondo la stagione: bruno smorta d'estate e
completamente bianca in inverno per alcune, grigia d'estate e bluastra d'inverno
per altre. Quest'ultima pelliccia, comunemente chiamata Volpe azzurra, vale una
fortuna poiché è estremamente ricercata.
La Volpe bianca o
Volpe polare può essere vista solo nell'estremo nord della penisola
scandinava, nelle isole dell'Oceano artico, in Islanda e sulla costa orientale
della Groenlandia, nella misura in cui tutte queste regioni possono essere
riallacciate, più o meno arbitrariamente, al continente europeo di cui si
parla in questa opera. Le Volpi bianche vivono in piccoli gruppi, spostandosi
continuamente sulle rocce, sul ghiaccio, sulla neve alla ricerca del nutrimento
sempre molto scarso e difficile da trovare. Si accontentano di qualsiasi
alimento: uccelli marini che nidificano sulle coste, uova, roditori, crostacei
ed avanzi lasciati da altri animali. Quando il cibo è abbondante, le
Volpi bianche scavano delle piccole buche e vi sotterrano gli avanzi del loro
pasto, per ritrovarli quando le condizioni sono particolarmente difficili. Anche
per quel che riguarda la tana, si accontentano di ciò che trovano: una
piccola caverna tra le rocce, una buca nel terreno, qualsiasi luogo, insomma,
che possa dar loro riparo contro il freddo, il vento od anche il nemico. A
differenza delle altre Volpi, prevalentemente notturne e piuttosto paurose per
quel che riguarda l'uomo, le Volpi polari si avvicinano anche in pieno giorno ai
villaggi degli Eschimesi e vanno a curiosare dovunque, arrivando anche a
penetrare nelle tende per rubare ciò che capita loro a tiro, se il
padrone della tenda ha un momento di disattenzione. Le Volpi polari, molto
cacciate, possono essere allevate anche in cattività. Gli allevamenti di
questi animali hanno raggiunto oggi un grande sviluppo, in particolare nella
Russia settentrionale e nell'Alaska.
Si ignora, generalmente, che uno di
quegli straordinari mammiferi capaci di volare è ospite anche
dell'Europa. Eppure un petauro vive effettivamente nella Russia di nord-ovest ed
è un autentico scoiattolo volante. La membrana che può distendere
tra le sue zampe anteriori e quelle posteriori, su ogni lato, gli permette di
effettuare dei voli planati di una cinquantina di metri di lunghezza. Essi
vivono nella foresta, specie dove crescono le betulle; si preparano il nido
nelle cavità dei tronchi portandovi erbe e foglie secche per renderlo
più comodo e caldo; solo nelle giornate più rigide dell'inverno
rimangono nel nido immersi in un sonno semiletargico; difficilmente discendono
al suolo ed il loro cibo preferito è costituito da gemme degli alberi.
MARTORA COMUNE (Martes martes) - FAINA (Martes foina)
In linea di massima, in questo ramo di mustelidi,
si riconoscono facilmente la Martora per la sua gola gialla e la Faina per la
sua gola bianca. Si dice che la prima abbia macchiato il suo tovagliolo con del
giallo d'uovo. Non è, però, una cosa assoluta: la Martora, a
volte, ha la gola di un giallo molto pallido e la Faina di un bianco giallastro.
Quel che è ben certo è che la Martora fugge gii uomini e vive
nella foresta, di preferenza foresta di conifere, dove essa caccia lo scoiattolo
e gli uccelli, mentre la Faina vive volentieri nel granaio della fattoria dove
essa sa trovare le uova di cui ama saziarsi ed i pulcini che sgozza volentieri.
Si dice anche che la Faina preferisca saccheggiare le fattorie vicine, al fine
di avere la pace nella sua, ma se facessero tutte così l'allevatore
rischierebbe di non riconoscere la sua e di maledire tutte le Faine, senza
distinzione. Le Faine e le Martore eliminano anche innumerevoli roditori,
rendendosi tanto utili quanto sono nocive. E' dunque abusivo ed anche stupido
intestardirsi a volerle distruggere. La loro grazia, la loro vivacità
nell'arrampicarsi sugli alberi, fino sui ramoscelli più sottili, quando
inseguono una preda, il loro coraggio indomabile davanti alle avversità
le rendono estremamente simpatiche. Le Martore, le Faine ed anche i Gatti
selvatici sono capaci di tagliarsi una zampa con i loro denti acuti per
liberarsi da una trappola. Esse si addomesticano molto bene e si rivelano
giocherellone, dispettose, gaie in un modo inimmaginabile.
GATTO SELVATICO (Felis silvestris)
Se la Martora è diffusa nel nord e sulle
montagne e la Faina piuttosto nelle pianure e nel sud, il Gatto selvatico
è raro ovunque. Esso non è l'antenato del gatto domestico, venuto
dall'Africa nel medioevo. Più pesante, più massiccio, la testa
rotonda e grossa, il sotto dei piedi nero e vellutato, il dorso ornato da una
striscia nera, la coda a forma di clava striata cinque o sei volte, questa
piccola fiera pesa fino a otto o nove libbre e vive in qualche foresta
dell'Europa centrale e settentrionale. Anche in Italia ne rimane qualche raro
esemplare confinato nei boschi impenetrabili dell'entroterra ligure e sui monti
dell'Uccellina, in Toscana. Esso resta invisibile durante il giorno, scegliendo
la sua tana nel buco di un cerbiatto, e nascondendosi tra i rami degli alberi in
caso di pericolo. Si è sempre affermato che il Gatto selvatico rifiuta di
farsi addomesticare. Eppure il professor Condé, zoologo dell'Accademia
delle scienze di Nancy, in Francia; ne ha, da anni, alcuni in libertà
presso di lui. Ciò prova che questa bestia selvatica che fino ad ora ha
fatto indietreggiare gli ammaestratori più coraggiosi, si lascia
conquistare dal buon trattamento unito ad una conoscenza perfetta della sua
mentalità. I Gatti selvatici del professor Condé sono nutriti
esclusivamente di topi vivi, il che prova che questo felino, così buon
cacciatore, si sa accontentare di quel che gli si offre e costituisce, in
realtà, un eccellente alleato contro i roditori che pullulano nelle sue
riserve di nutrimento. Certamente se voi incontrerete un Gatto selvatico vi
impressionerà: le sue orecchie basse, i suoi canini scoperti, i suoi
occhi furiosi che mandano bagliori verdi e gialli, le sue unghie, il suo pelo
irto sul collo, la schiena e la coda, tutto indica che il furore, o il terrore,
è stato la causa di un notevole scarico di adrenalina nella carne di
questo animale inquieto. Questo animale sta divenendo raro ovunque e dovrebbe
godere al più presto possibile di una protezione totale ed efficace. Esso
non causa alcun male alla fauna selvatica o domestica, non è aggressivo
ed è decisamente bello, perfettamente adattato alla vita che conduce
nelle nostre foreste.
TASSO COMUNE (Meles meles)
Il Tasso somiglia ad un piccolo e goffo orso. E'
plantigrado, pesante, cammina rotolando se è spinto da qualche urgenza,
si rizza sulle zampe posteriori per mangiare l'uva e, giovane, ama rotolarsi per
giocare con i suoi congeneri; come l'orso, è un onnivoro completo. Tutto
gli fa gola: le larve delle vespe e delle api selvatiche, il miele, le radici, i
frutti, il pesce e la carne. Uccide, a volte, coniglietti, leprotti o uccellini;
sa pescare nei fiumi quasi in secca e non rifiuta né la vipera, né
la biscia sorpresa sui bordi di qualche aia. Si incontra il Tasso in tutta
l'Europa, dalla Turchia alla Spagna, dall'Irlanda del nord ai paesi baltici.
Esso è solamente più raro nelle regioni settentrionali della
Scandinavia. Preferisce la foresta di alberi frondosi, in pianura come in
montagna, ma scava altrettanto volentieri la sua tana complicata in una prateria
bordata da alberi. Tana effettivamente complicata: a volte su due piani, con
corridoi, camere, un torrione centrale, un'insenatura in caso di guerra, dove il
Tasso fa fronte furiosamente agli assalitori, delle uscite di sicurezza che
sboccano in impenetrabili macchie. Il tutto ben collegato, molto pulito e senza
quell'odore nauseabondo che distingue le tane delle volpi. Il Tasso è un
temibile combattente che sembra non risentire delle ferite e si comporta come se
i suoi ventisette chilogrammi, al massimo, non fossero fatti che di grosse ossa
e di muscoli potenti. Il suo morso è temibile: taglierebbe di netto tre
dita di una mano o la zampa di un cane. Se preso giovane è facile da
addomesticare, goloso, burlone e amante della compagnia dei suoi padroni. Non si
può non riconoscere, al primo colpo d'occhio, un Tasso, anche se lo si
vede per la prima volta: le strisce nere sugli occhi, la cravatta bianca, il
panciotto nero, la coda corta, il corpo spesso e basso sulle zampe, non lo fanno
assomigliare ad alcun altro animale selvatico quando, di notte, col naso raso
terra, va per la propria strada, verso un mucchio di mele o verso una vite dai
grappoli maturi. Il Tasso non è muto: esso grugnisce, soffia, geme e, nel
periodo degli amori, alla fine dell'inverno, lancia degli impressionanti urli
che agghiacciano il sangue di chi li sente senza conoscere la loro origine.
Quando i Tassi si insediano in qualche posto e non sono molestati dagli uomini o
dai cani, non si muovono più. L'autore conosce un vero "villaggio"
abitato da molto tempo da una famiglia numerosa di Tassi: a memoria d'uomo (e in
questo caso si tratta di almeno tre generazioni) vi sono sempre stati,
là, dei Tassi. La regione, tuttavia, non è meno abbondante di
selvaggina ed i pollai sono tranquilli, malgrado questo vicinato, e se i Tassi
rubano qualche grappolo d'uva o si sdraiano su qualche filare di avena per
masticare i grani lattiginosi, il luogo non è certamente
rovinato.
CINGHIALE COMUNE (Sus scropha)
A parte la Gran Bretagna e la Scandinavia, il
Cinghiale sembra presente in tutto il resto dell'Europa; ma si tratta di una
popolazione estremamente fluttuante, che aumenta e diminuisce di anno in anno ed
è quasi sempre in via di spostamento, poiché il maiale selvatico
è un animale essenzialmente erratico. Più si va verso nord-est,
più il Cinghiale prende peso mentre verso sud diventa più leggero.
I vecchi solitari dei Carpazi possono raggiungere trecento chilogrammi, cosa
assolutamente impossibile in Francia; i Cinghiali corsi, raggiungono raramente i
cento chilogrammi. Si sa che l'animale ha lunghe zampe, è molto compresso
lateralmente, nell'avantreno ed irto di setole di colore variabile dal nero al
biondo. Il maschio possiede canini superiori ed inferiori di cui si serve sia
per trovare il nutrimento, come pure per dilaniare il ventre dei suoi avversari.
D'inverno, la lunghezza del suo pelo dà all'animale un'apparenza molto
più forte; in estate il pelo corto lo riporta a più giuste
proporzioni. In primavera la femmina mette al mondo un bel gruppo di porcellini
il cui "abito" rimane striato, nel senso della lunghezza, di nero su fondo
grigio per circa metà anno. Essi crescono rapidamente, prima in compagnia
dei loro congeneri della stessa età, poi a gruppi sempre più
ridotti per, finalmente, vivere soli quando raggiungono una maggiore età,
se sono riusciti ad evitare gli incidenti... di caccia. Infatti il Cinghiale
è una selvaggina scelta, per gli uomini, e ben pochi arrivano a morire di
morte naturale. Sono animali estremamente simpatici, molto intelligenti,
perfettamente addomesticabili sebbene diventino molto ingombranti, invecchiando
e crescendo di peso. Sono gli antenati diretti dei nostri maiali
domestici.
PERNICE BIANCA (Lagopus mutus)
La Pernice bianca appartiene alla famiglia dei
Tetraonidi e, perciò, le sue zampe sono piumate fin sulle dita, da cui il
nome latino che significa "zampa di lepre". Essa vive esattamente nelle stesse
regioni della Lepre alpina, forse anche più in alto, sulle montagne, ma
non esiste in Irlanda, mentre è presente nei Pirenei. La Pernice bianca
è tanto poco visibile quanto la Lepre sua vicina, ma sembra assai
abbondante in montagna, poiché vive in regioni veramente poco
accessibili. Nella neve essa scava delle specie di piccoli sentieri che la
nascondono interamente, ma da dove, di tanto in tanto, sbuca la sua testa. Essa
possiede la preziosa facoltà di assumere il colore del paesaggio, al fine
di passarvi inosservata. E' una forma di mimetismo automatico, probabilmente
determinato dall'aumento o la diminuzione del calore solare. Il suo involo,
sempre in direzione della discesa, è scattante, rapido e rumoroso, come
quello di tutti i Tetraonidi, di tutti i gallinacei, il che lo salva spesso dai
piombini dei cacciatori. I piccoli pastori, però, lo cacciano volentieri
di frodo, tendendo dei lacci sulla sua strada. E' ugualmente un animale da
proteggere, non fosse altro che a titolo di vestigia dell'ultima grande
glaciazione che ha ricoperto l'Europa qualche decina di migliaia di anni
fa.
ERMELLINO (Mustela erminea)
Anche l'Ermellino possiede il privilegio di
portare, in inverno, un mantello tutto bianco; solamente la punta della sua coda
rimane nera e anch'esso, come la Pernice bianca, è in grado di
mimetizzarsi. La pelliccia di questo mustelide serviva a confezionare i mantelli
reali, come quello che porta Luigi XIV nel famoso quadro di Rigaud, al Louvre
L'Ermellino è presente sulle armi della Bretagna, con il suo fiero motto:
"Piuttosto morire che insudiciarsi". Si credeva, un tempo, che esso non si
sporcasse mai, il che è evidentemente falso. Si incontrano Ermellini in
tutta l'Europa, ad eccezione della Spagna (tranne che nella regione pirenaica),
della Corsica, della Sardegna, della Sicilia e della Grecia. Ma esso non prende
il suo biancore invernale né ovunque, né tutti gli anni. E'
più grande della donnola a cui, in tenuta estiva, rassomiglia molto, ma
l'estremità della sua coda, sempre nera, impedisce che lo si confonda con
essa. Come la donnola, l'Ermellino è carnivoro al più alto
livello, amando anzi più il sangue caldo della carne fresca. Attacca con
ferocia le prede più diverse preferendo soprattutto la piccola
selvaggina, ma all'occorrenza sa accontentarsi anche di topi e altri piccoli
roditori. Esso, come tutti gli altri carnivori, partecipa all'equilibrio
naturale eliminando gli animali non in grado di difendersi ed uccidendo ogni
tipo di animale molesto, quando comincia a proliferare.
In ogni modo
l'Ermellino resta assai raro ed anche il miglior osservatore della natura non
può essere sicuro di vederne almeno uno, a meno che non si trovi in un
settore privilegiato. Allora, a volte, per caso, inatteso, vede passare, sul
suolo gelato, questa apparizione affascinante, tutta bianca, immacolata... un
Ermellino pieno di vita, imprevisto, abbagliante...
MARMOTTA DELLE ALPI (Marmota marmota)
Alla numerosa famiglia degli Sciuridi
appartengono tanto gli Scoiattoli che le Marmotte. Si tratta di un gruppo molto
omogeneo, con cranio bombato, muso corto, grandi occhi e mandibola piuttosto
sviluppata in altezza, il che dona a questi animali un profilo simpatico e molto
caratteristico.
Il dorso è arcuato, le zampe anteriori hanno quattro
dita, le posteriori cinque. La coda spesso è molto ben sviluppata e
ricoperta da folti peli.
Le Marmotte in senso lato vengono anche
considerate come "scoiattoli di terra" e sono diffuse, comprendendo ben sedici
specie, nelle zone montuose d'Europa, Asia e Nordamerica.
Tutte presentano
una corporatura molto tarchiata, testa grossa, arti corti e sensi molto ben
sviluppati.
Le Marmotte dette delle Alpi vivono sulle montagne più
alte d'Europa: esse rodono l'erba, scavano le loro tane e si difendono dal loro
nemico secolare, l'aquila, di cui esse segnalano l'attacco fischiando con tutte
le loro forze. Le Marmotte hanno una lunghezza di circa settantacinque
centimetri, di cui circa venti spettano alla coda; hanno un corpo piuttosto
robusto, la testa grossa con occhi vivaci ed orecchie piccole, le zampe corte,
con le dita armate di unghie. Vivono in luoghi molto aperti, su pietraie o su
prati, e conducono vita prettamente diurna. Amano molto, dopo aver mangiato,
prendere il sole, ma non smettono di sorvegliare attentamente i dintorni per
segnalare la presenza di eventuali nemici. Le tane delle Marmotte sono piuttosto
complicate e la loro conformazione è diversa a seconda che siano
destinate a rifugio estivo od invernale. Le tane estive sono composte da
numerose gallerie comunicanti tra di loro ed uscenti in punti nascosti. Le tane
invernali sono più complicate e comode: la galleria di ingresso è
piuttosto stretta e, dopo alcuni metri, si divide in due rami, uno a fondo
cieco, l'altro terminante in una camera vasta che si trova a due o tre metri di
profondità.
Dopo aver compiuto lo scavo (con le unghie delle zampe
anteriori, molto più sviluppate di quelle delle zampe posteriori), le
Marmotte comprimono bene la terra e la lisciano; infine portano una certa
quantità di fieno secco con cui coprono il fondo della camera per
renderla più comoda e calda. Questi grossi roditori hanno infatti la
particolarità di passare l'inverno nel fondo di queste tane confortevoli,
a dormire di un sonno più o meno profondo. Durante questo tempo la loro
respirazione e la velocità della circolazione sono molto ridotte e la
loro temperatura si abbassa notevolmente, il che appassiona enormemente gli
specialisti che studiano la vita al rallentatore. Un tempo, in inverno, i
montanari le dissotterravano, credendo che il loro grasso facesse guarire i
reumatismi. Questo dissotterramento è ormai vietato e la Marmotta, pur
senza ancora esserlo totalmente, è meglio protetta di un tempo. Essa
è stata introdotta con successo nei Pirenei e la sua sopravvivenza sembra
assicurata. I nemici delle Marmotte sono quasi esclusivamente i grandi uccelli
rapaci, in modo particolare, come abbiamo già detto, le aquile. Queste,
per sorprenderle, non piombano mai dall'alto, ma conducono l'assalto a volo
radente; è questo l'unico modo per riuscire a sorprenderle poiché
le Marmotte hanno sensi acutissimi e basta che sentano il pericolo un attimo
prima per riuscire a sparire, come per incanto, nelle loro gallerie. Sono
animali che si addomesticano alla perfezione, pur restando ancora assai
indipendenti. Un tempo i ragazzini che pulivano i camini dei cittadini, troppo
stretti per gli adulti, tenevano con loro delle Marmotte addomesticate che
ricordavano loro il paese natale. Questo sfruttamento dei giovani e degli
animali non è fortunatamente più di moda, ma ciò faceva
parte del vecchio folclore dell'Europa di un tempo.
Ai nostri giorni non
è raro vedere da lontano delle Marmotte: basta salire fino ai duemila
metri sulle Alpi o sui Pirenei.
STAMBECCO DELLE ALPI (Capra hibex)
Abbiamo già visto lo Stambecco dei Pirenei
e della Spagna. Quello delle Alpi è ancora più grosso,
raggiungendo un'altezza, al garrese, di ottantacinque centimetri ed una
lunghezza di un metro e mezzo. Il mantello è piuttosto fitto, lucido,
uniforme tranne che sul collo e sul dorso dove è più sviluppato;
il colore è grigio rossastro scuro nelle parti superiori, più
chiaro in quelle inferiori. Caratteristiche sono le sue corna, magnifiche, che
si innalzano e si girano sopra la sua testa come scimitarre, su un piano
verticale. Esse possono raggiungere più di un metro di lunghezza nella
curva esterna. Sono ornate da un gran numero di spessi rigonfiamenti nei maschi,
mentre le femmine hanno delle corna più corte e più lisce.
Lo
Stambecco delle Alpi ha veramente rischiato di sparire. E' l'Italia, erigendo a
riserva nazionale i territori di caccia del suo ultimo re, che ha salvato
l'animale. Dal Parco del G. Paradiso è sciamato verso la Svizzera e la
Francia e, di nuovo, le Alpi ospitano un'importante mandria di parecchie
migliaia di Stambecchi. Gli Stambecchi, il cui nome deriva dal tedesco e
significa Capra della roccia, abitano in un ambiente simile a quello in cui
vivono i Camosci, ma, più di questi, sono adatti alla vita dei monti e,
certamente, sono più resistenti al freddo dell'inverno. Sono animali di
un'agilità straordinaria, capaci di salire o discendere da qualsiasi
erta, a costo di aiutarsi, a volte, con le loro corna per arrivare senza danni.
Queste corna, d'altronde, lo Stambecco le utilizza per molteplici usi: essi
sanno grattarsi delicatamente il treno posteriore con la punta di una di esse.
Ma, soprattutto, quando si battono tra vecchi maschi, per la costituzione di un
harem, queste corna divengono delle armi temibili. Esse feriscono più di
taglio che di punta e le quattro corna si incrociano con un rumore rimbombante
che ben conoscono i custodi delle riserve alpine di Stambecchi. Il
combattimento, generalmente, non va fino all'eliminazione di uno dei
concorrenti, ma il vincitore si accontenta di mettere in fuga il vinto. Si
trovano gli Stambecchi alla stessa altezza dei Camosci, a volte anche più
in alto. Essi hanno il piede altrettanto sicuro, ma con un sistema differente:
la parte inferiore degli zoccoli degli Stambecchi è costituita da una
materia elastica, capace di tener fermo l'animale sulla roccia più liscia
ed anche sul ghiaccio. In più, questi animali che possono raggiungere il
peso di cento chilogrammi sono veramente tutti muscoli e saltano come enormi
palle di caucciù, tra le peggiori frane di sassi. Durante il giorno gli
Stambecchi rimangono molto in alto, addirittura sulle cime, immobili per lungo
tempo a guardare l'abisso che si apre sotto di loro; oppure camminano lentamente
con grande sicurezza tra le rocce scoscese per brucare le pianticelle aromatiche
che spuntano qua e là e di cui sono ghiotti. Al tramonto scendono un poco
più a valle, per andare a pascolare sui dirupi erbosi. L'epoca
dell'accoppiamento corrisponde ai mesi di dicembre e gennaio. Trascorsi circa
cinque mesi, le femmine mettono al mondo uno o al massimo due caprettini di
color giallo rossiccio; questi dopo pochissimo tempo sono in grado di seguire la
madre e di cominciare gli esercizi di salto e di arrampicamento. I nemici
naturali degli Stambecchi sono le aquile e gli avvoltoi che, però, non si
fidano ad attaccare bestie adulte, ma si limitano ad insidiare i giovani. Lo
Stambecco delle Alpi non è l'antenato delle nostre capre domestiche che
vengono, più probabilmente, dal vicino Oriente, ma le due specie possono
incrociarsi e dare dei prodotti fecondi.
I giovani sono molto miti, si
adattano con facilità alla vita di prigionia e si comportano come capre
domestiche. Pur essendo più difficile, è possibile abituare alla
vita di prigionia anche gli adulti, specialmente le femmine.
CAMOSCIO (Rupicapra rupicapra)
Se vi sono degli animali rappresentativi
dell'alta montagna, sono proprio il Camoscio ed il suo omologo dei Pirenei, un
po' più piccolo ed un po' più leggero. Malgrado il suo nome
latino, capra da roccia, il Camoscio e imparentato solo con le Antilopi. E' un
animale assai leggero (cinquanta chilogrammi al massimo), secco, infinitamente
vivo ed agile, facile da riconoscere per i segni neri sulle gote, per la parte
superiore bruno nerastra, a volte decisamente nera, e per le piccole corna nere,
sottili, da principio diritte, poi ricurve ad uncino. I maschi ne portano a
volte di più massicce, mentre le vecchie femmine hanno delle corna
particolarmente lunghe, ma più sottili. I giovani Camosci sono tra i
cuccioli più graziosi che vi siano al mondo.
I Camosci, tenuto conto
della loro presenza nei Pirenei ed in Spagna, sono presenti in tutto il
massiccio alpino, nei Carpazi, dove vivono gli esemplari più pesanti,
così come in un piccolo numero di massicci montagnosi meno importanti,
compresi il Giura ed i Vosgi francesi, dove la specie è stata
riintrodotta con fortune differenti. Come gli Stambecchi, i Camosci vivono in
montagna, ma meno in alto. Durante la bella stagione si spingono sino ai tremila
metri e più ancora, ma sempre e solo dove le condizioni ambientali siano
loro favorevoli. Se la vegetazione manca, scendono più in basso, fino a
trovare nutrimento sufficiente. In inverno in particolare, essi discendono al
livello delle foreste, persino al livello dei primi casolari. Naturalmente non
vi è regola in materia e si possono facilmente trovare Camosci più
in alto o più in basso ancora. La sicurezza di piede di questi animali
è fantastica. Ogni piccolo zoccolo fesso costituisce una specie di pinza
capace di incastrarsi sulla minima asperità e di mantenersi il tempo di
una rapida sosta. In uno slittamento di ciottoli che cadono rapidi quanto lui,
il Camoscio si scaglia, salta, si lancia di nuovo e sparisce dietro una curva.
E' uno spettacolo raro, certamente, ed indimenticabile. Le mandrie di camosci
pascolano assieme, su un versante assolato. Sono generalmente custodite da una
vecchia femmina sterile. Al minimo pericolo essa fischia, come fischiano la
Marmotta e lo Stambecco. Tutti capiscono questo segnale e la fuga è
immediata, per la via più inaccessibile. Oltre al cacciatore, il Camoscio
teme l'Aquila, soprattutto per i suoi piccoli. Una Aquila, che non pesa
più di sette chilogrammi, non è capace di sollevare una preda
più pesante di lei, cosa che accade sovente per un piccolo di Camoscio.
La sua tattica non consiste, perciò, nel prenderlo tra i suoi artigli, ma
nel farlo cadere in un precipizio con un violento colpo d'ala, che forma un
vuoto d'aria. Poi il grande rapace discende sulla sua vittima precipitata e
comincia a nutrirsene. La difesa della mamma Camoscio consisterà nel fare
baluardo col suo corpo tra il piccolo e l'Aquila e di presentare sempre a
quest'ultima i due pugnali delle sue corna, che sono sufficienti, in genere, per
allontanarla. Ma, naturalmente, povero piccolo Camoscio isolato!... A dire il
vero esso non si allontana mai di molto e se l'uomo ed il suo fucile non si
fossero immischiati in quest'affare, l'equilibrio naturale continuerebbe a
regnare tra il popolo dei Camosci e quello delle grandi Aquile reali. E le sole
vittime sarebbero, come la dura legge della lotta per la vita esige, quelli tra
i giovani Camosci che non si fossero mostrati abbastanza docili, abbastanza vivi
ed abbastanza prudenti da sfuggire al rapitore alato... I Camosci sono animali
molto miti, nonostante il coraggio che dimostrano nel loro ambiente naturale. Se
presi da giovani, si abituano facilmente alla vita di prigionia, vivono a lungo
e si riproducono normalmente anche in cattività.
Si accusa la
pratica dell'alpinismo di contribuire alla rarefazione del Camoscio. Sembra, al
contrario, che questi animali si abituino relativamente bene alla presenza, nel
loro dominio, di persone, a patto che non vengano molestati. Ci si può
domandare, anzi, se un giorno i Camosci non andranno a cercare un pezzo di pane
nel sacco degli alpinisti, come già fanno gli Orsi bruni in
Canada.
PICCHIO MURAIOLO (Tichodroma muraria)
Il Picchio muraiolo è un piccolo uccello
molto elegante, che vive fino a duemilacinquecento metri d'altezza in estate,
molto più in basso in inverno. Lo si vede in tutto il massiccio montuoso
europeo che va dall'estremità occidentale dei Pirenei fino ai monti del
Caucaso. Lo si riconosce per il becco sottile e ricurvo a sciabola, le ali
arrotondate, la coda quadrata e le zampe dalle dita lunghe, munite di unghie
slanciate e ricurve. Le parti superiori del corpo sono di color grigio chiaro
con sfumature rossicce, la gola è nera, le ali color rosso con macchie
bianche e la coda nera con l'estremità biancastra.
Appartiene ad un
gruppo di volatili riuniti dagli studiosi in una "famiglia" diffusa solo
nell'emisfero settentrionale e nella quale sono riuniti uccelli definiti come
rampichini e picchi muraioli. Si tratta di forme arrampicatrici che presentano
un piumaggio variopinto e soffice anche se non sempre risulta ben fissato alla
pelle come nei grandi volatori. Il becco è sempre allungato, sottile e
generalmente ricurvo verso il basso. Singolare e tipico è il loro modo di
arrampicarsi sugli alberi: procedono dalle radici verso la sommità sempre
col capo rivolto verso l'alto.
Il loro ambiente è costituito da
pareti a picco o rocce assolate con scarsa vegetazione; qui compiono piccoli
voli farfalleggianti o si arrampicano, metà saltellando, metà
svolazzando, ma sempre con somma sicurezza. Le loro vertiginose arrampicate
hanno lo scopo di cercare il nutrimento: larve, insetti, ragni che si nascondono
tra le fessure delle rocce. A volte si possono vedere questi graziosi uccelli
fermi con le ali spiegate, quasi appiccicati alle rocce. Il canto del Picchio
muraiolo, piacevole e sonoro, anima anche quelle regioni desertiche in cui certi
uomini amano isolarsi per meglio comunicare con la natura vergine, lontano dai
loro simili. Esso non è spaventato dalla loro presenza. Infatti nidifica
non solo nelle anfrattuosità della roccia, ma anche negli interstizi
delle costruzioni in pietra, rifugi o capanne di pastori, che si trovano di
tanto in tanto lungo i sentieri di montagna. Ben inteso, la sua presenza
è considerata come un favore da coloro che passano qualche ora in queste
umili costruzioni. C'è una riflessione che si è tentati di fare:
manca sempre qualcosa ai più bei paesaggi se una vita animale, per quanto
modesta sia, non li anima. Noi lo sentiamo, più o meno confusamente: un
cielo non è "completo" senza il volo di un uccello ed il fiume più
gaio non lo è senza la scia di un pesce che passa...
MIOPOTAMO (Myocastor coypus)
Il Miopotamo è un grosso roditore
dell'America del sud, spesso confuso col Castoro. Tutta l'Europa si dedica al
suo allevamento e la sua pelle si vende bene, come pure la sua carne, simile a
quella del coniglio e molto apprezzata. E' stata sufficiente qualche evasione
per creare una razza selvatica che cade di tanto in tanto sotto il piombo dei
cacciatori, molto sbigottiti alla vista della loro cacciagione. In effetti il
Miopotamo stupisce per il suo pelo irsuto, la coda di topo gigante ed i suoi
grossi denti gialli. In realtà è un animale pacifico e non ha pari
nel falciare gli stagni. Esso è strettamente vegetariano ed i suoi
escrementi costituiscono un nutrimento scelto per i pesci ciprinidi. Un bel
Miopotamo pesa una decina di chili. Molti albergatori senza scrupoli vendono
piatti di Miopotamo battezzandoli castori...
PROCIONE LAVATORE (Procyon lotor)
Il Procione lavatore è più raro in
Europa, per non dire rarissimo. Ma è certo che qualche capo evaso
è riuscito a far razza. E' impossibile non riconoscere l'animale al primo
colpo d'occhio. Delle dimensioni di un grosso gatto, con un muso da volpe e
delle grandi orecchie, ha sugli occhi delle macchie nere a forma di occhiali da
sole. Il suo corpo è grigio più o meno chiaro e la sua lunga e
grossa coda è inanellata. Infine, l'animale è provvisto di quattro
"mani" di cui si serve molto abilmente per portare il nutrimento alla bocca, per
raccogliere degli oggetti e per arrampicarsi non importa dove. Procioni lavatori
sono stati segnalati soprattutto nella Germania settentrionale, ma ne sono
scappati sicuramente anche in altre regioni. Poiché si tratta di un
animale molto scaltro, totalmente privo di timore e capace di tener testa alla
maggior parte dei suoi nemici, nulla si oppone al fatto che esso finisca per far
razza, un giorno o l'altro, in un settore che gli si adatta particolarmente.
Tanto peggio per i pollai dei dintorni: nulla resiste alle dita agili del
Procione lavatore. Sembra che il Procione sia privo di ghiandole salivari, di
modo che è obbligato ad intingere il suo cibo, prima di mangiarlo,
nell'acqua, per renderlo più digeribile. Non bisogna dunque vedere in
ciò alcun problema di igiene.
ONDATRA (Ondatra zibethica)
Il Topo muschiato o Ondatra viene dall'America
settentrionale. Più piccolo del Miopotamo, più grosso dei nostri
topi, arriva a pesare un chilo e mezzo. Lo si riconosce per il suo dorso
rotondo, la sua testa camusa e la coda appiattita lateralmente, nuda e
scagliosa. L'Ondatra ha le abitudini del Castoro, con pochi dettagli differenti.
Costruisce delle capanne immerse, simili a pezzi dei vegetali che esso mangia,
ma vive in tane che scava negli argini degli stagni. E poiché queste tane
sono orizzontali, capita che lo stagno sia vuotato da questi passaggi, con
grande ira dei proprietari. I Topi muschiati sono vegetariani, sembra, anche se
a volte mangiano le uova dei pesci. Da cinquant'anni questi animali,
originariamente scappati da un allevamento francese in Normandia, hanno invaso
all'incirca tutta la Francia ed una parte dell'Europa occidentale. Ovunque la
loro pelle si è rivelata senza valore e non si sa veramente cosa fare e
come sbarazzarsi da questi invasori, veramente inopportuni. La loro carne sa di
muschio e non offre dunque alcuna attrazione ad eventuali amatori. L'affare del
Topo muschiato, la sua evasione e l'invasione che ne è risultata
costituisce l'esempio più classico di queste introduzioni di animali
esotici là dove la natura non li aveva previsti. Il Topo muschiato ha
trovato in Europa un biotopo che gli conveniva e si è diffuso molto
rapidamente, poiché i suoi nemici naturali mancano; ma il clima,
più dolce di quello del Canada, ha tolto alla sua pelliccia ogni
interesse commerciale. Se non è effettivamente nocivo, dà fastidio
ai pescicoltori e si mette in concorrenza coi pesci per quel che riguarda la
ricerca del nutrimento.
DAINO (Cervus dama)
I Daini appartengono al gruppo sistematico
"Cervus" assieme ad altre 12 specie, tutte di corporatura robusta, testa alta,
collo muscoloso, garrese inclinato, arti lunghi e robusti. La pelliccia è
sovente ruvida e con peli abbastanza spessi. I giovani hanno manto più
chiaro e macchiettato. Molto sviluppate le corna, spesso imponenti, a sezione
cilindrica: l'asta principale poggia su una base formando piccole escrescenze
cornee, quindi si incurva all'indietro e verso l'esterno ramificandosi subito e
formando verso l'alto una sorta di corona. Il numero delle punte varia da
individuo a individuo e lo sviluppo delle corna è assai complesso: nel
maschio lo sviluppo delle corna inizia sin dal primo anno ma queste allo scadere
del secondo anno vengono a cadere; inizia allora un nuovo ciclo che porta al
risultato di "tre punte". Con questo termine si indica un esemplare di quattro
anni. Le corna inoltre si rinnovano periodicamente ogni anno a partire dal mese
di aprile.
Sono animali che frequentano di preferenza boschi di latifoglie
ove sia abbastanza agevole trovare dei ruscelli o dei torrenti per l'abbeverata,
ma si adattano molto bene anche alle foreste delle valli alpine spingendosi
nella buona stagione fino ai limiti della vegetazione arborea: durante l'inverno
scendono quanto più possibile verso il basso. I maschi conducono vita
appartata e si uniscono ai branchi delle femmine e dei piccoli solo nella
stagione degli amori ingaggiando tra di loro furibondi e cavallereschi
combattimenti. Dopo una gravidanza di 34 settimane le femmine, in primavera,
partoriscono uno o al massimo due piccoli, all'inizio non molto saldi sulle
gambe ma sempre molto graziosi. Questi raggiungono una vera indipendenza dopo
poco meno di un anno di vita.
Le origini del Daino sono certamente
asiatiche, senza che si possa determinare in modo assoluto la data del suo
arrivo in Europa. Questo elegante cervide venne presto preso in considerazione
più che come cacciagione come grazioso ornamento per i grandi parchi dei
ricchi. Esso si addomestica assai bene, data la sua indole mite, e si abitua
alla presenza dell'uomo tanto da arrivare a prendere il cibo dalle sue stesse
mani; solo i maschi rimangono pericolosi nel periodo degli amori. Il suo aspetto
è variabile, per quel che riguarda il colore: non è raro trovare
anche dei perfetti albini o degli esemplari nerissimi. I Daini sono più
piccoli dei Cervi, ma si distinguono da questi ultimi soprattutto per le corna:
queste, come quelle degli Alci, terminano con larghe palmature dando un aspetto
del tutto differente da quello delle ramificazioni dei Cervi. Questo
naturalmente, non impedisce di battersi tra di loro come demoni. Esistono
numerosi parchi, in Europa, dove vivono delle mandrie di Daini in
libertà... vigilata. Alcune foreste ospitano ancora rari gruppi di Daini
veramente selvatici. Una di queste si trova in Francia nei dintorni di
Sélestat, nell'Alsazia. Essa meriterebbe una protezione integrale,
anziché essere accessibile a cacciatori armati di fucile, che non pensano
che a riportare il maggior peso possibile di cacciagione per rivenderla. Questi
graziosi animali meriterebbero una sorte diversa. Basterebbe osservare qualche
Daino nel suo ambiente naturale, per sentire il desiderio di risparmiar loro la
caccia. Le femmine del Daino, sprovviste di corna, come tutte le femmine dei
cervidi, sono molto graziose, con occhi dolcissimi ed una fisionomia
affascinante. Quando qualcosa le spaventa, esse rizzano i peli bianchi che
ricoprono la loro parte posteriore ed agitano nervosamente la coda, abbastanza
lunga e bianca nella parte inferiore. Il tutto costituisce il classico segnale
d'allarme comune a molte specie di animali ed il cui significato risulta sempre
molto chiaro per quelli verso cui è indirizzato. A quel segnale, tutto il
gruppo prende la fuga nella stessa direzione, con salti tanto graziosi quanto
disordinati. Per dare ancora qualche dettaglio sull'anatomia del Daino, diremo
che la sua altezza al garrese raggiunge un metro e dieci centimetri (contro il
metro e mezzo del Cervo rosso) e che può pesare fino a centoventicinque
chilogrammi (contro i duecentocinquanta dei Cervi che vivono ad est dell'Europa
centrale). E' vissuto, un tempo, in Europa un Daino di dimensioni colossali, i
cui resti intatti, per quel che concerne lo scheletro e le corna, sono stati
ritrovati in alcune torbiere, particolarmente nella Gran Bretagna del nord.
Questo animale, il Megacero, aveva delle corna con palmature aventi un'apertura
vicina ai tre metri. Si pensa che il peso e l'apertura di queste corna siano
state una delle cause della sparizione di questo animale, per il quale esse
costituivano alla fine un impiccio. Ma questa è solo una supposizione. I
nostri Daini contemporanei sono diversi e non occorrerebbe che qualche semplice
misura di protezione perché la loro sopravvivenza non diventi un
problema. E' forse in Germania che attualmente ve ne sono il maggior numero,
certamente perché sono ben protetti. Non dimentichiamo che il Daino passa
per il nemico mortale dei serpenti e dall'antichità greca l'immaginazione
popolare conta su di lui per sbarazzarsi dei rettili velenosi, ovunque ve ne
siano. Un tempo, in Grecia, all'ingresso del porto di Delfi, vi erano due statue
di Daini, erette per riconoscenza verso questi animali che avevano liberato
l'isola da temibili serpenti che alcuni Dei ostili vi avevano diffuso. Quel che
è curioso è che gli indigeni del Nuovo Mondo offrivano lo stesso
dono ai cervidi del loro paese. E, in realtà, sembra esatto che questi
animali calpestino volentieri a morte i serpenti che incontrano sul loro
cammino. E' raro che una leggenda relativa ad animali selvatici non abbia
un'origine più o meno veritiera.
SCOIATTOLO
Se l'America e l'Africa, come l'Asia, hanno le
scimmie per animare gli alberi delle loro foreste, l'Europa ospita gli
Scoiattoli, altrettanto graziosi, altrettanto vivaci, altrettanto agili e forse
altrettanto intelligenti. Possiamo citare, fra i diversi esemplari, lo
Scoiattolo europeo rosso o nero (Sciurus vulgaris) e lo Scoiattolo grigio
(Sciurus carolinensis). Sono animaletti che non raggiungono complessivamente il
mezzo metro (la metà circa spettante alla coda), dalla testa rotonda,
dagli occhi molto grandi e vivi e dalle orecchie di grandezza media terminanti
con un ciuffetto di peli. Essi hanno delle piccole mani di cui si servono molto
bene, da degni roditori quali sono. Le loro unghie lunghe ed appuntite
permettono di arrampicarsi a tutta velocità sui tronchi più lisci.
Il loro mantello può essere di colori diversi, ma è sempre
piuttosto scuro nelle parti superiori, biancastro in quelle inferiori.
L'ambiente preferito dagli Scoiattoli è costituito dai boschi molto fitti
in cui, dal sorgere al tramontare del sole, essi si muovono continuamente. Il
loro senso dell'equilibrio è fantastico ed essi sono capaci di avanzare
su di un sottile rametto che si piega sotto il loro peso e, di là,
slanciarsi su di un albero vicino. Anche sul terreno si spostano con molta
sicurezza, ma, specialmente in caso di pericolo, preferiscono la chioma degli
alberi. Nemici degli Scoiattoli sono i rapaci, in particolare l'astore, ed i
carnivori capaci di arrampicarsi sugli alberi, specialmente la martora che
arriva anche a penetrare nei loro nidi e ad inseguirli sugli alberi. Il
nutrimento degli Scoiattoli è costituito da semi di ogni genere, da noci,
nocciole, pinoli, ghiande, ecc. e da gemme, specie se molto tenere. Il modo di
mangiare di questi animali è caratteristico e molto noto: seduti sulle
zampe posteriori, tengono il cibo tra le zampe anteriori e se lo portano alla
bocca per roderlo rapidamente; con gli incisivi molto robusti ed affilati,
riescono a bucare le scorze anche più dure per estrarne i frutti. Gli
Scoiattoli costruiscono, alla biforcazione di un ramo, tra le fronde più
alte o all'interno di un tronco, un nido rotondo, con una o più aperture
sui lati; a volte si tratta di nidi abbandonati dagli uccelli e riadattati per
le loro necessità. In inverno essi dormono, intorpiditi, all'interno di
questi nidi; di tanto in tanto vanno a rifornirsi di cibo in uno dei nascondigli
che, durante la buona stagione, hanno riempito di noci, nocciole, pinoli, ecc. A
volte questi magazzini sono così numerosi che, dopo qualche tempo,
vengono dimenticati. In Europa si trovano, un po' ovunque, Scoiattoli rossi ed
altri scuri, quasi neri. Gli inglesi hanno acclimatato una varietà di
Scoiattolo americano, quello grigio, altrettanto grazioso e carino. Gli
Scoiattoli vengono accusati di rovinare gli alberi, in particolare quelli
resinosi. E' un'assurdità: essi hanno sempre abitato in boschi resinosi.
Anzi, grazie ai loro nascondigli di cibo dimenticati, gli Scoiattoli aiutano a
seminare e disseminare ogni tipo di albero, che spunta così, grazie a
loro. Presi da giovani gli Scoiattoli si abituano con facilità alla vita
di prigionia e vivono piuttosto a lungo, anche in gabbia. Si lasciano
addomesticare e dimostrano un'intelligenza abbastanza viva, rendendosi ospiti
molto piacevoli.
SCOIATTOLO VOLANTE DELLA RUSSIA (Sciuropterus russicus)
Lo Scoiattolo volante della Russia è un
animaletto molto piccolo, di un grigio bruno uniforme, con piccole orecchie ed
una lunga coda, molto spessa in cima, che porta a pennacchio e che gli serve da
timone durante i suoi fantastici salti in lungo...
TALPA
Di Talpe se ne contano tre: quella detta
d'Europa, la Talpa cieca e la Talpa romana. La Talpa d'Europa è lunga una
quindicina di centimetri circa, più tre per la coda; il tronco è
cilindrico, il collo molto corto e la testa, larga alla base, termina con un
muso appuntito. Essa è quasi cieca; a volte la pelle ricopre
completamente gli occhi che sono, sempre, piccolissimi. La sua pelliccia,
morbidissima, è grigia o nerastra con pelo più o meno scuro. Il
suo pelo è piantato dritto, così che essa può avanzare od
indietreggiare nella sua tana senza trovarsi mai contropelo. La Talpa ama la
terra mobile e fertile, dove trova i lombrichi di cui è ghiotta. Per
contro, essa non scava mai nella sabbia. Sa nuotare, sa battersi, è di
una attività straordinaria, scava continuamente le sue tane e spinge
fuori la terra formando quei monticelli di terra ben noti a tutti i contadini.
Il suo nido sotterraneo è ornato con erbe e foglie secche. La Talpa,
certamente, distrugge il bell'ordine dei giardini e dei prati, ma è molto
utile poiché dà aria continuamente al sottosuolo e trasforma in
terra di qualità dei terreni più o meno sterili. La Talpa è
relativamente facile da catturare, ma il tenerla prigioniera costituisce un
problema poiché il suo appetito è straordinario ed essa finisce a
morire di fame in meno di due giorni.
Ogni primavera si formano le coppie
dopo furiose battaglie tra i maschi, ma l'unione non è duratura. La
femmina, rimasta sola (cosa che non la disturba affatto), dà vita ad una
nidiata composta da tre a sette piccoli che depone in un nido d'erba nascosto
generalmente sotto un monticello di terra, in mezzo ad un cespuglio od al limite
di un bosco. La scelta di un tale luogo, invisibile ad un eventuale nemico che
circoli allo scoperto, da parte di un animale che vive sotto terra e che
è quasi cieco, rappresenta uno dei misteri del mondo animale. La Talpa,
che conduce una vita agitata, ricca di spietate battaglie, diventa essa stessa
vittima di numerosi carnivori ed uccelli da preda quando esce dalla tana. Essa
prevede il tempo, specie in caso di siccità o di pericolo di inondazione.
In questo caso arriva a conoscere la paura: se un giorno avrete l'occasione di
osservarne una, noterete che, al contrario del cane spaventato che mette la coda
tra le zampe, la Talpa traduce la sua emozione sbattendo la coda sulla schiena.
La si incontra in tutta l'Europa, tranne che nella metà settentrionale
della Scandinavia, in Irlanda, nel sud-ovest della Spagna, in Corsica ed in
Sardegna.
MUSTIOLO ETRUSCO (Suncus etruscus)
Il Mustiolo etrusco, con i suoi sei centimetri di
lunghezza massima compresa la coda, è il più piccolo mammifero del
mondo intero. I Mustioli, nonostante la loro piccolezza, sono però feroci
ed aggressivi e spesso riescono a vincere avversari molto più grossi di
loro.
TOPINO PETTIROSSO (Crocidura russula)
Il Topino pettirosso,
indicato col n. 3, arriva a misurare una decina di centimetri di cui quattro
circa spettano alla coda. Il nome di pettirosso non è dovuto alla
colorazione del mantello, ma alle strida che emette l'animale e che somigliano
alla lontana al verso dei pettirossi. Molto curioso è vedere la madre che
porta a passeggio i suoi piccoli: essi procedono in fila indiana, il primo
tenendo stretta fra i denti la coda della madre, gli altri attaccati alla coda
del fratello che li precede.
TOPORAGNO D'ACQUA (Neomys fodiens)
I Topiragno sono piccole creature che si
confondono troppo spesso con i topi, mentre i primi sono insettivori ed i
secondi roditori.
Il Toporagno d'acqua ha dimensioni ancora maggiori,
raggiungendo una lunghezza totale di circa diciannove centimetri. Esso si
riconosce per la forma delle zampe e della coda: le prime sono grosse, coi piedi
coperti da peli che possono erigersi per allargare la superficie dell'arto e
renderlo meglio adatto al nuoto; peli di uguale natura si trovano nella parte
inferiore della coda, cosicché anche questa assume una certa importanza
quando l'animale va in acqua. Tutti i tipi di Topiragno hanno il muso molto
lungo, adorno di peli sensoriali, la coda più o meno lunga, più o
meno nuda, a volte ornata da una serie di peli radi; le orecchie sono appena
più visibili degli occhi ed il colore è sempre un grigio bruno,
più o meno scuro, sempre più chiaro nelle parti inferiori. Alcuni
Topiragno hanno i denti rossi, altri no, alcuni vengono ritenuti capaci di
infliggere morsi velenosi. Il loro coraggio è immenso, grande quasi
quanto il loro appetito. Essi mangiano incessantemente insetti, a volte grandi
quanto loro; uccidono e mangiano sorci e si mangiano tra di loro, quando li si
rinchiude senza nutrimento. I Topiragno sono innumerevoli, innumerevoli e poco
visibili, nascosti nell'erba, sotto le vecchie pietre, nei muri in rovina, sotto
i mucchi di legna. Ed essi lottano continuamente per noi: contro gli insetti,
contro i piccoli roditori, contro tutti quelli che divorano le nostre provviste.
E' un'armata invisibile, risoluta, senza pietà, ed è un'armata
amica che non bisogna dunque distruggere con il pretesto che, per una
convergenza di forme comune nella fauna, essi rassomigliano ad animali che hanno
l'aria di essere topi. Purtroppo i Topiragno, come la maggior parte dei piccoli
animali, sono le vittime di quegli insetticidi temibili (per essi e per gli
uomini) con cui abbiamo preso l'abitudine di innaffiare le nostre colture. I
soli che non ne soffrono sono proprio gli insetti presi di mira, quelli che ne
muoiono sono i nostri migliori alleati contro questi stessi insetti.
RATTO
Eccovi ora nove roditori, tra tanti altri, scelti
perché sono più o meno commensali dell'uomo, dunque più o
meno nocivi, dal minuscolo Topolino delle risaie che può andare a
rosicchiare una spiga di grano senza rompere il fusto della pianta, fino al
grosso temibile Ratto delle chiaviche (Rattus norvegicus), regalo avvelenato
della lontana Asia. Come tutti i roditori questi animali sono obbligati a
mangiare continuamente, altrimenti i loro denti, che non smettono mai di
crescere, cesserebbero di essere usati e consumati ed inchioderebbero loro
rapidamente e definitivamente le mascelle. Gli uni sono roditori vegetariani,
come i Topolini delle risaie, altri sono uccisori, amanti della carne fresca,
come il Ratto comune ed il Ratto delle chiaviche. Alcuni sono diffusi in tutta
l'Europa, altri non vivono che nell'estremo est, come il Topo spinoso (Acomys
hunteri), poco conosciuto ed abitante delle rocce, che porta sulla schiena rade
setole a cui deve il suo nome. Il Topolino delle risaie (Micromys minutus)
ignora la Spagna, il sud dell'Italia e la Grecia, come pure l'alta montagna. Il
Campagnolo silvestre (Sylvaennus sylvaticus) si trova ovunque, il Topolino
domestico (Mus musculus) anche, il Topo campagnolo comune (Microtus arvalis)
è sconosciuto nel sud dell'Europa, l'Arvicola (Arvicola terrestris) vive
ad est di una linea che congiunge Genova a Dunkerque. Il Ratto comune (Rattus
rattus), invece, è stato importato dal vicino Oriente dai Crociati. E'
stato, in seguito, respinto dal Ratto delle chiaviche arrivato dall'Estremo
Oriente sulle grandi navi merci del XVI° e XVII° secolo. Attualmente
il Ratto comune è molto raro nelle Isole Britanniche ed in Scandinavia,
ma recupera visibilmente il terreno perso davanti al Ratto delle chiaviche.
Tutti e due sono i più temibili. Si calcola che ogni abitante delle
città occidentali "nutre", senza saperlo, due topi con i suoi resti, i
suoi avanzi, le sue immondizie. Il che porta a dieci milioni di Topi nella sola
città di Parigi... I Topi divorano per miliardi di lire di cibo, e ne
insudiciano per molto più, urinando su ciò che non possono
mangiare. Essi non temono nulla, né nessuno. I Ratti comuni vivono nei
luoghi asciutti, mentre i Ratti delle chiaviche vivono vicino ai fiumi ed alle
acque stagnanti. Essi squartano i piccoli animali d'allevamento, propagano, con
i loro morsi, il sodoku, temibile malattia contagiosa e mortale, portano con
loro il tifo e sono i migliori agenti di propagazione della peste che diffondono
tramite le loro pulci. Nelle nostre città i topi sono alla mercè
di gatti, cani, mustelidi, volpi, rettili e rapaci diurni e notturni che sono i
loro nemici naturali. Nella natura l'equilibrio sarebbe rapidamente ristabilito,
ma qui, protetti dalle nostre cantine e dai nostri solai, rimpinzati dalle
nostre pattumiere e dai nostri retrobottega, i topi prosperano in pace. E' lo
stesso per i nostri Topolini domestici, perfettamente autoctoni, perfettamente
domestici e perfettamente insopportabili. Ciò nonostante, quando ci si
prende il gusto di guardar vivere queste bestioline, non si può fare a
meno di ammirare la loro intelligenza, la loro facoltà di adattamento e
la perfetta conoscenza che esse hanno di noi, delle nostre debolezze e dei
difetti della nostra corazza, Si sa, per esempio, che la popolazione dei Topi
è determinata dalle risorse alimentari locali. In caso di accrescimento
delle nascite, il fenomeno atteso si produce ed una diminuzione dello spaventoso
potere di riproduzione dei Topi non tarda a prodursi. Inoltre, questi animali
inviano ad assaggiare gli alimenti qualcuno di loro che è sacrificato nel
caso che il cibo sia avvelenato. Nessuno lo toccherà più, in
seguito. Le trappole funzionano all'inizio della loro messa in opera, poi
cessano di catturare Topi, appena questi si accorgono del pericolo che esse
rappresentano. I Topi sanno molto bene se si cerca di catturarli o se si passa
al loro fianco senza occuparsi della loro presenza. Nel primo caso essi sanno
mostrarsi aggressivi ed anche pericolosi; il Ratto comune in special modo non
esita a saltar addosso al suo nemico, non indietreggiando né davanti ad
un cane, né davanti ad un gatto. Solamente i mustelidi e gli uccelli
rapaci sanno saldare i conti in un batter d'occhio e senza speranza di
resistenza. Abbiamo avuto occasione, da giovani, di guardar vivere dei Ratti
d'acqua che abitavano nel muro di sostengo di uno stagno melmoso. Erano animali
appassionanti, che lavoravano con ardore per la perfezione del loro nido,
esplorando le acque con aria attenta e mangiando con visibile piacere i persici
arcobaleno che infestavano quel pezzo d'acqua. Abbiamo un ricordo molto vivo
delle lunghe ore passate a guardare questi animali, per niente disgustanti e
probabilmente molto poco nocivi. Bisogna anche dire che il piccolo topolino
domestico che vive nelle case europee, suscita frequentemente simpatia. Ha un
cattivo odore, certamente; si attacca alle nostre provviste, rosicchia i nostri
vestiti, fa rumore di notte, ma è vivace, sembra giocare a nascondino con
noi ed è a volte difficile volergli male. Noi ci siamo spesso domandati
da cosa sia derivata quella repulsione che tante persone manifestano alla vista
di questi piccoli roditori. E' perché camminano rapidi e silenziosi senza
che si vedano muovere le loro zampe? E' perché vivono così vicino
a noi ed appaiono nel momento in cui meno ce li aspettiamo? O forse è
semplicemente perché il nostro istinto sa che si tratta dei nostri
più fedeli e dei nostri più reali nemici? La domanda resta
aperta.
PIPISTRELLO
Abbiamo appena scritto che taluni animali hanno
il potere, più o meno incomprensibile, di terrificare le persone. E'
anche (o soprattutto) il caso dei Pipistrelli. Viene loro imputato dalla
credenza popolare di volare sulla testa di chi tiene i capelli lunghi e di
«ingarbugliarsi» nei capelli. Quando si sa con quale precisione
qualsiasi Pipistrello sappia evitare il minimo ostacolo, per sottile che sia,
non si può che restare confusi davanti a tali calunnie. Si rinchiuda un
Pipistrello in una stanza che abbia, come unica comunicazione con l'esterno, un
foro nel quale girino le pale di un ventilatore. Fino ad una certa
velocità di rotazione delle pale, il Pipistrello passa tra di esse senza
farsi assolutamente toccare. Se la velocità di rotazione aumenta, il
Pipistrello sa che non può più passare e non cerca più di
farlo. Il "sonar" che esso usa è costituito da grida ultraacute che
l'ostacolo riflette e la cui eco colpisce le sue orecchie complicate. Ciò
dà al mammifero volante un'idea precisa della natura e della distanza
dell'oggetto, ostacolo o preda, affinché possa modificare il suo volo di
conseguenza. Il che viene compiuto in tempo record. Ciò causa quel volo a
volte farfalleggiante, molto rapido, dei pipistrelli, che noi vediamo la sera
quando, a poco a poco, sostituiscono le rondini nel cielo sempre più
scuro. Essi vanno e vengono e danno il cambio in una lotta furiosa contro gli
insetti di cui si cibano. Di giorno essi raggiungono di nuovo i luoghi oscuri,
caverne o costruzioni di ogni tipo, che servono loro da casa. Vi sono
Pipistrelli di ogni tipo, dai grandi mangiatori di frutta dei paesi caldi, fino
ai succhiatori di sangue, i Vampiri, dell'America; senza dimenticare alcune
varietà che pescano e si nutrono di pesci. Quelli d'Europa sono numerosi
(venticinque varietà) ed i quattro che abbiamo scelto sono molto
caratteristici.
Il Ferro di cavallo minore (Rhinolophus hipposideros) vive
in tutta l'Europa, tranne che in Russia ed in Scozia.
E' un Pipistrello
decisamente piccolo, che pesa cento grammi al massimo. Esso esce tardi e vola
veloce, tutta la notte, con un volo farfalleggiante. Il Vespertillo di Daubenton
(Vespertilio daubentonii) può anche essere visto in tutta l'Europa,
tranne che al sud. Non è molto grande e sembra attirato dalla presenza
dell'acqua. L'Orecchione (Plecotus auritus) è molto diffuso in tutta
l'Europa, senza eccezione. Non è più grande, ma le sue orecchie
immense permettono di riconoscerlo subito. Esso ama gli alberi ed anche le
abitazioni umane. Quanto al Pipistrello vero e proprio, anch'esso diffuso in
tutta l'Europa eccezion fatta per il Portogallo ed il nord della Scandinavia,
è il più piccolo della famiglia dei pipistrelli europei. Anch'esso
si avvicina alle abitazioni, è uno dei primi ad uscire la sera e vola
rapidamente, con ogni tipo di svolte capricciose ed impreviste. E' raro sentir
gridare dei pipistrelli, poiché il suono che essi emettono è per
noi impossibile da percepire, tanto è acuto.
Quando ciò
accade, si distingue un lieve squittio; questo avviene generalmente quando si
cattura uno di questi animali per osservarlo da vivo. E' uno spettacolo assai
stupefacente il vedere come la natura ha risolto il problema del volo, per
questi mammiferi, sviluppando al massimo le quattro dita della loro mano e
tendendo una sottile pellicola tra di esse, che lascia libero il pollice. I
rettili volanti dell'era secondaria, invece, appoggiavano la loro membrana su di
un solo dito prodigiosamente sviluppato, ma gli uni e gli altri, una volta
ripiegate le loro ali, avanzano sul suolo con la stessa andatura, con gli arti
superiori funzionanti da pattini di coda. I Pipistrelli si possono addomesticare
assai bene. Bisogna essere molto bene al corrente della zoologia e
particolarmente della conformazione dei Pipistrelli per riconoscere gli uni
dagli altri.
Senza andare così lontano, il piacere di guardarli
svolazzare le sere d'estate attorno ai nostri tetti e la convinzione che essi
svolgono un ruolo utile sbarazzandoci da insetti invadenti, costituiscono
un'occupazione scelta. Notiamo che i Pipistrelli dormono, vivono anche, con la
testa sempre appesa in basso; che essi emigrano in massa, per quel che concerne
alcune varietà; che essi vivono, a volte, in caverne o voragini
sotterranee, a milioni e milioni di individui. Sono animali essenzialmente,
totalmente e definitivamente utili. Ucciderli è un crimine. E bisogna
fare di tutto per abolire le leggende stupide che ancora corrono a loro
riguardo.
TORO
A dire il vero in Europa non esistono più
autentici buoi selvaggi. L'ultimo Uro è stato ucciso nel 1627 in Lituania
e bisogna considerare la specie estinta irreversibilmente. Tuttavia esiste
qualche razza di bovini che mostrano dei caratteri comuni molti simili a quel
che si sa dell'Uro. Selezionando i più caratteristici rappresentanti di
queste razze, si è riusciti a creare una mandria di animali assai simili
a quel che furono gli Uri (Bos primigenius), antenati delle nostre razze
domestiche. Il Toro spagnolo e il Toro di Camargue, di cui parleremo di seguito
sono, con i Tori corsi, i discendenti diretti dell'Uro.
TORO SPAGNOLO
Il Toro spagnolo ne ha preso la fierezza, la
selvaticità, la paura dell'uomo ed anche un poco la forza. Il suo manto
scuro, la forma delle sue corna contribuiscono soprattutto a questa
rassomiglianza che si può constatare su graffiti antichi e, soprattutto,
sui graffiti parietali delle grotte di sud-ovest che abitarono i nostri antenati
trentamila anni fa. I Tori spagnoli, purtroppo, sono destinati alle corride,
dove il loro coraggio indomabile attira delle folle assetate di sangue. Noi
detestiamo questi spettacoli e non ci dispiace scriverlo. Li detestiamo
soprattutto perché il Toro è tanto più piccolo, quanto
più il toreador è celebre. In più le bestie sono indebolite
prima della corsa e non resta loro assolutamente la speranza di sopravvivere. La
moda, lo snobismo e il denaro sono i motori di questi spettacoli più o
meno ripugnanti, vietati nella maggior parte dei paesi d'Europa, tranne la
Spagna. Il solo modo di manifestare contro le corride è di non mettervi
piede. Altrove l'abilità di questi bovidi è manifestata in corse
non sanguinose, meno brutali, dove il coraggio dell'uomo appare altrettanto
bene, se non ancora meglio. E' il caso delle celebri corse di mucche
olandesi...
TORO DI CAMARGUE
Il Toro di Camargue che vive quasi libero da
molti anni (ciò è ancora più vero per le mucche)
rassomiglia anche lui, più in piccolo, agli antichi Uri. Nero di pelo, la
spina dorsale sporgente, le corna solide e sviluppate, si mostra selvatico,
fiero ed indipendente. Si può immaginare molto bene, quando si vede
passare un armento, che si tratta di quelle mandrie che si trovano dipinte sulle
pareti delle grotte della Fonte di Gaume o degli Eyzies. Quando si sa che gli
Uri, descritti dagli autori latini, erano, al garrese, di una dimensione molto
superiore a quella di un uomo, si può immaginare quale fosse il coraggio
dei nostri antenati che li attaccavano con la lancia e la zagaglia, in piena
natura.
Attualmente, a parte gli animali selezionati per le corse, "la
Coccarda" ed altre manifestazioni del genere, non sanguinose, i Tori di Camargue
conducono una vita molto tranquilla, sebbene il loro dominio stia sempre
retrocedendo. La Camargue purtroppo soffre per la nostra invadente
civiltà e non sarà presto altro che un ricordo pieno di poesia. Le
industrie che sfruttano la sua acqua ed il suo sole, il turismo, la stanno
catturando...
URO TEDESCO (ricostituito)
Due specialisti tedeschi, gli Heck, padre e
figlio, si sono posti come compito di "rifare" l'Uro, questo bue antico il cui
nome stesso, in tedesco, significa "vecchio bue". Per arrivarci, da una
cinquantina d'anni, essi hanno selezionato tori e mucche di origine corsa,
spagnola e camarghese, non conservando che gli esemplari che presentavano
qualcuno dei caratteri del Bue primitivo. Facendoli riprodurre tra di loro,
hanno ottenuto dei soggetti di cui hanno mantenuto soltanto i più
rappresentativi. Così, con una selezione accurata, hanno ricostituito,
attualmente, una mandria certamente assai simile all'antenato. Questi animali
raggiungono i due metri al garrese. Hanno delle corna molto lunghe, nere
all'estremità. Il loro manto è nero, con una linea chiara lungo la
colonna vertebrale. Le mucche sono più piccole, naturalmente, e di colore
più vicino al bruno rossastro. Ben inteso, non è il caso di dire
che si tratta di Uro autentici: la natura non può tornare indietro e se
la linea è interrotta, come in questo caso, si tratta di un fenomeno
irreversibile. Non è meno interessante, tuttavia, constatare a cosa
è possibile arrivare, in questo campo, con lo spirito di osservazione
proprio di tutti gli appassionati. Il professor Heck può essere fiero di
quel che ha fatto. E', in ogni caso, sempre meglio che insegnarci a massacrare
una specie di animale per ragioni falsamente sportive, come accade ancora
spesso... La storia dell'Uro, come quella del Bisonte d'Europa, di cui si
parlerà più avanti, è una delle più lamentevoli che
vi siano. La stoltezza degli uomini vi appare continuamente, al punto più
estremo. Il risultato è la morte di una specie.
URO INGLESE (Bos taurus)
Mentre in Germania si lavorava alla ricostruzione
dell'Uro, mentre in Francia ed in Spagna si conservava qualche razza che
sembrava discendere direttamente dal Bue primitivo, lo spirito conservatore
degli inglesi veniva applicato alla preservazione di qualche mandria di buoi,
messi al sicuro da lunghi secoli e presentanti dei netti caratteri arcaici che
li riattaccavano alla linea del Bue primitivo. Esistono, attualmente, tre di
queste mandrie che vivono tutto l'anno all'aperto, in libertà
sorvegliata. Tutti hanno il manto bianco con orecchie brune per la razza
Chillingham ed orecchie nere per le razze Cadzow, Chartley e Vaynol. Sono
animali tozzi, di taglia media, con zampe corte chiare, scure
all'estremità. E' evidente che queste mandrie, preservate da mescolanze
da parecchi secoli, ma tuttavia esenti da consanguineità, offrono un
grande interesse storico e turistico. Vengono visitate da molti, ma non si
può penetrare nei loro parchi. I tori, soprattutto il capo, il più
forte della mandria, possono essere pericolosi. Sono animali molto resistenti,
poiché la selezione naturale si svolge in pieno, non lasciando
sopravvivere che i vitelli capaci di resistere ai duri inverni inglesi. Dire che
si tratta, anche là, di Uri, sarebbe falso. Una volta di più
dobbiamo dire che l'Uro è scomparso per sempre. Ma lo si può
ritrovare, indovinare, attraverso le razze semiselvagge di cui parliamo. Abbiamo
adoperato indifferentemente i termini bue e toro. Questo non nel senso esatto
dell'allevatore. In realtà, nei bovidi selvaggi non esistono che tori,
mucche e vitelli, essendo il bue animale artificialmente diminuito tramite le
"cure" del veterinario. Che gli Uri siano gli antenati delle nostre razze
domestiche è evidente. Né il bisonte, né i bovini asiatici
o africani vi hanno contribuito. Questo ci può fare immaginare quale sia
stato il lavoro di selezione dei nostri antenati.
TARPAN
Lo stesso problema che si pone per i tori di cui
abbiamo appena parlato, si pone anche per i Cavalli più o meno selvaggi.
A parte il Cavallo asiatico di Przewalski (e non si sa neppure se restano ancora
mandrie libere), nessun Cavallo veramente selvaggio esiste al mondo. Ma restano
un certo numero di razze che vivono in semilibertà e che presentano netti
caratteri arcaici. In più, come per gli Uri, degli specialisti si sono
sforzati di "rifare" la razza selvaggia sparita dei Tarpan. Ve ne erano due: il
Tarpan delle steppe ed il Tarpan delle foreste. Entrambi sono spariti nel corso
del secolo scorso.
Scegliendo i più rappresentativi tra i Cavalli
polacchi, islandesi, svedesi, ecc., gli specialisti tedeschi sono riusciti a
creare la razza di cui parliamo e che rassomiglia certamente molto ai Tarpan
primitivi. Sono animali di taglia media che arrivano a raggiungere, come
massimo, un metro e trenta di altezza al garrese. Essi hanno il manto vellutato
e rassomigliano a quelli di alcuni antichi disegni. A fianco di queste razze
ricostituite esiste una lunga lista di Cavalli rimasti liberi o ridiventati
selvaggi, che non si rassomigliano tutti tra di loro e che presentano tutti,
ciò nonostante, alcuni caratteri degli antichi cavalli selvaggi. La razza
dello Ariège sembra una delle più pure; quella di Camargue, che
nasce scura e diventa bianca una volta adulta, ne è un'altra. Si possono
qui aggiungere le differenti varietà di poney, il cavallo Pottokak dei
Bassi Pirenei e qualche altro ancora, più o meno conosciuto, più o
meno puro... Naturalmente vi si mischia la pubblicità turistica ed alcuni
allevamenti pretendono di essere i soli a mostrare dei cavalli "selvaggi". Si
potranno mettere tutti d'accordo se ripeteremo che non ne esiste più
alcuno autentico, tranne il cavallo selvaggio di Przewalski, i cui esemplari
attualmente conosciuti vivono tutti nei giardini zoologici. Questo animale si
caratterizza per una criniera costantemente irta, carattere molto ricercato
dagli specialisti della ricostituzione dei cavalli "selvaggi", ma raramente
ottenuto perché non apparteneva alle due varietà dei Tarpan. Si
è molto parlato della linea da cui è disceso il cavallo, dopo
l'Eohippus, piccolo animale delle dimensioni di una lepre, che possedeva cinque
dita su ciascuna zampa. Secondo la teoria dell'evoluzione e la storia degli
antenati dei cavalli, la sola dimostrazione sostenibile è che si è
arrivati dall'Eohippus ai cavalli attuali tramite una successione di animali di
grandezza sempre crescente e i cui piedi si avvicinavano sempre più agli
zoccoli attuali. Si pretende anche che Giulio Cesare abbia avuto un cavallo
dagli zoccoli biforcuti che mostravano due dita. Non è certamente che una
leggenda. Il campo di ricerca resta aperto e saremmo felici di vedere un
cavallo, detto selvaggio, che presenti un carattere arcaico altrettanto
sensazionale. A fianco di ciò si noterà che la selezione
effettuata dalle cure degli uomini da così tanto tempo, ha dato una bella
collezione di razze di cavalli differenti. Dai minuscoli anglo-arabi fino agli
enormi cavalli da tiro.
CAPRA DEL BEZOAR (Capra hircus)
La Capra del bezoar appartiene a quel gruppo di
stambecchi variabili nel loro aspetto da un capo all'altro del loro habitat,
dalla Spagna al vicino Oriente. La Capra del bezoar è più fine,
più graziosa, più leggera dello Stambecco delle Alpi. Pur avendo,
nell'insieme, la forma dello Stambecco, è lunga al massimo un metro e
mezzo ed è alta alla spalla poco meno di un metro. Le sue corna sono
molto lunghe, sottili, ricurve a scimitarra come le sciabole arabe e ornate da
un numero ridotto di anelli, il che le differenzia immediatamente dagli
stambecchi di montagna europei che ne hanno molti di più. Il mantello
della Capra del bezoar non è molto lungo; nella stagione invernale
è di un bel colore rossastro, nella stagione estiva diventa grigio o,
addirittura, giallastro. Su questi colori spiccano la barbetta piuttosto lunga
ed una striscia che percorre il collo, il dorso e la coda, di colore nero. Le
parti inferiori sono molto chiare.
Gli specialisti non sono d'accordo per
quel che concerne la purezza di razza delle Capre del bezoar. Alcune, in
particolare quelle che vivono nelle Sporadi del nord e su Antimilos, sono
considerate come le discendenti delle Capre domestiche ritornate allo stato
selvaggio. Quelle di Creta, chiamate in latino "Capra hircus cretensis", hanno
miglior reputazione e sembrano autentici animali selvaggi. Sono animali poco e
male conosciuti, anche localmente, poiché rimangono sulle cime delle
rocce più inaccessibili dei loro regni, il più lontano possibile
dagli uomini. Rari cacciatori tentano di raggiungerle, ma le Capre selvatiche
restano sempre in guardia, divise in gruppi di maschi e in gruppi di femmine,
con delle sentinelle per ogni gruppo. La carne delle Capre del bezoar, come
quella degli stambecchi, è considerata una delle migliori cacciagioni che
vi siano al mondo. Le Capre del bezoar hanno certo contribuito, con altre capre
selvagge del vicino Oriente, alla creazione delle razze domestiche di capre che
conosciamo ora. Ma, malgrado la simpatia che si ha generalmente per questi
animali, bisogna osservare che la loro influenza sulla vegetazione è
sempre stata catastrofica. Ovunque, in Europa, in Africa e in Asia, esistono
deserti di origine recente, si scopre che i gruppi di capre ne sono stati la
causa. Questi animali salgono sugli alberi e li uccidono rodendo le loro gemme,
strappano l'erba che non ricresce più dopo il loro passaggio. A tal punto
che numerosi paesi moderni hanno preso la decisione di vietare il vagabondaggio
libero delle capre.
SCIACALLO DORATO (Canis aureus)
Certo c'è un po' da stupirsi a constatare
la presenza dello Sciacallo quando si parla della fauna d'Europa. Tutti sanno
che si tratta di un piccolo canide selvaggio, comune in Africa ed in Asia e
senza dubbio antenato, con il lupo, dei nostri cani attuali. In realtà lo
Sciacallo dorato è effettivamente presente in Europa, in tutta la Grecia,
in Albania in Jugoslavia e nella Turchia europea. Si comprenderà dunque
tutta l'importanza di questa presenza se si ammette che lo Sciacallo, come
abbiamo già detto, spartisce con il lupo la paternità dei nostri
cani. Quel che è certo è che l'unione cane-sciacallo come quella
cane-lupo e come quella sciacallo-lupo, dà teoricamente e praticamente,
quando la si può organizzare, dei prodotti indefinitamente fecondi.
Queste unioni non avvengono mai nella natura, ma il loro risultato è la
prova della stretta parentela di questi tre animali. Lo Sciacallo è di un
colore rossastro, tradotto con "dorato" dal suo nome scientifico. Le sue
orecchie sono alte, la sua coda assai corta, la sua andatura furtiva. E' un
notturno che scava una tana ben nascosta e che vive, soprattutto, di piccole
prede, insetti compresi, e di resti, rifiuti o carogne di ogni tipo. Lo si
può dunque considerare un utile pulitore. Si nota, quando lo si conosce
bene, che è contemporaneamente attirato e spaventato dagli uomini, e gli
uomini stessi, a loro volta, provano per lui contemporaneamente un senso di
ripugnanza e di rispetto. Narra un'antica leggenda etiopica che, al momento di
scegliere gli animali da ospitare nell'arca, il patriarca Noè si sarebbe
rifiutato di accogliervi lo Sciacallo, perché non lo riteneva degno di
sopravvivere al diluvio, ma che il Signore gli avrebbe imposto di salvarlo con
gli altri. L'ostilità dell'uomo per il vorace predone sarebbe dunque,
secondo la leggenda, antica quando il mondo. Tuttavia, anche se lo Sciacallo
è evitato da tutti, raramente viene cacciato o perseguitato: mentre le
Iene cadono a decine sotto i colpi dei cacciatori, ben pochi sono gli Sciacalli
che vengono uccisi. Un'altra leggenda riguardante questa belva la fa vittima di
un'antica e misteriosa maledizione che la condanna a vivere di carne morta,
nonostante i suoi istinti così simili a quelli del cane. Proprio per
questa sua abitudine di nutrirsi di carogne lo Sciacallo è considerato
uno degli animali più ripugnanti ed odiosi. Ma molti popoli antichi e
particolarmente gli Egiziani, prevalentemente agricoli, consideravano invece
questo animale nel suo giusto valore, riconoscendo la sua importanza nel
liberare la terra dalle carogne che, imputridendo, avrebbero ammorbato l'aria.
Per questo personificarono in esso varie divinità e lo considerarono, in
particolar modo, come rappresentante del mondo dell'oltretomba. Anche nella
Bibbia troviamo citato lo Sciacallo a cui viene attribuita la "scaltrezza di
sette donne" in contrapposizione al "pensiero di sette uomini" riservato al
Leopardo.
Dobbiamo sempre ricordare che ogni animale, per quanto odioso o
ripugnante ci possa sembrare, ha il suo ruolo da svolgere; la distruzione di una
specie potrebbe rompere l'equilibrio della natura necessario non solo alla vita
degli animali, ma anche alla vita dell'uomo.
PICCOLI UCCELLI DEL SUD
I piccoli uccelli che sono stati riuniti qui,
vivono di preferenza nel sud dell'Europa. Essi non hanno dunque, forzatamente,
dei legami di parentela tra di loro, se non la sorte che è riservata loro
troppo spesso: finire allo spiedo. Ciò è assai lamentevole,
poiché abbiamo infinitamente bisogno di questi alleati nella lotta
incessante che gli uomini conducono contro gli insetti, nemici dei nostri
raccolti.
Uccidere gli uccelli per mangiarli o per esercitare la propria
abilità al tiro, avvelenarli con degli insetticidi più o meno
inoperanti nel confronto degli insetti, è commettere un vero crimine
contro l'umanità stessa.
CALANDRA (Melanocorypha calandra)
La Calandra è una delle più grandi
e delle più pesanti della famiglia delle allodole. Il suo petto
giallastro come il suo becco ed i segni neri che essa ha su ciascun lato del
collo, permettono di riconoscerla senza timori di sbagli. La si vede nel sud
della Spagna, dell'Italia e della penisola balcanica. Come molte altre specie
della famiglia, le Calandre sono molto apprezzate dall'uomo per la dolcezza del
loro canto: facilmente quindi se ne possono trovare nelle case, racchiuse in
gabbia, custodite e curate dai loro padroni. Il sistema di allevamento è
lo stesso usato per tutti gli altri piccoli cantori domestici. Le Calandre,
purtroppo, non attirano solo l'attenzione degli amatori del bel canto: anche i
cacciatori sono interessati a questi piccoli alati, per le loro tenere carni e
per le emozioni che procura la loro caccia. Il sistema più usato è
quello dello "specchietto", piccola bandierina scintillante che attira
irresistibilmente sotto il tiro del cacciatore le imprevidenti e spensierate
Calandre. Altro sistema è quello della "civetta", uccello meccanico
provvisto di molle e fili che mettono in movimento le ali, avente lo stesso
potere di attrazione dello specchietto. Un tempo veniva usata addirittura una
civetta vera e viva. Molte sono le Calandre che ogni anno cadono sotto i colpi
dei cacciatori e non si sa se, per queste creature dell'aria, la fine peggiore
sia lo spiedo o la gabbia! In Sardegna, e soprattutto nella provincia di Nuoro,
è molto diffuso un antichissimo proverbio: «Se la Calandra canta
vivi sicuro: la felicità è alla tua porta». L'origine del
proverbio si perde nella notte dei tempi, ma quello che è certo è
che il canto di questo uccello porta con sé tanta gioia da dare un
improvviso presagio di felicità.
PASSERO SOLITARIO (Monticola solitarius)
Nelle stesse regioni in cui si trova la Calandra
vive anche un piccolo e modesto uccello chiamato Passero solitario, passato
all'immortalità per aver suggerito una bellissima lirica al grande poeta
di Recanati. Spesso il Passero solitario viene scambiato per un merlo nero,
specie quando è in volo. Ma esso ha dimensioni minori, capo più
grosso, coda corta ed un corpo decisamente più elegante e slanciato,
oltre al piumaggio di colore diverso. Specialmente durante il corteggiamento,
quando i maschi vestono la livrea nuziale, il "vestito" di questo piccolo alato
si rivela in tutta la sua bellezza: bruno nero sulla coda e sulle ali, queste
ultime bordate di grigio chiaro, azzurro in tutte le altre parti del corpo, con
piumaggio vellutato e brillante, a volte con riflessi luminosi. Durante il resto
dell'anno la bellezza delle tinte si smorza e il piumaggio si uniforma in un
grigio ardesia per i maschi, grigio bluastro per le femmine. Il Passero
solitario è un animale attivissimo: tenendo il capo proteso in avanti in
posizione quasi orizzontale, esso corre e saltella sul terreno in continuazione,
si insinua con grande abilità tra pietre e rovine, salta sulle rocce e si
arrampica con grandissima abilità anche sulle pareti più scoscese,
accompagnando tutti i suoi movimenti con un nervoso fremito delle ali ed un
lento movimento della coda. Ogni tanto l'irrequieto uccello sembra che senta il
bisogno di rilassarsi dopo tanta attività; allora si immobilizza su
qualche luogo elevato, gonfia le piume e lascia pendere le ali in posizione di
riposo, Così rimane talvolta anche per lungo tempo, perfettamente
mimetizzato col terreno o col colore delle rocce o delle pietre circostanti.
Dotato di grande prudenza, ma non del tutto scontroso, il Passero solitario si
è perfettamente abituato alla presenza dell'uomo e lo si trova
frequentemente tra le rovine visitate da viaggiatori e turisti. L'ambiente
naturale del Passero solitario, che tale si può chiamare soltanto nei
confronti dei suoi simili, è costituito infatti da mura cadenti su cui
crescono erbe spontanee o da vecchie torri tra le cui pietre spuntano ciuffi di
vegetazione che il vento ha provveduto a seminare. Questo uccello si adatta
anche molto bene alla vita in cattività, raggiungendo un notevole grado
di domesticità e vivendo a lungo; il suo aspetto elegante e grazioso, il
bellissimo piumaggio sobrio e delicato, la sua vivacità ed un certo grado
di intelligenza lo rendono ben accetto e gradevole. Tranne il pericolo della
cattura, nulla minaccia la libertà e la vita del Passero solitario,
questo piccolo alato il cui nome è noto a molti per l'alone di poesia che
lo circonda.
CORDIROSSONE (Monticola sexatilis)
Il Cordirossone può essere visto in tutto
il sud e il sud-est europeo, compreso il mezzogiorno della Francia. La sua coda
è rossa, perpetuamente agitata; la parte superiore è grigio
pallido, quella inferiore color arancio. Esso vive in montagna, fino a
duemilacinquecento metri di altezza, solitario e selvatico, e fischia veramente
bene.
PASSERO LAGIO (Petronia petronia)
Il Passero lagio vive nella metà sud-ovest
della Francia, Spagna, Italia e Grecia. Esso assomiglia alla femmina del passero
domestico: è di forma arrotondata, di colore pallido e vive nei campi
assolati, nidificando nei muri, nelle rocce o nei vecchi alberi.
MAGNANINA (Sylvia undata)
La Magnanina vive nel sud-ovest della Francia, in
Spagna, nel sud dell'Italia, in Corsica, in Sardegna ed in Sicilia. E' un
uccello scuro, dalla lunga coda ritta, il piumaggio un po' irto sulla testa.
Esso nidifica quasi a terra, nelle brughiere, vola basso e non si mostra mai.
USIGNOLO D'AFRICA (Agrobates galactotes)
L'Usignolo d'Africa è un uccello
sconosciuto nella maggior parte dei paesi europei, poiché non lo si
può vedere che nell'estremo sud della Spagna ed in Grecia. Questo
uccellino con lunghe zampe, che nidifica nei cactus e nei palmizi e si appoggia
sull'alto dei ramoscelli per lanciare la sua piccola canzone, si riconosce per
la coda rossa assai lunga, portata a ventaglio, nera e bianca
all'estremità. Esso l'agita dall'alto al basso, con le ali basse e la
testa alzata. Il suo canto è molto musicale. Naturalmente resta ancora
molto da dire su questi piccoli uccelli mal conosciuti. Ci si permetterà
di approfittare del loro studio per esprimere l'ammirazione che proviamo davanti
alla Creazione. In effetti, queste centinaia di uccelli di specie differenti,
che non si mischiano mai tra di loro, ci danno un'alta idea dei disegni nascosti
della natura. Ogni varietà resta identica a se stessa, non si producono
né mescolanze né ibridazioni che darebbero rapidamente un uccello
grigiastro, senza alcun carattere personale. Diciamo crudelmente che la natura
è "razzista" e che si oppone formalmente a che il Cordirossone formi una
famiglia con il Passero solitario. Non esistono nella natura né muli,
né bardotti, né altri incroci di questo genere, salvo, a volte, in
qualche razza di pesce.
GHIRO
Gli animali che presenteremo ora sono poco
conosciuti o completamente sconosciuti al pubblico europeo, forse anche a quello
che vive nelle stesse regioni in cui abitano questi animali. In effetti, essi
sono notturni, discreti e non hanno che nomi scientifici. Vivono nell'est
dell'Europa. in quelle regioni di steppe semidesertiche comparabili, in una
certa misura, all'immensa "prateria" americana.
Entrambi appartengono alla
famiglia dei Gliroidei, meglio conosciuti come Ghiri. Sono considerati dei
Roditori di mole modesta, il cui ambiente preferito è il bosco o la
rupe.
Il muso è sempre allungato, gli arti anteriori presentano 4
dita e quelli posteriori 5, inoltre l'apparato digerente è più
semplice, mancando l'intestino cieco.
DRIOMIO (Dryomys nitedula)
Il Driomio è un piccolo roditore molto
simile al ghiro, al topo quercino ed al moscardino dell'Europa occidentale. Lo
si riconosce per il fatto che la sua coda è interamente ricoperta di peli
della stessa lunghezza, mentre il topo quercino termina la sua coda con un
ciuffetto nero e bianco. Il Driomio ha le orecchie più corte, è di
taglia leggermente inferiore a quella del topo quercino ed ha, come lui, ogni
occhio ricoperto da una macchia nera che si prolunga dietro l'orecchio. Lo si
trova all'estremità dello "stivale" italiano, a sud-ovest, così
come in tutti i Balcani. Il Driomio sverna in tane od in cavità di
alberi, ma, nel periodo della riproduzione, la femmina costruisce il suo nido in
un cespuglio. I piccoli nascono con un pelame di tinta molto scura che si
schiarisce di mano in mano che essi crescono.
Sono state descritte molte
sottospecie di questo animale, ma esse differiscono poco l'una dall'altra.
GHIRO D'OGNEV (Myomimus personatus)
Il Ghiro d'Ognev rassomiglia al moscardino, ma ha
la coda da topo e la parte inferiore, come pure le zampe, bianche. Questa
bestiola, mal conosciuta, non vive che in un minimo settore della Russia di
sud-ovest: il Turkménistan, ed in un angolo della Bulgaria.
CITELLO COMUNE (Citellus citellus)
Il Citello comune, chiamato anche Spermofilo o
Scoiattolo di terra europeo, è una specie di piccolo scoiattolo, quasi
sconosciuto, che non si arrampica sugli alberi e vive nelle steppe dell'est
europeo, vicino alle tane che esso scava profondamente nel suolo. L'aspetto
è intermedio tra quello di uno scoiattolo e quello di una marmotta, gli
occhi sono grandi e molto vivaci, le orecchie piccole. Sono animali molto agili
nella corsa e nel salto, che si spostano anche ad una certa distanza dal
rifugio, alla ricerca di semi, frutti e qualsiasi sostanza vegetale.
All'approssimarsi della brutta stagione i Citelli, come gli scoiattoli,
accumulano grandi quantità di cibo nelle loro tane in cui poi si
rinchiudono per cadere in letargo e risvegliarsi solo nella successiva
primavera. E' stato osservato che il Citello può avere anche periodi
passeggeri di sonno dovuti alla siccità ed al forte calore estivo.
I
piccoli vedono la luce in aprile e maggio. Le nidiate sono composte da tre a
otto piccoli che, alla loro nascita sono molto deboli e completamente nudi.
Poiché la loro pelliccia non ha valore e la loro carne non è molto
gradevole, unici nemici dei Citelli sono gli animali carnivori, rapaci compresi.
SOUSLIK (Citellus suslica)
Il Souslik ha dimensioni un poco minori del
Citello, ha la coda più corta ed il dorso ricoperto da piccole macchie
bianche; un cerchio chiaro spicca anche attorno agli occhi, molto grandi e
vivaci. Il Souslik ha l'abitudine di cercare il cibo un poco distante dalla
tana, seguendo sempre lo stesso tracciato, così dopo un certo tempo si
vengono a formare dei veri e propri piccoli sentieri che portano dalla tana
dell'animale al luogo dove ricerca il suo nutrimento. In complesso ha le stesse
abitudini del Citello comune, così come ha il medesimo aspetto. Al
contrario del Citello, però, il Souslik è cacciato sia per le
carni, sia per la pelliccia.
SPALACE (Spalax microphthalmus)
Lo Spalace, di cui esistono due specie:
l'occidentale e l'orientale, vive anch'esso nelle steppe della Russia europea.
Sono animaletti dall'aspetto molto particolare, lunghi una trentina di
centimetri; i loro occhi sono completamente ricoperti dalla pelle, le orecchie
sono invisibili ed i denti, da roditori, sono molto sviluppati e servono loro
per scavare instancabilmente. Sono animali assai informi, con un aspetto
bizzarro, un poco respingente quando li si vede per la prima volta. Le loro
abitudini sono simili a quelle delle talpe e le tane che essi scavano sono molto
complicate: di solito sono composte da un nido, una camera destinata
all'accoppiamento, vari magazzini, gabinetti e parecchie gallerie. Le tane sono
molto solide poiché gli Spalaci, anziché buttar fuori il terreno
rimosso, lo comprimono sui lati delle camere e delle gallerie ottenendo dei veri
e propri "muri". Il nido viene reso più comodo trasportandovi erba secca
che serve da imbottitura e per scaldarlo: la camera d'accoppiamento, una volta
servita allo scopo, viene accuratamente richiusa, come pure i gabinetti che,
appena colmi di rifiuti, sono accuratamente richiusi e vengono sostituiti da
altri di nuova costruzione. Anche gli Spalaci interrano delle riserve di cibo:
patate, cipolle, carote, radici e tuberi di ogni tipo che essi raggiungono
tramite le loro gallerie. Essi non escono dalle loro tane che di notte e sono
molto poco conosciuti, dal punto di vista scientifico. Forse hanno, come
missione segreta, l'aerazione del suolo della steppa in cui scavano le loro
interminabili gallerie, o forse il loro compito è di uguagliare l'erba
che vi cresce, rosicchiandola continuamente... Quel che è certo è
che servono da nutrimento ad ogni tipo di animale carnivoro, uccelli rapaci,
lupi, volpi e mustelidi che si arrangiano per non lasciar mai proliferare troppo
questo piccolo popolo. A volte si accusa questo animale di costituire una specie
di brodo di coltura permanente di epidemie gravi, quali la peste e la rabbia...
Si dice anche che, quando si risvegliano, queste malattie partono di là.
Quel che è certo è che una brutta mortalità tra i Souslik e
gli Spalaci costituisce sempre un cattivo segno per il resto della fauna e per
gli esseri umani.
PUZZOLA
Gli esemplari di Puzzola che presentiamo ora (la
Mustela putorius, la Puzzola marmorizzata (Vormela peregusna) e la Puzzola
chiara "delle steppe") vivono tutti e tre in Europa. La prima si trova
dappertutto, tranne che nella metà settentrionale della Scandinavia;
quanto alle Isole Britanniche, non vi è presente che in una regione
ridotta dell'Inghilterra e nella Scozia del nord. La Puzzola delle steppe vive
nell'Europa centrale. Quanto alla Puzzola marmorizzata, essa non frequenta che
la Turchia europea e la Jugoslavia. Questi animali sono dei mustelidi abbastanza
grandi, con la pelliccia più o meno chiara, con una "maschera" scura
sulla faccia; alcuni vivono al bordo dell'acqua, altri nella brughiera o nelle
steppe, altri ancora nelle abitazioni umane. E' ben noto che le case dette
"abitate" dagli spiriti, ospitano semplicemente, sotto il tetto, qualche puzzola
che gioca o combatte di notte, facendo molto rumore. La Puzzola è un
animale snello ed elegante, con una piccola testa dal muso appuntito, orecchie
corte ed arrotondate, zampe piuttosto corte ed armate di forti unghie. E' un
animale prevalentemente notturno, agile, capace di arrampicarsi, di saltare e di
correre velocemente.
Le Puzzole sono molto rumorose, non solo quando
saltano e quando corrono, ma anche perché ringhiano, soffiano, fischiano
ed urlano in modo impressionante. Esse mangiano ogni tipo di preda: roditori,
soprattutto, uccelli, rettili e pesci. Si attaccano anche ai serpenti velenosi,
al cui veleno sono immuni, ed ai nidi di vespe.
Sono acerrime nemiche dei
topi muschiati: spesso si trovano, sugli argini, i cadaveri di questi ultimi a
cui mancano, quasi sempre, il cervello e gli occhi, di cui le Puzzole sono
ghiotte. Passano dappertutto, non hanno paura di nulla ed amano alzarsi,
appoggiandosi sulle zampe posteriori, per guardare più lontano. I
rappresentanti di questa specie che vivono ai bordi dei corsi d'acqua sanno
anche tuffarsi e nuotare perfettamente. Si può vedere questo animale in
tutti i luoghi: esso si adatta bene ai paesi di pianura così come a
quelli di montagna dove la si incontra fino ai duemila metri di altitudine; la
sua preferenza, comunque, va ai luoghi umidi, ai corsi d'acqua ed alle paludi.
Nonostante le sue abitudini prevalentemente notturne, non è eccezionale
vedere una Puzzola anche in pieno giorno.
Poco sospettosa per natura, la
Puzzola può essere catturata con ogni tipo di trappola. Vive bene in
cattività, ma non è mai molto amabile.
Il colore di questo
animale è assai variabile: gli esemplari dei paesi asciutti sembrano,
nell'insieme, più piccoli e più chiari di quelli che si trovano
vicino all'acqua; questi ultimi, molto grossi, sono a volte completamente neri,
salvo il muso che resta bianco. Forse anche il nutrimento giuoca un ruolo
importante nella colorazione. Si sa che il furetto e l'albino sono forme
più o meno addomesticate di Puzzole selvagge. Ma non si è fissato
nulla di preciso sull'origine, sicuramente mediterranea, di questi animali. La
Puzzola sembra essere stata già semi addomesticata nella Grecia antica,
dove era considerata come il miglior difensore contro i topi delle abitazioni.
Nell'Europa occidentale questo ruolo era piuttosto affidato alla Donnola. Poi,
il gatto domestico li ha sostituiti; ammettendo che un gatto possa essere
qualificato domestico...
In Italia la Puzzola vive, non sempre tranquilla,
in tutta la penisola mentre manca completamente nelle isole. Spesso, come la
Faina, opera delle vere stragi nei pollai, uccidendo a volte per decapitazione
un numero di animali ben superiore al necessario, rendendosi in questo modo
invisa alla maggior parte degli agricoltori. Nelle isole la Puzzola è
sostituita dal Furetto (Mustela putorius furo); quest'ultimo è stato
probabilmente portato dall'Africa come animale "domestico", in seguito si
è rinselvatichito adattandosi molto bene all'ambiente. Tornando alla
Puzzola, va notato ancora che se si trova in una situazione di pericolo o di
emergenza emette un liquido puzzolente dalle sue ghiandole anali cercando poi la
fuga.
CRICETO
CRICETULO MIGRATORIO (Cricetulus migratorius) - MESOCRICETO DORATO (Mesocricetus
auratus) - HAMSTER (Cricetus cricetus)
Le Puzzole di cui
abbiamo parlato in precedenza sono nemiche dei tre animali che presentiamo ora
qui: gli Hamster o Criceti. Due di essi sono poco conosciuti, in Europa, allo
stato selvatico, poiché il Cricetulo migratorio non lo si incontra che
molto raramente in Grecia ed in Jugoslavia e lo si comincia a vedere più
frequentemente solo in Russia, mentre il Mesocriceto dorato è ancora
più asiatico ed orientale. Solo l'Hamster vero e proprio vive in tutta
l'Europa centrale. Il Cricetulo migratorio è il più piccolo dei
tre e lo si riconosce per la grande dimensione delle sue orecchie. Il
Mesocriceto dorato, di un grazioso e caldo color fulvo, è divenuto il
compagno di un numero immenso e sempre crescente di amici degli animali.
Ambedue, per quanto di dimensioni minori, sono molto simili agli Hamster, sia
per la forma che per il modo di vita.
L'Hamster è il più
diffuso dei tre ed è più comunemente conosciuto col nome di
Criceto. E' un animaletto che misura circa trenta centimetri, di cui sei
spettano alla coda quasi completamente nuda. L'aspetto, nell'insieme,
rassomiglia un poco a quello delle cavie. La testa è piuttosto grande, le
orecchie molto sviluppate, gli occhi vivaci e le labbra fornite di lunghi baffi.
Le zampe, piuttosto corte, sono munite di forti unghie con cui scavano lunghe
gallerie che terminano con una tana nella quale abitano. Il mantello, di pelo
abbastanza morbido e di media lunghezza, è di tre colori: nero nella
parte inferiore, giallo rossastro in quella superiore con macchie bianche sul
muso, sulla gola e sugli arti.
Essi conducono vita prevalentemente
notturna: al calar del sole escono dalle tane e si recano nei luoghi dove sanno
di trovare nutrimento, in particolare grano. Si appoggiano alle zampe posteriori
e, con quelle anteriori, piegano il gambo delle spighe e lo spezzano. Si
riempiono poi le tasche guanciali coi grani e tornano alla tana dove, con
piccoli colpi contro le guance, vuotano le tasche per depositare il grano nei
magazzini. Pur essendo prevalentemente vegetariani, se capita l'occasione
assalgono e divorano anche insetti, piccoli uccelli, piccoli mammiferi e
addirittura serpentelli. Al sopraggiungere dell'inverno i Criceti, che hanno la
tana ormai colma di nutrimento, chiudono le uscite e cadano in letargo. Sotto il
suo aspetto bonario da porcellino d'India, il Criceto nasconde una natura
inquieta e gelosa. Durante la costruzione della sua tana, profonda e complicata,
sta continuamente in guardia affinché un congenere non si avventuri oltre
un certo limite nel suo raggio d'azione. Se un intruso si avvicina troppo viene
ingaggiato un combattimento ed, in genere, il primo occupante ha la meglio e
resta padrone del terreno. Questo cattivo carattere e questa natura battagliera
gli assicurano il rispetto da parte di molti altri animali; esso sa tenere testa
ai cani e morde con accanimento chiunque lo molesti. La riproduzione avviene in
primavera. In una tana preparata dalla sola femmina, poiché l'unione tra
maschio e femmina non è duratura, vengono al mondo due o tre nidiate per
ogni stagione. Il numero dei piccoli varia da quattro a diciotto; quest'ultima
cifra però, molto alta, è certamente eccezionale. In varie parti
dell'Europa il Criceto viene cacciato sia per la carne, sia per la pelliccia
discreta, sia, e forse soprattutto, per eliminare un certo numero di questi
animali che possono diventare dannosi per le coltivazioni.
CANE VIVERRINO (Nyctereutes procyonoides)
Introdotto più o meno artificialmente
dalla Siberia in Russia, poi da là in un certo numero di paesi
dell'Europa centrale, il Cane viverrino vede continuamente aumentare il suo
regno, da qualche decina d'anni. Questo animale, che raggiunge settanta
centimetri dall'estremità del muso alla base della coda, pelosa e lunga
essa stessa una ventina di centimetri, ricorda contemporaneamente la Volpe, il
Tasso ed il Procione lavatore. Alcuni zoologi lo ricollegano alla famiglia di
quest'ultimo, altri preferiscono classificarlo tra i canidi. Esso ha orecchie
molto piccole, il muso lungo e appuntito, dei favoriti di pelo che pendono da
ciascun lato della testa e delle macchie nere che ricoprono le guance e
nascondono gli occhi. La sua pelliccia è folta, molto irsuta e di un
grigio più o meno scuro. Esso vive nella foresta più fitta e
caccia, a piccole mute, ogni tipo di piccola selvaggina. Sa anche pescare i
pesci e, soprattutto, i gamberi, penetrando nell'acqua. Le vecchie leggende
russe gli attribuiscono, come alla Volpe nell'Europa occidentale, molta astuzia
nel prendere i gamberi usando la seguente maniera: esso s'immerge il più
profondamente possibile, col muso appena fuori dall'acqua, e non si muove
più. I gamberi affondano nella pelliccia per attaccare quella carne che
è offerta loro, allora il Cane viverrino salta sull'argine del fiume e
divora tutti gli imprudenti. Leggenda o verità, la questione è
sempre aperta, ma se ne parla così spesso ovunque vivano questi animali
che si deve, alla fine, considerare questi racconti con un certo rispetto, prima
di asserire che sono soltanto invenzioni. A dire il vero non si sa nulla di
più sul Cane viverrino, benché la sua esistenza sia conosciuta da
molto tempo. Li si scopre, qualora li si ignorasse ancora, in un certo numero di
pellicole russe o cecoslovacche consacrate al mondo animale e ci si stupisce per
l'aspetto nuovo e imprevisto di questi animali. Alcuni giardini zoologici ne
possiedono alcuni esemplari, ma essi, lungo la giornata, si nascondono avendo
abitudini piuttosto notturne.
LUPO (Canis lupus)
E' facile trovare il Lupo soprattutto nei Paesi
dell'Est, in Polonia, In Jugoslavia o in Turchia; certamente, se ne vedono anche
altrove, fino in Spagna, dove sono più piccoli e più rossi, fino
in Italia, dove minacciano ancora le greggi di pecore degli Abruzzi, fino in
Francia, dove se ne segnalano uno o due ogni anno. Alcuni paesi, come la Svezia,
hanno deciso, recentemente, di proteggere i loro ultimi lupi, a titolo di
curiosità e alla condizione che il loro numero resti molto ristretto. Per
contro, nei paesi dell'est, si continua a cacciare i Lupi, in inverno, in aereo
o in elicottero, o li si avvelena con una carcassa farcita di
stricnina.
Per lunghi secoli il Lupo ha dominato l'Europa disputando, piede
a piede, il suo dominio all'uomo invasore. La notte apparteneva al Lupo che
andava a prendere il cane davanti alla sua cuccia, il bambino nella sua culla o
l'agnello nell'ovile, fino all'interno dei villaggi ed anche delle città.
Racconti allucinanti di questi rapimenti riempivano le memorie dei nostri
antenati, da un capo all'altro dell'Europa. E' interessante notare che in
Francia nell'agosto del 1918 morì l'ultima vittima dei lupi, una vecchia
donna che si chiamava Marie Rampnoux. Il dramma ebbe luogo non lontano da
Limoges, nell'Alta Vienne. E l'autore ha visto, nel 1924, un Lupo che era appena
caduto sotto i colpi di un cacciatore, non lontano dal borgo di
Lussac-les-Chateaux, nella Vienne. Nel 1968 due Lupi furono ancora uccisi nel
massiccio forestale delle Landes. E altri vi sono stati visti da allora. Un
grande, vecchio Lupo di più di sette anni non è cacciabile senza
cani e cavalli da tiro. Esso può percorrere con un trotto rapido
più di cento chilometri al giorno. Un Lupo trancia con un colpo di denti
la zampa di una giovenca, sgozza una mucca e trasporta una pecora sulla schiena
attraverso i boschi cedui. Pesa fino a sessantacinque chilogrammi, con
un'altezza di ottanta centimetri al garrese. Si sbarazza in pochi secondi di una
coppia di grandi cani che osasse attaccarlo. Ciò nonostante i Lupi temono
l'uomo e non l'aggrediscono se non quando lo vedono cadere o quando sono in
gruppo o spinti dalla fame più terribile. Le coppie di Lupi sono unite
per la vita, ma in inverno si formano, a volte, delle bande per cacciare
insieme. Se vedete un giorno passare davanti a voi un grandissimo cane grigio,
con orecchie corte e dritte, un enorme avantreno, un treno posteriore fuggente,
la coda bassa, le zampe forti di cui le posteriori si posano nelle impronte di
quelle davanti, gli occhi a mandorla con la pupilla piuttosto chiara, siate
convinti che vi è riservato un notevole onore, l'occasione di vedere un
Lupo in libertà. Onore rarissimo, ben inteso, tranne che nei paesi
dell'est già citati precedentemente.
Il Lupo non mangia solo
agnelli, cani da caccia e bambini. Esso si accontenta anche di prede meno
delicate, quali piccoli roditori, rettili o anfibi. Privo di prede vive, ritorna
volentieri sulle carogne di animali che ha ucciso e che non ha potuto
trasportare. E' in questo modo, d'altronde, che si riesce molto facilmente ad
avvelenarlo o ad addormentarlo se lo si vuole catturare vivo per rinchiuderlo in
un giardino zoologico. I lupacchiotti sono nutriti dai loro genitori molto tempo
dopo essere stati svezzati: il papà lupo e la mamma lupa rigurgitano loro
della carne predigerita di cui si sono riempiti lo stomaco, dopo aver fatto
buona caccia. La selvaggina di grosse dimensioni: cervo, capriolo od altro,
è sempre scelta tra i maschi più vecchi, che vengono inseguiti il
tempo necessario perché siano raggiunti, senza che gli inseguitori si
lascino prendere in una qualsiasi trappola. La presenza dei Lupi a fianco dei
grandi erbivori selvatici è, a questo proposito, perfettamente logica e
necessaria. Averli totalmente eliminati in tanti paesi ha obbligato i cacciatori
a prendere il loro posto. Se no, la proliferazione di questa selvaggina
finirebbe con delle epizoozie o con una mortale carestia.
Esemplari di lupo
BISONTE EUROPEO (Bison bonasus)
Se c'è un animale che dovrebbe sembrarci
prezioso è proprio il Bisonte europeo, del quale i nostri antenati del
neolitico avevano fatto una delle loro prede preferite, che hanno così
sovente fatto figurare sulle pareti delle loro grotte e che ha rischiato di
scomparire definitivamente assieme al suo contemporaneo, l'Uro. Se il Bisonte ha
potuto alla fine essere salvato, è di strettissima misura, dopo una serie
di catastrofi straordinarie. Il Bisonte europeo rassomiglia al suo cugino
americano, ma è più sottile di corpo e di membra; più
sottili sono anche le sue corna, e forse più lunghe. In ogni modo, i
vecchi Bisonti maschi sono magnifici animali che raggiungono anche i due metri
di altezza al garrese e che hanno un peso oscillante tra gli ottocento ed i
mille chilogrammi. Le mucche sono molto meno massicce ed i vitelli sono
adorabili creature, dall'andatura esitante su quattro grosse zampe. Il Bisonte
è scomparso molto presto dall'Europa occidentale. La civiltà, la
sparizione delle foreste, l'hanno lentamente spinto verso est. Gli scrittori
latini hanno segnalato la sua presenza in Germania, a fianco dell'Uro, ed hanno
comparato la sua massa a quella di un elefante. Presto le mandrie di Bisonti si
limitarono alla Polonia ed alla Russia, nel Caucaso. Quest'ultima mandria fu
eliminata durante le due ultime guerre mondiali. Quanto a quella polacca,
accantonata nella famosa foresta "primitiva" di Byelowitz, non è stata
salvata, ad ogni guerra, che di stretta misura e si ritiene che una parte
soltanto delle poche centinaia di capi della mandria attuale sia di razza pura.
Infatti si è dovuto fare appello ai giardini zoologici europei per rifare
il Bisonte e la specie americana vi ha purtroppo contribuito. L'"Herd book" del
Bisonte europeo è ormai accuratamente aggiornato, tutte le nascite sono
registrate e la mandria polacca si comporta talmente bene che in cambio di una
buona quantità di divise forti è, attualmente, possibile agli
"sportivi" aggiungere la spoglia di un vecchio Bisonte maschio alla loro
collezione di trofei. Prodezza fortemente contestabile e paragonabile a quella
di fucilare una mucca in un corridoio... I Bisonti sono, in effetti, animali
pacifici, difficilmente in collera, benché capaci di caricare, che
possono essere avvicinati senza precauzioni e che si lasciano uccidere senza
reazioni. In inverno essi spariscono sotto uno spesso vello lanoso che si
assottiglia ai primi caldi. Essi grugniscono, non muggiscono, e spartiscono con
lo Yack del Tibet il privilegio di avere un paio di costole più degli
altri bovidi.
Grandi progetti saranno forse realizzati un giorno nei
differenti paesi europei, tra cui la Francia, che consisterebbero nel mettere su
vaste distese ben chiuse qualche coppia di Bisonti d'Europa, accuratamente
selezionata, al fine di creare nuove mandrie che il pubblico potrebbe
contemplare, dall'altra parte di una rete indistruttibile. Esiste sicuramente
ancora qualche albero, nell'Europa occidentale, che ha visto passare sotto i
suoi rami, un tempo, qualcuno dei Bisonti di un tempo. Sarà assai
commovente per i visitatori di questi parchi, se sono dotati di un po'
d'immaginazione, pensare ai nostri antenati armati di lancia ed
arco...
ORSO BRUNO (Ursus arctos)
Ancora una reliquia dell'ultima glaciazione,
quest'Orso bruno, la cui abitudine di camminare in piedi, in certe occasioni, ha
talmente colpito l'immaginazione dei popoli che essi hanno fatto dell'animale un
loro fratello, nella maggior parte delle religioni primitive. Dopo aver abitato
tutte le foreste d'Europa fino al medioevo, ma senza essere mai stati numerosi,
gli Orsi si sono rifugiati in montagne più calme, fino a quando esse non
cesseranno di esserlo. Li si trova nei Pirenei franco-spagnoli (meno di cento
capi), nelle Alpi dell'est, negli Abruzzi, in tutto il nord della penisola
balcanica, nella Turchia europea, in Romania, in Russia e nel nord-est della
Scandinavia. E' protetto quasi dappertutto, in modo più o meno formale.
Ma ciò che lo allontana e lo fa sparire non è tanto la caccia che
gli si dà, quanto l'invasione della nostra civiltà: le strade, i
turisti, gli aerei, gli elicotteri, le fabbriche, le segherie, gli sbarramenti,
le cascate, le chiuse sono tutte cose che gli danno fastidio.
E' un animale
selvaggiamente amante dell'indipendenza, che non sopporta neppure la vicinanza
dei suoi congeneri; i maschi non incontrano le femmine che qualche giorno
all'anno. Ognuno di loro ha bisogno di un immenso regno, accuratamente segnato
da alcune raschiature impregnate d'urina, sul tronco di alcuni alberi. Gli Orsi
addomesticati od in cattività restano sempre molto pericolosi nel momento
in cui meno ce lo aspettiamo. In inverno gli Orsi si ritirano in tane più
o meno ben chiuse, in una caverna, sotto le radici di un grande albero, in una
tana allargata, dove dormono con un occhio solo aspettando la primavera. E'
là che le mamme orse mettono al mondo il loro piccolo, grosso appena come
un coniglio e che aspetterà la primavera, sotto i colpi di lingua della
sua mamma e a volte in compagnia di un giovane più vecchio di diciotto
mesi. L'Orso bruno appartiene ad una razza presente nel mondo intero, tranne in
Africa. Raggiunge il massimo di trecentocinquanta chilogrammi, nell'Europa
orientale, duecentotrenta solamente, nei Pirenei.
Il suo colore varia dal
bruno più chiaro a quello più scuro. La femmina è
più piccola e più leggera, i piccoli hanno quasi tutti un segno
bianco sul petto. Essi mangiano letteralmente di tutto, dalla carne di mucca o
di pecora alla trota, dai funghi al miele selvatico, dai frutti caduti ai
mirtilli e dalle radici alle uova di formica. Essi si muovono molto, di notte,
all'interno del loro regno. Possono correre veloci come un cavallo, con un
bizzarro galoppo dondolante. Si arrampicano sugli alberi, si bagnano, si mettono
raramente in piedi e scompaiono al minimo allarme, prima che li abbiate visti.
Un Orso non si irrita che per difendere il suo piccolo (meglio sarebbe dire
un'orsa) o quando gli si rifiuta il passaggio. Altrimenti non c'è
assolutamente da temere un attacco non provocato. Salvo, ancora, quando lo si
aggredisce, in inverno, nella sua tana, come era, un tempo, la moda di caccia
classica nei paesi dell'est. In questo caso, e se si arriva a scappare, l'Orso,
furioso e affamato, può divenire temibile. Un tempo l'Orso era molto
ricercato dai gastronomi. Nella primavera del 1968 due di questi animali,
sacrificati dal giardino zoologico di Maubeuge, sono stati spartiti tra alcuni
macellai parigini ed immediatamente venduti.
SAIGA (Saiga tatarica)
Nelle steppe meridionali della Russia europea
esistono delle Antilopi di ridotte dimensioni che si chiamano Saiga. Esse sono
grosse come capre, hanno delle piccole corna aguzze, inclinate indietro, ed un
muso molto rozzo, gonfio nella parte superiore, con le narici aperte verso il
basso. Verso il 1920 non ne restavano quasi più e a loro favore vennero
prese delle misure di protezione da parte del governo dell'URSS. Il risultato
è stato positivo. Il gregge di Saiga conta ormai centinaia di migliaia di
capi e più di centomila di essi sono abbattuti ogni anno, senza mettere
in pericolo l'avvenire della specie, per la vendita della carne, della pelle e
delle corna, trofei ricercati localmente. Le più grosse Saiga pesano fino
a quarantacinque chilogrammi, con un'altezza di ottanta centimetri al garrese ed
una lunghezza di centotrentacinque centimetri. La femmina è priva di
corna. Questi animali sono estremamente rapidi e solo il lupo può, non
senza difficoltà, raggiungerle, così come l'aquila, ben inteso. Si
caccia la Saiga a cavallo, accerchiandola e prendendola al laccio. Se ne vedono
in alcuni giardini zoologici, dove hanno molte difficoltà per
sopravvivere, e l'aspetto stravagante del loro muso non manca di stupire coloro
che non conoscono quest'animale.
BOBAK (Marmota bobak)
Nelle steppe meridionali della Russia europea
vive anche la marmotta Bobak che è un grosso roditore delle pianure, come
il Cane della prateria ed il Favo marsupiale del Nuovo Mondo. Il Bobak
rassomiglia molto a sua cugina, la marmotta delle Alpi, tanto per la taglia e
per la colorazione della sua pelliccia, quanto per le sue abitudini. La
differenza è che la prima resta al livello delle pianure e delle dune del
suo paese natale e che essa non sente il richiamo delle cime. Come tutte le
marmotte del mondo, essa ama sedersi sulle zampe posteriori, con le zampe
anteriori comicamente occupate a lisciare i suoi baffi o la sua pelliccia. Essa
sorveglia così i dintorni, fischiando quando un importuno si avvicina. Ma
così, essa non vede sempre per tempo l'aquila che arriva raso terra, gli
artigli in avanti, e che la trapassa con l'unghia del suo pollice, a pugnale,
nello stesso tempo in cui la solleva penosamente; poiché il Bobak
è pesante, misura fino a mezzo metro di lunghezza, più la corta
coda. Non ripeteremo ciò che abbiamo già detto e ridetto sul ruolo
fertilizzante di questi roditori da pianura, sempre occupati a radere l'erba ed
a scavare e rigirare il suolo per la costruzione delle loro camere, dei loro
magazzini sotterranei e delle loro gallerie. Questi animali formano un curioso
piccolo popolo, intelligente e simpatico, molto popolare sul posto e nei
folclore nazionale. Le grandi colture estensive li cacciano, a poco a poco, ma
la steppa è vasta e vi è, alla fine, posto per tutti. Almeno per
il momento... I cacciatori non si occupano del Bobak: né la sua carne,
né la sua pelle sono interessanti; il suo grasso poco, anche ammettendo
che abbia nell'est le stesse virtù che ha nelle Alpi, dove si ritiene
guarisca i reumatismi. Come la marmotta delle Alpi, il Bobak iberna
profondamente in fondo alla sua tana, a fianco della sua riserva di fieno ben
secco, faticosamente accumulato alla fine dell'estate. Forse col sistema di un
animale sdraiato sul dorso che stringe il raccolto, mentre un compagno lo
trascina incrociando i suoi denti gialli con quelli dell'altro.
CIVETTA DELLE NEVI (Nyctea scandica)
La Civetta delle nevi è certamente la
più bella di tutti i rapaci notturni. Il vecchio nome sassone significava
"acchiappatore di lepre"; in realtà la Civetta delle nevi mangia molto
spesso piccoli roditori del genere dei lemming. Questo uccello è molto
raro ovunque: lo si vede soprattutto in Islanda, nel nord della Scandinavia e
nella Russia di nord-ovest. Ma esemplari isolati sono stati visti, a volte,
molto lontano da queste zone. Cacciatori incoscienti ne hanno uccisi alcuni,
qualche anno fa, in Bretagna ed una coppia, amorosamente protetta e sorvegliata,
ha nidificato ed allevato i suoi piccoli sulla costa atlantica della Scozia, nel
1968. La Civetta delle nevi è una grossissima civetta che arriva ad una
lunghezza totale di circa settanta centimetri. La sua testa è enorme e
molto tonda e gli occhi hanno un color giallo straordinario. Il colore del suo
piumaggio, estremamente denso e soffice, può variare alquanto: i maschi
sono, in genere bianchi come la neve, mentre le femmine sono più
grigiastre ed hanno delle macchie brune nella parte superiore e sul capo; i
giovani hanno una macchiatura più abbondante di quella degli adulti. La
Civetta delle nevi nidifica a terra, su dei rilievi del terreno o dei mucchi di
pietra. In questi nidi la femmina depone da tre a sette uova che cova
amorosamente, mentre il maschio provvede al nutrimento e non si allontana per
essere pronto ad accorrere in caso di pericolo. Quando nascono i piccoli,
coperti da un soffice piumino bianco, ambedue i genitori provvedono alla loro
alimentazione con piccoli uccelli, topolini o pezzi di carne strappati ad
animali di taglia più grossa. La Civetta delle nevi vola molto veloce,
senza alcun rumore, scivolando sulle sue ali; sorvolando le tundre, in cui vive
abitualmente, le esplora con gli occhi acutissimi pronta a lanciarsi sulla
eventuale preda che sa catturare molto bene sia in pieno volo che sul suolo,
afferrandola con i potenti artigli impiumati alla base. Oltre ai piccoli
roditori, che sono la sua preda preferita, la Civetta delle nevi caccia anche
animali di maggior taglia ed addirittura animali marini, pesci compresi. Come
molti altri rapaci notturni, questo uccello è soprattutto... diurno,
poiché vede molto bene anche in pieno giorno. I suoi nemici più
pericolosi sono l'uomo che lo caccia per conservarne le spoglie e la volpe
artica, sempre in cerca di prede per saziare la sua inesauribile fame. Le
Civette delle nevi possono essere allevate in cattività, ma sono molto
delicate e difficilmente vivono a lungo.
TOPO DELLE BETULLE (Sicista betulina)
Questo piccoli roditore è uno fra le prede
abituali della Civetta delle nevi di cui abbiamo parlato precedentemente. Le
Siciste sono dei piccolissimi animaletti grigio bruni, con una striscia nera
lungo il centro del dorso. Esse non superano i tredici centimetri di lunghezza
totale, di cui circa sette spettano alla coda, ed hanno, nell'insieme, l'aspetto
dei topolini domestici. Le orecchie sono grandi, le zampe posteriori abbastanza
lunghe e la coda ha una lunghezza straordinaria, soprattutto nel Topo delle
betulle. Quest'ultimo vive nelle montagne dell'Europa centrale e settentrionale,
mentre il Topo delle steppe (Sicista subtilis)
vive nella Russia di
sud-ovest. Questi piccoli animali che sono tra i più piccoli roditori
dell'Europa, vivono nei campi di grano e di avena, nelle praterie e nei luoghi
aperti in genere. Essi sono soprattutto notturni, ibernano durante l'inverno,
sono molto attivi ed agili, costruiscono nella roccia nidi di erba secca ed
ammassano le provviste per i giorni cattivi. Essi portano spesso la loro
lunghissima coda sollevata in aria e pare che quella del Topo delle steppe sia
leggermente prensile.
LEMMING
I Lemming sono celebri per le loro migrazioni
ingiustificate che compiono in certe occasioni. Li si trova differentemente
distribuiti nella metà settentrionale della Scandinavia, dove essi vivono
nei fondi umidi e stagnanti.
Il Lemming delle foreste (Myopus
schisticolor), e molto più ancora il Lemming delle steppe, sono animali
irascibili ed attaccabrighe, sempre pronti a battersi con i loro simili.
Benché abitino le regioni montane vicino all'Artico, i Lemming, per una
strana contraddizione, sono spesso freddolosi e cattivi arrampicatori. Essi
tuttavia superano questi svantaggi molto bene, evitando i pendii troppo ripidi e
tenendosi sotto la neve, poiché un'esposizione al freddo pungente ed
all'aria libera, in inverno, li ucciderebbe rapidamente. I Lemming, circa ogni
dieci anni, prolificano in un modo eccezionale e si vedono pullulare
dappertutto. Ne escono perfino sotto i piedi di coloro che percorrono la tundra,
poiché è soprattutto nel Lemming delle Tundre (Lemmus lemmus) che
si nota questo fenomeno. In capo ad un certo tempo, i Lemming partono, tutti
insieme, verso il sud, alla ricerca di territori liberi e ricchi di
cibo.
Le loro saltuarie e famose migrazioni, praticamente senza meta,
avanzano senza che nulla possa arginarle ed ogni individuo avanza isolatamente
ed alla cieca nella direzione comune. Si può avere un'idea del loro
grandissimo numero solamente se si ha la possibilità di vederli mentre
attraversano un corso d'acqua, un lago, uno stagno od una palude. Essi vi si
gettano tutti assieme, nuotando goffamente e saltando su tutto ciò che
emerge dall'acqua e che si trovi sul loro passaggio, sia esso un'isola, sia una
barca. Si racconta che, nel corso di alcune migrazioni, la massa brulicante ed
incalzante degli animaletti impazziti abbia persino intralciato la regolare
navigazione nei fiordi norvegesi, come pure si dice che vari eserciti di piccoli
roditori, giunti in lontanissime città dai luoghi di partenza, abbiano
invaso abitazioni ed edifici pubblici, indifferenti alle grandi stragi che di
essi facevano marinai ed abitanti dei centri invasi. Questo strano fenomeno
aveva già colpito la fantasia degli antichi: alla fine del XVI°
secolo, infatti, si affermava con sicurezza che i Lemming piovevano dagli strati
più alti delle nuvole come manna, per nutrire i carnivori delle regioni
nordiche. Oggi si sa che, nella penisola Scandinava, le migrazioni partono da
determinate località delle province settentrionali per seguire sempre le
medesime direzioni. Tali spostamenti hanno luogo ad intervalli più o meno
regolari, in annate dette appunto "dei Lemming", e vengono spiegate come
fenomeni ciclici di accrescimento che, provocando una carestia nelle zone
originarie di diffusione, costringono gli animali a migrare per poter
sopravvivere. Un'altra interessante caratteristica di questo fenomeno è
il fatto che, spesso, le migrazioni dei Lemming sono contemporanee a quelle di
altri animali del tutto diversi, ad esempio gli insetti; ma quali siano le
influenze climatiche, magnetiche o astronomiche che determinano i cicli di
fecondità di queste diverse forme animali della zona circumpolare ancora
non si è potuto appurare. Sembra inoltre che i rari sopravvissuti a
queste massicce migrazioni siano incapaci di far razza nel posto che hanno
raggiunto e, poiché non vi è una migrazione di ritorno, i pochi
individui isolati rimasti al nord sono quelli che assicurano la continuazione
della specie.
I Lemming sono eccellenti scavatori, ma non fanno riserve di
cibo, poiché sono animali che non cadono in letargo. Quanto al loro
colore essi sono schizzati da macchie di colori, grigio, bruno, rosso, nero,
ecc., un po' come certi Porcellini d'India. Sebbene appartengano ad una
sottofamiglia ricca di esemplari dalla pelliccia pregiata, i Lemming non
suscitano in alcun modo l'interesse dei cacciatori; inoltre la loro cattura
risulterebbe piuttosto ardua, in parte per il genere di vita che conducono,
nascosto, notturno e scontroso in regioni inospitali e inaccessibili per gran
parte dell'anno, in parte per la loro aggressività che, nei momenti d'ira
e di difesa, si trasforma addirittura in ferocia. In cattività, tuttavia,
sembra che alcuni di essi si adattino alla condizione di prigionieri, pur non
diventando mai ospiti piacevoli e vivaci.
Questi piccoli roditori tozzi,
arrotondati, bizzarramente colorati e che mostrano delle abitudini così
straordinarie stupiscono tutti coloro che imparano a conoscerli. Si sono dette
molte sciocchezze sulle loro migrazioni che rispondono sicuramente ad uno scopo
d'equilibrio voluto dalla natura. Il che non spiega d'altronde nulla... Nel qual
caso, bisogna accontentarsi di osservare.
RENNA DELLA TUNDRA (Rangifer tarandus)
Tipica delle zone fredde ed in particolare della
tundra, la Renna è ampiamente diffusa in tutte le regioni dell'Artide.
Può superare la lunghezza di due metri e il metro e mezzo di altezza; il
peso si aggira sui 300 chili. Il capo è allungato in avanti e il muso
è leggermente appiattito sopra le narici, le orecchie sono corte,
più tonde che appuntite. Il manto è molto fitto e particolarmente
lungo alla base del collo.
Sono animali molto ben adattati alla vita nelle
regioni fredde, sono molto parchi e presentano una speciale conformazione delle
zampe: gli zoccoli sono molto lunghi e ben divaricati con degli "zoccoletti"
laterali aventi la funzione di tenere sul terreno dalla superficie innevata dove
gli zoccoli normali affonderebbero.
Vivono in grossi branchi, prediligono
d'estate le zone aperte e d'inverno le foreste di conifere; sono pertanto da
considerarsi animali migratori.
E' facile immaginare una mandria di Renne
in un passaggio sulla neve. Si può credere di sentire il piccolo schiocco
che fanno, toccandosi durante la marcia, gli zoccoletti che questi animali
portano dietro le unghie anteriori. E' un rumore che doveva essere familiare ai
nostri antenati lontani i quali, dopo l'ultima glaciazione, hanno seguito verso
il nord le mandrie di Renne selvatiche e dai quali discendono, si dice, gli
attuali Lapponi.
Altri non le hanno seguite ed hanno cambiato il loro
menù, mangiando cavallo, bisonte o cervo. Ma ammettendo che si tratti
solo di una supposizione, è certo che una reale "civiltà della
renna" si è sviluppata, ad una certa epoca dell'umanità,
nell'Europa occidentale e che essa ha dato origine a quel popolo lappone, dalle
strane abitudini. Si è mangiata la carne della Renna, si è bevuto
il suo latte, si sono utilizzati il suo cuoio, i suo tendini, le sue ossa, le
sue corna; le si sono date delle slitte cariche di esseri umani da trascinare e
la Renna, semi addomesticata quanto selvatica, è diventata indispensabile
agli uomini quanto il cammello ha potuto esserlo altrove ed il Lama nell'America
del sud.
Vi fu un tempo in cui le Renne abitavano quasi tutta l'Europa,
spingendosi fino alle Alpi ed ai Pirenei. Il loro numero era così grande
e tanto numerose sono le testimonianze fossili ritrovate in paesi assai lontani
dall'attuale area di diffusione che un intero periodo, corrispondente al
magdaleniano europeo, venne addirittura definito "età della Renna". Al
periodo magdaleniano, che prende il nome da una località della Dordogna
dove tali resti sono stati più abbondanti, appartengono infatti non
soltanto resti di ossa, ma anche una gran quantità di oggetti
confezionati dall'uomo con corna di Renne ed un buon numero di graffiti che
rappresentano questo animale con grande evidenza e chiarezza.
Dopo l'esame
dei resti trovati, alcuni autori sono arrivati alla conclusione ed alla
convinzione che, nel periodo magdaleniano, la Renna abbia rappresentato circa il
novanta per cento della selvaggina abbattuta dagli uomini a scopo alimentare. A
poco a poco le Renne si ritirarono verso le regioni settentrionali dove
regnarono ancora per lungo tempo, riunite in branchi sterminati, vagando dalle
catene montuose alle pianure paludose, dai litorali nordici alle grandi foreste
settentrionali. Ad un dato momento, ancora non ben definito, ma certo assai
lontano, l'uomo intervenne e riuscì ad addomesticare l'animale
così che, oggi, le forme selvatiche sono assai ridotte numericamente e
limitate ad alcuni territori della Scandinavia e della Siberia.
Anche i
Romani conoscevano bene le Renne e lo stesso Cesare li descrisse come abitatori
delle selve. Nel Medioevo le descrizioni attribuivano a questo animale
particolari fantastici, come ad esempio l'esistenza di un terzo corno sulla
fronte, destinato a far fronte all'assalto dei lupi.
Nel secolo XVI°
alcuni esemplari provenienti dalle regioni scandinave si acclimatarono
nell'Europa centrale e ad essi vennero attribuite straordinarie virtù
magiche e curative che probabilmente derivavano da credenze e leggende diffuse
nell'estremo nord. La prima descrizione esatta della Renna ci è stata
fornita da Linneo, ma prima di lui notizie abbastanza precise vennero date dallo
Scheffer nel resoconto di un suo viaggio fra i Lapponi.
Abbiamo detto che
queste Renne, dette delle tundre, sono addomesticate dai Lapponi. Con esse
possiamo assistere a uno dei più strani fenomeni verificatisi nella
storia dell'umanità: non sono i branchi domestici degli animali a seguire
l'uomo nei suoi spostamenti, ma sono gli uomini stessi, riuniti in famiglie, in
tribù, ad organizzare la propria vita ed i propri spostamenti sulla
traccia degli animali da cui dipende ogni possibile necessità materiale.
Questo antichissimo rapporto di domesticità ha lasciato la sua impronta
non solo nei modi di vita e nelle abitudini di quel popolo, ma anche nelle loro
più profonde e remote tradizioni religiose. Pur non considerando la Renna
oggetto di culto, essi la ritengono tuttavia sacra alla loro maggiore
divinità, protettrice della terra e padrona di tutte le Renne del
mondo.
Ancora adesso, immense mandrie di Renne percorrono la Scandinavia
del nord, sorvegliate più o meno da vicino dai loro pastori. Altre sono
state importate altrove, fino nelle isole ghiacciate dell'Antartico. Esse hanno
anche là fatto razza senza difficoltà, poiché l'animale si
accontenta di un nutrimento minimo, brucando muschi e licheni che trova scavando
la neve con gli zoccoli ed accontentandosi perfino delle alghe che trova sulle
coste, gettate a riva dalle onde.
Bisogna sapere che la Renna europea,
tanto l'animale ancora selvatico (e ne restano...) quanto quello addomesticato
da numerose generazioni, è identica al Caribù nord-americano.
Sono, in effetti, gli stessi animali, ma gli indiani non hanno mai pensato ad
addomesticare il Caribù, accontentandosi di cacciarlo, seguendolo nelle
migrazioni. Probabilmente la civiltà indiana sarebbe stata completamente
differente se avesse pensato ad appoggiarsi sull'addomesticamento di questo
cervide.
La Renna pesa fino a centocinquanta chilogrammi, ma ne esistono
differenti razze di aspetto, taglia e peso variabili. Nelle Renne domestiche il
colore del pelo varia molto, con predominanza di macchie bianche; a volte questi
animali sono addirittura completamente bianchi. Le corna che portano anche le
femmine, cosa eccezionale nei cervidi, sono molto irregolari, ma ricordano
quelle dei daini poiché a volte terminano con delle palmature, a volte
con delle ramificazioni appuntite.
La Renna è un animale
infaticabile, che cammina infinitamente, non scivola né sul ghiaccio
né sulla neve gelata e neppure affonda nella neve fresca. Una Renna
può trasportare un uomo percorrendo a piccolo trotto anche una settantina
di chilometri al giorno. Questi animali si riuniscono in gruppi composti da
numerosi capi, spesso condotti da una vecchia femmina, mentre i vecchi maschi
preferiscono vivere soli e costituirsi un harem all'inizio dell'epoca degli
amori. Nel corso dell'anno le Renne operano delle migrazioni di durata
più o meno lunga, ma che non possono assolutamente essere paragonate agli
immensi spostamenti che compiono i Caribù nel grande nord americano. Non
si sa quale sia il numero di Renne che vivono in Europa, ma è certamente
molto elevato e non sembra regredire.
ALLOCCO LAPPONE (Strix nebulosa)
Nelle stesse regioni del nord in cui vive la
Renna, abita anche un grosso Allocco molto caratteristico, l'Allocco lappone,
che raggiunge quasi le dimensioni di un Gufo reale o di una Civetta delle nevi e
che si riconosce per i suoi occhi gialli, per la sua enorme testa rotonda e per
le strisce concentriche che circondano i suoi occhi. Esso non ha alcuna cresta
sulla testa, la sua coda è lunga ed il suo piumaggio grigio, segnato di
nero e di bianco nella parte superiore, è striato inferiormente. Le grida
dell'Allocco lappone sono sonore, come quelle del Gufo reale. Esso vive nelle
grandi foreste di conifere, occupa i vecchi nidi dei rapaci diurni ed abita in
tutti i paesi dell'Europa settentrionale, dalla Norvegia alla Germania del nord
compresa. Ma è nella Scandinavia che si hanno più
possibilità di incontrarlo o di sentirlo, quando vola lentamente alla
ricerca della sua preda. Mangia di tutto, naturalmente, e cioè lepri,
quando può prenderne una, Galli cedroni, Pernici bianche, Galli forcelli,
persino corvi e altri uccelli della tundra. Controlla volando raso al suolo, con
calma, posatamente, instancabilmente, ma non mangia sempre secondo la sua fame e
si contenta, più spesso, di un malato, di un agonizzante, di un morto,
persino di una carogna piuttosto che un animale vivo ed in piena forma, da
catturare. La vita di questi grandi uccelli del nord è più rude
che in qualsiasi altro posto. Essi non conoscono il segreto dell'ibernazione,
hanno bisogno di una grande quantità di nutrimento per mantenere la forza
di volare e non vedono che pianure e foreste completamente deserte. E' per
questo che, quando si solleva il cadavere di uno di questi grandi rapaci, ci si
stupisce della sua leggerezza. Si crede di avere un enorme uccello e non
è che piuma, certamente spessa, con sotto uno scheletro leggero
leggero...
ULULA (Surnia ulula)
Volendo dare una semplice definizione dell'Ulula,
si potrebbe dire che si tratta di uno Strigiforme che ha voluto sottrarsi alla
cattiva fama di cui godono i suoi affini ed ha cercato di rassomigliare il
più possibile ad uno sparviero. La sua attività è
prevalentemente diurna, il suo grido è fiero ed aspro come quello di un
falco, il suo corpo è snello e robusto e si diversifica da quello di
tutti gli appartenenti alla famiglia degli Strigidi che hanno forme tozze e
goffe.
L'Ulula è un uccello di taglia media, quaranta centimetri di
lunghezza, la cui lunga coda e le corte ali appuntite, come già abbiamo
detto, ricordano molto, in volo, la figura di un rapace diurno come lo
sparviero. La sua parte inferiore, nettamente striata di scuro trasversalmente,
aggiunge ancora qualcosa a questa rassomiglianza. Essa ha grossi occhi color
giallo in una faccia chiara segnata di nero sulle gote; la parte superiore e la
testa sono brune, con piccole macchie bianche. Essa vola vicino al suolo, sempre
in pieno giorno, e si appollaia volentieri su di un palo od una sporgenza,
battendo la coda, sempre come un rapace diurno. Gli uomini non le fanno paura ed
essa non si occupa assolutamente della loro presenza mentre esplora il suo
terreno di caccia alla ricerca di uccellini o di roditori, dei quali si nutre.
Il suo habitat è limitato al nord della Scandinavia ed al nord-ovest
della Russia, ma le capita di spingersi molto lontano, poiché è
stata vista fino in Francia, molto raramente, a dire il vero. A differenza della
Civetta delle nevi, che preferisce come punto strategico di osservazione per la
caccia una roccia sporgente o semplicemente dei covoni, l'Ulula per avvistare la
preda sceglie di preferenza un palo telegrafico o, in mancanza di questo, un
albero con pochi rami ma abbastanza alto. La stagione degli amori per le Ulule
è la primavera: in questo periodo esse, di solito piuttosto solitarie, si
riuniscono in coppie e vanno alla ricerca di nidi abbandonati che adattano alle
loro necessità; se la ricerca risulta vana, costruiscono un nido
ammassando rametti e fogliame, di solito nei tronchi cavi degli alberi. In
questi nidi le femmine depongono da sei a otto uova bianche e rotonde. Le uova
vengono covate da entrambi i genitori per circa due settimane; il maschio
però, pur aiutando la femmina nella cova, preferisce occuparsi della
sorveglianza e della difesa del nido e dei suoi occupanti. Nel giro di poco
tempo dopo la nascita i piccoli diventano autosufficienti e abbandonano il nido
dandosi alla caccia per conto proprio. Le Ulule frequentano solitamente i boschi
di conifere e di betulle; sui rami di questi alberi rimangono per lungo tempo
immobili, scrutando i dintorni al fine di avvistare le eventuali prede. Una
volta scorto il piccolo mammifero, il rettile od il piccolo uccello che
può soddisfare i loro gusti, spiccano un volo rapido e silenzioso,
battendo ritmicamente le lunghe ali, e gli piombano addosso con una precisione
infallibile. Il loro grido è acuto, spiacevole, con un tono che si
può definire battagliero; mai, comunque, lamentoso come quello delle
altre specie affini. Probabilmente per le loro abitudini prettamente diurne che
non si addicono all'elaborazione di racconti paurosi, le Ulule non sono
circondate da quella fantastica atmosfera leggendaria di superstizioni che
riguardano invece la maggior parte degli altri Strigidi. Dobbiamo ancora dire
che nessuno ha mai cacciato questi robusti uccelli che vivono, inoltre, in un
habitat molto poco propizio, bloccati e isolati dal gelo e dalla neve per lunghi
periodi dell'anno.
ALCE COMUNE (Alces alces)
Nella stessa zona in cui vive la Civetta
sparviero si trova anche uno dei giganti della fauna selvatica europea. In un
settore, anzi, ancora più largo, poiché occupa all'incirca tutta
la penisola scandinava e si stende verso il sud, cioè là
Danimarca, e verso l'ovest della Germania, sul continente. Questo gigante
è l'Alce, che incontriamo anche in Canada e negli Stati Uniti, dove lo si
chiama "Moose", "Orignal" od "Orignac". E' possibile ritrovare un certo numero
di animali che vivono contemporaneamente e sotto lo stesso aspetto nel Nuovo
Mondo, in Asia ed in Europa. E' il caso del Ghiottone, del Castoro, della Renna
o Caribù, del Lupo, della Lince del nord, degli Urogalli, delle Lepri
artiche, di numerosi uccelli e dell'Alce.
Quel che bisogna tuttavia notare
è che le specie più pesanti di questi animali sembrano trovarsi
sempre nel Nuovo Mondo. Gli Alci canadesi sono certamente più pesanti di
quelli della Norvegia o della Svezia. Tuttavia i nostri giganti raggiungono e, a
volte, superano i due metri di altezza al garrese, con un peso oscillante tra i
cinquecento e gli ottocento chilogrammi, per i più grandi esemplari
maschi. Anche la fronte è meno ornata di ramificazioni rispetto a quella
dei loro congeneri canadesi, ma mostra tuttavia una bella «corona»,
con spatole munite di punte e ramificazioni ricurve. L'Alce ha un aspetto
massiccio, con tronco e collo corti, ma molto forti, zampe lunghe e testa con un
muso fortemente sviluppato, il che dà all'animale un aspetto molto
caratteristico. La fronte, molto larga, è fortemente infossata tra gli
occhi ed il labbro superiore oltrepassa quello inferiore; sotto la gola i maschi
hanno un'appendice ricoperta da folti peli che le danno l'aspetto di una strana
barba. La tinta del mantello, piuttosto folto e ruvido, è variabile, ma
solitamente è grigio bruna assai scura, con il ventre e le zampe
più chiare. Come nella maggioranza dei Cervidi, anche la femmina
dell'Alce non porta corna in testa. Questi animali amano la foresta poco folta,
le piantagioni di salici o di betulle, di preferenza in prossimità degli
stagni dove, d'estate, amano starsene senza far niente, con l'acqua fino al
ventre ed a volte più in alto. In qualche caso più notturni che
diurni, in altri casi preferendo il contrario, gli Alci si spostano molto
costantemente, senza attaccarsi ad un territorio, i maschi isolati, le femmine
ed i giovani a piccole mandrie. In inverno si riuniscono tutti e formano degli
stretti gruppi per proteggersi dal freddo, quando è troppo pungente. Gli
Alci hanno dei piedi molto leggeri, molto aperti, che permettono loro di
spostarsi senza affondare nella neve molle o nel fango. Durante la bella
stagione essi si nutrono di fronde, germogli, cime di giovani piante e, molto
più raramente, erba. Nell'inverno scavano con gli zoccoli la neve alla
ricerca di licheni, muschio o qualche avanzo di erba oppure si accontentano di
ramoscelli o scorze di giovani alberi, che strappano con i denti incisivi. Se
attaccati o minacciati, gli Alci maschi sono capaci di caricare pericolosamente
e di utilizzare le loro grandi ramificazioni per sbarazzarsi dei loro nemici. Le
femmine difendono molto efficacemente i loro piccoli scalciando con le zampe
anteriori, il che può avere l'effetto, all'occasione, di appiattire nel
vero senso della parola il cranio di un lupo tanto imprudente da restare alla
portata del colpo. All'infuori di questi casi, gli Alci sono animali discreti e
pacifici, dei quali si sente a volte il muggito grave dei maschi, al momento del
richiamo amoroso, e il tremulo belato delle femmine che chiamano i loro piccoli.
Il solo inconveniente che presentano gli Alci, nei paesi in cui vivono, e di
attraversare a volte le strade improvvisamente, il che ha causato già
qualche grave incidente. Ecco perché si trovano, in Svezia, in Norvegia
ed anche altrove, dei cartelli indicatori che preavvisano gli automobilisti di
questo rischio e li invitano a rallentare durante la traversata di quelle
foreste.
In caso di incidenti si sa che tutti i torti sono loro, anche
perché, in questi paesi, gli Alci sono particolarmente protetti. Da tempo
si è cercato di addomesticare questi animali. I Russi sono riusciti,
sembra, ad attaccarne qualche coppia a delle slitte, ma l'estremo vigore degli
Alci ed il loro senso della fantasia apparentemente ben sviluppata, hanno
impedito di dare un seguito a questi tentativi. Sembra proprio, a questo
riguardo, che gli europei abbiano completamente perso il dono di addomesticare
completamente delle specie animali che vivono sul loro territorio. Dopo il
tacchino, importato dall'America, non ci sono più stati tentativi di
questo genere, tranne per quel che riguarda il delfino. Anche nei giardini
zoologici gli Alci sono molto rari, poiché se rimangono inattivi per
molti giorni e se sono costretti a vivere in uno spazio ridotto, essi
intristiscono ben presto e muoiono. Infatti questi animali, al contrario della
maggior parte degli altri Cervidi, sono sospettosi, scontrosi, potremmo dire
lunatici, per usare un paragone umano. Non nemici, ma indifferenti nei confronti
dell'uomo, in cattività perdono una gran parte delle loro doti,
accentuando inoltre i loro difetti; non riescono ad adattarsi in alcun modo,
né riescono a dimenticare la perduta libertà. Giorno per giorno
intristiscono nel recinto in cui sono prigionieri, perdono la vivacità
dei loro piccoli occhi, reclinano il superbo capo fino a terra e muoiono
così, tristemente. Grandi linci, orsi, ghiottoni e specialmente lupi sono
i nemici di questi animali che però, come abbiamo già detto, sanno
difendersi molto bene. Il nemico più temibile, tuttavia, è l'uomo
che da tempo immemorabile ha cacciato gli Alci con ogni mezzo. La prima
descrizione di caccia all'Alce è quella riferita da Cesare nel "De bello
gallico". Secondo Cesare, i Galli erano soliti segare i tronchi degli alberi
nelle zone frequentate dagli Alci: quando gli animali si apprestavano al riposo,
si appoggiavano ai tronchi precedentemente tagliati che, cadendo, li
travolgevano. Una volta atterrati, diventava molto difficile per loro rialzarsi
e diventavano così facile preda dei cacciatori. Non tutti, però,
sono d'accordo nel ritenere valida questa descrizione, essa infatti sembra assai
dubbia sia per la natura audace dei cacciatori Galli, sia per le caratteristiche
dell'animale cacciato. Verso il Medioevo si verificò una certa
diminuzione della specie in tutta l'Europa centrale, tanto che, già nel
1700, i principi tedeschi emanarono alcuni editti che vietavano la caccia
all'Alce. In tempi più recenti, in tutta la Scandinavia questo sport
venne permesso solo in sei giorni all'anno ed oggi questa limitazione è
stata ulteriormente ridotta: la caccia viene permessa per tre soli giorni
all'anno. I sistemi di caccia normalmente usati oggi in Scandinavia sono quello
individuale ad appostamento e quello a battuta. Il sistema ad appostamento
è quello più conosciuto ed usato anche per molti altri animali.
Quello a battuta viene eseguito, di solito, con grossi cani da inseguimento che
hanno il compito di spingere la preda verso i cacciatori. Durante il periodo
invernale la caccia risulta molto semplificata poiché l'Alce non corre
bene sul terreno ghiacciato: scivola, cade e perde in breve tempo il vantaggio
che può avere sui cacciatori. Un sistema particolare è quello
usato nelle zone dei laghi finlandesi: i cacciatori, di solito in coppia, si
muniscono di uno speciale corno fatto di corteccia di betulla e che riproduce
perfettamente il grido dell'Alce femmina, e di un paio di tibie di Alce
essiccate al fuoco, che, battute una contro l'altra, danno lo stesso rumore
causato dalle corna dei maschi che si urtano durante i combattimenti. Il suono
del corno ed il rumore delle tibie richiameranno il maschio che si
avvicinerà al luogo in cui i cacciatori sono appostati, pronti a
colpirlo. Per i secoli passati le ragioni di tanto accanimento da parte
dell'uomo verso questo animale sono da ricercare nella grande considerazione in
cui era tenuta la sua carne. Oggi questa è considerata piuttosto dura e
filamentosa, anche se di gusto abbastanza gradevole, e l'interesse per questo
genere di caccia è prevalentemente sportivo: il fascino dell'agguato,
dell'avventura, dell'imprevisto e l'orgoglio di poter esibire all'ammirazione il
trofeo delle superbe corna dell'Alce ucciso sono le cause che muovono il
cacciatore contemporaneo.
Alla base della caccia all'Alce vi sono state
anche, per lungo tempo, alcune forme di superstizione. Si credeva infatti che
esso fosse soggetto spesso ad attacchi di epilessia e che usasse curarsi
semplicemente introducendo nell'orecchio lo zoccolo della zampa anteriore
sinistra; l'animale veniva quindi cacciato per impadronirsi di questi zoccoli
che venivano popolarmente chiamati "unghie della gran bestia" e che venivano
usati appunto nella cura dell'epilessia.
Le corna dell'Alce servivano per
la fabbricazione di vari oggetti ed erano molto apprezzate perché, al
contrario dell'avorio, avevano il pregio di non ingiallire. La pelle dell'Alce,
molto robusta, veniva impiegata invece nella fabbricazione di corazze
robustissime.
La caccia all'Alce è descritta in modo splendido in un
romanzo finlandese del secolo scorso: "I cacciatori d'Alce". In questa
interessantissima opera l'autore pone i suoi personaggi nel rude ambiente dei
cacciatori, dei quali ricorda la vita ed i sistemi di caccia.
GHIOTTONE (Gulo gulo)
Abbastanza diffuso nelle zone settentrionali, il
Ghiottone vive nella taiga, nella foresta e nella tundra della Eurasia e
dell'America del nord, in genere al di sopra dei 40° di latitudine
nord.
E' un animale attivo tutto l'anno, che non teme i rigori del clima e
che riesce sempre, in un modo o nell'altro a procurarsi carne abbondante e se
possibile fresca. Ogni individuo caccia in un proprio territorio che viene
sempre considerato inviolabile e nel quale si aggira praticamente indisturbato e
temuto; specialmente per i suoi famosi e terribili momenti di ira. Se
necessario, come per la caccia agli uccelli, sa arrampicarsi con notevole
agilità, mostrando però sempre preferenza per la vita a terra. A
volte e solo per una stagione può abbandonare il proprio territorio per
cacciare le renne. Le femmine presentano il fenomeno caratteristico
dell'annidamento differito dell'ovulo fecondato, che permette di allungare la
durata della gestazione. I piccoli, 2 o 3, vengono alla luce sempre nel periodo
compreso tra febbraio e maggio, vengono allattati per circa 10 mesi e
abbandonano la madre dopo 2 anni, rendendosi subito indipendenti con la ricerca
di un territorio libero. Il Ghiottone europeo, generalmente più
conosciuto sotto il suo nome inglese di "Wolverine", ha un nome tedesco
estremamente significativo: "Vielfrass", traducibile in questo modo: "Quello che
si abbuffa molto". Ed è veramente così: come abbiamo già
notato nell'opera di questa collezione dedicata alla fauna del Nuovo Mondo, il
Ghiottone sembra dotato di un appetito che nulla può saziare. Tozzo, con
zampe molto solide e fortemente unghiate (unghie non retrattili), questo grosso
membro della famiglia dei Mustelidi misura quarantacinque centimetri al garrese,
raggiunge circa un metro di lunghezza, ma pesa fino a trentacinque chilogrammi.
La sua pelliccia folta, lunga e morbida è per la maggior parte bruno
nera, con una larga fascia giallastra sui fianchi e con delle macchie chiare
sulla fronte e sulle gote. La sua dentatura fortissima composta da trentotto
denti, i suoi unghioni falcati, la forza esplosiva inimmaginabile e l'ardore
fantastico di cui è fornito lo rendono, nonostante la sua taglia media,
un animale piuttosto temibile; i suoi avversari, infatti, non si fidano molto:
l'orso indietreggia, la lince anche, la banda dei lupi esita ed i cani cercano
di salvarsi quando il piccolo Ghiottone, scatenato, con la grossa e corta coda
che ruota per l'eccitazione si decide ad affrontare od a difendere la carcassa
che ha appena trovato o la grossa selvaggina che ha ancora la gola sanguinante.
Quando si è parlato di difendere gli ultimi Ghiottoni della Scandinavia,
i Lapponi, per i quali rappresentano una specie di incarnazione del diavolo,
sono stati sul punto di rivoltarsi contro il potere centrale. Per contro, tutti
coloro che si sono presi la cura di osservare da vicino i Ghiottoni (lo zoologo
austriaco Peter Krott ed il fotografo svedese Sven Gillsatter per primi) hanno
constatato che si tratta di un piccolo bruto dal cuore tenero, perfettamente
amichevole... Il Ghiottone non frequenta che l'estremo nord europeo. E' un
animale di abitudini sia notturne che diurne, a seconda della maggiore o minore
tranquillità e sicurezza che trova nel luogo in cui si trova. Il
Ghiottone si riconosce facilmente, anche a distanza, per una curiosa andatura
saltellante; è anche un buon corridore, un buon arrampicatore ed è
resistentissimo alle lunghe camminate nella neve. Normalmente, questo animale
preferisce stare lontano dall'uomo, ma in periodi di carestia non esita ad
avvicinarsi ai villaggi per rubare tutto ciò che riesce a trovare,
bestiame domestico compreso, naturalmente...
Nonostante il loro carattere,
i Ghiottoni sono animali facili da addomesticare e diventano, anzi, piacevoli
compagni sempre pronti a giocare, allegri e vivacissimi.
BUE MUSCHIATO (Ovibos moschatos)
Il Bue muschiato è vissuto a lungo in gran
parte dell'Europa, poi, a poco a poco, è scomparso e da numerosi anni lo
si trova soltanto nell'estremo nord della America e nella Groenlandia. L'abbiamo
però citato nella fauna d'Europa perché, recentemente, è
stato riintrodotto nelle nostre terre, esattamente in Norvegia e nelle isole
dello Spitzberg. Secondo quanto si dice, alcune coppie di Buoi muschiati
sarebbero state lasciate anche in Svezia ed in Islanda. Esperienze di questo
genere sarebbero ancora in corso e noi ci auguriamo vivamente che possano essere
proseguite fino alla loro completa riuscita. Il Bue muschiato, come ben indica
il suo nome scientifico, è simile per l'aspetto esterno e per i caratteri
anatomici sia agli ovini che ai bovini. I vecchi maschi arrivano al peso di
quattrocento chilogrammi, con un'altezza al garrese di un metro e sessantacinque
centimetri. Tanto i maschi quanto le femmine possiedono delle corna molto
caratteristiche: molto larghe e appiattite alla base, col punto di partenza nel
centro della fronte, si appoggiano al capo piegandosi verso il basso fino
all'altezza dell'occhio; a questo punto si rialzano volgendo le punte verso
l'alto ed in avanti. Sono molto rugose alla base e diventano lisce di mano in
mano che si avvicinano all'estremità. Altra caratteristica del Bue
muschiato è il pelame: estremamente folto ed abbondante, ricade dal dorso
e dal ventre fin quasi agli zoccoli, formando una specie di frangia. Il colore
è bruno più o meno intenso a seconda della stagione, così
come a seconda della stagione il mantello è più o meno fitto.
Questi animali praticano, contro i loro nemici, siano questi lupi, orsi o
uomini, una tattica di difesa uniforme: essi si dispongono in cerchio, i giovani
e le femmine all'interno, i tori con la testa girata verso l'esterno. Se
attaccati, si difendono con grande energia usando le poderose corna. Questa
tattica, ottima contro le fiere, è risultata però pessima contro i
fucili moderni e contro le frecce che riuscivano sempre a raggiungere un
bersaglio. Ormai i Buoi muschiati sono protetti, studiati, filmati e fotografati
con rispetto. Le loro cariche furiose sono scusate, si spiegano le loro strane
reazioni, si ammirano le loro abitudini che non hanno cambiato mai, dall'inizio
della notte dei tempi... La loro carne non è mangiabile, poiché sa
troppo di muschio; non si è mai tentato di sfruttare il loro vello,
nonostante il grande spessore. Li si protegge soltanto perché sono rari,
ed è bene così! Una volta tanto l'umanità ha dei buoni
sentimenti interamente gratuiti! I Buoi muschiati sono animali caratteristici
dei paesi freddi e sono capaci di resistere a temperature bassissime che non
sarebbero sopportate da alcun altro ruminante.
ORSO BIANCO (Thalassarctos maritimus)
L'Orso bianco, o Orso polare, è conosciuto
in tutto il mondo, ma ben rari sono coloro che l'hanno potuto osservare mentre
nuota sott'acqua, all'inseguimento di una delle sue prede preferite: una foca,
precisamente una Foca della Groenlandia. L'Orso bianco, in Europa, è
visibile solamente nello spazio marittimo tra la costa orientale della
Groenlandia, l'Islanda, la costa settentrionale della penisola scandinava e le
isole comprese in questo perimetro, il tutto a nord del Circolo Polare Artico...
Gli Orsi polari sono animali enormi che raggiungono la mezza tonnellata, di un
bianco più o meno grigio, più o meno giallastro; sono
caratterizzati dalla grandissima dimensione delle quattro zampe e dalla relativa
piccolezza della loro testa aguzza sostenuta da un lungo collo. La sola parte
nera dell'animale è il naso e sembra che esso sappia camuffarlo molto
bene posandoci sopra una zampa, quando è all'agguato. L'Orso bianco
è capace di raggiungere qualsiasi uomo che corra sul ghiaccio o sulla
neve, nuota bene quanto un pesce e sa afferrare le foche sott'acqua, nel corso
di un breve inseguimento. Esso si serve delle sue quattro zampe per nuotare,
mentre la foca tiene le sue "mani" strette sul petto.
Un Orso bianco
può restare almeno due minuti sott'acqua; a volte si lascia trascinare da
ghiacci fluttuanti molto lontano verso il sud e raggiunge poi a nuoto la sua
zona. In inverno i maschi emigrano verso il sud, mentre le femmine, con i
piccoli, ibernano sul posto, in vasti rifugi che esse scavano in un cumulo di
neve esposto a mezzogiorno. In estate l'Orso bianco si acclimata nelle terre
interne. Modifica allora il suo regime alimentare composto principalmente, in
mare, di foche o giovani cetacei, e lo si può osservare bonariamente
occupato a cogliere mirtilli, masticare le foglie acidule dell'acetosella
selvatica, raccogliere le more mature o pescare i salmoni nell'acqua limpida dei
torrenti. Non bisogna tuttavia fidarsi troppo dell'aria bonacciona di questi
animali a volte molto pericolosi, a volte del tutto indifferenti di fronte
all'uomo. Nel mondo ne restano ormai solo alcune decine di migliaia e sono
attualmente allo studio severe misure per salvaguardare questa meravigliosa
razza animale.
Immagini di orsi polari nelle regioni artiche
FOCA
Qualunque sia l'origine delle Foche, questi
animali hanno qualcosa di patetico, come se fossero infelici nella loro pelle,
come se volessero uscirne per divenire animali terrestri, con quattro zampe per
correre... E' almeno, l'impressione che fanno a molti di quelli che le
conoscono. Per contro, la gioia che esse dimostrano nel nuotare e nel tuffarsi,
l'ardore loro caratteristico quando di tratta di catturare un pesce, le loro
lunghe sedute ad arrostirsi al sole, sulle rocce piatte che frangono le onde
dovrebbero farci pensare che non sono poi così mal ridotte. A dire il
vero noi sappiamo anche che da secoli le si insegue, le si sgozza, si spellano i
loro piccoli ancora vivi per ricavarne la loro preziosa pelliccia bianca, per
cui non possiamo guardare le Foche ed i loro occhi supplichevoli senza un certo
sentimento di pena. Le si differenzia dalle Otarie per questo dettaglio: le loro
orecchie sono ridotte ad un semplice foro nel quale si apre il condotto
auditivo. Esse sono numerose nel grande nord europeo, nelle acque di quei mari
ghiacciati: la Foca comune ha la sottile testa allungata, la Foca grigia
è tutta macchiettata sulla schiena e sui fianchi, la Foca barbata
è di grandi dimensioni, di colore uniforme e col muso irto di lunghi
peli, barba e baffi. La Foca monaca, al contrario delle tre precedenti, vive nel
Mediterraneo, dove sta diventando molto rara. Ne è stata vista una
all'imboccatura della Loira, ma il caso è certamente eccezionale... La
Corsica ne segnala il passaggio, estremamente raro; la Sardegna anche, ma
è soprattutto lungo le coste della Jugoslavia, dell'Albania e della
Grecia che si può avere la grande fortuna di incontrarne una, in un
anfratto particolarmente inospitale e nascosto o lungo un'isola inaccessibile.
Nell'insieme, dunque, tutti questi animali hanno subito un forte regresso,
indietreggiando davanti all'invasione delle spiagge e delle acque. Relazioni
amichevoli sorgono facilmente tra una Foca e degli esseri umani decisi a
mostrarsi molto dolci con lei. Ciò è stato osservato in Scozia ed
altrove. Generalmente tutto ciò finisce, purtroppo, molto male: un
tiratore più arrabbiato degli altri regola il conto con l'animale,
divenuto troppo familiare ed accusato di rubare i pesci dalle reti dei
pescatori. Misure di protezione estremamente severe dovrebbero essere prese,
sull'esempio della Francia, in tutti i paesi in cui le Foche sono troppo rare
per causare danni al fine di salvare questi animali dall'estinzione che li
minaccia. Ma è probabilmente troppo tardi e bisognerà navigare
sempre più verso nord per incontrare questi bizzarri animali, dalla testa
di cane senza orecchie, ma dallo sguardo così toccante. Queste Foche che
non vediamo mai al circo, poiché solo le Otarie sanno
giocare...
FOCA DELLA GROENLANDIA (Phoca groenlandica)
La Foca della Groenlandia si riconosce per la sua
testa nera e per le larghe macchie che ricoprono la sua schiena, a volte
congiungendosi, pure nere. Misura fino a due metri e venti per un peso massimo
di duecentoventi chilogrammi. Eccellente nuotatrice, vive a gruppi tra la
Groenlandia ed il nord della Scandinavia, per quel che riguarda le foche
d'Europa.
Si tuffa fino a duecentocinquanta metri di profondità,
impiegando almeno mezz'ora di tempo, e fa dei buchi nel ghiaccio per uscire a
riprendere fiato, se pesca sotto la banchisa. Naturalmente sono state viste
queste Foche anche più a sud, fin sulle coste delle isole britanniche e
dell'Europa occidentale. Le correnti marine trasportano così tanti
animali imprevisti in regioni dove non sono mai stati visti nascere, che ci si
può aspettare di vedere ogni tipo di foca su qualsiasi punto di qualsiasi
costa. Le coste dell'Europa nord-occidentale sono molto ben sistemate, da questo
punto di vista, per accogliere animali venuti dai mari del nord: animali che
troppo spesso vengono massacrati a colpi di fucile, non appena vengono scorti.
Nell'insieme questi animali sono in regresso, sia perché sono stati
troppo severamente braccati per la loro pelle e per il loro grasso, sia
perché sono fuggiti di fronte alla civilizzazione che avanzava. Li
rimpiangiamo moltissimo, poiché sono animali simpatici, facilmente
attirati dai buoni trattamenti, mai troppo nocivi, anche se prelevano la loro
parte tra i pesci del mare. Il loro massacro non è mai stato un onore per
la specie umana e la loro protezione si impone ovunque, prima che sia troppo
tardi.
RAPACI DIURNI
Alcuni sono molto rari, anzi sempre più
rari, altri sono ancora molto comuni. Alcuni sono protetti in vari paesi, altri,
altrove, sono cacciati ferocemente. In linea generale sarebbe indispensabile che
tutti i paesi d'Europa prendessero la decisione comune di salvaguardare
definitivamente questi begli uccelli. Ciò che si rimprovera loro, tutto
il mondo lo sa: il loro aspetto fiero, prima di tutto; il loro becco ricurvo, i
loro artigli aguzzi, il loro occhio dallo sguardo indomabile e, soprattutto, il
fatto che molti di essi si nutrono di prede vive. Sono dunque dei concorrenti
dell'uomo, capaci di massacrare in ogni occasione. In alcuni paesi d'Europa, la
Francia tra gli altri, i rapaci rappresentavano per il popolo l'antico regime.
Solamente i nobili avevano il diritto di utilizzare Astori e Falconi per la
caccia. Inoltre questi uccelli si ritrovavano spesso sui mobili e sulle bandiere
dei grandi personaggi o dei vicini invasori. Non è occorso nulla di
più perché i rapaci diurni venissero considerati quasi
un'incarnazione dei personaggi stessi e, di conseguenza, venissero odiati quanto
quelli. I rapaci diurni, al contrario, come quelli notturni, recitano un ruolo
importante nella natura: sono dei pulitori e dei selezionatori. Quando un
Falcone insegue una compagnia di perniciotti, esso non ne fa il giro per
afferrare quello che vola in testa; si accontenta sempre del ritardatario,
lasciando così in vita i più forti e svegli che potranno
perpetuare la specie. Inoltre la maggior parte dei rapaci elimina i malati, i
feriti; a volte essi si accontentano anche dei cadaveri e delle carogne.
Sapendo, inoltre, che una coppia di Astori ha bisogno, per vivere, di un dominio
di parecchie migliaia di ettari, si può capire che la nocività di
tutti questi uccelli è stata ridicolmente esagerata e che essi sono, alla
fin fine, indispensabili all'equilibrio naturale, come tutti gli altri animali
che vivono in libertà. I rapaci vengono addomesticati senza
difficoltà, dimostrano quasi sempre un carattere molto piacevole e
guadagnano moltissimo ad essere conosciuti. Ma il loro posto non è in una
triste gabbia in cui soffrono tutta la vita, accartocciati su se stessi. Coloro
che hanno avuto la fortuna di addomesticare dei rapaci e di custodirli in
semilibertà, non dimenticheranno mai questa compagnia scelta. L'Albanella
minore è una piccola Albanella dalle ali diritte ed appuntite, che si
incontra in tutta l'Europa, tranne che in Scandinavia e nell'Italia meridionale.
Essa nidifica a terra e frequenta tanto le terre incolte, quanto quelle
coltivate. L'Astore è un grande uccello (la femmina è di circa un
terzo più pesante ed ha una maggiore apertura alare del maschio) che si
vede in tutta l'Europa, escluse le isole britanniche. Lo si riconosce per
l'apertura delle ali corte ed arrotondate e per la lunga coda diritta. E' un
uccello da "basso volo", in termine di falconeria, che caccia sovente al suolo,
capace di catturare e di bloccare una lepre in piena corsa. Del pari è
capace di volare nel sottobosco, senza urtare nei rami e nei tronchi degli
alberi mentre insegue i colombacci, la sua preda preferita, o gli scoiattoli.
Esso fabbrica un nido voluminoso in pieno bosco, in cima ad un albero. La Poiana
dalla coda bianca è una grande e forte poiana dell'Europa orientale. Essa
non è però più feroce delle altre varietà di poiane.
Lo Sparviero è identico all'Astore, ma con dimensioni ridotte di circa la
metà. Lo si trova in tutta l'Europa, senza eccezione, e se l'Astore si
sta facendo raro, lo Sparviero resta molto abbondante. E' forse il rapace
più fastidioso per gli allevatori, il più tormentoso per i
cacciatori, poiché la sua preda preferita è costituita da
uccellini. Anche questo è un uccello da basso volo. Sorvola le campagne
passando a volo radente sulle aie, un po' da un lato, un po' dall'altro, e
prende rapidamente nei suoi artigli gli uccellini che si alzano davanti a lui.
Come molti altri rapaci, esso li spiuma prima di divorarli. Nelle campagne lo si
confonde regolarmente con il gheppio, grande distruttore di roditori e di grossi
insetti. Esso viene troppo spesso fucilato come Sparviero, da incompetenti. La
grande differenza tra Sparviero e Falcone è però facile da
osservare: i Falconi hanno le ali strette ed appuntite, gli altri le ali larghe
ed arrotondate in cima. Il Falco lodolaio vive in tutta l'Europa, tranne che in
Norvegia, nelle isole britanniche settentrionali, in Sardegna ed in Sicilia. E'
un piccolo falcone che offre uno spettacolo meraviglioso quando vola. E' capace
di catturare le rondini in pieno volo, senza contare gli altri uccellini e gli
insetti di ogni tipo che esso insegue con un'abilità diabolica al cadere
della notte... Non bisogna dimenticare che altre nove varietà di falconi
vivono in Europa. Il Lodolaio non è il più piccolo di tutti,
poiché questa palma spetta allo Smeriglio, ma è uno dei più
notevoli per la qualità del suo volo. L'Aquila del Bonelli è un
uccello molto raro e molto bello, visibile solamente in Grecia, in Sicilia, in
Sardegna, in Corsica, in Spagna e lungo la Costa Azzurra francese. E' di
dimensioni medie, in confronto alle altre aquile, e lo si riconosce, visto dal
sotto, dal suo corco bianco grigiastro con ali scure. Il suo volo è
estremamente rapido, degno di un falcone, e gli capita di fare del "surplace"
come un gheppio. A volte si scorge un'Aquila del Bonelli smarrita nell'Europa
centrale ed anche fino in Belgio o fino in Olanda, ma, in linea di massima,
è un uccello sedentario e poco conosciuto al di fuori dei pochi paesi in
cui vive ancora. Se si trovano dei cacciatori tra i nostri lettori, abbiano
pietà di questi begli uccelli la cui razza sta estinguendosi; non sparino
loro, anche se li vedono mentre stanno catturando una preda. Sappiano, inoltre,
che essi sono severamente protetti in molti paesi europei.
RAPACI NOTTURNI
CIVETTA (Athene noctua)
Questa piccola e tozza
Civetta era stata dedicata, dai Greci dell'antichità, alla loro dea Atena
che personificava la saggezza divenendo così, essa stessa, simbolo di
sapienza. L'uccello vive in tutta l'Europa, tranne la Scandinavia, la Scozia e
l'Irlanda. La Civetta è lunga, complessivamente, circa ventidue
centimetri; la sua testa è grossa e rotonda, il becco corto e curvo, le
ali arrotondate, le zampe ricoperte di piume e gli occhi grandi e di color
giallo vivo. Pur essendo prevalentemente notturna, si fa vedere volentieri anche
in pieno giorno e si nutre di roditori, insetti, pipistrelli e rettili. E' un
animale che si insedia volentieri vicino all'uomo che spesso, vittima della
superstizione, ritenendo il suo canto come segno di sventura, non esita a darle
la morte. Eppure la Civetta distrugge una notevole quantità di animali
nocivi ed è quindi da considerare amica e non nemica
dell'uomo.
ALLOCCO (Strix aluco)
Se cerchiamo sul dizionario la definizione della
parola Allocco, troviamo: «Uccello notturno detto anche Gufo selvatico.
Figurato: uomo goffo e balordo». Tuttavia questo rapace notturno noto col
nome di Allocco non è certamente né balordo, né sciocco.
Esso è, al contrario, un uccello vivace ed intelligente come lo sono,
d'altronde, tutti i rapaci notturni.
L'Allocco, o Gufo selvatico, è
diffuso in tutta l'Europa tranne che in Irlanda e nella Scandinavia
settentrionale. E' un notturno totale, i suoi occhi grandi sono neri e la sua
testa rotonda è, in proporzione al corpo, enorme. Esso canta e grida
fortemente, tranne in piena estate, e si nutre di roditori, piccoli mammiferi,
rettili, anfibi ed anche pesci che afferra in modo molto abile quando affiorano
a pelo dell'acqua. In prigionia l'ALlocco vive tranquillo e silenzioso; esso si
adatta facilmente alla nuova condizione di vita, senza curarsi del sinistro
alone di leggende e superstizioni che da secoli lo circonda, obbligandolo a
sostenere una lugubre parte (è considerato uccello iettatore ed
apportatore di morte). I suoi occhi grandi, rotondi e luminosi guardano
filosoficamente il mondo e sembra, a volte, che esprimano silenziosamente un
giudizio severo.
BARBAGIANNI (Tyto alba)
Abitudini quasi identiche si possono attribuire
al Barbagianni, soprannominato un po' dovunque "Dama bianca". Il suo aspetto lo
fa riconoscere a prima vista: è lungo una quarantina di centimetri, le
ali molto lunghe oltrepassano la coda, le zampe sono alte e gli occhi piuttosto
piccoli sono neri e leggermente obliqui. Notturno totale, come l'Allocco,
nidifica volentieri nei granai, nelle costruzioni in rovina o nei campanili
delle chiese. Una leggenda diffusa afferma che esso spezza le zampe dei topi per
conservarli, vivi, sul mucchio di grano a fianco del quale ha installato la sua
dimora. Anche l'esistenza del Barbagianni è circondata da numerose
leggende e superstizioni. Nella Spagna ed in alcune regioni della Francia
meridionale, ad esempio, vive ancora la credenza che questo notturno sia solito
dissetarsi con l'olio che alimenta le lampade dei cimiteri; inoltre sarebbe in
possesso di uno speciale istinto che lo guida nei luoghi dove è in atto
una veglia funebre, affinché possa accompagnare, con i suoi gemiti, il
pianto dei superstiti. In alcuni paesi dell'Europa orientale, invece, si crede
che, per avere un buon raccolto, il Barbagianni debba cantare almeno tre volte
durante la terza notte del mese di marzo. In certi villaggi scozzesi si celebra,
il quindici aprile, la festa del Barbagianni, offrendo doni propiziatori ad un
suo simulacro impagliato. La conseguenza di questa triste fama che circonda
l'animale è stata una continua persecuzione di cui esso è stata
vittima in ogni tempo. Il Barbagianni è, in realtà, un innocuo e
solitario abitatore di mura in rovina e di campanili, prezioso alleato degli
agricoltori nella lotta contro i roditori e gli insetti nocivi. Molto bello di
forma e di piumaggio, esso non si adatta alla cattività. Torpido e
malinconico, dorme per l'intera giornata e, giunta la notte, si lamenta
debolmente, intristendo in breve tempo fino a morire
precocemente.
GUFO DI PALUDE (Asio flammeus)
I Gufi si riconoscono per i due ciuffi di piume
che portano in cima alla testa. Il Gufo di palude è il meno ornato, a
questo riguardo. E' un uccello della metà settentrionale dell'Europa, ma
non vive né in Irlanda, né in Inghilterra meridionale. Ha gli
occhi gialli, esce volentieri anche di giorno e si insedia, di preferenza,
vicino alle sponde degli acquitrini, essendo amante dell'umidità. Spesso
i Gufi di palude volano in gruppo e preferiscono posarsi sul terreno, piuttosto
che sugli alberi. Sono dotati di un grande appetito e si cibano di piccoli
mammiferi, di uccelletti, di rettili e, in mancanza d'altro, anche di insetti.
ASSIOLO (Otus scops)
L'Assiolo si può considerare il più
elegante tra i rapaci notturni E' un uccello molto piccolo (circa venti
centimetri di lunghezza totale), con i ciuffetti appena visibili, le ali
piuttosto lunghe la testa tondeggiante, il becco corto ed in buona parte
nascosto dalle piume, gli occhi vivaci di color giallo oro. Preferisce gli
alberi isolati alla folta vegetazione e si insedia volentieri anche nei giardini
e nei parchi. Durante il giorno rimane nascosto tra le foglie; verso sera si
mette a caccia di insetti lanciando un grido fischiato, melodioso e triste, che
gli è valso anche il nome di "Chiù". Non lo si vede che nella
metà meridionale dell'Europa, a volte raro, a volte molto abbondante.
Questo piccolo uccello tranquillo e mansueto appare, a volte, piuttosto buffo
per gli atteggiamenti che usa prendere. Esso fa, infatti, la riverenza, come la
Civetta, e, se spaventato, erige le penne e si gonfia come un palloncino,
allargando nello stesso tempo le ali e sollevando i caratteristici ciuffetti.
Questo è un atteggiamento di difesa che può anche sembrare
minaccioso, ma che non si traduce mai in aggressione: basta un movimento un po'
brusco perché tutto torni alla normalità. Il Chiù è
un animale che si lascia facilmente addomesticare e che, in cattività, si
abitua così bene a vivere con l'uomo da lasciarsi accarezzare e da
beccare il cibo dalle stesse mani del suo padrone. In prigionia gli Assioli
possono anche riprodursi a patto che vengano tenuti in luoghi la cui temperatura
sia simile a quella delle regioni in cui essi sono soliti svernare; in caso
contrario i piccoli, anche se allevati amorosamente dalla madre, non riescono a
sopravvivere. Specialmente nella stagione autunnale le loro carni sono grasse e
saporite, ma non sono apprezzate da tutti.
GUFO COMUNE (Asio otus)
Il Gufo comune è di dimensioni medie,
misurando circa quaranta centimetri di cui quindici spettano alla coda. Ha una
forma piuttosto slanciata ed elegante, con le ali lunghe e le zampe
completamente rivestite di piume; la testa è grande, con ciuffi erigibili
lunghissimi. Le sue piume presentano, nella parte superiore, una tinta giallo
rossastra, con numerosissime macchie e strisce color grigio bruno; nella parte
inferiore sia la tinta di fondo che le macchie sono più chiare, mentre
sulle zampe le piume sono completamente gialle. Gli occhi, color giallo
arancione, sono bordati di nero. I Gufi comuni sono animali completamente
notturni: durante il giorno rimangono nascosti o addossati ai tronchi. Soltanto
verso sera escono per mettersi a caccia di roditori, uccelli ed insetti. Come
buona parte dei notturni, sono animali da considerare più utili che
nocivi. Li si trova in tutta l'Europa, ad eccezione della metà
settentrionale della Scandinavia, del Portogallo, della Grecia meridionale,
della Sardegna e della Corsica. Il Gufo, per alcune rassomiglianze con la
Civetta, viene spesso confuso con essa, sia nelle rappresentazioni figurative,
sia nelle credenze popolari, assumendo anzi, rispetto a quella, un aspetto
ancora più sinistro dato dalle sue maggiori dimensioni.
GUFO REALE (Bubo bubo)
Il Gufo reale è un grandissimo uccello,
imponente e temibile Arriva a misurare circa settanta centimetri di cui trenta
circa spettano alla coda. Le ali sono molto ampie, le zampe grosse, ricoperte da
un denso strato di penne ed armate di unghie lunghe, appuntite e ricurve; la
testa, molto grossa e tondeggiante ha un aspetto strano ed impressionante, col
suo becco adunco, gli occhi enormi color arancione e i due grandi ciuffi di
penne erigibili, piantati sopra agli occhi e portati orizzontalmente, o appena
ricadenti all'estremità. Il piumaggio, molto folto e vellutato, è
fondamentalmente di color fulvo, con numerose macchie bruno nerastre. Il Gufo
reale vive prevalentemente nelle grandi foreste, specialmente in quelle di
montagna; durante il giorno rimane in riposo, nascosto in cavità di
tronchi, in caverne ed anche in tane scavate da altri animali; quando scende la
sera si alza in volo, silenziosamente, per scrutare i dintorni alla ricerca di
prede: scoiattoli, lepri, topi, uccelli e, all'occasione, anche animali
domestici. Se viene attaccato, anche da animali di grossa taglia, anziché
fuggire drizza le penne, erge i ciuffi, dilata le pupille, allarga le ali ed
emette poderosi soffi, facendo crocchiare le mascelle in un modo caratteristico.
E' ben difficile che i nemici non fuggano spaventati di fronte a questo
impressionante mostro! E' un uccello divenuto molto raro, tranne che nell'Europa
orientale.
OTARDA (Otis tarda)
Questo grosso uccello corridore, che vive
prevalentemente in zone aperte e steppose, è molto pesante e può
raggiungere anche un metro di lunghezza. Ha zampe lunghe e robuste, il becco
molto forte color grigiastro, due grandi mustacchi ai lati del capo ed un
aspetto piuttosto imponente. La testa il collo ed il petto sono di color
biancastro; le altre parti superiori sono color cannella con strisce trasversali
nere, mentre le parti inferiori sono completamente bianche. L'Otarda è un
animale estremamente diffidente, che controlla tutto da lontano, mentre pascola
nelle steppe della Romania o dell'Ungheria, nelle pianure del sud della Spagna o
nella Germania settentrionale. Altrove essa è scomparsa o giunge
irregolarmente durante le migrazioni. Buona camminatrice, è anche capace
di correre veloce ed a lungo; quando prende il volo, pesantemente, battendo
molto forte le ali, essa è capace di coprire anche grandi distanze,
poiché è parzialmente migratrice. Durante il giorno le Otarde si
aggirano alla ricerca del nutrimento, costituito da grani, erbe, germogli ed
anche, all'occasione, da insetti ed altri piccoli animali. I loro sensi sono
molto sviluppati per cui possono individuare eventuali nemici anche a grande
distanza. Durante la primavera i maschi si scontrano ferocemente per la
conquista delle femmine e, sia durante le lotte che durante i corteggiamenti,
gonfiano fortemente un sacco golare che, negli altri periodi, rimane quasi
invisibile. Le femmine depongono due o tre uova di color azzurro verdastro e le
covano, da sole, per circa ventotto giorni. I pulcini, subito dopo la nascita,
sono in grado di ricercare il nutrimento sotto la sorveglianza materna. Per
aspetto e per dimensioni, ben pochi uccelli sono paragonabili alla grande
Otarda. Alcune varietà africane costituiscono, sembra, il record di peso
per gli uccelli capaci di volare. La carne dell'Otarda è eccellente e se
essa è scomparsa in una gran parte dell'Europa non vi è
assolutamente altra ragione di quella appena detta. Vi fu un tempo in cui non si
imbandiva banchetto o lieta mensa, dopo un'attiva partita di caccia, ove non
comparissero, artisticamente alternati a candide fette di petto di tacchino o di
oca, i filetti scuri e saporosi di Otarda. Questa ghiotta selvaggina era
ricercatissima, soprattutto nelle regioni meridionali ed orientali dell'Europa,
dove la stagione di passo di questi grossi uccelli era vivamente attesa e le
battute considerate fra le più emozionanti e fruttuose. Già
all'inizio del secolo scorso l'Otarda era, tuttavia, uno tra gli animali
più rari. Ben pochi cacciatori potevano vantare il possesso delle sue
ambite spoglie. La caccia di quest'uccello resta però, ancor oggi, uno
sport ricercato e movimentato. L'estrema diffidenza, la finezza dei loro sensi e
la loro prontezza nel darsi alla fuga obbligano infatti i cacciatori ad
impiegare i più ingegnosi sistemi, come quelli di mascherare la propria
presenza dietro carri di fieno o di fingere di lavorare nei campi, per
raggiungere le astutissime vittime che il più delle volte non si riesce
ugualmente ad ingannare. Soltanto lunghi e pazienti appostamenti e cautissimi
aggiramenti permettono di colpire a volo qualche esemplare. A questo proposito,
è interessante ricordare tutti i curiosi metodi escogitati in passato per
cacciare l'Otarda, soprattutto nei paesi dell'Europa orientale, che vanno
dall'archibugio a nove canne montato su un carro, all'impiego di falchi, cani,
cavalli, trappole e lacci. Il valore, il pregio e la quantità di carne
fornita giustificano gli sforzi per ottenerla.
In cattività l'Otarda
non vive male e sembra adattarvisi facilmente, ma non è tuttavia
possibile che essa si riproduca.
Due altre varietà di Otarde vivono
in Europa: la Clamidotide (Chlamydotis undulata), più piccola, e la
Gallina prataiola. La Clamidotide o Ubara è molto rara, la Gallina
prataiola più diffusa; la prima viene dall'Africa, la seconda visita
ancora regolarmente alcuni paesi di questo continente, in particolare il
sud-ovest della Francia, la Spagna, la Sardegna, l'Italia meridionale e la
Grecia. Questi tre uccelli sono nettamente in via di estinzione ed anche una
protezione totale non sarebbe, forse, più in grado di
salvaguardarli.
LA CACCIAGIONE PIU' RICERCATA
Di tutti questi uccelli, che sono tra la
cacciagione piumata più ricercata, alcuni stanno sparendo da parecchi
paesi europei, altri, al contrario, aumentano di numero poiché sono molto
facili da allevare. La sparizione dei primi non è dovuta unicamente ai
cacciatori. Il loro male principale è la nostra forma di civilizzazione:
le aspersioni di insetticidi, la sparizione delle terre incolte, l'abbattimento
degli alberi, dei boschi e delle foreste, la bruciatura delle stoppie, tutto
tende ad allontanare la Beccaccia, la Starna, la Quaglia ed i tre
Tetraonidi.
Il Fagiano, al contrario, le cui uova vengono fatte covare da
chiocce o messe in incubatrici, si diffonde sempre più, specie al momento
dell'apertura della caccia. Ma bisogna liberarne molti, tutti gli anni, ed alla
fine i cacciatori tirano soprattutto a selvaggina artificialmente
creata.
BECCACCIA (Scolopax rusticula)
La Beccaccia, dalla forma arrotondata, dalle
zampe molto corte, dal becco lunghissimo e dai grandi occhi neri posti molto
all'indietro, è un uccello migratore che attraversa l'Europa dal sud al
nord in primavera e dal nord al sud all'inizio dell'inverno. Ciò non
impedisce, a molte di esse, di restare nel centro dell'Europa ogni qualvolta la
temperatura non sembri loro troppo bassa... E' un uccello che ama la foresta, la
vicinanza dell'acqua, le vie infossate. Essa si nutre esclusivamente di
lombrichi che cerca nel suolo morbido con l'aiuto del suo lungo becco, ornato di
terminali olfattivi e la cui estremità può aprirsi sotto terra in
modo da pinzare il verme e staccarlo dal suolo. Se, però, quest'ultimo
è gelato, la Beccaccia deve volare verso sud al più presto
possibile o morire rapidamente di fame. Gli stessi angoli di foresta, gli stessi
boschi, se restano intatti, ricevono ogni anno la visita di beccacce che si
sarebbe tentati di prendere per gli stessi uccelli, a memoria d'uomo.
Soprannominata "Regina dei boschi", la Beccaccia rappresenta un ambito trofeo
venatorio ed una preda saporosa per i cacciatori che spesso si dedicano
esclusivamente alla sua caccia, coadiuvati in ciò dagli indispensabili
cani da ferma. Bisogna conoscere bene le abitudini ed i costumi di questi
uccelli, per ripagarsi delle lunghe maratone lungo i fossati, nelle zone umide,
acquitrinose e lungo i ruscelli che scorrono in fondo a ripidi valloni. Quando
il cane ha puntato ed alzato a tiro la Beccaccia, il colpo del cacciatore
esperto ben difficilmente fallisce il bersaglio ed è sufficiente un solo
pallino, anche in una regione non vitale del corpo, per abbatterla. Se l'uccello
non cade al primo colpo, è possibile riscovarlo non lontano, nel luogo
dove esso abitualmente riposa. La Beccaccia regge bene la punta del cane e
ciò consente al cacciatore di sistemarsi a suo agio; poi spicca il volo
verticalmente per continuare poi il volo in senso orizzontale. Nell'Italia
meridionale i passaggi di Beccacce sono buoni sulle coste abruzzesi, sulla Sila,
in Calabria, e soprattutto sul Gargano, in Puglia, dove giungono attraverso
l'Adriatico dalla Jugoslavia e dall'Albania. Mezzi di cattura sono rappresentati
anche da panie e reti, ma specialmente da lacci tesi sui sentieri che esse amano
frequentare, non si sa bene per quale ragione, nel periodo degli amori. In
alcuni paesi, come la Francia, la si bracca con ardore; in altre regioni la si
ignora e la si confonde (sono infatti uccelli crepuscolari) con dei piccoli
rapaci notturni o con i succiacapre. Le abitudini delle Beccacce, che sanno
curare le loro zampe rotte, confondere i cani ed i cacciatori più esperti
e trasportare in volo i loro pulcini per metterli al riparo, sono tra le
più affascinanti del mondo aereo. Tutta una letteratura, e non solo di
caccia, è consacrata a questo bell'uccello. il cui colore dominante
"foglia morta" costituisce uno dei più perfetti casi di mimetismo
inventati dalla natura. La Beccaccia può essere incontrata in tutta
l'Europa, ad eccezione di qualche piccola zona.
STARNA (Perdix perdix)
La Starna è un uccello sedentario,
rotondo, tozzo, con ali corte e larghe, immediatamente riconoscibile dal colore
del suo folto piumaggio: la testa, la gola sono giallo rossicce, la parte super.
grigia con strisce rosso scure, il petto color cenere con striature nere; nella
parte bassa del petto spicca una macchia marrone scuro a forma di ferro di
cavallo. La Starna corre velocemente, prima di prendere il volo, un volo molto
rumoroso e rapido, seguito da una lunga scivolata sulle ali distese. Essa vive
in compagnia fin verso la metà del mese di dicembre; a quest'epoca si
formano le coppie ed i piccoli nascono, in pieno campo, in primavera. La Starna
vive sulla pianura, sia essa coltivata o no, ma, da qualche anno, sembra vittima
dei sistemi di coltura di moda in Europa. Infatti questo uccello è in via
di sparizione in moltissimi posti.
QUAGLIA (Coturnix coturnix)
La Quaglia è simile alla Starna, ma
è molto più piccola, più rotonda e più fulva, con
una striscia mediana, molto scura, sul dorso. Verso la metà di settembre
essa parte per dirigersi verso l'Africa del nord; ciò costituisce un
notevole sforzo per quest'uccellino dalle corte ali e dal ventre arrotondato. In
primavera essa ritorna a nidificare tra noi e per tutta l'estate la vediamo
popolare i nostri campi di cereali. La Quaglia è stata definita dai
tecnici di venatoria il classico uccello "d'apertura" e ad essa è infatti
destinato, in genere, il primo colpo di fucile della stagione di caccia.
Tuttavia in molti luoghi la strage ha fraudolentemente inizio molto tempo prima,
quando cioè gli stormi delle piccole migratrici giungono sfiniti sulla
nostra penisola. E la cattura di questi uccelli, che la legge permette solo in
via limitatissima, viene invece eseguita su larghissima scala, per mezzo di
reti, aprendo incolmabili vuoti nella consistenza numerica della specie.
L'abbondanza delle vittime, l'avidità di guadagno o la sfrenata
ghiottoneria, che spietatamente accomunano nella cattura uccelli adulti e
nidiacei, rischiano di privare i nostri paesi di una delle più ricche e
pregiate specie avicole. Si rende quindi sempre più urgente la
necessità di una severa tutela che permetta una rapida reintegrazione
della consistenza.
I Tetraonidi, l'abbiamo già notato quando si
è parlato del Lagopede, sono dei ricordi dell'ultima glaciazione europea.
Essi si sono ritirati sulle montagne più o meno elevate, o meglio sono
saliti verso i paesi del nord, all'inseguimento del clima fresco che amano
particolarmente. Questi gallinacei, come la Pernice e come la Quaglia, si
caratterizzano per le piccole piume che ricoprono le loro zampe, fin sulla
punta.
GALLO CEDRONE (Tetrao urogallus)
Il Gallo cedrone, o Urogallo, può
raggiungere il peso di otto chili e la lunghezza totale di oltre un metro. E'
dunque, un uccello molto grosso, dal piumaggio molto scuro, che può fare
la ruota con le piume della coda al pari di un tacchino. Ha le sopracciglia
rosse, una folta "barba" scura ed irta sotto il suo forte becco ricurvo, il
petto ed il collo color verde metallico e la coda nera con qualche macchia
bianca. Le sue zampe sono forti e bene armate. Al momento degli amori i Galli
cedroni fanno la corte alle femmine, più piccole e rossastre, con grande
rumore. In alcuni momenti le loro manifestazioni sono talmente ardenti che essi
diventano sordi ad ogni rumore ed i cacciatori, sapendolo, ne approfittano per
avvicinarsi maggiormente. Questo genere di caccia, praticato nell'Europa
centrale, è molto selettivo poiché si effettua soltanto contro i
maschi. Un cacciatore "onesto" non uccide che un solo Gallo cedrone in tutta la
sua vita. Questo grande uccello vive nei Pirenei, nelle Alpi, nelle montagne
dell'Europa centrale e dei Balcani, nella penisola scandinava ed in un ristretto
settore della Scozia.
FAGIANO DI MONTE (Lyrurus tetrix)
Il Fagiano di monte è diffuso nella stessa
zona, tranne che nei Pirenei. Molto più piccolo del Gallo cedrone, ha una
bellissima coda a lira, con graziose piume nere ricurve sopra un codrione bianco
ed una caruncola di color rosso vivo sopra l'occhio. Esso ama i margini delle
foreste, i boschi di betulle, la landa e gli stagni e vive, nel nord
dell'Europa, non solo ad una certa altezza, ma anche nella pianura. Si nutre di
bacche e germogli di varie piante, che ricerca solo quando è
perfettamente sicuro che non vi siano nemici nei dintorni. In caso contrario se
ne sta appollaiato tra il fogliame più fitto od in mezzo ai cespugli
più densi. Come i Galli cedroni, anche i Fagiani di monte sentono molto
la stagione degli amori, tanto da dimenticare la naturale prudenza. Un tempo
molto numerosi, questi bellissimi uccelli sono oggi molto in diminuzione ed, in
alcune zone, è necessaria una severa protezione per evitarne la scomparsa
totale.
FRANCOLINO DI MONTE (Tetrastes bonasia)
Il Francolino di monte, il più piccolo tra
i Tetraonidi, è considerato la cacciagione più delicata (sempre
rimanendo tra i piumati) che vi sia al mondo. Esso vive all'incirca nella stessa
zona dei due Tetraonidi precedenti, ma certamente ancora più in basso,
sui fianchi delle montagne. E' un uccello con corte zampe, tozzo, colore del
sottobosco, discreto, raramente visibile, raramente visto. Nel periodo invernale
si sposta continuamente riunito in piccoli gruppi, per andare alla ricerca del
cibo, costituito da germogli, bacche ed anche insetti. Ama rimanere sul terreno
su cui si sposta camminando o correndo; solamente in caso di pericolo si alza in
volo con grande rumore di ali e con acute grida. Come il Fagiano di monte, anche
il Francolino di monte è, in molte zone. in forte
diminuzione.
FAGIANO COMUNE (Phasianus colchicus)
Quanto al Fagiano comune, tutto il mondo conosce
questo uccello magnifico, per quel che riguarda il maschio, diffuso più o
meno artificialmente in tutta l'Europa, dove era d'altronde presente già
nei tempi preistorici, contrariamente a ciò che dice la sua leggenda.
Esso ama i boschi, l'umidità e passa per un animale tutt'altro che furbo,
si può quasi dire stupido; sa però prendere il volo con una
rapidità stupefacente quando ritiene di aver corso abbastanza davanti ad
un nemico che lo insegue. Oltre a questo Fagiano, detto "da caccia", ne esistono
parecchie altre varietà esotiche e ben acclimatate in Europa.
UCCELLI DEI BOSCHI
TORCICOLLO (Jynx torquilla)
Il Torcicollo, che
è imparentato coi Picchi, ha una divisa grigio brunastra, striata tre
volte di scuro sul dorso. La coda, grigia con piccole strisce trasversali nere,
è composta da dodici timoniere larghe che formano un piccolo ventaglio.
Esso inalbera una piccola cresta erigibile sulla nuca e le sue zampe, come
quelle dei Picchi, hanno quattro dita opposte a due a due e provviste di unghie
uncinate. Il Torcicollo è diffuso, durante l'estate, in quasi tutta
l'Europa; vive nei boschi, da cui raramente si allontana, ed al minimo pericolo
si rifugia tra il fogliame più denso. Passa da un ramo all'altro, da un
tronco all'altro con un volo leggero e si aggrappa alle scorze con le forti
unghie per cercare piccoli insetti e particolarmente formiche che sono la base
della sua alimentazione. Per afferrare queste ultime, proietta fuori dalla bocca
una lingua molto lunga e ricoperta di una sostanza appiccicosa; invischiato un
buon numero di prede la ritrae, ingoia gli insetti e la proietta di nuovo per
una nuova caccia.
PICCHIO MURATORE (Sitta europaea)
Il Picchio muratore è un grazioso
uccellino che misura circa sedici centimetri, cinque dei quali spettano alla
coda. Il suo piumaggio è grigio azzurro nelle parti superiori, bianco
sulla gola e color rosso nelle parti inferiori. Sui due lati del capo una
striscia nera, partendo dalla base del becco, attraversa l'occhio ed arriva fino
al collo. Il suo becco è molto forte ed appuntito; le zampe hanno dita
lunghe e molto robuste, armate di unghie adunche molto adatte per arrampicarsi.
Il Picchio muratore vive in tutta l'Europa, tranne la Scozia, l'Irlanda, la
Scandinavia settentrionale, la Corsica e la Sardegna. E' un uccelletto
vivacissimo che vive nei boschi; passa la giornata a correre e svolazzare alla
ricerca di nutrimento, costituito da insetti, semi e frutti dalla scorza dura.
Aiutandosi con le forti zampe, il Picchio muratore è capace di
arrampicarsi con grande agilità e sveltezza sui tronchi verticali ed ha
la particolarità di essere in grado anche di scendere a testa in
giù. Questi piccoli uccelli possono anche essere tenuti in gabbia e
risultano dei piacevolissimi ospiti.
RAMPICHINO ALPESTRE (Certhia familiaris)
Il Rampichino alpestre è, al pari dei
Picchi e dei Sittidi, particolarmente abile nell'arrampicarsi sui tronchi; da
questo deriva appunto il suo nome. E' un uccellino che misura circa quattordici
centimetri di lunghezza totale, dal corpo agile ed elegante di tinta bruno
fulva, dalle zampe robuste e dal becco lungo, appuntito e curvato a sciabola
verso il basso. I Rampichini alpestri vivono di preferenza nelle foreste di
conifere in cui si spostano per tutta la durata del giorno alla ricerca di
insetti, larve e semi. Sedentari durante la buona stagione, i Rampichini
diventano erratici all'approssimarsi dell'inverno. Il Picchio rosso maggiore
vive in tutta l'Europa, ad eccezione dell'Irlanda e della Scandinavia del nord.
Misura circa venticinque centimetri, di cui una decina riservati alla coda; la
sua schiena è nera con delle larghe macchie bianche e la sua calotta, nei
maschi e nei piccoli, è rosso brillante.
PICCHIO ROSSO MAGGIORE (Dendrocopus major)
I Picchi rossi maggiori sono uccelli prettamente
arboricoli, che scendono sul terreno solamente quando non riescono a trovare
sugli alberi cibo sufficiente. Essi si nutrono di insetti, particolarmente
formiche, coleotteri, larve, bacche e pinoli che estraggono dalle pigne con
grande abilità e che rompono a colpi di becco. A differenza delle altre
specie, il Picchio rosso maggiore può essere addomesticato quasi
perfettamente.
PICCHIO ROSSO MINORE (Dendrocopus minor)
Il Picchio rosso minore vive negli stessi paesi
in cui vive quello maggiore. Le sue dimensioni sono molto minori e, a parte
queste, lo si riconosce molto facilmente per la sua colorazione: le parti
superiori sono nere con fasce trasversali bianche, le parti inferiori sono
chiare striate di nero, gli occhi rossastri e le zampe ed il becco grigio scuro.
I Picchi rossi minori vivono nelle foreste ed anche tra gli alberi radi,
trascorrendo gran parte della giornata a martellare i tronchi alla ricerca di
insetti. Come i Rampichini, sono sedentari durante la buona stagione e diventano
erratici al sopraggiungere del freddo.
PICCHIO NERO (Dryocopus martius)
Il Picchio nero è molto grande, è
il più grande delle nove varietà di Picchi europei. Può
raggiungere la lunghezza totale di mezzo metro circa, di cui una ventina di
centimetri spettano alla coda. Il suo collo è più lungo e sottile
di quello delle altre specie, il becco è più slanciato ed il
piumaggio, inconfondibile, è tutto nero ad eccezione della parte
superiore del capo che è di color rosso brillante. Il Picchio nero vive
nella metà orientale dell'Europa, ma è stato visto, a volte, anche
in Spagna ed in Francia. Esso ama i grandi alberi delle montagne, tra cui si
muove con un volo piuttosto rapido, ma molto pesante. Come tutti gli altri
picchi, cerca il nutrimento, costituito prevalentemente da larve di coleotteri e
lepidotteri, sotto le scorze dei tronchi.
PICCHIO VERDE (Picus viridis)
Il Picchio verde, una delle due specie
appartenenti al genere dei Picchi veri e propri (genere Picus), è un
uccello dal corpo robusto, ma slanciato, che misura circa trentacinque
centimetri, coda compresa. La sua colorazione è bellissima: la parte
superiore del capo è rossa, la zona intorno agli occhi è nera, la
parte superiore del tronco è verde gialla e la parte inferiore è
giallo pallida con piccole strisce scure, il becco è grigio con la punta
nera e le zampe sono grigio scure. Esso vive in tutta l'Europa, ad eccezione
della Scandinavia settentrionale, dell'Irlanda, della Scozia, della Corsica e
della Sardegna; sono uccelli sedentari se vivono in zone con clima piuttosto
mite, mentre se vivono in zone montane si spostano dall'alto verso la valle e
viceversa a seconda della variazione di temperatura. Il Picchio verde si trova
nei boschi o, almeno, in zone in cui si trovino alberi. Tutto il mondo conosce
la sua "risata" sonora; tutti conoscono l'abitudine che esso ha (anche se meno
del Picchio rosso maggiore) di tambureggiare col becco contro gli alberi morti e
le sonorità nascoste dei tronchi. E' questo un mezzo di comunicazione
comune a quasi tutti i Picchi ed è anche il loro modo di costringere ad
uscire dal legno i parassiti che vi si annidano. Infatti, tutti questi uccelli
sono i migliori amici dei forestali, malgrado i buchi che essi scavano, a volte,
anche nei tronchi degli alberi sani. La quantità di insetti devastatori
che i Picchi distruggono è tale che non si dovrebbe mai tirar loro il
minimo colpo di fucile. La loro lingua lunga e flessibile si può
sviluppare in un modo stupefacente per esplorare le gallerie scavate dalle larve
xilofage ed il loro becco duro ed appuntito si incarica di snidarli rapidamente.
Il modo di volare dei Picchi il loro tambureggiamento, i colori generalmente
contrastanti del loro piumaggio, la loro facoltà di ingoiare qualsiasi
insetto ne fanno degli uccelli decisamente particolari nel mondo dei piumati.
Più volte l'uomo ha tentato di abituare questo uccello alla vita in
prigionia, ma non è mai riuscito a causa della rusticità del
Picchio e delle sue esigenze in fatto di cibo. Anche la sua cattura, d'altra
parte, è piuttosto difficile poiché, alla vista dell'uomo, questo
uccello astuto e diffidente si porta sul lato opposto del tronco da dove fa
capolino, spiando con i suoi piccoli e furbi occhi; se si accorge di essere
osservato, poi, si alza rapido nell'aria, lanciando la sua tipica risata, quasi
a schernire il cacciatore beffato. La caccia ai Picchi è comunque molto
limitata, sia perché le loro carni non sono commestibili, sia per la
grande utilità da essi apportata all'agricoltura con la distruzione di un
gran numero di insetti nocivi. Ciò malgrado la loro consistenza numerica
è in costante diminuzione a causa del disboscamento che, operato
dall'uomo su vaste regioni, ha molto limitato la possibilità di sviluppo
in questi simpatici pennuti. Essi ancora più dovrebbero essere
risparmiati, ma in alcuni paesi la smania di tirare su tutto ciò che vola
è tale che anche i Picchi trovano la morte nei boschi che abitano, come
ricompensa per aver salvato gli alberi dagli insetti nemici.
UCCELLI PASSERIFORMI
Ecco sette piccoli uccelli familiari ai nostri
giardini ed alle nostre città; sette uccellini affascinanti, alcuni dei
quali capaci di cantare nel modo più meraviglioso, altri semplicemente
attirati dalla nostra presenza, a loro agio e lieti di vivere non lontano dalle
nostre case.
PETTIROSSO (Erithacus rubecola)
Il Pettirosso è senza dubbio l'uccello
più amato nelle isole britanniche. In Francia è soprannominato, da
tempo, l'amico del taglialegna. La sua familiarità, la sua gentilezza, il
suo grazioso "tovagliolo" rosso, il suo piccolo canto melodioso, tutto in lui
attira, anche se dimostra un cattivo carattere verso i suoi congeneri che
scaccia impietosamente dal suo dominio. Nel momento preciso in cui scriviamo
queste righe, un pettirosso guarda dalla porta-finestra. Sembra chiedersi: chi
fa questo rumore? La macchina da scrivere lo incuriosisce. Poi va ad
appollaiarsi su di una lanterna e si mette a cantare con tutte le sue forze (gli
uccellini si rimettono sovente a cantare nel mese di settembre), forse per fare
più rumore E' "il" Pettirosso della casa e ci tiene a che nessuno lo
ignori. Questo uccellino così fine, così elegante, vive in tutta
l'Europa. La femmina, da sola, in inverno migra verso il sud, mentre il maschio
resta sul posto, malgrado i freddi.
CARDELLINO (Carduelis carduelis)
Il Cardellino vive nei giardini, come il
Pettirosso, ma anche in campagna. E' un uccellino di circa quindici centimetri,
che si riconosce facilmente per la sua vivace colorazione: la testa è
rossa, nera e bianca; le ali sono gialle e nere; il dorso è color
nocciola, la parte inferiore bianca e la coda nera. Il nome di quest'uccello
è dato dalla sua abitudine di posarsi sui cardi per beccarne i semi di
cui è particolarmente ghiotto. Il Cardellino si può trovare in
tutta l'Europa. Questi graziosissimi uccelli sono assiduamente ricercati e
vengono catturati, con reti e richiami, per essere poi venduti agli amatori.
Estremamente adattabili alla cattività, essi divengono infatti
piacevolissimi compagni, sia per il loro gradevole canto, sia per la loro
attitudine ad imparare esercizi ed evoluzioni. Gli amatori più pazienti
riescono anche ad insegnar loro strofe e motivi di canzoni, così come,
pian piano, riescono pure ad abituarli ad uscire dalla gabbia ed a svolazzare
liberi per la casa che essi possono allietare con la loro presenza per lungo
tempo, anche quindici anni. Animali socievoli, accettano la compagnia di altri
uccelli, a patto però che la gabbia sia spaziosa poiché, se lo
spazio loro concesso è limitato, diventano irascibili e facilmente
aggrediscono i compagni di prigionia. Per evitare che i colori del piumaggio
perdano di vivacità, è necessario tenere la gabbia bene esposta
alla luce, ma non ai raggi del sole; inoltre è opportuno fornirla di una
vaschetta con l'acqua e, nel caso ospiti un solo animale, di uno specchietto.
Molto spesso si usa incrociare i Cardellini con i Canarini per ottenere ibridi
dalla forma più slanciata, dalla colorazione più brillante e dal
canto più armonioso: un esempio ne è l'Incardellato, prodotto
dall'unione di un Cardellino con una Canarina.
CAPINERA (Sylvia atricapilla)
La Capinera, come il Cardellino, vive in tutta
l'Europa, ma è piuttosto rara in Irlanda e nella parte settentrionale
della penisola scandinava. E' un uccellino di circa quattordici centimetri dei
quali sei spettano alla coda, dall'aspetto molto grazioso e dal canto
dolcissimo. La parte superiore del capo è nerissima, la parte superiore
del tronco color cenere scuro, le ali bruno scuro e la parte inferiore color
cenere molto chiaro. Le femmine si riconoscono poiché hanno la parte
superiore del capo color rosso ruggine. Le Capinere sono uccellini poco paurosi,
si trovano facilmente nei giardini, nei parchi, negli orti; si cibano di insetti
e di frutta: more, ribes, fichi, ciliegie, prugne, lamponi, ecc. In primavera
costruiscono un piccolo nido a forma di coppa, all'interno dei cespugli ed a
poca altezza dal suolo. Pur essendo piuttosto delicate, anche le Capinere
possono essere tenute in gabbia e continuano a cantare, imparando anche ad
imitare il canto di altri uccelli che sono in gabbia insieme.
CINCIALLEGRA (Parus major)
La Cinciallegra è uno stupendo uccellino
con la testa color nero lucido, ornata da una macchia bianca su ogni guancia; la
parte superiore è color verde olivastro, la coda e le ali sono color
azzurro cenere e la parte inferiore è gialla limone. Essa ama gli alberi
resinosi e si trattiene anche nei boschi a notevole altezza; in questo caso,
all'avvicinarsi del freddo, scende a valle e vi si trattiene fino alla buona
stagione. E' un uccello prettamente arboricolo, che svolazza da un ramo
all'altro o si arrampica sui rami alla ricerca di insetti e larve. La
Cinciallegra canta molto piacevolmente e diventa molto familiare, soprattutto in
inverno, se le si offre del cibo da beccare. La si può trovare facilmente
in tutta l'Europa.
USIGNOLO (Luscinia megarhynchos)
E' superfluo presentare l'usignolo, il più
meraviglioso cantore del nostro continente. La sua livrea molto discreta non
attira assolutamente l'attenzione, ma quando il suo canto così puro,
così melodioso, così ricco si eleva di sera, di notte o in un
mattino di primavera, la leggenda dice che il tempo non conta più e che
si potrebbe restare ad ascoltarlo cento anni e più. Contrariamente a
ciò che si crede, l'Usignolo o Rosignolo non canta posato sull'estrema
cima di un albero, bensì a poca distanza dal suolo. E' un uccellino molto
vivace, grazioso nei movimenti, che rimane per la maggior parte del giorno sul
terreno, alla ricerca di cibo: insetti e frutta.
CIUFFOLOTTO (Pyrrhula pyrrhula)
Gli appassionati di frutta rimproverano al
Ciuffolotto di beccare, in primavera, le gemme degli alberi, dei peri in
particolare, il che sopprime altrettante promesse di frutti. Ciò non
è però sufficiente per condannare questo grazioso uccello, dal
grosso becco nero, dalla parte inferiore di una bellissima tinta rossa, dalla
testa, la coda e le ali di un bel nero lucente e dal codrione bianco. Il suo
canto è piacevole e lo si può trovare in tutta l'Europa ad
eccezione della Spagna meridionale, della Corsica, della Sardegna e della Grecia
meridionale. Esso ama i frutteti, i boschi, i parchi; nella buona stagione si
trattiene ad una altitudine di mille metri circa, per scendere verso il piano
col sopraggiungere del freddo. Per la sua melodiosa voce e per la bellezza del
suo piumaggio, oltremodo soffice e denso, viene spesso tenuto in gabbia dove
può vivere a lungo, affezionandosi molto alle persone che ne hanno
cura.
PASSERO DOMESTICO (Passer domesticus)
Quanto al Passero domestico, di cui solo il
maschio ha del rossastro sulla nuca, le gote bianche e la pettorina nera,
è senza dubbio uno degli uccelli che si sono meglio abituati agli uomini
ed alla loro forma di civilizzazione. Pensate che quelli di Parigi hanno
imparato a nutrirsi con gli insetti uccisi dalle automobili, che rimangono
appiccicati al cofano!... I Passeri, infatti, hanno colonizzato gli uomini, i
loro giardini, i loro frutti ed i loro raccolti. Si arriva persino al punto che
taluni li ritengono animali nocivi e danno loro la caccia, della qual cosa,
bisogna osservare, i passeri generalmente si fanno beffe. Questa è un po'
l'impressione che essi danno quando si esaminano i loro rapporti con gli uomini.
Le città appartengono ai passeri; essi ne sono senz'altro persuasi ed
utilizzano le varie risorse come se fossero state esattamente riservate loro.
Non c'è che da guardarli, nelle nostre strade e nei nostri giardini
pubblici, per esserne convinti. E' senza dubbio ciò che li rende
così simpatici, malgrado i loro modi insolenti e la loro mancanza di
considerazione nei nostri confronti. Essi sono "a casa loro" e sono già
buoni a sopportarci, a condizione che noi diamo loro ciò che essi amano e
desiderano.
ALTRI UCCELLI
CUCULO EUROPEO (Cuculus canorus)
Per molto tempo il
Cuculo fu ritenuto animale nocivo perché, si diceva, con la sua abitudine
di distruggere le uova nei nidi altrui causava grave danno alla fauna avicola,
soprattutto nel gruppo dei Passeriformi. In realtà, anche se il danno
esiste, non appare certo di grande entità, in primo luogo perché
il numero dei Cuculi è relativamente limitato, poi perché il
numero dei nidi insidiati ad ogni primavera non è eccessivo. Per contro,
la quantità di insetti, per lo più nocivi, che il vorace uccello
elimina ogni anno è assai notevole. Particolare importanza assume, nelle
zone frequentate dai Cuculi, la sistematica eliminazione delle processionarie,
anche perché, a causa delle loro proprietà urticanti, esse vengono
costantemente rispettate dagli altri insettivori. Il numero dei bruchi che il
Cuculo divora negli orti e nei giardini è enorme; questo compensa ogni
altro lieve danno che esso può arrecare. Nessuno pensa di dare la caccia
al Cuculo, le cui carni inoltre non sono commestibili, ed è strano che un
essere all'apparenza tanto insensibile, egoista e crudele goda invece, presso
l'uomo, di una certa simpatia. Ciò avviene, in realtà, soprattutto
a causa del suo canto caratteristico che tutti conoscono e che piace agli
abitanti delle campagne i quali credono di poter trarre da esso auspici di buon
raccolto. Là dove l'inverno è lungo e penoso, il richiamo che si
ripete nel silenzio dei boschi appena rinverditi annuncia il sole, l'aria
tiepida, la stagione della vita e dell'amore; non per niente, nell'Europa
settentrionale, le fanciulle ed i giovani interrogano il Cuculo sugli anni di
felicità che saranno loro concessi, così come i vecchi domandano
quanti anni rimangono ancora loro da vivere. E poiché il canto si ripete,
dolce ed uguale, per centinaia di volte, tutti possono godere di un fausto
presagio. E' forse per questo che un fantasioso artigiano del passato scelse
l'immagine del Cuculo per scandire le ore di un suo orologio, la cui
notorietà divenne universale. Numerose sono le tradizioni collegate a
questo uccello, annunciatore della primavera. Già nella mitologia greca
si racconta come Zeus si sia trasformato in Cuculo per rifugiarsi tra le braccia
di Era che divenne poi sua moglie. Nella religione mussulmana, Maometto pone nel
suo paradiso, insieme ad altri nove esseri, il Cuculo di Belkis, di cui si
conosce solo il nome. Anticamente lo si credeva capace di trasformarsi nei
più diversi uccelli, credenza forse derivata dalla nota abitudine che ha
il Cuculo di deporre il suo uovo nel nido di altri uccelli. Le tradizioni
popolari ritengono questo uccello capace di predire il futuro; si è
già detto, infatti, come, dal numero delle note del suo canto, sia
possibile stabilire quanti anni una persona ha ancora da vivere, oppure quanti
la separano dal matrimonio. Altri credono che se si ascolta il canto del Cuculo
avendo del denaro indosso, si avranno ottime possibilità finanziarie per
tutto l'anno. Il suo caratteristico canto ha anche ispirato poeti e musicisti.
Ricordiamo, fra gli altri, Bernardo Pasquini con la sua composizione per
clavicembalo "Toccata del cucù", nella quale lo squillante suono della
voce dell'uccello fa da contrappunto a tutta la melodia musicale. Diciamo
allora, per concludere, che il Cuculo è un simpatico animale, più
utile che nocivo, di cui non dobbiamo permettere che sparisca la specie. Bisogna
dunque proteggere seriamente questo bell'uccello dalle lunghe ali appuntite e
dalla lunga coda, grigio azzurro nelle parti superiori, biancastro segnato di
grigio in quelle inferiori, che si sente spesso, ma si vede raramente, a volte a
coppie su un filo.
SUCCIACAPRE (Caprimulgus europaeus)
Si può considerare il Succiacapre un
uccello molto discreto e che si vede raramente. In primavera si sente spesso il
suo ronzio, mentre vola di notte col grande becco aperto per catturare gli
insetti che esso distrugge continuamente. Non lo si vede quasi mai a terra,
vicino al suo nido costituito da un leggero infossamento del suolo. Se
inseguito, si mimetizza posandosi su un albero, nel senso del ramo, cosa che,
dal suolo, lo rende assolutamente invisibile. In estate il Succiacapre viene a
renderci visita, provenendo dall'Africa, e lo si vede allora in tutta Europa,
tranne che nell'estremo nord. Il nome Succiacapre è la testimonianza di
una antica quanto errata credenza secondo la quale questi uccelli, durante la
notte, sono soliti penetrare, con il loro volo silenzioso e leggero, nelle
stalle, per succhiare il latte dagli animali addormentati. Ritenuti, per questo,
uccelli dannosi e portatori di sfortuna, venne data loro una gran caccia; in
realtà, come molte altre specie di uccelli, vanno considerati assai utili
per la sistematica strage che essi fanno di insetti di ogni tipo, per catturare
i quali, col favore delle tenebre, osano perfino entrare nelle stalle dove sanno
di poter trovare una buona quantità delle piccole prede di cui si
nutrono. Numerosi sono i generi (circa venti) ed ancora più numerose le
specie (circa settanta) che compongono la famiglia.
RIGOGOLO (Oriolus oriolus)
Quanto all'affascinante Rigogolo, arriva
anch'esso dall'Africa in estate e nidifica in tutta l'Europa, tranne che in Gran
Bretagna, in Scandinavia, in Sardegna ed in Corsica. Esso è giallo, con
ali e coda nere; costruisce un bel nido a forma di borsa sospesa; è
l'ultimo migratore che arriva dall'Africa ed è il primo a ripartire; il
suo canto, estremamente melodioso, anche se eternamente uguale, può
essere udito, generalmente, finché le ciliegie sono mature. Il Rigogolo
vive tra gli alberi a fogliame spesso e si mostra molto raramente così
che, come il Cuculo e come il Succiacapre, è meglio conosciuto dal nostro
orecchio, che dai nostri occhi.
CESENA (Turdus pilaris)
La Cesena è un bell'uccello dal piumaggio
macchiettato di grigio e bianco sul fondo giallo rosso nelle parti inferiori,
con la testa ed il codrione grigi e la coda nera.
E' un uccello dell'Europa
centrale e settentrionale, raro in Inghilterra, in Spagna ed in Italia. Non
è un cantore eccezionale. Nidifica tra gli alberi dei viali, nei
boschetti, nei giardini e nei frutteti e mostra, come tutti gli altri tordi; una
spiccata simpatia per i frutti di ogni tipo.
TORDO SASSELLO (Turdus musicus)
Il piccolo Tordo sassello si riconosce subito per
il sotto delle sue ali rossastro ed i suoi fianchi dello stesso colore. Nelle
parti superiori è bruno e vive in tutta l'Europa, ad eccezione della
metà meridionale della Spagna, dell'Italia e della Grecia. Si sarà
forse notato il suo secondo nome latino "musicus" che significa, in latino "che
ama la musica". Si collegherà questo termine col secondo nome di un
Usignolo "musico". In effetti, il Tordo sassello è uno dei cantanti
più meravigliosi d'Europa, come l'Usignolo ricordato. Non si smetterebbe
mai di ascoltarlo; esso lancia una canzone sonora, limpida, composta da un
ritornello ripetuto più volte, inframmezzato da varianti una più
affascinante dell'altra. Il Tordo sassello ama i giardini ed i frutteti, non
lontano dalle abitazioni, e soprattutto i boschetti resinosi ed i cespugli, tra
cui costruisce il suo nido, non lontano dal suolo. Onnivoro, esso mangia insetti
di ogni tipo, ma predilige i frutti e le bacche, ribes, ribes nero, fragole ed
uva. Come le altre varietà di tordi, il sassello si installa volentieri
nelle vigne e si riempie di uva matura al punto di non poter più prendere
il volo quando si avvicina il cacciatore. Infatti non sempre i Tordi suscitano
con il loro aspetto aggraziato ed il loro canto melodioso sentimenti poetici
negli uomini, poiché le loro carni sono troppo pregiate e la loro caccia
è sportiva ed interessante. Questi uccelli si annoverano tra la
selvaggina da penna più pregiata, soprattutto quando, nella buona
stagione, sono grassi e ben nutriti. Essi figurano sulle mense dei buongustai
fino dai tempi più antichi, dividendone gli onori con le quaglie, i
fagiani, le beccacce e le pernici. Sempre nel campo della caccia i Tordi vengono
anche usati, a volte, con buoni risultati, come richiami, poiché il loro
addestramento risulta molto facile. In qualche regione europea ed anche nel
nostro paese, da qualche anno, i cacciatori si lamentano che questi uccelli non
sono più numerosi come un tempo. Ciò è dato solo dal fatto
che sempre più incalzante si manifesta, nella maggior parte dei
cacciatori, il desiderio di far ritorno a casa con un carniere ben fornito,
piuttosto che con il cuore ripieno di poetiche sensazioni. Bisogna pensare che
questi non abbiano mai sentito cantare l'uccello che stanno per uccidere,
altrimenti sarebbe inconcepibile che possano ugualmente uccidere un essere tanto
bello da ascoltare. Tuttavia si amano molto i Tordi ed in quel mezzogiorno della
Francia che rispetta così poco e così male gli uccellini è
classico stimare una terra dal numero di trappole che vi si possono tendere:
migliaia a volte. Si attende sempre la legislazione che vieti, utilmente, questo
massacro stupido, ma così redditizio... Poiché, al momento
attuale, anche se questo bracconaggio è effettivamente vietato, non vi
è un solo gendarme che osi applicare la legge ed agire contro coloro che
la scherniscono. Altri paesi oltre alla Francia, ad esempio, il Belgio,
l'Olanda, la Spagna o la stessa Italia, non sono più avanzati a questo
riguardo...
TORTORA ORIENTALE (Streptopelia decaocto)
La Tortorella orientale sta invadendo tutta
l'Europa. Arrivata dal vicino Oriente, essa ha già colonizzato, verso
ovest, tutti i paesi d'Europa, ad eccezione della Scandinavia, dell'Irlanda,
dell'Italia e della Spagna. Essa vive negli agglomerati e la si riconosce dal
sottile collare nero che ha dietro il collo e dalla coda assai lunga, nera
inferiormente ed all'estremità.
Se si percorre un sentiero compestre
in un mattino di primavera e si procede con passo calmo e silenzioso godendo
della bellezza circostante, si può udire sovente risuonare un canto
basso, melodioso, tenero, quasi soffocato, che si distingue da ogni altro
gorgheggio o richiamo proveniente d'intorno. E se si sta attenti a non spezzare
rami o non fare altro rumore, si potrà vedere, dopo qualche istante,
attraversare il sentiero stesso un ordinato e tranquillo corteo di uccelli
dall'andatura morbida ed elegante. Chiunque abbia confidenza con la campagna
riconoscerà subito in quei pacati e delicati pennuti le tortore, i
più eleganti, raffinati columbiformi presenti nei nostri paesi, gli
esseri alati fra i più dolci e graziosi esistenti sulla terra. Se si
osserva, anche superficialmente, uno di questi uccelli dalle forme fragili e
snelle, perfetto nel colore delicato del piumaggio, nella cesellatura della
testa e del becco, così come nel taglio delle ali e della coda, è
facile rendersi conto del perché, da tempo immemorabile, le Tortore siano
state scelte dall'uomo come simbolo del candore, della purezza amorosa e della
fedeltà, in altre parole di tutti i migliori sentimenti che possono
albergare nell'animo umano. Innumerevoli immagini sono state usate, in poesia ed
in prosa, nei brani narrativi e negli inni religiosi, nei canti popolari e nelle
leggende di ogni popolo, per esaltare questo uccello privilegiato. L'idea
dell'amore, che esso sembra suscitare irresistibilmente, è stata espressa
in tutte le sue sfumature spirituali e materiali, mentre altri sentimenti umani,
come la prudenza, la mitezza, la devozione e la religiosità hanno trovato
in questo uccello un'efficacissima rappresentazione. Sarebbe troppo lungo, per
non dire impossibile, citare anche per sommi capi tutte le espressioni
artistiche che alla Tortora si sono ispirate, ma basta ricordare ciò che
esprime più volte ed in più occasioni la Bibbia e quale ricchezza
di citazioni e di similitudini ne abbia tratto la poesia
orientale.
TORTORA (Streptopelia turtur)
La Tortora è un uccello autoctono tipico
europeo, il cui dolce tubare accompagna tutta la primavera. La si vede molto in
giugno e luglio, appoggiata, a coppie, sui fili elettrici o telefonici. Essa ha
una macchia nera e bianca su ogni lato del collo, la parte superiore è
rossa e nera, la parte inferiore rosa. Sembra impossibile ma, nonostante le
tante esaltazioni poetiche di cui è oggetto, la Tortora, in quasi tutte
le regioni di diffusione, è cacciata dagli uomini che la apprezzano
moltissimo come selvaggina. Non mancano anche casi di allevamento di questi
uccelli che vivono benissimo in cattività, riproducendosi regolarmente.
Essi possiedono una speciale facoltà di adattamento e di addomesticamento
e non è raro trovarne qualcuna libera e tranquilla, che si aggira nella
casa dell'uomo in cui partecipa alla vita quotidiana dei suoi
padroni.
I PIU' BEGLI UCCELLI D'EUROPA
CICOGNA BIANCA (Ciconia ciconia)
La Cicogna bianca
(bianca poiché esiste anche una Cicogna nera) è, del pari, una
viaggiatrice. Arriva dall'Africa in primavera e vi ritorna in autunno,
isolatamente, a coppie o a gruppi, fermandosi nel corso del viaggio e ripartendo
dopo essersi alimentata. E' un uccello di oltre un metro di lunghezza, che
può avere un'apertura alare di oltre due metri; il tronco, snello ma
robusto, è sorretto da lunghe zampe con dita corte, tre delle quali
collegate da una membrana. Il piumaggio, molto abbondante, è candido su
tutto il corpo ad eccezione delle grandi penne delle ali che sono nere con
sfumature grigie. Le cicogne bianche si stabiliscono in genere a poca distanza
da uno stagno, una palude od un laghetto verso cui si dirigono regolarmente, due
volte al giorno, alla ricerca del nutrimento. Nonostante le lunghe zampe, esse
corrono molto raramente, preferendo camminare, più o meno velocemente,
con un'aria molto dignitosa; quando si alzano in volo allungano il collo e
stendono le zampe all'indietro librandosi quasi "sdraiate" sull'aria. Ci si
domanda dove nidificassero le Cicogne prima che gli uomini imparassero a
costruire le case... In ogni caso esse amano la nostra compagnia e le si vede,
in estate, nell'Europa centrale, dall'Alsazia e dalla Lorena fino alla Polonia e
la Russia, installate nei loro voluminosi nidi. Amano costruirlo o migliorarlo
in cima ad un camino, ad un tetto, ad un monumento o anche su una ruota di
carretto posta su di un albero. Esse vi allevano dei Cicognini che nutrono di
anfibi, rettili, roditori o avanzi di ogni tipo e che bagnano, quando fa troppo
caldo, con dell'acqua che trasportano nel loro lungo becco. Le Cicogne sembrano
mute, ma, quando hanno qualcosa da comunicare, esse si esprimono con rapidi
schiocchi del becco che producono un rumore simile al verso della raganella. Per
farsi la corte, prima che tutte le coppie siano formate, esse gonfiano il petto
e girano il becco all'indietro, fino a toccare il dorso.
L'area di
riproduzione della Cicogna bianca va dall'Europa occidentale alla Cina, ma
attualmente la sua presenza è stata segnalata sempre meno: invece nuclei
particolarmente numerosi sono presenti in una fascia non molto alta che va
dall'Olanda ai paesi balcanici anche perché in questi paesi fin dal
medioevo le popolazioni considerano l'arrivo di questi eleganti e simpatici
uccelli come indice di buon augurio: allo scopo di convincere le Cicogne a non
abbandonare la zona vengono costruite sui tetti delle case delle piattaforme per
la nidificazione.
All'epoca della riproduzione il maschio provvede a
radunare una notevole quantità di detriti vegetali, di terriccio e di
stracci con i quali la femmina costruisce un grosso nido a piattaforma nel quale
depone da 3 a 5 uova. I piccoli nascono dopo circa un mese di cova e vengono in
un primo tempo nutriti con cibo rigurgitato. Dopo soli 2 mesi i piccoli sono
già in grado di volare. I giovani ritornano, il primo anno, dove sono
nati, poi, gli anni seguenti, vanno altrove. Sembra che le Cicogne siano in via
di lenta sparizione, o almeno in fase di spostamento in direzione nord-ovest. In
Francia, il sud dell'Alsazia ha sempre meno nidi occupati, in estate, senza che
si sappia quale sia l'esatta ragione di questa disaffezione. Là, come
altrove, numerose leggende introducono la Cicogna nel folclore locale: si dice
che vada a cercare i neonati sotto la cattedrale di Strasburgo e che li porti
nelle case dove li si attende; ma andandosene, la Cicogna morde la mamma alle
gambe, il che la obbliga a rimanere a letto qualche giorno... In ogni modo
questi bianchi volatili sono ritenuti portatori di pace e di fortuna ed in
Francia, in Germania, in Belgio, in Olanda gli abitanti dei villaggi attendono
con impazienza il loro arrivo e si augurano che scelgano il tetto della loro
casa per nidificarvi.
GHIANDAIA MARINA (Coracias garrulus)
La Ghiandaia marina è un uccello robusto
ed elegante, dal bellissimo piumaggio. La testa, il collo, le ali e la parte
inferiore sono di un meraviglioso verde mare; il dorso è color rosso
cannella intenso; la coda è azzurra più o meno scura e nera. La
Ghiandaia marina vive nei boschi e nelle zone alberate in genere dove caccia
insetti di tutti i generi, sia in terra che tra gli alberi; a volte completa il
pasto con frutta di vario tipo. E' un uccello sospettoso che difficilmente si
lascia avvicinare; in volo è molto agile e veloce. Può essere
tenuta in cattività, ma non vive a lungo e non è molto piacevole
da tenere per le grida rauche che lancia.
UPUPA (Upupa epops)
L'Upupa, chiamata anche Bubbola per il monotono e
caratteristico grido che lancia, è un altro bellissimo uccello dal
piumaggio a colori contrastanti. Lunga circa trenta centimetri, di cui una
decina spettano alla coda, ha il corpo snello, le ali ampie e corte, la coda
quadrata ed un becco lungo e sottile, leggermente ricurvo. Il piumaggio è
di color rossastro con larghe fasce trasversali bianche e nere sul dorso, la
coda è nera con una fascia trasversale bianca al centro, la parte
inferiore è bianca; il capo è sormontato da una grande cresta
erigibile formata da penne di color rosso aranciato con l'estremità
bianca e nera. Le Upupe si trovano in collina ed in pianura e stanno sia sugli
alberi che sul terreno, dove si muovono con grande agilità cacciando
insetti di ogni tipo. Non si sa bene per quale ragione, esse vengono spesso
considerate uccelli del malaugurio e sono perciò scacciate e spesso anche
uccise.
GRUCCIONE (Merops apiaster)
Della stessa dimensione dell'Upupa è il
Gruccione, il quale, però, ha le ali e la coda più lunghi ed
appuntiti. Le sue piume lucenti hanno colori vivaci e bellissimi: il capo
è bianco sfumato verso il dorso in verde azzurro, la parte superiore
è verde gialliccia, le ali sono in parte verde ed in parte marrone, la
coda è verde e la gola, delimitata da una striscia nera, è color
giallo vivo. Questi uccelli si trovano, di solito, in vicinanza dell'acqua e si
muovono veloci, con un volo leggero, inseguendo insetti di ogni tipo, ma
particolarmente api di cui sono ghiotti. Pur essendo animali utili per la gran
quantità di insetti che distruggono, i Gruccioni vengono spesso
perseguitati poiché li si accusa di recar danno agli
alveari.
MARTIN PESCATORE (Alcedo atthis)
Il Martin pescatore è, come la Cicogna, un
uccello da leggenda. Si dice che esso protegga le stoffe dagli attacchi delle
tarme, le case dalla caduta dei fulmini e che porti fortuna ai giovani sposi,
che spesso, nei bagagli, se ne trovano uno impagliato e posto a loro insaputa.
E' soprannominato "l'uccello blu", dal suo colore predominante, ed anche, in
alcune zone, "venditore di tessuti". Vive in tutta l'Europa, discendendo in
inverno un poco più a sud, a mano a mano che il gelo colpisce la
superficie dell'acqua. Se ne possono vedere anche sulle rive del mare e ovunque
esso si procura il nutrimento allo stesso modo: appollaiato su di un ramo o su
un sasso, rimane immobile scrutando l'acqua; non appena scorge un pesciolino
scatta fulmineamente, si tuffa e ghermisce col becco la preda che inghiotte,
poi, posandosi su un ramo o che porta ai suoi piccoli, in un nido scavato
nell'argine.
LE LUCERTOLE
La famiglia dei Lacertidi, appartenente al gruppo
superiore dei Sauri, comprende un gruppo di animali di forma agile ed elegante,
con arti in genere ben sviluppati, dita in numero di 5, sottili e unghiate. La
coda è sempre lunga, sottile, appuntita e presenta il fenomeni della
rigenerazione; gli occhi sono rotondi, dotati di palpebre molto mobili. Al posto
del padiglione auricolare questi animali presentano un foro, detto appunto
auricolare, sempre ben evidente. La lingua, quando non è bifida, presenta
una incisione nella parte anteriore: i denti sono sempre molto piccoli, saldati
sul margine interno delle ossa e solo raramente sono fissati anche sulla volta
boccale.
Il capo nella parte superiore e anteriore presenta delle
placchette piatte e allargate mentre il corpo presenta spesso un rivestimento
costituito da squamette embricate oppure, in mancanza di queste, da granuli di
forma varia.
Il ventre è ricoperto da squame con andamento
più regolare e di forma quadrangolare, disposte in belle file
regolari.
La lunghezza di questi graziosi animaletti può variare da
pochi centimetri a ottanta. I colori sono assai vari e quasi sempre
perfettamente intonati all'ambiente conferendo così capacità
mimetiche molto utili nella ricerca del cibo.
Le Lucertole sono
abbondantemente diffuse e occupano gli ambienti più disparati spingendosi
anche al di sopra dei duemila metri di quota.
Di abitudini diurne, si
nutrono di insetti e si riproducono a mezzo di uova. Abbastanza intelligenti,
agili e velocissime, le Lucertole sono ottime arrampicatrici e formidabili
cacciatrici di insetti che catturano con uno scatto velocissimo e stupefacente
per il tempismo e la precisione di esecuzione.
Questa famiglia, per la
notevole variabilità dei caratteri dei suoi componenti, rappresenta
ancora oggi un problema per le difficoltà che gli studiosi incontrano
nella classificazione.
Noi sappiamo che una grande Lucertola ocellata, di
quarantacinque centimetri di lunghezza, passeggiava sul suo tavolo da lavoro e
che i suoi visitatori erano sbalorditi nel vedere questo animale così
perfettamente domestico. Esso passava, a volte, lunghi momenti sulla spalla
dell'artista, mentre un grande Ramarro si rifugiava nella sua tasca, lasciando
fuori, in vista, soltanto la testa. Lo Psammodromo di Edwards è un
animale quasi sconosciuto, di cui non si trova in alcun posto la descrizione ed
un esemplare del quale ha appassionato il Museo di Storia naturale di Parigi.
Purtroppo esso non sopporta la cattività. E' la più piccola e la
più graziosa delle lucertole europee, che misura circa quindici
centimetri di lunghezza totale, di cui otto spettano alla coda. Esse perdono
regolarmente la loro coda nel giro di poco tempo. Non bisogna dimenticare,
infatti, che le lucertole sono capaci di separarsi a volontà dalla loro
coda, per lasciarla ad un nemico ed approfittarne per scappare. Questo fenomeno
si chiama "autotomia" ed è indolore. In seguito la coda ricresce
più o meno regolarmente.
RAMARRO (Lacerta viridis)
Il Ramarro è un animale decisamente
meridionale, ma se ne trovano eccezionalmente anche assai lontano, verso il
nord. I Ramarri abitano gli ambienti più diversi: prati, boschi, rive di
corsi d'acqua, campi, giardini e margini di strade. Alle prime ore del mattino
escono dalla tana e vanno a mettersi su una pietra o su un tronco, esposti al
sole, per scaldarsi. Quando la temperatura del loro corpo è
sufficientemente aumentata, iniziano la loro attività mettendosi a caccia
di insetti, larve, vermi, molluschi ed, a volte, anche bacche dolci. Quando la
temperatura comincia a diminuire, in ottobre o novembre, cadono in un letargo
più o meno profondo, da cui si destano al tornare della buona stagione.
Possono essere addomesticati abbastanza facilmente, tanto da avvicinarsi per
ricevere il cibo dalle mani di coloro che lo offrono.
LUSCENGOLA (Chalcides chalcides)
Le Luscengole sono animaletti molto simili agli
Orbettini, ma riconoscibilissimi per quattro minuscoli arti a tre dita che gli
Orbettini non possiedono. Arti pressoché inutili, poiché le
Luscengole se ne servono solamente per gli spostamenti molto lenti. Vivono in
tutta l'Europa meridionale e sono molto sensibili al freddo; al più lieve
abbassamento di temperatura si rifugiano nelle tane e vi rimangono finché
la temperatura non sia risalita.
LUCERTOLA OCELLATA (Lacerta lepida)
La Lucertola ocellata, simile nell'insieme al
Ramarro, può raggiungere, nell'Europa meridionale, la lunghezza
impressionante di novanta centimetri. Questi animali quando mordono, pizzicano
in modo molto forte e a stento si riesce a liberarsi dai loro denti; ma il loro
morso non è, evidentemente, velenoso. Nonostante il loro temperamento
combattivo, si possono addomesticare come i Ramarri, forse anche meglio, e
possono vivere anche lunghi anni in cattività. Le grandi lucertole (il
Ramarro, l'Ocellata, la Vivipara e la Agile) si nutrono di insetti e di vermi,
ma gli esemplari più grandi non disdegnano né i piccoli roditori,
né i piccoli uccelli, né i loro piccoli congeneri, tipo i
serpentelli. Una leggenda popolare afferma che i Ramarri preavvisano l'uomo
della presenza di una vipera agitandosi molto.
PSAMMODROMO DI SPAGNA (Psammodromus hispanicus)
Gli Psammodromi, parola che significa "corridore
delle sabbie", l'abbiamo già notato, sono affascinanti gioielli vivi,
dalla coda lunga e sottile. La rara varietà Edwards, come pure il
Psammodromo di Spagna, lancia un piccolo grido quando lo si tocca,
contrariamente alle altre Lucertole che sembrano mute. Per contro queste sono
rumorose nei loro spostamenti e due Lucertole che combattono tra le foglie morte
del sottobosco fanno tanto rumore quanto un cinghiale che cerca delle radici per
nutrirsi.
LUCERTOLA AGILE (Lacerta agilis)
La Lucertola agile, la più comune delle
lucertole d'Europa, misura circa venti centimetri, dodici dei quali spettano
alla coda. Vivono a piccoli gruppi nelle radure, ai margini dei campi e nelle
dune di sabbia lungo le coste; attive durante tutto il giorno, si nutrono di
insetti e larve di ogni tipo, ma sono anche molto golose di sostanze dolci e
frutta matura.
Nelle località molto umide, sia in pianura che in
montagna, fino ai duemilacinquecento metri di altitudine, vivono le Lucertole
vivipare, leggermente più piccole delle Lucertole agili. Come dice il
nome stesso, queste depongono uova contenenti dei piccoli già formati
perfettamente, che escono di solito al momento stesso della deposizione delle
uova. Altra caratteristica di questi animali è che sono capaci di
tuffarsi nell'acqua per catturare prede o per sfuggire ai nemici e sanno nuotare
perfettamente e rimanere sott'acqua anche per diversi minuti.
LUCERTOLA DELLE MURAGLIE (Lacerta podargis muralis)
La Lucertola delle muraglie, tutta grigia con
strisce e macchie di diversi colori, è un grazioso animaletto che viene
ritenuto portatore di fortuna. Agilissime e veloci, si rifugiano tra le pietre o
sotto i sassi al minimo accenno di pericolo. Esse diventano domestiche tanto
bene quanto le altre e l'autore ne ha conosciute alcune che, pur vivendo in
libertà, andavano a prendere delle mosche sulle punte delle sue
dita.
ORBETTINO (Anguis fragilis)
Quanto all'Orbettino, chiamato anche Ghiacciolo,
Serpente di vetro e con altri nomi, per la sua mancanza di zampe viene spesso
scambiato per un serpente, anche se con i serpenti non ha nulla in comune. Il
suo scheletro possiede degli embrioni di zampe che restano nascoste all'interno
del suo corpo; la sua testa è simile a quella delle lucertole, la sua
coda mantiene per il primo tratto la stessa grandezza del tronco, per poi
assottigliarsi piuttosto bruscamente. E' diffuso in tutta l'Europa, dove lo si
può vedere dal mese di marzo fino al mese di ottobre ed anche di
novembre. Nonostante le credenze popolari che lo ritengono ferocissimo, nessun
animale è più inoffensivo di lui; esso si lascia toccare senza
reagire e ne abbiamo conosciuto uno che è vissuto quasi cinquanta anni
nel terraio di un giardino zoologico. Come la maggior parte dei rettili, le
lucertole cambiano regolarmente la pelle.
I SERPENTI
L'Europa possiede una collezione di serpenti
modesta, se si pensa alla stupefacente diversità di forme che si trova
tra questi animali in America, in Africa ed in Asia. Infatti abbiamo quattro
varietà di vipere: l'Aspide e la piccolissima Vipera d'Ursini, la Vipera
berus o Marasso e la Vipera Ammodite, in più una decina di bisce.
Si
sarebbe potuto aggiungere la classica biscia d'acqua, la piccola Coronella e la
bella biscia di Esculapio, diffusa un tempo dai Romani ovunque essi elevavano
dei templi al loro dio della medicina; ma le serpi di cui parleremo danno
già un'idea della fauna strisciante europea.
MARASSO (Vipera berus)
La Vipera berus o Marasso è un serpente
scuro, rigido e lento nei suoi spostamenti, ma rapido quando scatta in avanti
con la testa per mordere. Di dimensioni equivalenti a quelle dell'Aspide, il
Marasso è forse più pericoloso più aggressivo. Esso
frequenta più volentieri il nord dell'Europa e si trova fino in Norvegia
ed in Scozia, mentre l'Irlanda resta la terra vergine dei serpenti. Si riconosce
il Marasso dal suo muso che non è rialzato e dalle placche che esso ha
sulla testa, mentre quella dell'Aspide è ricoperta di scaglie identiche a
quelle del suo corpo. Anche il Marasso, però, ha la pupilla dell'occhio
ridotta ad un tratto verticale, la coda nettamente distinta dal resto del corpo,
la stessa V più o meno apparente sulla testa triangolare e le stesse
macchie scure disposte a quinconcia sul dorso. Come l'Aspide, la Berus,
insopportabile in un giardino, svolge un ruolo assai utile nella natura,
distruggendo piccoli roditori. Certamente essa inghiotte anche rospi e rane
utili, come pure uccellini, ma nulla è semplice nella natura. A questo
proposito cosa bisogna pensare del fascino esercitato dai serpenti sulla loro
preda? In verità, bisogna sistemare questa leggenda con le altre: il Boa
costrittore che rompe le ossa delle sue vittime, il serpente che ricopre con una
bava appiccicosa l'animale che sta per inghiottire, quello che si prende la coda
tra i denti per ruotare come un cerchio e quelli che vuotano le mammelle delle
mucche succhiando il loro latte. Quando un uccellino resta immobile davanti ad
una vipera è perché ha già ricevuto la sua dose di veleno e
sta per morire od è una madre che cerca di distogliere l'attenzione del
nemico per salvare i suoi piccoli. L'immaginazione popolare ha fatto il
resto.
COLUBRO LACERTINO (Malpolon monspessulanus)
Il grande Colubro meridionale, il Colubro
lacertino, è un caso a parte nella fauna strisciante europea. E',
infatti, un serpente a denti velenosi posteriori. Sulla sua mascella superiore
essa porta non solo dei piccoli denti inoffensivi e ricurvi, come gli altri
Colubri, ma anche un dente molto più lungo e cavo, capace di inoculare il
veleno delle sue ghiandole mascellari. Questo veleno molto attivo differisce da
quello delle vipere ed agisce piuttosto come quello dei cobra, che paralizza i
muscoli della respirazione causando la morte per asfissia. Ma il Colubro
lacertino, benché molto aggressivo, è incapace di mordere una
grossa preda od un uomo, a meno che quest'ultimo non metta un dito in fondo alla
sua gola. Non sono mai stati segnalati simili incidenti? ma è bene sapere
che questo Colubro va maneggiato con qualche precauzione perché è
impossibile che diventi domestico, e facilmente può cercare di mordere
cercando di attirare la mano dentro la sua gola, verso i suoi denti velenosi. E'
un serpente estremamente vivo nei suoi attacchi, così come nella fuga,
dotato di una lingua biforcuta molto lunga, lunga quanto la testa. Si
noterà la fisionomia selvatica di questa testa ed alcuni vi ritroveranno
qualcosa di quella dei Cobra. D'altronde si osserverà anche l'analogia
tra il vocabolo cobra ed il nome colubro. Il Colubro lacertino maschio e adulto
diventa nerastro e può arrivare ai due metri di lunghezza, si dice, ma la
questione della grandezza dei serpenti non è mai semplice, in alcun
caso...
Il Colubro leopardino, il Cervone ed il Colubro scalare sono
grandi serpenti vivi ed agili, comuni in tutta l'Europa meridionale, dalla
Spagna alla Grecia, sempre più rari di mano in mano che si sale verso il
nord. Sono tutti buoni nuotatori che all'occasione sono capaci di prendere del
pesce e che si arrampicano ammirevolmente sugli alberi.
COLUBRO LEOPARDINO (Elaphe situla)
Il Colubro leopardino è noto più
per la bellezza che per la dimensione: raramente infatti, supera il metro di
lunghezza. Le parti superiori del corpo sono di tinta giallastra con una vivace
macchiettatura: il capo presenta alcune strisce trasversali bruno scure, mentre
sul dorso spicca una serie di macchie grandi e tondeggianti, di color rosso
bruno, circondate di nero. Le parti inferiori sono di color giallo tendente al
rosa, con macchie bruno nerastre. L'occhio, grande e vivace, è di un
vivace colore giallo arancio. In Italia si può trovare questo rettile
nella parte nord-orientale e nella parte meridionale della penisola,
nonché in Sicilia. Esso è attivo durante il giorno, molto agile
nei movimenti ed ottimo arrampicatore; si nutre di sauri e di piccoli mammiferi,
di uccelli e di uova. Molto irritabile, si slancia fulmineamente contro i nemici
ed azzanna con decisione, ma a causa dei denti molto piccoli, procura soltanto
qualche piccolo graffio.
CERVONE (Elaphe quatuorlineata)
I Cervoni sono noti per la parte che sostengono
durante la festa di S. Domenico, che si svolge ogni anno nel piccolo paese di
Cocullo, in Abruzzo. Infatti il primo giovedì di maggio, giorno della
celebrazione della festa, i serpenti sono tra i principali attori della
cerimonia. Per giorni e giorni i giovani di Cocullo battono le colline attorno
al paese alla ricerca dei serpenti che chiudono in sacchi. Il giorno della festa
la statua di S. Domenico viene portata in processione ornata di Ofidi; la
seguono e la precedono giovani donne che recano sul capo canestri vivacemente
decorati e contenenti pane in forma di ciambelle e uomini che portano avvolti
sulle braccia o intorno al collo Cervoni in gran numero. Alla fine della
cerimonia, che avrebbe lo scopo di ottenere dal Santo protezione contro la
morsicatura dei serpenti, i rettili vengono portati fuori dal villaggio e
rimessi in libertà. Un tempo, invece, venivano uccisi e seppelliti.
COLUBRO VIPERINO (Tropidonotus viperinus)
Bisogna riservare una menzione speciale al
Colubro viperino. Questo piccolo serpente, che ama soprattutto l'acqua corrente
dei fiumi e torrenti ricchi di trote, si nutre di avanotti, trotelle di
preferenza, e dei buoni, piccoli Ghiozzi che esso spia a lungo, sotto l'acqua ed
al riparo di una grossa pietra. La reazione del Colubro viperino, quando
è attaccato, stupisce. Esso si acciambella, il collo irrigidito e pronto
a distendersi, la testa piatta e triangolare, il corpo gonfio di furore. Si
indietreggia, persuasi di avere di fronte una vipera. In effetti esso non
è che una biscia totalmente inoffensiva, che ha scelto come difesa
l'intimidazione piuttosto che la fuga. Se si insiste, il Colubro viperino non
morde e nasconde la testa sotto le pieghe del suo corpo. Se lo si guarda
più da vicino, si può constatare che la pupilla del suo occhio
è rotonda, che la testa è coperta da grandi scaglie e che non
è armato di alcun dente pericoloso.
BIACCO O MILORDO (Coluber viridiflavus)
Abbiamo conservato per la fine la grande biscia
gialla e verde, il Biacco o Milordo, anch'esso meridionale, spesso
soprannominato "frusta sibilante" tanto sembra rapido. E' un bellissimo
serpente, ammirevolmente variopinto, attivo, vivo, gran cacciatore di roditori,
ottimo arrampicatore. La sua lunghezza può battere tutti i
record.
Esso ha forma agilissima, capo lungo e ben distinto dal tronco,
muso arrotondato, occhi grandi con pupilla rotonda, coda lunga e sottile,
terminante con un'acuta punta. La colorazione è molto elegante: le parti
superiori del capo sono nere con due o tre sottili strisce trasversali gialle;
nella prima parte del corpo il colore di fondo è giallo arancio con
macchie nere o verde scuro così numerose e vicine l'una all'altra che il
giallo del fondo si riduce a sottili strisce. Nella seconda metà del
tronco e sulla coda le macchie diventano meno scure ed il fondo è
verdastro; la parte laterale del capo è gialla con macchie nere e le
parti inferiori sono giallastre o verde chiaro con una grossa macchia nera ai
lati di ogni squama. L'occhio, giallo con la pupilla nera, ha un'espressione
molto vivace e leggermente feroce. Questi agilissimi ed elegantissimi serpenti
vivono nelle boscaglie o nei boschi radi, nelle zone sassose e nei prati, in
vicinanza di rocce preferendo i luoghi in cui la temperatura rimane mite anche
durante l'inverno. La loro attività si svolge esclusivamente durante il
giorno: quando il sole è già alto essi escono dai loro rifugi
costituiti da una buca nel terreno o da una fessura tra le pietre e, con la
testa e la prima parte del tronco leggermente sollevate, strisciano velocemente
sul suolo. I Milordi sono abilissimi cacciatori di topolini, di arvicole, di
piccoli uccelli che sorprendono nei nidi sul terreno o sugli alberi, di rane,
rospi, lucertole e persino di altri serpentelli. Essi hanno temperamento
irritabilissimo ed aggrediscono spesso senza la minima provocazione. Scattano
con tale rapidità che afferrarli senza essere morsicati è quasi
impossibile. La morsicatura è però innocua. Se si stacca con
cautela l'aggressore, i piccoli denti non lasciano quasi traccia; se invece il
serpe viene staccato violentemente, i piccoli denti fatti ad uncino producono
piccole lacerazioni. Anche in questo caso, però, non avendo i Milordi
ghiandole velenose, è sufficiente una semplice disinfezione. In
cattività, anche se tenuti per lungo tempo, questi rettili conservano la
loro indole aggressiva ed il loro pessimo carattere: basta avvicinarsi per
essere azzannati.
VIPERA COMUNE (Vipera aspis)
La Vipera comune è, con la Vipera
dell'Orsini di cui parleremo in seguito, una specie meridionale. La Vipera
berus, di cui parleremo più avanti, vive invece piuttosto nel nord
dell'Europa, compresa la Gran Bretagna ed i Paesi scandinavi. Si riconoscono
tutte le vipere per la loro dimensione sempre inferiore ai settantacinque
centimetri, per la pupilla verticale dei loro occhi e per i due denti cavi,
iniettatori di veleno, che armano la loro mascella superiore. La Vipera comune,
inoltre, ha la testa ornata di piccole scaglie simili a quelle che ha sul corpo
ed il suo "naso", visto di profilo, è rivolto verso l'alto. Come tutte le
vipere, l'Aspide può essere bruna, rossastra, grigiastra, a volte molto
chiara. Il suo dorso porta delle macchie scure disposte a zig zag e la sua testa
una V più o meno ben fatta e più o meno visibile. La sua coda
è nettamente più sottile del suo corpo ed essa mette al mondo i
suoi piccoli vivi, poiché le uova si aprono all'interno della madre. I
piccoli della Vipera hanno il veleno fin dalla nascita e sanno immediatamente
servirsi dei loro denti. Tutte le Vipere sono animali utili che distruggono un
gran numero di piccoli roditori nemici dei nostri raccolti. Evidentemente non si
deve sopportare la presenza di Vipere in un giardino dove giocano dei bambini,
ma in aperta campagna è controindicato distruggerle. Esse vivono nei
cortili asciutti, tra le fascine, nelle catapecchie e tra i muri di pietra,
nella boscaglia ed evitano, generalmente, l'umidità ed i corsi d'acqua.
Non si arrampicano volentieri e sono piuttosto lente.
VIPERA DELL'ORSINI (Vipera ursinii)
Come le due altre Vipere, quella dell'Orsini non
è veramente pericolosa se non quando la si manipola senza precauzioni o
quando la si urta senza averla vista. Ma sono incidenti che non capiteranno
spesso con la Vipera dell'Orsini, poiché è un serpente molto raro,
limitato a qualche piccola zona che circonda il Mediterraneo. Essa rassomiglia
all'Aspide in misura ridotta e nessuno si è mai dato grande pena di
studiarla. A suo riguardo, come per la Vipera comune e la Vipera berus, bisogna
precisare che il loro morso non è obbligatoriamente mortale: doloroso,
certamente, con un edema locale impressionante, sudori, vertigini e nausee, ma
raramente di più.
Non si raccomanderà mai abbastanza agli
abitanti delle regioni infestate dalle vipere di tenere sempre in casa
l'occorrente completo per l'iniezione di vaccino antivipera. Essi possono averne
bisogno per loro o anche per cani che si fanno sovente mordere sul muso, o per
altri animali domestici che possono essere raggiunti. Ciò non costa molto
ed è perfettamente efficace, a condizione di intervenire il più
rapidamente possibile dopo il morso. Non bisogna dare alcool al ferito, bisogna
risparmiargli ogni emozione e riconfortarlo moralmente. La guarigione
sarà sempre rapida e le conseguenze senza importanza. Non è lo
stesso con altri serpenti.