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FAUNA - ASIA

CLIMA E VEGETAZIONE

Il Continente Asiatico presenta differenze climatiche profonde e contrastanti da zona a zona, esteso com'è dal Circolo Polare all'Equatore. Le zone climatiche sono così ripartite:

a) Zona delle tundre, caratterizzata da temperature bassissime e da scarse precipitazioni; estesa a tutta la cimosa costiera artica. La tundra è una sconfinata, monotona e gelida pianura il cui terreno, sempre gelato in profondità, si presenta in superficie come un impasto di melma e ghiaccio durante l'inverno, senza vegetazione alcuna, mentre nella brevissima estate si fa acquitrinoso e verdeggiante con un fitto tappeto di muschi e licheni, interrotti da qualche betulla nana.

b) Zona Siberiana, riferibile alla Siberia, con inverni rigidissimi ed estati calde, nella quale è diffusa la taiga. La grande foresta siberiana, che prende il nome di taiga, è una imponente associazione di abeti, pini; cedri, betulle, pioppi e ontani, che si estende fitta e nereggiante per migliaia di chilometri.

c) Zona steppica e desertica, estesa all'Arabia, al Turkestan e alla Mongolia. Ha inverni rigidi ed estati torride, con piogge minime o addirittura assenti e forti escursioni termiche. La vegetazione, limitata solo a poche zone lungo il corso dei fiumi, è rappresentata da palme da datteri, acaie e arbusti spinosi.

d) Zona mediterranea che interessa: Paesi asiatici del Mediterraneo, del Mar Rosso e del Golfo Persico, con ottime temperature e piogge invernali; clima che si presta alla coltivazione delle piante tipicamente mediterranee (olivi, viti, fichi, agrumi, ecc.).

e) Zona monsonica, certamente la più caratteristica, perché interessa le contrade più popolate dell'Asia e comprende l'India, l'Indocina, la Cina Meridionale, il Giappone. Ha abbondanti piogge estive e inverni asciutti (freddi nella parte settentrionale, miti in quella meridionale). Le piogge, a volte abbondantissime, ubbidiscono al diverso soffiare dei monsoni. La vegetazione è rappresentata da boschi, foreste e colture cerealiche a Nord; da piante tropicali (canne da zucchero, cotone, caucciù, ecc.) a Sud. Nell'India e nell'Indocina domina la savana (erbe, arbusti e rari alberi); verso il Bengala e la costa la tipica giungla infestata da fiere, rettili velenosi e miriadi d'insetti. La pianura del Gange, la Birmania e l'Indocina sono zone ricche di risaie.
 

PREFAZIONE

Se già individualmente ognuna di queste due parole sa smuovere la nostra immaginazione, quali meravigliose immagini evocano in noi quando sono associate!
Immagini che hanno popolato i sogni della nostra infanzia in cui apparivano furtivi, bonari o temibili Bagheera, Baloo o Shere Khan, i vanitosi Bandar Logs che Kaa, adirato per la loro insolenza, catturò, Akela e tanti altri...
Se alcuni di noi, che Kipling fece sognare bambini, furono più tardi tanto fortunati da scoprire questa invitante terra d'Asia a affezionarvisi, questi vi poterono trovare ben viva e più nobile, forse, che in ogni altra parte del mondo, l'incomparabile fauna che il grande narratore ci ha descritto così bene.
Immagini sognate nella nostra infanzia, immagini vissute nella nostra età matura, mischiate nei nostri ricordi, confuse nella nostra memoria che non sa più se partecipa alla finzione, alla leggenda o alla realtà.
Era un sogno, dopo tante ore su una pista massacrante, l'apparizione di questo immenso bacino Khmer, investito dalla foresta cambogiana e fiancheggiato da piccoli templi coronati da orchidee? Era un sogno questo vecchio elefante selvatico, monumentale e nobile, che attraversava improvvisamente questo bacino con un passo lento, da vecchio disilluso? Arrivato sotto vento, rispetto a noi, il maestro di questi luoghi si girò bruscamente, tutto d'un pezzo, e venne verso di noi sforzandosi di far credere violenta collera ciò che, in realtà, non era che curiosità; poi, soddisfatto di aver provato che sapeva ancora essere temibile, se ne andò, riprendendo la sua passeggiata e lasciandoci nell'indimenticabile meraviglia di questa scena e del suo sfondo.
Terra di leggende, di contrasti e di sproporzioni, terra di meraviglie anche l'Asia, il continente più popolato del globo; sembra persino, grazie alle sue foreste meravigliose, alle sue giungle impenetrabili e alle sue montagne vertiginose, essere servita da rifugio ad alcune specie scomparse, da allora, ovunque. Ecco il Gaur, probabile sopravvivenza asiatica del temibile Uro che regnava una volta sulle foreste d'Europa, il Kouprey, rarissimo e così grazioso, la tigre reale, spauracchio dei turbolenti bambini indocinesi. Ecco gli stormi di uccelli asiatici che oscurano il cielo del Tonlé Sap o dei delta giganteschi, i pesci strani che la marea dimentica sugli alberi su cui si accomodano molto bene! Ecco i graziosi Gibboni che volano di cima in cima al di sopra dei bombax immensi. Infine, incassato in seno alle impenetrabili foreste di bambù del Setchwen, ecco, minacciato di estinzione e particolarmente caro ai nostri cuori, il Panda, emblema e simbolo di coloro che rifuggono dagli effetti di quello che gli uomini si ostinano a chiamare "progresso".
 

ORICE BIANCA D'ARABIA (Orix leucoryx)

Robert Dallet ha fatto bene a scegliere l'Orice bianca d'Arabia per collegare il continente africano a quello asiatico. Esiste, infatti, un certo numero di specie comuni ad entrambi i continenti, come ne esistono altre comuni ad Europa ed Africa, o ad Europa ed Asia. La fauna non conosce frontiere... E gli Orici si ritrovano quasi identici da una parte all'altra di quella frontiera costruita dagli uomini, il canale di Suez, parallela ad un'altra frontiera naturale, ma non insormontabile il Nilo.
Se si può essere certi che la specie degli Orici di Africa sopravvive, ci si deve. Invece domandare se esiste una sola coppia di questi in Arabia. Questa bestia magnifica, interamente bianca tranne qualche macchia bruna sulla fronte, sul muso, sulle zampe e sul ciuffo della coda, è sempre stata considerata dalla gente dei paesi desertici in cui vive l'animale selvaggio più nobile che esista. Purtroppo... Diciamo purtroppo, perché la notorietà che veniva attribuita al nome di tutti coloro che erano stati capaci di uccidere un orice, spingeva gli altri a fare altrettanto. Ogni mezzo, comprese le armi a ripetizione e le auto «fuori strada», era valido per raggiungere lo scopo. Nonostante gli sforzi disperati fatti dal Fondo Mondiale per la protezione della natura, non è mai stato possibile ottenere la protezione per l'Orice bianca d'Arabia.
Cacce feroci venivano condotte periodicamente contro questi animali, non appena la loro presenza era segnalata in un qualsiasi punto del deserto che si stendeva lungo la riva sinistra del Mar Rosso e su ambo le rive del Golfo d'Arabia. Gli alti personaggi in testa, ecco, sulla pista, una sfilata di Algazelle (nome arabo dell'animale) uccise da fucili o da armi automatiche ed imbalsamate secondo un rito, in seguito. Un tempo, la resistenza di questi animali alla fame, alla sete ed al calore costituiva per loro un mezzo di difesa incomparabile. E veramente il cacciatore era obbligato a far uso di un coraggio e di una forza eccezionali, per riportare un simile trofeo. Ora non è più così; dati i mezzi di cui si può disporre per braccare questo magnifico animale, forse all'origine del liocorno. Sia quel che sia, quel che ormai si deve ammettere è che la specie si può considerare estinta. Era il più piccolo di tutti gli Orici. Perché l'allusione al liocorno? Semplicemente perché le due corna dell'animale sono tanto diritte che, quando le si guarda di profilo, possono dare l'impressione di essere una sola. Ma anche il corno del rinoceronte e quello del narvalo (meglio sarebbe dire il suo dente), che in più è a torciglione, hanno la loro parte nella leggenda di questo animale favoloso, di modo che è difficile attribuirgli una sola ed unica origine.
Notiamo, già che ci siamo, che questo nome di Algazelle è di origine araba. Ogni volta che il nome di un animale è passato da una lingua all'altra, è perché aveva, nel suo paese d'origine, un'importanza particolare.
E, in effetti, in tutta la poesia araba è facile trovare allusione alla Gazzella o all'Algazelle, al bianco del suo mantello, alla finezza delle sue zampe, alla bellezza profonda dei suoi occhi bordati da lunghe ciglia scure, alla velocità della sua corsa. E, una volta di più, sarebbe bene convincersi che non si deve uccidere ciò che si ama.
 

GAZZELLA

Eccovi ancora alcuni animali che tutti i profani, e anche qualche zoologo, potrebbero scambiare per abitanti della vicina Africa. Queste gazzelle sono simili a quelle dell'Africa del nord, il Dipodide è identico, l'Irace pure, il Gatto delle sabbie ha il suo equivalente nell'Africa dell'est e il Fennec non si differenzia assolutamente dal suo cugino del continente nero.
Animale bello per le sue elegantissime forme, la Gazzella è stata assunta, specialmente nell'antico Egitto, nel vasto Olimpo di quel popolo. I Fenici veneravano già Reseph, divinità atmosferica del lampo e del tuono; introdotto in Egitto, fu considerato dio della guerra e raffigurato con un copricapo adorno di una testa di Gazzella, strana contaminazione tra il carattere mansueto dell'animale e l'espressione guerriera che si volle imprimere alla figura della divinità. Un'altra divinità egiziana portava sul copricapo due corna di Gazzella, e precisamente l'antichissima dea Satis o Setit che presiedeva alle periodiche inondazioni benefiche del Nilo. Nel campo letterario ed artistico la Gazzella si trova particolarmente nelle descrizioni e nelle raffigurazioni dei popoli arabi.
Sulle Gazzelle bisogna dire che l'Oriente ne possiede molte varietà. Questi animali sono caratterizzati da una statura non molto grande, ma dalla forma molto snella ed elegante. Il collo è piuttosto lungo, la testa è piccola, gli occhi grandi hanno una espressione molto dolce, le orecchie sono piuttosto lunghe e le corna sono quasi sempre anellate nei maschi, lisce nelle femmine. Le Gazzelle vivono prevalentemente in regioni aride, con scarsa vegetazione; a volte persino in regioni desertiche. Hanno una grandissima resistenza alla sete, hanno sensi molto sviluppati e sono velocissime nella corsa.
Vivono riunite in branchi e di solito i maschi più vecchi vivono solitari. Le Gazzelle sono animali erbivori: si nutrono di erbe, di polloni e di foglie. Timide, appena fiutano un nemico fuggono velocemente, ma, per quanto rapida possa essere, la loro fuga non è mai di lunga durata: infatti una Gazzella, pur arrivando a raggiungere la velocità di più di settanta chilometri all'ora, non riesce a mantenere tale velocità per più di un quarto d'ora. L'epoca degli amori coincide, per tutte le Gazzelle, con il periodo compreso tra i mesi di agosto e di ottobre.
Nei piccoli branchi, composti di ugual numero di elementi dei due sessi, non si verificano rivalità o lotte per la conquista delle rispettive compagne, rimanendo così coerenti alla loro indole timida e pacifica. Verso febbraio o marzo nascono i piccoli (in genere uno solo) che, al momento della nascita, si presentano di una gracilità straordinaria. Gli esilissimi arti, infatti, stentano a sostenere l'esiguo peso del corpo ed è la madre che, con tenerezza, ne sorregge e guida i primi passi. I piccoli, a loro volta, sono quasi morbosamente legati alla madre che non abbandonano per un solo istante. Soltanto dopo aver raggiunto la forma e le dimensioni degli adulti, le giovani Gazzelle si emanciperanno pur conservando, con la madre, rapporti di tenera parentela.

 

GAZZELLA MUSCHIATA (Muscateusis) - GAZZELLA D'ARABIA (Gazella Gazella)

Le due che vi mostriamo sono caratteristiche; la loro descrizione si trova nelle poesie arabe e la loro presenza è citata nella Bibbia stessa alla quale occorre spesso riferirsi per identificare gli animali del paese.
La Gazzella muschiata è simile alla Dorcas africana mentre la Gazzella d'Arabia è simile alla piccola Thompson, la «Tommy» dell'Africa centrale. Le une e le altre stanno diventando sempre più rare per la solita ragione: una caccia sfrenata con mezzi ai quali gli animali non possono resistere. Di tanto in tanto si segnala la presenza delle ultime Gazzelle in Israele, in Giordania o ancora più a sud.

 

GAZZELLA GUTTUROSA (Gazella gutturosa) - GAZZELLA DI PRZEWALSKI (Gazella Przewalskii) - GAZZELLA SUBGUTTUROSA (Gazella subgutturosa)

Qualsiasi antilope, sia asiatica che africana, con sagoma snella ed elegante, agile e graziosa, viene comunemente chiamata gazzella. Il nome gazzella, derivato dall'arabo Ghazal indica, però, scientificamente un genere della sottofamiglia Antilopine. Gli animali di questo genere hanno il corpo e gli arti snellissimi, statura piuttosto piccola, collo lungo ed armoniosamente arcuato, testa piccola in cui spiccano gli occhi dall'espressione dolcissima, anche se vivace, orecchie piuttosto lunghe e corna presenti sia nei maschi che nelle femmine. Vivono prevalentemente in regioni aride, con scarsa vegetazione, a volte addirittura desertiche. Infatti il loro fisico richiede poco cibo e possono, a volte anche per dei mesi, fare a meno dell'acqua poiché traggono dal poco cibo l'elemento liquido necessario per vivere. Hanno un mantello raso ed uniforme; hanno sensi molto sviluppati e sono agilissimi e velocissimi nella corsa.
Le tre Gazzelle asiatiche delle quali parliamo sono molto poco conosciute non solo dal grande pubblico, ma anche dagli amatori classici della fauna selvatica. Esse sono simili tra di loro e possono essere considerate come animali di transizione tra le gazzelle vere e proprie e le gazzelle capre. D'estate questi graziosi animali hanno un pelo corto, color sabbia, che d'inverno si allunga e, in una di esse, la gutturosa o «Zeren», prende un colore bizzarro, bruno leggermente rosato. La subgutturosa ha, in inverno, un sottogola notevole, ma che non ha niente a che vedere con un gozzo, come potrebbe far supporre il suo nome scientifico. La Gazzella di Przewalski è la più grande delle tre ed il suo colore è più scuro, più bruno. Scoperta «ufficialmente» dall'uomo stesso che ha dato il suo nome all'ultimo cavallo selvatico, essa abita nella Cina centrale e nella Mongolia del sud. Ciò significa che essa è introvabile negli zoo dei paesi occidentali, come, d'altra parte, tutti gli animali selvatici originari dell'immensa e misteriosa Cina attuale. Si può pensare che nei tempi antichi ci fossero più o meno le stesse specie di animali ed è forse questa parte del mondo che ci può riservare ancora qualche sorpresa in zoologia. Da qualche parte, su una pianura ghiacciata dell'Asia centrale, esiste forse ancora qualche animale sconosciuto alle nostre classificazioni. Occorre augurarsi, se ciò fosse vero, che questi animali siano di una specie straordinaria, capace di appassionare la gente il giorno in cui sarà possibile mostrarli in semi-libertà, a casa loro o altrove. Le Gazzelle asiatiche, più o meno gazzelle e più o meno capre, sono molto simili nel loro aspetto generale e nelle loro abitudini alle altre gazzelle, in particolare a quelle dei grandi deserti africani. Esse sono resistenti al calore del giorno ed al freddo della notte. Hanno un colore che si confonde con quello del suolo, hanno all'incirca lo stesso peso e le stesse dimensioni e riescono a sfuggire molto bene ai loro nemici, grazie alla loro velocità e resistenza.
Tranne, naturalmente, quando le si caccia con armi sleali come i fucili a ripetizione e le «fuori-strada» che la natura non aveva certo previste contro di esse. A parte questo, non vi sono molti dettagli importanti da dare su di esse, tranne per quel che riguarda la Gazzella subgutturosa. Sembra infatti che essa sia la sola ed unica specie di gazzella esistente al mondo in cui solo il maschio possiede un paio di corna. In tutte le altre specie di gazzelle, da un capo all'altro del mondo, maschi e femmine sono parificati in questi ornamenti che costituiscono, al tempo stesso, solide armi difensive ed offensive. In alcune gazzelle, come ad esempio quella di Bennet, si nota una differenza tra le corna del maschio e quelle della femmina: nel primo sono inanellate, nella seconda invece sono lisce. Al contrario di quello che succede presso i cervidi in cui i maschi, ad eccezione delle renne, sono sempre i soli a portare corna. Quello che è la regola negli uni, non lo è negli altri. O meglio, forse, la natura ha voluto semplificare la vita dei poveri naturalisti che hanno tante difficoltà per identificare tanti animali...
In ogni caso, l'identificazione delle gazzelle asiatiche è particolarmente difficile, poiché questi animali sono rari, e di conseguenza, ancora più rare sono le fotografie. Si devono consultare parecchie opere scientifiche italiane o straniere prima di trovare un'immagine in bianco e nero o, peggio ancora, a colori della gutturosa o della subgutturosa e se le fotografie della Saiga sono molto più facili da reperire è semplicemente perché si tratta di un animale più russo che asiatico e inoltre esistono di esso parecchie centinaia di migliaia di capi. Questo genere di difficoltà, per quel che riguarda la ricerca di documenti fotografici, è ben conosciuto dagli editori e dai responsabili di pubblicazioni zoologiche. Infatti per quel che riguarda le Gazzelle asiatiche nonché un gran numero di altri animali rari o poco conosciuti, non ci è neppure possibile andare ad ammirarli in un giardino zoologico. Quelli che ne possiedono sono inaccessibili ed i nostri non ne hanno...
La Gazzella subgutturosa è detta anche Gazzella persiana; di solito vive in una vastissima zona dell'Asia centro-occidentale: in parte della Persia, nell'Afganistan, nel Turkestan. E' alta poco più di sessantacinque centimetri e lunga un metro, esclusa la coda che raggiunge i venti centimetri. Ha il mantello rossiccio nelle parti superiori e laterali, bianco nella parte inferiore e nell'interno delle zampe. Assomiglia quindi nelle dimensioni e nell'aspetto alla gazzella indiana, ma ha una strana particolarità: solo i maschi infatti sono provvisti di corna, che possono avere dai venti ai venticinque anelli che assumono la strana forma di una lira. L'epoca degli amori coincide per tutte le gazzelle, con il periodo compreso fra i mesi di agosto e ottobre. Mantenendo fede alla indole timida e pacifica, nei piccoli branchi composti di egual numero di elementi dei due sessi non si verificano nei maschi rivalità o lotte di sorta per la conquista delle rispettive compagne. La gestazione dura all'incirca 5 mesi e, tra febbraio e marzo, le femmine partoriscono in genere un solo piccolo che, al momento della nascita, si presenta di una gracilità straordinaria. Gli agilissimi arti, infatti, stentano a sostenere l'esiguo peso del corpo ed è la madre che, con tenerezza, ne sorregge e guida i primi passi, esponendosi spesso alle attenzioni del nemico per distogliere la minaccia dalla prole. Il piccolo, a sua volta, è morbosamente legato alla madre, che non abbandona per un solo istante. Soltanto quando ha raggiunto la forma e le dimensioni degli adulti, la giovane gazzella si emancipa dall'aiuto materno pur conservando con la genitrice rapporti di tenera parentela; allora entrerà a far parte del suo branco. Tutte le specie di gazzelle hanno pressoché le stesse abitudini: vivono, come abbiamo detto, in regioni steppose dove è scarsa l'acqua, passando le ore più calde della giornata all'ombra di cespugli di acacie e ruminando. Di tanto in tanto i branchi si spostano alla ricerca di acqua ed erba fresca, ma difficilmente rimangono allo scoperto, poiché c'è sempre qualche loro nemico a dar loro la caccia. E il loro peggior nemico è proprio l'uomo contro cui non servono le alte velocità: oltre ottanta chilometri all'ora, che le gazzelle raggiungono generalmente con facilità.
Infatti un paio di gazzelle sono sempre di guardia ruotando i loro occhi con incredibile velocità e pronte a scattare al minimo sospetto di pericolo. Di conseguenza i rapporti di questo animale con l'uomo non possono essere più buoni. Dapprima i branchi di gazzelle offrivano innocentemente la loro amicizia all'uomo, ma dopo il sistematico sterminio da parte degli indigeni per la bontà delle loro carni, iniziarono a non fidarsi. Bisogna infatti ricordare che fra tutti gli Antilopini, le gazzelle sono state le specie più perseguitate.
La gazzella gutturosa è uguale alla subgutturosa; vive però in Mongolia, da cui deriva il nome di gazzella mongolica.

 

GOA (Procapra picticaudata)

Il Goa è un esemplare di gazzella asiatica rara e poco conosciuta. Vive negli alti pianori dell'Asia centrale, particolarmente del Tibet. Il corpo, di statura piuttosto bassa, ha forme snelle ed aggraziate; il pelo è corto, rasato ed uniforme; la testa ha muso breve, grandi occhi vivaci e lunghe orecchie. Le corna, piuttosto grandi, sono anellate per due terzi circa della loro lunghezza che può raggiungere i quaranta centimetri e più. Sulla parte posteriore una macchia bianca dà risalto alla coda nera, corta ed assai caratteristica. Altra particolarità è costituita da una frangia di pelo spesso sul davanti del petto. Le femmine partoriscono non più di un piccolo alla volta, generalmente nei mesi di luglio o agosto. Il Goa vive in branchi, in zone con scarsa vegetazione, nutrendosi di vegetali ed erbe aromatiche dalle quali traggono anche l'acqua, quando questa viene a mancare nei periodi di siccità.

 

CHIRU (Pantholops hodgsoni)

I Chiru, o Fantolopi di Hodgson, appartengono alla sottofamiglia dei caprini e sono anch'essi esemplari rari e poco conosciuti. Pur essendo parenti stretti della Saiga o Antilope della steppa, sono ben lontani dall'avere il suo repellente aspetto, anzi si presentano piuttosto gradevolmente.
Il Chiru è un animale che non lascia mai le elevate altitudini dei pianori montani, in particolare del Tibet, dove vive al limite delle nevi, dai quattro ai seimila metri di altezza. Come la saiga, anche il Chiru ha un muso stravagante, gonfio e schiacciato, con narici molto aperte, probabilmente per meglio respirare l'aria rarefatta delle vette; ciò naturalmente non è che una supposizione, poiché non sempre la natura agisce per un determinato fine.
Senza distinzione di sessi ritroviamo nel Chiru il lungo muso a forma di proboscide, ma molto più attenuata che nella Saiga e non con le narici rivolte verso il basso, ma in avanti. Le corna dell'animale hanno una discreta lunghezza, circa mezzo metro, sono anellate per circa due terzi della loro lunghezza e descrivono, viste davanti, un disegno simile a quello di una lira; solo il maschio, però, ne è provvisto. La sua dimensione è quella di un montone, di cui ha anche un poco l'andatura; il mantello, di peli sottili, è spesso, di media lunghezza, di color bianco giallastro con macchie scure sulla testa e sugli arti. I Chiru vivono isolati o in piccoli gruppi di due o di tre animali e sono tra i mammiferi che si spingono più in alto sulle montagne. Sono molto timidi, pronti a darsi alla fuga al minimo allarme; si muovono durante il giorno, nelle ampie vallate, alla ricerca di erbe aromatiche. In autunno i maschi lottano accanitamente per il possesso delle femmine alle quali si uniscono per breve tempo.
I figli, generalmente non più di uno alla volta, nascono nel mese di luglio.
Questi animali sono il boccone preferito del Leopardo delle nevi, di cui parleremo in seguito; costituiscono facile preda anche perché l'Irbis, prudente e silenzioso, ben si mimetizza nell'ambiente naturale, specie nel paesaggio invernale.

 

GAZZELLA DI BENNET (Gazella bennetti)

La Gazzella di Bennet, detta anche gazzella indiana, sembra prolungare fino alle pianure di questo paese un tipo di animale che noi abbiamo già incontrato nell'Africa del nord prima, poi nel vicino Oriente: è dunque una delle innumerevoli varietà di Dorcade, con graziose corna leggermente a lira, inanellate e di discreta misura, una fisionomia simpatica ed una andatura piena di grazia e di leggerezza. Il suo mantello è bruno, castano chiaro nelle parti superiori, bianco nella parte inferiore. Hanno abitudini quasi identiche a quelle delle gazzelle dorcadi e sono cacciate per la loro ottima carne.
Chiamata dagli indiani Chiucaia, è un piccolo animale dalle forme apparentemente gracili, ma capace di correre, saltare ed inerpicarsi senza tregua alla ricerca di un rifugio, quando è inseguita. La Gazzella di Bennett misura circa sessanta centimetri di altezza ed un metro di lunghezza, oltre ai venti centimetri riservati alla coda. Le corna, presenti in ambedue i sessi, giungono nei maschi a quasi trenta centimetri di lunghezza; viste frontalmente appaiono fortemente ravvicinate, mentre assumono la forma di una esse se viste di profilo, e sono segnate da quindici-venti anelli; nella femmina, invece, esse sono più brevi e più sottili.
 

DIPODIDE (Dipodidae)

Il Dipodide ha la testa piuttosto grande rispetto al resto del corpo; le orecchie possono essere lunghe o corte, secondo la specie cui appartengono; le zampe anteriori sono molto corte, mentre le posteriori sono estremamente lunghe, ciò che lo rende un abilissimo saltatore; la coda è lunga e termina con un ciuffo di peli; le zampe possono essere fornite, sempre secondo la specie, di tre, quattro o cinque dita. Lo si può trovare lungo le terre che vanno dall'Africa del nord all'Asia del sud. Piccoli roditori notturni, pullulano, di notte, davanti ai fari dei veicoli e saltano in ogni direzione, a zig-zag, con una velocità straordinaria.
 

IRACE DELLE ROCCE (Procavia)

L'Irace, invece, è un animale meno rapido, sebbene molto vivo. La Bibbia lo considera come una specie di lepre e ne parla più volte. Abbiamo già osservato in precedenza l'assai curiosa parentela che gli zoologi, come pure gli indigeni, gli hanno trovato con gli Ungulati. E precisamente a causa della conformazione delle unghie dell'Irace, che ricordano, in piccolo, quelle appunto dell'elefante.
Si sa che esistono più varietà di questo animale, alcune dette «degli alberi», altre «delle rocce». Infatti, grazie ai cuscinetti rugosi della pianta dei piedi, essi possono arrampicarsi facilmente sugli alberi e sulle rocce. Generalmente si nutrono di erbe, frutti e granaglie. Sono assai fecondi e la loro carne è commestibile, perciò si dà loro una caccia molto attiva, tuttavia, per fortuna, non sono minacciati di estinzione.
L'Irace delle rocce è un animale non molto grande (misura non più di cinquanta centimetri), dal corpo piuttosto tozzo e con una pelliccia di media lunghezza, ma non molto morbida, di color grigio con sfumature marroni o rossastre. Questi animali non sono molto conosciuti al grande pubblico, sono rari nei giardini zoologici e ben poco si sa delle loro abitudini.
 

GATTO DELLE SABBIE (Felis margarita)

Questo animale non è assolutamente addomesticabile, è un buon cacciatore di piccole prede e lo si trova, con caratteristiche lievemente differenti, in tutta l'Africa orientale, nel vicino Oriente, fino alla parte sud-est delle regioni bagnate dal Mar Caspio. Dove non esiste, è sostituito da qualche altra specie simile, ma non manca mai, come vedremo di mano in mano che ci spingeremo verso l'est della misteriosa Asia. In ogni caso, questo «Felis margarita» non è certamente l'avo del nostro gatto domestico europeo, poiché questo onore è piuttosto riservato ad un altro felino selvatico, il «Felis libica».
 

FENNEC O VOLPE DEL DESERTO (Fennecus Zerda)

Vediamo ora un Fennec, molto simile a quelli già incontrati in Africa. Ha l'aspetto di una minuscola volpe: le orecchie sono molto sviluppate, la testa è piccola col muso appuntito, gli occhi grandi e vivacissimi, il corpo snello, ricoperto da una pelliccia non molto folta, di un color giallo uniforme che si mimetizza col terreno degli ambienti in cui vive. Di una agilità sorprendente, si muove più di notte che di giorno, alla ricerca di prede costituite per lo più da topi del deserto o topi canguro.
Uscito dal covo, il piccolo Fennec si guarda accuratamente in giro, muove i grandi padiglioni auricolari che raccolgono anche i più deboli suoni e solo quando è sicuro dell'assenza di nemici nelle vicinanze si decide a muoversi. I suoi passettini eleganti non producono alcun rumore; osservandolo mentre cammina o quando corre, si ha l'impressione che non tocchi nemmeno il suolo. Quando caccia durante il giorno, il Fennec insidia particolarmente gli uccelletti, in vicinanza dei cespi di vegetazione. Allora l'animale adotta sistemi di caccia che sono, in sostanza, gli stessi usati dalle volpi. Striscia, cioè, cautissimo sin nei pressi del cespuglio ove la vittima prescelta saltella alla ricerca del nutrimento, poi, con uno scatto fulmineo, supera l'ultimo tratto e mette in azione gli acuti denti. E' simile al Fennec classico della metà settentrionale del continente africano e alla «Volpe famelica» della metà meridionale di cui ha il muso e le orecchie, anche se in dimensioni minori.
Si tratta, una volta di più, di forme locali determinate dalle condizioni di vita, dal clima, dalla nutrizione: dal «biotopo», per usare il termine ormai comunemente diffuso tra gli zoologi.
Verso la primavera, la femmina del Fennec depone, in una tana scavata nella sabbia, da tre a quattro piccoli coperti da una pelliccia lunga, folta, giallognola, e con gli occhi ancora chiusi. Li accudisce con grande amore e se durante le escursioni, notturne o diurne, in cerca di cibo viene inseguita, non si dirige mai verso la tana, ma fa del suo meglio per impedire che il nemico giunga al luogo dove si trovano i figlioletti.
Se il Fennec viene catturato giovane, sino dai primi giorni si dimostra mitissimo, tranquillo e, col passare del tempo, diventa così docile ed addomesticato che può essere portato in giro come un cagnolino. La snellezza delle forme, l'agilità, la grazia dei movimenti, l'espressione dei grandi occhi, tutto contribuisce a rendere il piccolo Fennec prigioniero un compagno piacevolissimo.
 

MUFLONE D'ARMENIA (Ovis orientalis typica)

Se si dà ascolto agli scienziati che studiano le origini dell'uomo, si scopre che i nostri primi antenati potrebbero essere apparsi in Africa più di un milione di anni fa. Per quel che riguarda alcuni animali attualmente domestici, però, è certo che provengono dall'Asia. Ma sarebbe troppo facile pensare che i nostri montoni, le nostre capre, i nostri buoi discendano da una sola specie selvatica facile da identificare. In effetti vi sono stati molti incroci che si sono continuamente ripetuti nel corso dei secoli, il che ha dato origine a tutta questa gamma di varietà domestiche.
Oltre a questa selezione naturale, gli uomini hanno imposto la loro, ricercando gli uni la lana del montone, gli altri il pelo delle capre, alcuni una carne grassa e saporosa, altri ancora un latte di qualità, quando non era semplicemente una ricerca per una buona riproduzione. Perciò le nostre capre, i nostri montoni, i nostri buoi, i nostri maiali, i nostri cavalli, per non parlare che di questi, non assomigliano neppure lontanamente ai loro antenati selvatici. Questo Muflone d'Armenia, più del Muflone da corsa e di quello dell'Africa del nord, conta certamente degli antenati tra gli antenati dei nostri montoni. Esistono anche due varietà di muflone che abitano l'America del nord.
Ciò sarebbe una prova delle comunicazioni esistite tra il vecchio ed il nuovo mondo un tempo, se fosse utile cercarne ancora nuove tracce.
Le prove di queste comunicazioni sono, infatti, già molto numerose ed uno degli scopi della zoologia è proprio di venire in soccorso della geografia. Tutti questi mufloni selvatici sono portati ad accoppiarsi tra di loro, ma i responsabili della fauna selvaggia hanno cura di non lasciare incrociare gli animali che hanno in custodia, per conservarli il più possibile nel loro stato iniziale.
Incontreremo ancora, in seguito, animali asiatici che hanno cugini prossimi in America.
Il Muflone d'Armenia si può trovare nel Caucaso, nell'Armenia e nella Persia. E' molto simile al nostro muflone di Sardegna: il corpo, non molto grande, è piuttosto tozzo; il pelo è corto e liscio, di colore bruno rossastro; le corna che nelle femmine mancano, nel maschio raggiungono uno sviluppo considerevole e possono pesare anche cinque o sei chilogrammi. In sezione esse sono subtriangolari, molto grosse alla base, impiantate sulla fronte così vicine l'una all'altra che, parzialmente, si toccano; descrivono un grande ed elegantissimo arco dirigendosi prima verso l'esterno ed all'indietro, poi in avanti e verso l'alto. Quasi tutta la superficie di queste appariscenti appendici, che misurano lungo la curva sino a sessantacinque centimetri, è segnata da strisce trasversali. La crescita delle corna è, a volte, molto irregolare: anziché descrivere un arco divergendo notevolmente l'una dall'altra, finiscono col portarsi con la punta a contatto della cervice.
Per i Mufloni l'epoca degli amori decorre da ottobre a dicembre. In questi mesi i maschi, di solito timidi e pacifici, diventano irascibili e combattivi e lottano accanitamente fra loro, a colpi di corna, per la conquista delle femmine. Al termine di cinque mesi circa, la femmina partorisce uno o due piccoli che iniziano subito l'allattamento e che, dopo solo due o tre giorni, sono in grado di seguire la madre nei suoi spostamenti. Il Muflone può accoppiarsi anche con le pecore domestiche, producendo ibridi sempre fecondi il cui aspetto, fatta eccezione per le corna, è essenzialmente quello materno. I Mufloni vengono uccisi da tutte le popolazioni indigene che ne usano ogni sua parte: carne, corna, pelliccia.
 

STAMBECCO

Torniamo sul versante est della valle del Nilo, del Canale di Suez e del vicino Mar Rosso. Il Sinai non è lontano e ciò ha contribuito a dare il nome latino a questa capra selvatica, della quale esiste una corrispondente identica, lo Stambecco o Ibex d'Abissinia, dall'altra parte di questo stesso versante. In ambedue i casi si tratta di un animale raro e misterioso, molto poco conosciuto e pressoché irraggiungibile sulle sue montagne desertiche, rocciose ed aride, il che è molto utile per la sua salvaguardia.

 

STAMBECCO NUBIANO (Capra nubiana sinaitica)

Questo Stambecco, come tutte le altre capre selvatiche, ha partecipato alla lenta elaborazione delle capre domestiche. Sono, forse, le sue discendenti dirette, addomesticate, che hanno contribuito alla scoperta del caffè e delle sue virtù. Pare infatti che i piccoli custodi delle capre arabe, avendo notato l'eccitazione del bestiame dopo aver mangiato i grani di particolari arbusti, abbiano avuto l'idea di assaggiarli a loro volta. Così, grazie ad alcune capre più o meno domestiche, venne scoperto il caffè. Ma torniamo al nostro Stambecco nubiano. E' un animale dal corpo piuttosto tozzo, alto alla spalla ottanta centimetri circa e lungo fino a metri 1,50 compreso la breve coda; può raggiungere dimensioni notevoli: si parla di esemplari che abbiano raggiunto il peso di settanta-ottanta e persino cento chilogrammi. Questo bovide, comune alle zone ad est ed ovest della valle del Nilo fino al '700, nei secoli successivi diventò molto meno frequente in conseguenza della caccia indiscriminata. Il mantello, che si infittisce nella stagione invernale per proteggerlo dalle intemperie a cui è esposto, normalmente è di un colore grigio rossastro con pelo non molto lungo ed in alcuni casi ha sfumature più cupe col pelo lucido e fitto. Le corna straordinariamente grandi, sono curve all'indietro, anellate e taglienti ai margini inferiori. Ha gli occhi con la pupilla a taglio orizzontale, un muso sfilato e una barba fitta al mento, particolarmente sviluppata nei maschi.
Sono questi i caratteri caprini classici, che si ritrovano marcatamente più accentuati nello stambecco nubiano, conosciuto altresì col nome di capra nubiana sinaitica. Specificazioni del nome che come abbiamo detto derivano dal fatto che ritroviamo questo animale nella zona del Nubia, in Egitto e nella zona del Sinai, rispettivamente ad ovest e ad est della valle del Nilo. Gli stambecchi vivono in piccoli gruppi, nella zona più alta della montagna. Durante il giorno gli animali restano per molto tempo immobili sulle rocce, quasi a scrutare le zone verso le quali dirigersi a pascolare; verso il tramonto scendono in cerca di tratti erbosi. Nonostante la loro corporatura piuttosto tozza, sono di una sorprendente agilità sia nel lanciarsi, quasi a volo, verso il basso, sia nell'arrampicarsi sulle rocce più impervie. E' un animale piutstatore, poiché bruca le foglie, i rami, la corteccia e persino le dei rari alberi che incontra nel suo cammino, e strappa anziché mordere, l'erba.
Anche questi sono caratteri prettamente caprini e non sono un bene per il deserto poiché ben poco rimane dietro le capre, quando esse sono numerose. Come per tutti i bovidi della famiglia degli stambecchi, anche lo stambecco nubiano si incrocia con la femmina nei periodi invernali e dopo una gestazione di circa 5 mesi, verso maggio le femmine partoriscono uno o, più di rado, due piccoli, che allattano per pochi giorni prima che i nascituri siano in grado di seguire la madre nei suoi spostamenti. Specie simili e con abitudini analoghe sono lo stambecco delle nostre Alpi e lo stambecco dei Pirenei; differiscono dallo stambecco nubiano soprattutto nelle corna con curvatura diversa e meno accentuata.
Penetrando poi nel cuore della vecchia Asia troveremo altri Ibex, altri stambecchi; stambecchi con corna altrettanto belle e imponenti, altrettanto barbuti, altrettanto buoni arrampicatori e saltatori, altrettanto parenti prossimi alle nostre capre domestiche. Essi non si incrociano e conservano la loro caratteristica, poiché questa, fortunatamente, è una regola di natura. Senza di essa, infatti, dove sarebbe questa meravigliosa disparità del mondo animale?

 

STAMBECCO SIBERIANO (Capra sibirica)

Lo Stambecco siberiano, ascritto alla famiglia dei bovidi, vive e si trova nella parte settentrionale del continente asiatico, localizzata per maggior esattezza all'Altopiano Centrale Siberiano. Molto resistente al freddo ed abilissimo ad inerpicarsi sulle rocce, questo caprino, alto alla spalla circa ottanta centimetri e lungo fino ad un metro e cinquantacinque centimetri, compresa la breve coda, nonostante il suo ambiente sia l'alta montagna evita di frequentare i boschi, preferendo le zone rocciose scoperte. Di corporatura massiccia e pesante, è ricoperto da pelame fitto ed ispido di colore bruno rossastro con variazioni fino al grigiastro chiaro. Ha le corna imponenti che raggiungono la lunghezza di un metro ed oltre ed un peso di cinque-sei chilogrammi, anellate intensamente alla base, più rade all'estremità.
Dagli anelli delle sue corna si può contare il numero di anni che ha vissuto e pare sia di una longevità notevole, forse il più longevo dei caprini asiatici. D'estate si nutre delle piante che trova fra i dirupi e dell'erba degli alti pascoli; d'inverno si accontenta di qualunque vegetale: cortecce, licheni e muschi. Dopo una gestazione di cinque mesi, le femmine partoriscono uno o, più di rado, due piccoli.
Sebbene molto combattivo e forte, specie nel periodo degli amori, dove può evita la lotta interspecifica e preferisce allontanarsi perché la sua difesa, costituita dalle corna, è di scarsa utilità a causa della sagomatura stessa di queste, fortemente ricurve verso il dorso e le zampe anteriori. E' comunque un esemplare raro e di notevole interesse. Fortemente protetto da severe disposizioni che nell'Unione Sovietica vigono per questi animali, si spera che il parco faunistico della sua specie possa ripopolarsi sempre più per non interrompere, almeno nelle estese zone interne della nostra terra, quell'equilibrio sempre esistito tra flora e fauna.
 

VOLPE

Esiste un elenco molto lungo di piccoli carnivori selvatici, simili al cane ma non paragonabili né a questo né al lupo, e che si indicano col termine generico di Volpe. Ve ne sono di grandi e di minuscoli, alcuni hanno il pelo corto, altri lungo, a volte prezioso, sovente non bello e si trovano da un capo all'altro del mondo, tranne che in Australia e sul continente antartico.
Le Volpi sono ancora abbondanti e tengono un buon posto nel folclore di questi continenti. Non dobbiamo dimenticare, noi europei, che una parte del nostro folclore animale l'abbiamo ereditato dai vecchi narratori asiatici e soprattutto indiani. Sono gli indiani che ci hanno raccontato come la volpe ingannasse le galline, contorcendosi sotto il loro sguardo, come catturasse il corvo facendo il morto davanti a lui e come si sbarazzasse delle pulci entrando in acqua all'indietro, con un ciuffo di lana di montone tra i denti... In seguito la tradizione orale e, da parte loro, Esopo, poi La Fontaine e parecchi altri, hanno raccolto e sparso queste leggende che spesso tali non erano, ma rappresentavano la pura verità.

 

VOLPE CORSAK (Vulpes Corsac)

La Volpe corsak vive nell'Asia centrale, Siberia compresa. La sua pelliccia, molto morbida e folta, è di color giallo chiaro, col ventre bianchissimo e la punta della coda color fumo. Il suo «abito» è adatto agli inverni molto innevati e le sue abitudini sono quelle di tutte le altri volpi, sia per quel che riguarda la riproduzione che la nutrizione.

 

VOLPE GRIGIO FERRO TIBETANA (Vulpes ferrilata)

Eccovi una bella Volpe asiatica tra le molte altre, poiché la natura ha creato un gran numero di varietà di volpi, da un capo all'altro del mondo, dotandole tutte dello stesso sguardo furbo, delle stesse grandi orecchie aguzze, della stessa coda folta a scovolino, segnata di nero o di bianco (come in questo caso) all'estremità. Le ha dotate anche della stessa sagacità, della stessa astuzia e delle stesse attitudini a cacciare la loro selvaggina, qualunque essa sia, compresi gli animali domestici allevati dall'uomo, di modo che, ovunque ci siano volpi, ci sono anche uomini per augurare loro mille morti, per cacciarle, per prenderle con la tagliola o per allevarle.
La Volpe grigio-ferro non è che un tipo tra tanti altri e si caratterizza, come ben si può immaginare, per il colore del suo pelo. Essa è di dimensioni medie e vive più volentieri in montagna che in pianura. Non è un animale particolarmente caratteristico, ma è bene notare l'onnipresenza della specie volpe da un capo all'altro del mondo. Non dimentichiamo assolutamente che se la volpe è, a volte, un vicino ingombrante, essa recita un ruolo importante nell'equilibrio della natura, poiché fa sparire tanto una grande quantità di roditori, quanto la maggior parte degli animali morti o feriti, che rischierebbero di propagare epizootie, imputridendo sul posto...

 

VOLPE ROSSA (Vulpes vulpes)

La Volpe rossa asiatica è del tutto simile a quella che noi conosciamo in Europa. Si può soltanto notare che la sua pelliccia è tanto meno folta e bella a mano a mano che vive in paesi più caldi, come l'India, ad esempio, dove essa è veramente di colore rosso con la punta della coda e la parte inferiore, fino al naso, di un bianco più o meno puro.
La Volpe è uno dei carnivori che ha fatto parlare molto di sé, facendo lavorare, a torto o a ragione, la fantasia degli uomini; come la tigre è stata considerata l'incarnazione della ferocia e della crudeltà, così la Volpe è stata ritenuta l'incarnazione dell'astuzia e della malignità. In realtà questo animale non è poi così furbo come si crede, almeno non lo è più di tanti altri carnivori, né è tanto nocivo come da molti viene considerato. Le Volpi abitano qualsiasi tipo di ambiente: pianure e montagne, zone ricche di vegetazione e zone pressoché brulle, ambienti molto popolati ed ambienti quasi privi di popolazione; il loro ambiente preferito, però, è quello in cui si alternano alberi a cespugli e dove gli animali di piccola taglia, specie roditori ed uccelli, abbondano. La Volpe abita in tane molto lunghe e profonde, scavate alla base di alberi o sotto i cespugli, dove, insomma, non sia facile scovarla; a volte approfitta anche di tane già scavate da altri animali, che si limita ad adattare. Per riuscire ad individuare una di queste tane, occorre una lunghissima ed accuratissima ricerca. Normalmente la Volpe si muove al crepuscolo, rimanendo, durante il giorno, nella tana a sonnecchiare; solo durante l'inverno, quando le prede diventano scarse, è facile che si muova alla ricerca di cibo anche in pieno giorno. Il suo cibo, di preferenza, è costituito da roditori di taglia media, ma, in mancanza di questi, si accontenta anche di topi e di uccelli, specie quelli che nidificano sul terreno come, ad esempio, le pernici. La Volpe si sa arrampicare facilmente sugli alberi ed è di una grande astuzia nell'avvicinarsi alle sue vittime senza farsi sentire; non ha paura dell'acqua, per cui riesce spesso ad afferrare grossi uccelli come anatre, oche, ecc...; a volte riesce anche a catturare i pesci facendo saltare sul terreno, con abile colpo di zampa, quelli che salgono in superficie. Quando non trova altro alimento, questo animale si nutre di insetti di ogni tipo, ed, al nutrimento animale, alterna anche quello vegetale specie se si tratta di frutta molto matura e dolce. E', quindi, un animale decisamente onnivoro. Anche le Volpi, se catturate molto giovani, possono vivere in cattività e si affezionano persino al loro padrone.

 

VOLPE DEL BENGALA (Vulpes bengalensis)

La Volpe indiana, o Volpe del Bengala, è una piccola varietà del genere Vulpes, molto sparso nella penisola.
 

ZIBELLINO (Martes zibellina)

Passiamo ora ad uno dei più preziosi animali da pelliccia che esistano al mondo: il famoso Zibellino che abita l'Europa orientale e l'Asia, fino alla sua estremità est. Non è che una martora, certo, ma con una pelliccia talmente sontuosa da valere circa il suo peso in oro. A suo agio sia sugli alberi che sul terreno, lo Zibellino dà la caccia agli uccelli e soprattutto agli scoiattoli che sono la sua preda preferita. Per molto tempo, e certamente anche oggi, le autorità russe hanno vietato l'esportazione di questi animali vivi, per mantenere il privilegio di allevare un animale così prezioso, che mal sopporta la vita in cattività e che è divenuto piuttosto raro a causa delle cacce date loro con ogni mezzo.
 

LINCE DEL CAUCASO (Lynx lynx)

Per quel che riguarda la Lince del Caucaso, essa abita, come i due animali precedenti, le regioni fredde o temperate dell'Asia, il che le ha procurato una pelliccia particolarmente spessa che la ricopre caldamente. E' una varietà della Lince del nord, di cui si è parlato nelle opere precedenti: «Fauna d'America» e «Fauna d'Europa». Ha gli stessi occhi color dell'oro, gli stessi ciuffetti in cima alle orecchie. La stessa corta coda che finisce con un pennacchio nero e le stesse zampe ugualmente tozze. Soltanto il suo colore è molto più chiaro e molto meno macchiato...
Un'altra varietà di Lince del nord. che si trova nella Siberia asiatica, è la più grande di tutte: misura più di un metro di lunghezza senza la coda, ciò che ne fa una vera piccola pantera, in verità assai temibile. Tutte queste linci hanno un ruolo importante per l'equilibrio naturale, poiché eliminano i cervidi feriti, malati o deformi. A tal punto che in Slovenia sono state introdotte tra gli animali selvaggi per migliorare i Cervidi...
Da tempo i responsabili della caccia di questa regione della Cecoslovacchia avevano notato la degenerazione dei loro Cervi. Molto ben protetti, poco cacciati, con ben pochi nemici naturali (non più linci, non più lupi) i Cervi avevano preso un aspetto caratteristico di «estinzione della razza». Esisteva il rimedio a questo male: trovare loro un nemico. Fu comprata, là dove ancora ve ne erano, qualche coppia di linci che vennero messe in libertà. Il risultato non si fece attendere. Le linci avevano a loro disposizione cacciagione in quantità, ma, con la poltronaggine che sovente caratterizza i predatori, esse preferivano attaccare gli animali che potevano essere catturati con meno fatica. Fu così che tutti i cerbiatti mal nati, i malati, i poco veloci caddero nelle grinfie delle bestie dalla coda corta. I più belli restarono soli.
 

CERVO

Nel vasto gruppo di animali comunemente designati col nome di Cervi elafi (e ne esistono ancora altri) si conta un certo numero di razze locali, dalle Isole Britanniche e l'Africa del nord fino a settentrione del massiccio dell'Himalaya.
Cambiano leggermente le dimensioni, il colore e la bellezza delle corna che tutti i maschi portano durante una parte dell'anno e che si riformano ogni estate più grandi. Andando verso est questi Cervi aumentano sempre più di dimensioni, fino a raggiungere quella straordinaria della varietà del nord-est siberiano e del Canada, con il Wapiti. Ma, prima di arrivare a questo, noteremo la presenza, in Europa ed Asia, di razze locali menzionate altrove: l'Hangul del Cachemire, il Cervo Shou del Tibet e il Maral. Quest'ultimo abita essenzialmente le regioni che circondano il Mar Caspio.
Avremo detto tutto di lui se aggiungiamo che è più grande, più pesante e con una testa più allungata rispetto al Cervo d'Europa. E' fornito di corna bellissime che possono raggiungere e superare il metro di lunghezza. In inverno, il suo colore è grigio ardesia, mentre in estate è rosso bruno.

 

CERVO NOBILE (Cervus elaphus maral)

Il Cervo nobile ha i sensi molto sviluppati: la vista è acutissima, l'olfatto tanto forte da riuscire a sentire la presenza di un nemico a centinaia di passi di distanza, l'udito gli permette di avvertire da distanze notevoli anche il minimo rumore. L'alimentazione è diversa a seconda delle stagioni: in estate i cervi mangiano erbe e fronde di alberi, in autunno vanno in cerca di ghiande, durante il periodo freddo si contentano di muschi, licheni e scorze di alberi. Il loro ambiente preferito è quello delle foreste montane, ma si adattano anche ai boschi delle pianure e preferiscono i luoghi ricchi di ruscelli, torrenti o altri corsi d'acqua.

 

CERVO DAL CIUFFO (Elaphodus cephalophus)

Tra le numerose varietà di cervi esistenti al mondo si contano anche i Cervuli e i Muntiak, diffusi in buon numero nell'Asia sudorientale dall'isola di Giava, a sud, fino alla parte meridionale della Cina, attraverso anche alcune regioni delle Indie. I Cervuli sono animali non molto grossi, hanno un pelo rasato, dal colore variabile a seconda della specie cui appartengono e generalmente hanno una coda corta, ma non è così per il Cervo dal ciuffo. Queste però non sono le loro sole caratteristiche: essi hanno il posteriore più alto della parte anteriore, come i Guibs africani, i maschi hanno dei canini ricurvi, molto lunghi, che passano sui due lati del muso, come per il Mosco; infine i maschi hanno in testa delle corna molto corte, che sporgono da due «spunzoni» decisamente inclinati all'indietro: queste sporgenze sono ossa ricoperte da pelo e sono ridotte ad una cresta ossea che l'animale porta al centro della fronte; è proprio il ciuffo di lunghi peli neri posto proprio tra le due sporgenze che dà il nome all'animale.
I Cervuli e questo piccolo Cervo dal ciuffo sono animali paurosi, timidi, discreti, che vivono nelle foreste fitte ed umide e che non amano uscirne. Si rifugiano sempre nelle parti più folte della foresta per recarsi nelle radure, dove il cibo è più abbordante. Le popolazioni indigene praticano molto la caccia a questi animali, sia per la carne che è da loro molto apprezzata, sia come puro e semplice sport. Per praticare questa caccia usano cani particolarmente addestrati che riescono a stanare i cervuli i quali, spaventati a morte, dimenticano la loro timidezza e cercano di servirsi delle corna e dei denti per tenere a bada i loro assalitori. Questi piccoli abitatori delle foreste non sopportano la vita in cattività, se non a condizione di avere un vasto ambiente a loro disposizione, per sfogare il bisogno di moto, ed un cibo molto abbondante ed adatto alle loro necessità.
All'approssimarsi della stagione fredda, i maschi, che vivono di solito in piccoli gruppi, si ritrovano puntualmente per andare alla ricerca delle femmine e danno luogo a vivacissimi combattimenti a colpi di denti e di corna, che spesso lasciano vistose lacerazioni. Durante questo periodo si odono frequenti i loro richiami che, simili a rochi e lugubri abbaiamenti emessi ad intervalli regolari, hanno fruttato a questi animali la denominazione di «Cervi abbaiatori».
Entrati in contatto con le compagne, vivono in coppia durante i mesi invernali abbandonandole poi fra maggio e giugno, epoca in cui perdono le corna che rispunteranno in estate. Le femmine, più buffe dei maschi a causa del loro ciuffo ancora più evidente, seguono con amorosa cura i piccoli che nascono in estate, piccoli che nei primi tempi sono ricoperti da un delicato mantello bianco macchiato. Verso febbraio, dopo la prima muta, assumono il normale mantello degli adulti e poi, pian piano, tutte le caratteristiche di questi.
Alcuni Cervuli sono appena conosciuti, appena «nominati e classificati» e, anche in questo campo, avremo un giorno qualcosa di nuovo da imparare, se qualche esploratore si accanirà a cercare questi animali e ad osservarli nelle loro manifestazioni di vita. Per questi bizzarri, piccoli animali i luoghi in cui vivono, la giungla di Giava, quella della Malesia e anche quella dell'India, costituiscono una frontiera impenetrabile, più che se fossero custoditi gelosamente in un giardino zoologico. Sovente ci si è posti una domanda: a cosa servono i grandi canini di questi cervuli così timidi, così inoffensivi? Una volta di più, come sempre quando si tratta di questo genere di domande, si è cercato di rispondere, ma senza riuscirvi. Potrebbe, per esempio, trattarsi di un carattere sessuale secondario, caratteristico dei maschi di numerose specie, carattere come potrebbero essere la barba od i baffi di un uomo, la criniera di un leone o la cresta di un gallo. Forse le femmine dei Cervuli si lasciano sedurre più volentieri da un maschio con due bei canini, che da un rivale che non possiede questo attributo. Un'altra supposizione è che i Cervuli maschi usino i loro canini per catturare più facilmente le femmine del loro harem... La domanda resta senza una risposta precisa, e probabilmente non ve n'è alcuna.

 

CERVO POMELLATO (Cervus axis)

Il Cervo pomellato è un animale molto conosciuto nel sud-est asiatico. Una varietà vive nelle Indie, è di dimensioni medie e non si distingue per delle corna particolarmente notevoli. La seconda, un po' più piccola, vive in tutta l'antica Indocina, dall'Assam alla Birmania, e non è molto più cornificata della prima. Entrambe sono macchiettate con numerosi segni bianchi: la specie dell'India su fondo brunastro chiaro d'estate, più scuro d'inverno. Questi animali sono tra le prede preferite dai carnivori di queste regioni, cioè essenzialmente dalla tigre e dalla pantera, qualche volta anche dai lupi e dai Cuon. Ben inteso, questi poveri erbivori che sono i Cervi pomellati non hanno alcun modo per disfarsi dei loro attaccanti o dei loro inseguitori, malgrado le loro dimensioni e le punte delle loro ramificazioni. D'altronde essi lo sanno e quando fuggono è per andare incontro a un destino di morte con una rassegnazione che non cessa di stupire coloro che ne sono i rari testimoni. I Cervi pomellati restano tuttavia assai numerosi, nel sud-est asiatico, ed è possibile vederne in numerosi giardini zoologici del mondo intero, dove il pubblico li confonde regolarmente, a causa della loro macchiettatura, con i daini. Non c'è che da dare un'occhiata alle loro corna per vedere che non sono appiattite in spatole biforcate alla loro estremità, come è il caso per tutti i daini esistenti da un capo all'altro del mondo.

 

CERVO PORCINO (Cervus porcinus)

Abbiamo precedentemente parlato del Cervo pomellato, dicendo che ne esistono due varietà, la seconda più piccola della prima. Eccovi ora questo secondo Cervo pomellato, più volgarmente soprannominato Cervo porcino. Esso vive nell'India del nord, in Indocina, nell'Assam, in Birmania e nei paesi circostanti. E' alto, alla spalla, una sessantina di centimetri e misura poco più di un metro di lunghezza. Il mantello, di peli ruvidi, è di color bruno rossastro o bruno giallastro, più chiaro nella parte inferiore; anche questo animale è macchiato di bianco, ma solamente nella stagione estiva. Le sue corna mancano di bellezza: difficilmente oltrepassano i trenta centimetri di lunghezza e presentano tre sole ramificazioni, la prima delle quali molto vicina alla base. Non costituiscono certamente un trofeo del quale un cacciatore possa inorgoglirsi. Il Cervo porcino è, dunque, un animale ricercato unicamente per la sua carne, sia dall'uomo che dai grandi carnivori presenti nelle regioni in cui vive, e cioè la tigre, la pantera, il lupo, il cuon alpino. E' un po' troppo voluminoso per i grandi pitoni asiatici, tranne quando si tratta di giovani cerbiatti, ma può essere la preda di coccodrilli, se non del gaviale indiano, molto più amatore di pesci che di qualsiasi altro cibo.
Ma queste sono questioni che solleveremo più avanti... Tutto ciò che abbiamo detto, comunque, permette al Cervo porcino di mantenersi agevolmente tra la fauna asiatica. Occorre osservare che questo piccolo Cervo, conosciuto anche sotto il nome di lelafo, è molto poco socievole e non lo si incontra mai a più di due o tre individui assieme. Vive di preferenza in zone in cui crescono erbe altissime e dove l'acqua è abbondante. Malgrado il suo corpo pesante è molto rapido nella corsa e si sa difendere con molto coraggio contro tutti i suoi nemici.

 

WAPITI DELL'ALTAI (Cervus canadensis bai xalensis)

Le montagne dell'Altai hanno un clima molto simile a quello del Canada, dall'altra parte dello stretto di Bering. Il popolamento di queste due regioni, per quel che riguarda gli animali selvatici, non è certo identico, ma alcune specie hanno dei rappresentanti che si somigliano molto. Ed uno dei rappresentanti che più evidentemente lo dimostrano è proprio questo Cervo wapiti, superbamente grande, alto quanto il suo cugino d'America, ma che da questo si differenzia perché un poco più slanciato e con corna altrettanto grandi, ma anch'esse un poco più sottili. Questo animale presenta sette ramificazioni da ogni parte della testa, il che sarebbe già eccezionale se si trattasse di un Cervo dell'Europa occidentale, ma non è affatto straordinario in Asia o nell'America del nord. All'inizio della primavera questi animali perdono il loro bellissimo ornamento e le nuove corna che, durante il periodo della muta sono ricoperte di una pelle che sembra un morbido velluto, terminano la loro ricrescita solo verso la fine del mese di agosto. Gli Wapiti si riconoscono anche per la folta pelliccia che, in inverno, ricopre il loro collo. Una cosa da notare particolarmente è l'orientamento delle orecchie del Cervo. Come tanti altri animali selvatici o domestici, egli orienta questi veri e propri cornetti acustici in tutte le direzioni, ciò gli permette di captare con precisione tutti i rumori che lo circondano. Questo è un grande vantaggio per l'animale, poiché l'unica difesa che può opporre ad un nemico più forte di lui consiste in uno scatto immediato seguito da una precipitosa fuga. Occorre quindi che esso senta subito, prima di tutti, il pericolo che sta per minacciarlo. E, contrariamente a quello che scriveva il buon favolista LA FONTAINE in «Il cervo ed il cavallo», il primo non è assolutamente ostacolato nella sua fuga dalle dimensioni delle sue corna. Il Cervo, durante la corsa, le sdraia sul collo e non corre alcun rischio di ingarbugliarle nei rami degli alberi. La vista degli animali selvatici, in particolare quella dei mammiferi, e dunque quella dei cervi, è loro di minor aiuto dello udito e dell'odorato. La prova è facile da fare: basta appostarsi in una foresta, in piedi, appoggiati ad un albero controvento ed attendere. Se in quella foresta vi sono cervi e caprioli, e se si è un poco fortunati, si finirà col vedere uno di questi animali giungere nelle vicinanze. Bisogna allora rimanere immobili e non fare alcun rumore. Il vento, che soffia in senso contrario, non può portare il nostro odore alle narici dell'animale che noi vediamo. Ma, se non si fa alcun movimento, esso non ci vede o, se ci vede, non capisce di cosa si tratti. Ma al minimo movimento, al primo rumore percepito dall'animale, esso fugge. Se si tratti veramente di mancanza di precisione nella vista, o se si tratti di curiosità è una domanda senza risposta, ma la maggior parte degli specialisti, dei cacciatori, dei fotografi di animali, pensano che effettivamente la loro vista non sia così buona come il loro olfatto o il loro udito...
E' l'esemplare più imponente della famiglia dei cervidi. Il suo corpo, ben proporzionato, ad età adulta, raggiunge le dimensioni di un cavallo. Poggia su arti robusti, ma sottili, che terminano con due zoccoli e con due unghioni rudimentali, utili ad arrampicarsi nei terreni rocciosi e accidentati del complesso sistema montuoso dell'Asia centrale, nel quale vive e dal quale prende il nome. Lo troviamo nella Siberia meridionale e nella Mongolia nord-occidentale, fino in Cina; proprio nelle numerose catene comprese nel sistema montuoso anzidetto. Le corna, presenti soltanto nel maschio, sono piene: per questo carattere, comune anche agli altri animali della stessa famiglia, i cervidi sono detti pure plenicorni.
Le corna spuntano a sei o sette mesi d'età e sono costituite da un'asta centrale con più pugnali laterali; per questo sono dette corna a palchi forcuti o ramosi. Sotto gli occhi si apre un lacrimatoio, che nel maschio secerne un liquido untuoso e odoroso. Come tutti i cervidi, il Cervo dell'Altai è uno dei bocconi preferiti dalla regina della giungla, la tigre, e dal leopardo asiatico meglio detto pantera.
Contro la tigre il cervo è impotente, viene sopraffatto sia per l'azione fulminea di questo temibilissimo felino, sia per la forza e l'irruenza con la quale viene aggredito. Il grande vantaggio dei cervi, ed in particolare del cervo dell'Altai, è la prudenza che l'accompagna nel continuo vagare. Al minimo rumore quasi impercettibile per molti animali, il cervo si ferma di colpo, resta immobile per molto tempo, a volte per lunghi minuti, nel silenzio più profondo per percepire qualunque movimento ed all'istante, quando occorre, trasforma la sua immobilità in un brusco balzo e poi in una fuga disperata. Se ha percepito bene e in tempo riesce a fuggire e sottrarsi all'agguato delle temibili tigri e pantere; molte volte, purtroppo, il disgraziato animale viene aggredito senza possibilità di salvezza.
Dal sorgere del sole fino al tramonto questi animali si danno da fare per ricercare il cibo, durante la notte riposano al riparo dei cespugli. Il loro nutrimento consiste, come per gli altri animali della stessa specie, in erbe, fronde, germogli nella buona stagione; in inverno ripiegano su muschi, licheni, scorze d'albero ed ogni altro vegetale che riescono a trovare. Sono animali di grandissimo appetito per cui devono, nella brutta stagione, accontentarsi di quello che trovano per riuscire a saziarsi. Come i cervi di tutte le altre parti del mondo, anche i cervi dell'Altai sono perennemente minacciati dai cacciatori. Si può forse dire che lo sono un po' meno per il fatto che, in URSS, le leggi proibizionistiche sono applicate molto severamente; ma, per contro, la minaccia aumenta per il fatto che l'industria farmaceutica asiatica fa grande uso delle corna vellutate dei cervidi, cioè delle corna ancora ricoperte da quella spessa pelle vellutata che rispunta tutti gli anni, al tempo della muta.

Abbiamo visto precedentemente un cervulo, o cervo dal ciuffo, con i suoi canini curvi che escono dalla sua mascella superiore, da ambo i lati del muso. Ecco ora altri tre animali simili ai cervuli, caratterizzati anch'essi da lunghi canini ben visibili.
Vedremo che si tratta di animali piccoli e del tutto singolari, particolarmente appassionanti da studiare.

 

MOSCO MOSCHIFERO (Moschus moschiferus) - ELAFODO DI MITCHIE (Elaphodus michianus)

Per tornare ai nostri Cervi nani, ecco innanzi tutto il famoso Mosco. Esso non ha né corna, né coda. E' ricoperto da una spessa pelliccia grigio bruna, macchiata di chiaro, ed abita tra le alture di tutta l'Asia orientale, diventando, però sempre più raro. Il Mosco abita le zone di montagna, sino a duemila metri. E' un animale piuttosto timido che vive solo o in compagnia di una femmina; durante il giorno se ne sta per lungo tempo immobile sulle rocce o tra i cespugli, di notte, invece, si sposta alla ricerca del cibo che consiste in piante aromatiche, durante l'estate, muschi e licheni, nella stagione invernale. La sua agilità è simile a quella delle capre: balza di roccia in roccia, corre sui pendii scoscesi senza la minima esitazione, procede velocemente su neve e ghiaccio senza né affondare, né scivolare. E', insomma, un tipico abitatore delle montagne. Dalla Corea, a nord, fino al Tibet, a sud-est, esso scappa, tozzo e rapido, ogni volta che sente la presenza del suo irriducibile nemico: l'uomo. Ci si può chiedere perché l'uomo lo cacci così accanitamente. La sua carne è dura, immangiabile e puzza di muschio. Ed ecco la sua disgrazia. In una piega della pelle del ventre, questa strana bestiola nasconde la sacca del muschio, a forma di pera e grossa come il pugno di un uomo. Questa materia è tra le sostanze animali più ricercate che esistano al mondo. Il muschio, come lo zibetto (prodotto dall'animale che ha questo stesso nome) e come l'ambra grigia (prodotta dalla digestione dei calamari mangiati dai capodoglio), costituisce un fissatore notevole per i profumi. Ancora nessuna formula sintetica è riuscita a sostituirli perfettamente. E' per questo che gli zibetti vengono allevati con tanta cura da specialisti etiopi che li catturano ancora giovani e, per una dozzina d'anni, raccolgono il loro prodotto che si forma in una ghiandola situata vicino all'ano. Ed è per questo che anche l'ambra grigia è così ricercata, sia quando viene rigettata sulla riva, sia ancora nelle interiora del capodoglio arpionato da poco. Ed è per questo, infine, che, da un capo all'altro dell'Asia, il Musco viene braccato con un ardore inconcepibile da tanti miserabili cacciatori che hanno sempre la sicurezza di una buona vendita della famosa sacca piena di muschio.
Che poi non è così cara!... Solo più tardi, dopo il passaggio dalle mani di tre o quattro intermediari, ci si avvicinerà ai prezzi praticati in Europa dai grandi profumieri. Purtroppo il Mosco non è stato quasi mai addomesticato, a parte il caso specifico di qualche animale che è servito da mascotte a reggimenti indiani o di qualche altro custodito nei giardini zoologici. I Moschi selvatici di tutta l'Asia, come pure i loro cugini prossimi, gli Elafodi, sono abominevolmente braccati. Malgrado la loro vivacità, la loro andatura da capre sulle rocce e i detriti, essi non riescono sempre a mettere una sufficiente distanza tra loro ed il fucile appostato o la trappola pronta a scattare. E la specie è in gran pericolo di sparire, dopo essere stata per lungo tempo abbondantissima in mezza Asia; in epoche in cui il Mosco aveva già un posto importante tra i prodotti più ricercati del mondo... Ma l'appetito dei tempi moderni è senza limiti. Occorre, quindi provvedere sempre più e sempre più in fretta. La natura non può tenere questo ritmo; essa si assottiglia sempre più ed anche i Moschi spariranno...

 

IDROPOTE (Hydropotes inermis)

Se esistono nell'America del sud dei minuscoli cervidi chiamati Pudu, della grandezza di un fox-terrier, occorre notare che gli Idropoti di Corea e della Cina non sono molto più grandi: sono alti una cinquantina di centimetri alla spalla, hanno il corpo molto snello, coda cortissima, testa piccola con orecchie piuttosto sviluppate ed appuntite. Non hanno corna, ma, come gli animali di cui abbiamo parlato precedentemente, possiedono lunghi canini sulla mascella. Sono graziose e gr che durante l'inverno è scurissimo, ment bella stagione è di n marrone giallastro tendente al bianco sotto il ventre. Gli Idropoti sono animali molto timidi e paurosi; vivono a coppie nelle zone ricche d'acqua e da questo ha origine il loro nome che deriva dal greco e significa esattamente: «bevitore d'acqua». Se ne stanno nascosti tra le alte erbe delle zone acquitrinose e non è facile scovarli; se visti, ancor meno facile è catturarli o ucciderli poiché, al minimo pericolo, fuggono velocemente, a grandi balzi, nascondendosi abilissimamente nel fitto della vegetazione. Cosa eccezionale tra i Cervidi, anziché uno o al massimo due piccoli, le femmine mettono al mondo anche sei o sette cuccioli alla volta.

Parlando di Traguli e Cervuli, abbiamo già notato che si tratta di animali assai poco conosciuti, simili di volta in volta ai cervidi od ai camelidi, sovente dotati di canini appuntiti e che a volte superano anche le labbra, posti sulla mascella superiore, dotati o meno di corna. Queste corna, anche quando esistono, sono molto piccole, senza ramificazioni secondarie o con una sola, minima, avvolta alla base da una lunga protuberanza ossea ricoperta da una pelle vellutata. Li si incontra raramente, poiché non vi sono animali selvatici più discreti, nelle regioni più impenetrabili dell'Asia di sud-est, dall'India all'isola di Giava dove vive, solitario, il minuscolo Tragulo pigmeo, senza dimenticare il bianco canino che si vede a lato del muso. A cosa servono queste strane difese presenti anche nei caprioli e nei moschi?
Senza dubbio non bisogna vedervi solo uno degli innumerevoli caratteri sessuali secondari, di cui i maschi di tante specie sono «ornati» per meglio sedurre le loro femmine, quali le corna dei cervidi, la criniera dei leoni, le zanne dei trichechi e... la barba degli uomini. I Tragulidi non hanno abitudini carnivore, sebbene alcuni caprioli acquatici africani abbiano la reputazione di mangiare, all'occasione, dei pesci che catturano quando piove sulla superficie dei fiumi che frequentano.
Dunque occorre, forse, vedere in questi lunghi canini un'arma di attacco e di difesa per i combattimenti che i maschi di questa specie fanno tra di loro per costituire il loro harem. In verità le loro abitudini sono ancora troppo segrete perché noi possiamo farci un'idea molto precisa al riguardo. Troppo pochi zoologi hanno cercato di andare a vivere in prossimità di questi animali fugaci e timidi. Quanto ai cacciatori, ammettendo che alcuni indigeni si siano specializzati nel tiro a questa selvaggina, essi non vedono l'animale che per lo spazio di una frazione di secondo, oppure morto. Non sono, quindi, certamente loro che possono portare dei chiarimenti sulle abitudini dei cervuli, dei Traguli, dei caprioli e degli altri moschi. Tuttavia noi sappiamo che alcuni di questi animali, dei Muntjak sembra, siano stati addomesticati e tenuti come mascotte da alcuni reggimenti inglesi di formazione indù e che alcuni di loro si sarebbero rifugiati in Francia in occasione dello sbarco alleato del 1940. Essi non hanno fatto razza, ma hanno causato lo stupore di qualche rarissimo cacciatore che ha avuto l'occasione di uccidere uno di questi straordinari «caprioli» dalle corna bizzarre e dalle zanne di lupo. Di che alimentare la conversazione per qualche anno nei caffè di periferia...
Questo genere di acclimatazione è generalmente pericolosa. Animali venuti dal capo del mondo trovano nella loro novella patria gli elementi che permettono loro di aumentare di numero costituendo così una minaccia per la fauna locale od anche per la vicinanza umana. Questo fu ii caso, in Europa. del topo muschiato, del pesce gatto, del pesce persico o «persico-sole», ecc... Altrove, della mangosta nelle Filippine, o della vipera trigonocefala portata dagli indiani dei Caraibi alla Martinica... Per fortuna i gentili Muntjak indiani abbandonati nel nord della Francia non hanno fatto del male ad alcuno, non hanno fatto razza e sono scomparsi nel giro di pochi anni, senza lasciare altre tracce che un ricordo difficile da ammettere. A dire il vero, la rude foresta delle Ardenne e l'ingrata Champagne poco fertile non dovevano certo avere attrattive per questi figli della giungla lussureggiante del sud-est asiatico. Se si fosse trattato di un serpente velenoso esotico o di un pesce carnivoro come il piranha dell'America del sud, la cosa sarebbe senz'altro stata meno piacevole. In generale le leggi europee, attualmente, impediscono l'acclimatazione senza autorizzazione di animali esotici compresi i pesci e gli insetti.

 

CERVULO MUNTJAK (Muntiacus muntjak)

Il cervulo Muntjak, detto anche cervo abbaiatore, appartiene alla sottofamiglia dei muntiacini. Vive soprattutto nelle fitte foreste delle isole della Sonda, dove per la grande capacità dell'animale di nascondersi e mimetizzarsi, anche ferito o morente, la caccia al cervulo è considerata un po' lo sport nazionale, tenendo anche presente la bontà delle sue carni.
Nei periodi invernali i cervuli maschi vengono presi dall'amore, diventano allora più vivaci, irrequieti e aggressivi, disposti a combattere fino allo stremo delle loro forze per il possesso delle cervule.
Per richiamare le femmine emettono sovente grida ripetute che servono anche di sfida ai compagni e che ricordano il latrato dei cani; ecco perché sono chiamati anche cervi abbaiatori. Al loro richiamo accorrono le femmine e quei maschi interessati al possesso delle stesse; viene ingaggiata una lotta stressante, alla fine della quale il vittorioso si unisce alla femmina contestata. Una volta che il cervulo si impossessa della femmina si apparta e mantiene lontano gli altri cervuli dalla sua femmina secernendo succhi di odore acre e schizzandoli contro le piante per delimitare la zona dove lui e la sua compagna trascorrono; mesi invernali. Al sopraggiungere della primavera la coppia si separa e riprendono entrambi la loro esistenza errabonda. Le corna del maschio si rinnovano e cadono in primavera per ricrescere successivamente, più forti e più ancorate, ma sempre delle stesse dimensioni.

 

TRAGULO PIGMEO (Tragulus javanicus)

Il Tragulo Pigmeo è un animale di dimensioni ridottissime; raggiunge la massima altezza a metà dorso essendo questo fortemente arcuato. Misura 20-22 centimetri in altezza. Le sue zampette terminano con zoccoletti minutissimi. Gli individui appartenenti a questa specie vivono per lo più a coppie e durante il giorno se ne stanno nascosti fra i cespugli a ruminare, mentre la sera vagano per la giungla alla ricerca di foglie e frutti, loro alimento abituale.
Come già si diceva vivono nella giungla e preferibilmente in vicinanza di acquitrini e zone umide. La loro velocità e scaltrezza, in zone così insidiose, ha suscitato fra i cacciatori malesi grande meraviglia e si dice che, vedendosi cacciati, questi piccoli animali selvatici usino alcuni trucchi per riuscire a salvarsi dall'aggressione che il cacciatore attua nei loro confronti.
Spesso si gettano a terra fingendosi morti e restando immobili per lunghi secondi; ma più facilmente cercano di mettersi al sicuro nella folta chioma degli alberi, aggrappandosi con i canini a un ramo e da questo ad uno più alto, fino a raggiungere il nascondiglio che ritengono più adatto per superare il pericolo in agguato. Come il tragulo meminna anche il pigmeo è privo di corna. E' più grazioso di questo, ha fattezze più proporzionate, occhio più vivo ed infine il suo manto è più adatto alle mimetizzazioni, per il colore che si avvicina ancora di più a quello dei terreni impervi della foresta. Vive e si riproduce anche in cattività diventando però più pigro, cercando solo di mangiare, ruminare e dormire.

 

CERVULO DI TERRASERINI (Cervulus feae)

Il cervulo di Terraserini, che trae il nome da quello del famoso zoologo che è riuscito a trovarne la sua specifica distinzione da tutti gli altri cervetti che sembrano pressoché uguali a lui all'occhio di un profano, ha caratteristiche, abitudini e costumi simili a quelli della famiglia dei cervuli, con alcune specifiche variazioni per quanto riguarda la sua impronta di animale selvatico: più aggressivo, più battagliero rispetto agli altri cervuli.
Vive ad altitudini piuttosto elevate, preferendo le zone coperte da alberatura. Come il cervetto abbaiatore, nei periodi di accoppiamento con la femmina lancia sfide ai compagni e per riuscire vittorioso è disposto a combattimenti tremendi, dai quali il più delle volte ne esce ferito in più parti del suo corpo agile e grazioso. Ancora una volta le diverse varietà animali, vicinissime fra di loro, ci danno modo di ammirare il migliore esemplare di questa famiglia.

GLI ESEMPLARI PIU' COMUNI
In precedenza abbiamo incontrato diversi tipi di cervidi, appartenenti a sottofamiglie con caratteristiche loro proprie; anche se talune sono comuni alla più generale famiglia dei cervidi. I tipi che ora presentiamo sono quelli più comuni; anche se forse meno diffusi, rappresentano meglio degli altri la famiglia della quale sono sottospecie. Possiamo così ammirare ancora una volta l'estrema varietà che la natura ci offre, in tutte le forme, nello stesso tempo vicinissime le une alle altre eppure nettamente differenti, e con cui essa presenta un animale che, per un profano, sembra sempre lo stesso. Tuttavia non è così e, una volta di più, si constaterà che queste varietà rifiutano di mischiarsi e restano pure fino al momento dell'estinzione.
Le caratteristiche comuni a questi cervi sono così raggruppabili: corpo ben proporzionato ed arti robusti ma sottili, terminanti con due zoccoli e con due unghioni rudimentali relativi alle dita laterali; testa a forma allungata e muso nudo; corna piene, presenti di solito soltanto nel maschio: per questo carattere i cervidi sono detti pure plenicorni. Un cenno particolare meritano questi corpi ossei che assumono aspetti particolari nei cervidi di cui discutiamo.
Le corna spuntano a 6-7 mesi d'età e sono costituite da un'asta o daga con uno, due o più pugnali.
L'accrescimento delle corna si attua per muta annuale.

 

CERVO DEL CACHEMIRE (Cervus elaphus hangul)

Il Cervo del Cachemire è un bell'animale che possiede due ramificazioni da combattimento (pugnali) alla base delle sue corna; queste sviluppate normalmente e di una bella ampiezza, costituiscono dei trofei abbastanza ambiti, ma non nel suo paese d'origine dove lo si bracca soprattutto per il piacere della caccia e per la sua carne. D'estate il suo manto è bruno rossastro sul dorso e sui fianchi, più cupo nella parte ventrale; d'inverno è bruno scuro sul dorso, quasi nero inferiormente. Staziona nelle fertili vallate percorse dall'Indo d'inverno e nei settori settentrionali dei rilievi del Karakorum d'estate.

 

CERVO SHOU (Cervus wallichi)

Il Cervo Shou è un bellissimo esemplare, rarissimo e forse scomparso del tutto, per quanto ci risulta. Non è altro che una varietà di Cervo rosso elafo d'Europa, particolare del Tibet. Anche questo ha una bella andatura e delle forti corna a semicerchio, con due ramificazioni (pugnali) da combattimento. Anche il CervO Shou passa l'inverno nelle strette e profonde valli che si dipartono dall'Indo e l'estate nella regione meridionale del Karakorum. Tanto il cervo del Cachemire, quanto quello Shou sono esemplari bellissimi, alti, fini e distinti, su zampe solide. Di essi non si conoscono molti dettagli sul loro comportamento e sulle loro abitudini, se non che, adatti all'ambiente che è loro naturale, non devono comportarsi diversamente da tutti gli altri cervi del mondo: caduta annuale delle corna, bramiti nel momento in cui i maschi si costituiscono il loro harem di cerbiatte, nascita dei piccoli più tardi, vita separata dei due sessi, combattimenti furiosi tra i maschi adulti ed abitudini assai nomadi nell'ambito delle terre frequentate abitualmente.

 

TAMENG (Cervus eldi)

Il Cervus eldi vive nell'antica Indocina, dove è soprannominato anche «Tameng». Non è molto grosso ed è ricoperto da un mantello ruvido che, nella stagione invernale, diventa più folto. E' di color bruno scuro nell'inverno, bruno rossiccio nell'estate; le femmine sono leggermente più chiare. Le corna, che possono raggiungere anche il metro, hanno il primo ramo molto basso e diretto in avanti, gli altri, invece, partono dalla metà del tronco principale. I Tameng vivono in gruppi molto numerosi; durante il giorno se ne stanno all'ombra dei boschi a riposare, verso sera escono nelle zone aperte alla ricerca del cibo.

 

CERVO DI PALUDE (Cervus duvauceli)

Il Cervo di palude, detto anche Barasinga, vive nei pantani delle Indie ll mantello di color bruno rossiccio, è generalmente picchiettato da macchie bianche più o meno vicine, soprattutto sul dorso. Le sue corna sono generalmente ricche di ramificazioni e di un aspetto piuttosto caratteristico.
Durante l'autunno e l'inverno questi animali vivono in gruppi numerosi, nelle vicinanze dei boschi; nelle altre epoche dell'anno se ne stanno isolati e lontano dalle foreste, preferendo le zone paludose. La loro attività è prevalentemente diurna.
Tutti questi animali presentano delle forme leggermente differenti da una provincia all'altra, perfino a soli pochi chilometri di distanza, ma sono sempre parenti prossimi dei nostri cervi elafi ed hanno le stesse abitudini. Ci si stupisce sempre che animali con la testa adorna di così superbe corna, così solide e così incurvate, non ne siano intralciati quando si spostano con tutta la velocità delle loro agili zampe attraverso i fitti cespugli della giungla indiana o indocinese. Bisogna sapere che, quando questi animali corrono, ripiegano la testa all'indietro, in modo che le loro corna vengano ad appoggiarsi quasi sui garretti. Questa posizione ha per effetto di non presentare punte in avanti, ma solamente curve che non rischiano assolutamente di impigliarsi tra i rami. Al contrario, ciò che può accadere, e che a volte accade, è che quando due grandi, vecchi cervi combattono, la relativa elasticità delle loro corna è causa di un groviglio tale da cui non riescono più a liberarsi. Sono stati trovati scheletri o cadaveri di cervi morti di fame o divorati sul posto da belve, perché non erano stati capaci di separarsi dopo una lotta furiosa. Aggiungiamo ancora che esistono, tra questi animali, dei cervi che vengono soprannominati «assassini». Essi hanno un corno senza biforcazioni all'estremità, che si presenta come una specie di pugnale. Questo, invece di fermarsi tra le corna del suo avversario, agisce veramente come un pugnale trapassando la testa, la gola od il petto. Nelle cacce ben organizzate, i capi irregolari di questo tipo vengono generalmente colpiti dai cacciatori, al fine di eliminarli. Questioni di questo genere non esistono nelle regioni altrettanto selvagge ed inaccessibili quanto la giungla estremo-orientale. Qui il «giudice di pace» è la tigre ed è la stessa che elimina, uno dopo l'altro, gli animali che non si mostrano capaci di sventare i suoi attacchi o di evitarli. Quanto a lottare contro la tigre, nessun cervo può arrischiarvisi: la signora striata non ha tempo da perdere ed i conti coi cervidi sono regolati in una minima frazione di secondo... La pantera non agisce con minor violenza e rapidità e lo stesso uomo, sia che si tratti di cacciatori indigeni o di bianchi armati di moderni fucili, mostra sempre la stessa predilezione per la carne fresca di questi bei cervidi. Per fortuna anche i Cervi hanno dei vantaggi: la profondità e la vegetazione delle paludi, il silenzio, la prudenza, l'immobilità e la facoltà di trasformare questa in un balzo brusco e disperato nel momento preciso in cui occorre assolutamente salvarsi e fuggire davanti al nemico. Questi cervi asiatici sono poco conosciuti, molto rari, soprattutto dopo il 1939, nei giardini zoologici europei. Inoltre le loro caratteristiche non sono abbastanza appariscenti per attirare l'attenzione del gran pubblico al quale occorre sempre l'imprevisto o il sensazionale. Ma è bello sapere che esistono e che è loro diritto assoluto frequentare le foreste equatoriali o tropicali dell'Asia di sud-est. Quando la pace sarà finalmente tornata in questa parte del mondo, ne sapremo senza dubbio ancora di più sulla fauna che, speriamo, vivrà ancora...

 

SAMBAR (Cervus unicolor)

Se i nostri ricordi dei Libri della giungla sono esatti, quando «Akela», il Padre lupo, rischia di essere dimesso dal suo ruolo di capo del clan è perché manca la cattura, per la prima volta, di un Sambar, questo cervo dalle numerose varietà che si incontra nelle Indie e, più in là, fino in Malesia e nelle Filippine, passando per l'isola di Formosa. Aggiungiamo che i traduttori dei libri di Rudyard Kipling, e bisogna sempre parlare di lui quando si tratta della fauna indiana, chiamano «capretto» il Sambar, che è invece un cervo autentico. Si può anche arrivare a dire che i cervi di cui si è parlato precedentemente, Cervo del Cachemire, Cervo shou, Cervo di Duvaucel, Cervo eldi ed altri ancora, sono contemporaneamente forme del Cervo elafo europeo e del Sambar asiatico; o, se si preferisce, delle forme intermedie... Il Sambar è dunque un animale di grandezza media, di bell'aspetto, con orecchie molto aperte e corna assai semplici, con un solo paio di «pugnali» alla base ed una biforcazione più o meno importante all'altra estremità. Animale vigoroso, rapido ed astuto, il Sambar dà del filo da torcere a coloro che lo attaccano nel suo biotopo, cioè nella fitta giungla dell'Estremo Oriente. Si sa difendere altrettanto bene dagli uomini, come dagli animali, ciò che è stato precedentemente detto per i suoi cugini, gli altri cervidi. Ma il Sambar, e non solo per merito di Rudyard Kipling, appartiene più degli altri al folclore di queste regioni, particolarmente a quelle dell'India. E' un tipico animale da caccia, la selvaggina di tutti i giorni, la preda preferita della tigre, quella che le si offrirebbe volentieri, se si potesse, per farla venire a portata di tiro. Il povero Sambar farebbe volentieri a meno di un tale onore, ma rimane sempre abbondante all'interno di quel che resta della giungla più impenetrabile. Una delle caratteristiche del Sambar - e non ve ne sono molte - è il collare di pelo che ha intorno alla testa. Al tempo dell'occupazione delle Indie da parte degli Inglesi, alcuni di essi cacciavano il Cervo coi cani da corsa, generalmente animali grossi, infaticabili ed ardenti nella lotta, capaci all'occasione di far salire una pantera su di un albero e di bloccarvela fino all'arrivo del cacciatore. Il Sambar era considerato una delle selvaggine più difficili da forzare, anche per un uomo a cavallo accompagnato da questi cani. Tutto ciò è a vanto di questo piccolo cervo. Queste cacce sono senza dubbio passate di moda e non è certamente un male. Vale di più lasciar vivere in pace questi graziosi animali, là dove ne esistono ancora, e gli Indù, che hanno un così grande rispetto per la vita animale, saranno certamente, a questo proposito, del nostro avviso.
L'India è grande, ma la sua popolazione aumenta talmente rapidamente che la fauna selvatica, un giorno o l'altro, dovrà progressivamente ritirarsi davanti alle colture ed agli agglomerati. Nell'attesa, lasciamo in pace il più possibile tutte queste specie, tutte queste razze di cervi selvatici che non fanno un gran male e che contribuiscono al mantenimento dell'equilibrio naturale, poiché servono da nutrimento ai carnivori coi quali coabitano. E che ciò non vi impedisca, soprattutto, di aprire nuovamente le pagine del Libro della giungla e di rileggere ciò che avete sicuramente dimenticato riguardo agli animali di cui vi parliamo. Anche se Kipling esagera o generalizza, sarete sedotti ed amerete nuovamente questi lupi, queste tigri, queste pantere, questi orsi, questi serpenti, queste scimmie e questi bufali che parlano come uomini. Si sarebbe anche fortemente tentati di dire: come inglesi. Il che è assai normale da parte di un autore inglese...
 

CAPRIOLO PIGARGO (Capreolus pygargus)

Il Capriolo pigargo non è che un bellissimo capriolo simile a tutti gli altri di identica razza confinati nel solo continente antico. Infatti, a differenza del Cervo e di tanti altri animali, il Capriolo si trova soltanto in Europa ed in Asia. E' presente nelle Isole Britanniche, ma lo si ritrova anche nel Caucaso, in Asia e persino in Cina in Mongolia ed in Corea. Come tutti gli animali selvatici dell'Eurasia, più si va ad est, più il Capriolo è forte e più belle sono le sue corna.
Osservando l'animale è possibile notare la notevole lunghezza delle sue corna, la silhouette caratteristica del suo corpo, con il posteriore a punta e l'impronta bianca che orna le sue natiche e che costituisce, come per tante altre specie, un segnale d'allarme capito da tutti gli altri animali della stessa varietà Il Capriolo è un animale che si conserva ovunque abbastanza bene, malgrado la caccia che gli viene data. E' facile reintrodurlo in qualsiasi luogo abbia già vissuto, a condizione di non sovrappopolare la zona e tenendo conto, come media, di una coppia di caprioli per ogni cinquanta ettari di foresta. Dai tempi più antichi ed in ogni epoca è un animale molto ricercato per la gastronomia. Sue ossa sono state ritrovate nei resti di cucina preistorica, dall'Atlantico al Pacifico. Ma il Capriolo ha sempre dato del filo da torcere ai suoi persecutori, poiché è tanto agile quanto resistente e molto più forte di quel che i suoi 35 o 40 chilogrammi ai massimo lascerebbero prevedere. Può anche diventare aggressivo e ribellarsi pericolosamente. Occorre ancora notare l'abitudine di migrare in mandrie di 300-500 capi verso ii nord della Manciuria, alla comparsa delle prime nevi, contrariamente agli altri caprioli che sono sedentari. E ciò dopo aver passato l'estate nelle regioni basse e nelle praterie della Siberia.
 

CAPRA

Quando si parla della capra, umile animale diffuso nel suo vario genere in tutte le parti della terra, si è portati come per inerzia a leggere molto superficialmente quelle notizie che la riguardano, quasi che l'argomento sia di scarso rilievo ed importanza. E la cosa potrebbe trovare giustificazione quando l'argomento riguarda da vicino il comune animale, che abbiamo modo di osservare spesso e giornalmente nelle nostre campagne. Non può essere così quando ci si trova di fronte a rarità.

 

CAPRA DEL BEZOAR (Capra aegagrus hircus)

La Capra del bezoar o persiana è forse l'antenato più diretto delle nostre capre domestiche e se ne trovano ancora pochi esemplari nelle alte terre iraniche, che raggiungono altitudini anche superiori ai 4000 metri, come nello Zard Kuh, nel Kuh Kuhlar, nel cuore dell'Iran. Rilievi aspri, impervi, poveri d'acqua, che scendono precipitosamente, impedendo al mare di far giungere i suoi influssi climatici all'altopiano.
Ne deriva che quest'ultimo risulta semi-desertico, a tratti steppico, povero di acque, punteggiato da depressioni salate. Una spessa coltre di detriti ne ricopre la superficie, qua e là interessata da affusioni laviche.
Tutta questa descrizione ambientale intorno a questo povero, ma tanto più prezioso animale, per dare spiegazioni di un notevole fenomeno che lo interessa da vicino.
Se vogliamo cercare il significato della parola «bezoar», troviamo: concrezione pietrosa che si forma nello stomaco di alcuni animali e a cui si attribuiva, un tempo, la proprietà di neutralizzare l'effetto dei veleni. Se poi vogliamo sapere il significato della parola «Aegagrophilo» troviamo che è: nome maschile, dal greco aigagros, capra selvatica e pilos, lana pigiata; quindi: concrezione formata da peli e da avanzi vegetali non assimilabili, che si trova generalmente nello stomaco dei ruminanti o, più raramente, in quello degli uomini. Si noterà quindi la relazione esistente tra questa Capra selvatica simile a tante altre e questa famosa concrezione, di origine varia, che si trova nello stomaco di numerosi ruminanti, a cominciare dalle nostre brave mucche domestiche. Il Bezoar, quindi, è una capra selvatica d'Oriente; l'Egagro è, più precisamente, la capra selvatica che si trova in alcune isole del Mediterraneo greco. Esse sono tutte, più o meno, incrociate con le razze domestiche e differiscono una dall'altra solo per lievi dettagli. Ben inteso, tutti gli egagri hanno partecipato, come d'altronde ibex o stambecchi, alla formazione delle differenti varietà di capre domestiche. Questo animale ha una forma molto simile a quella dello stambecco: lungo al massimo un metro e mezzo, con una coda di una spanna circa, possiede corna che possono, in casi eccezionali, arrivare al metro, ma che non hanno l'imponenza di quelle dello stambecco delle Alpi. Il suo mantello, non molto lungo, è di color rossastro in estate, grigio rossastro o addirittura grigio-giallastro in inverno; su questo colore spicca il nero della barbetta molto lunga e della striscia che percorre il collo, il dorso, la coda e la parte anteriore delle zampe. E', come quasi tutte le altre capre selvatiche, un animale di montagna, saltatore molto agile e sorprendente arrampicatore.
Sono esemplari poco diffusi, conducono vita appartata e solo nel periodo degli amori costituiscono intorno a loro un harem che difendono con accanimento dai rivali.
Conosciuti da epoche remote, sono sempre stati oggetto di caccia per le loro carni, per il mantello, ma soprattutto per il bezoar, di cui si è detto precedentemente, molto usato come contravveleno.

 

CAPRA DEL CAUCASO (Capra caucasica cylindricornis)

La Capra del Caucaso è un animale complesso e molto difficile da classificare. Si tratta evidentemente di una capra selvatica ed alcuni esperti pretendono anche che sia un plausibile antenato delle nostre capre domestiche; ma essa è diversa dalle altre capre selvatiche e, con le sue corna bizzarramente ricurve, cilindriche davanti e piatte dietro, costituisce un tipo tutto particolare.
Nel mondo esistono tre varietà di capre del Caucaso; la più piccola abita la regione del Caucaso e più precisamente la zona centrale che si estende dall'Elbrus al Karbek, la più alta del sistema montuoso caucasico; le altre due sono himalayane e indiane. Ovunque questo animale si fa notare per la sua straordinaria abilità ad arrampicarsi sulle rocce e per il suo adattamento ad accontentarsi di qualsiasi vegetale.
 

PSEUDOPECORA O BHARAL (Pseudois nayaur)

Eccoci ora al Bharal o Pseudopecora che, per le caratteristiche, non è mai stato ben classificato, ma piuttosto avvicinato al genere degli ovis, in cui sono comprese le pecore. Si possono difatti facilmente paragonare alle africane pecore crinite, sia per le caratteristiche somatiche distintive, sia per l'agilità e la vivacità con cui si muovono sulle rupi più vertiginose e sulle creste più strette. Come dice il nome stesso è una specie di montone selvatico o, più esattamente, si trova a metà strada tra i mufloni e gli stambecchi selvatici. Chiamato anche Nahur, questo animale vive nell'Asia centro-meridionale in zone inaccessibili all'uomo e per questo difficile da cacciare. Il pelo del Bharal è veramente da notare: grigio blu sopra, bianco sotto, con una banda nera su ogni fianco, che separa le due zone. Le corna del maschio hanno una forma veramente insolita: esse partono orizzontali, poi salgono e s'incurvano infine lievemente all'indietro. Sono alla base quasi circolari, per poi diventare triangolari verso la punta e sono inserite molto vicine una all'altra. A causa del suo pelo di un colore così particolare, il Bharal è soprannominato spesso Montone blu. Vive in Asia, dal centro dell'India a quello della Cina, coprendo tutto il territorio dell'Himalaya. Lo si trova in montagna, al di sopra dei tremila metri, sulle rocce più vertiginose, poiché, come tutti i suoi simili, è un provetto arrampicatore. Anche il Bharal, come tutte le altre capre selvatiche, è oggetto di caccia da parte degli uomini: caccia, tuttavia, che si presenta molto difficile sia per l'acutezza dei sensi di questi animali che possono, perciò, sentire l'avvicinarsi del pericolo, sia per la difficoltà che presenta l'ambiente in cui vivono. Si possono addomesticare con una certa facilità, se vengono catturati da giovani. Il Bharal è molto raro e poco conosciuto, inoltre, ed è questa un'osservazione di carattere generale che non dobbiamo dimenticare, la sua presenza in un giardino zoologico passerebbe del tutto inosservata. I visitatori si cureranno un attimo del suo nome, a malapena del suo aspetto, e non si renderanno assolutamente conto della sua straordinaria rarità. E così è per la maggior parte degli animali più rari. La folla va in estasi davanti alla tigre, all'elefante, asiatico o africano, ma passa senza quasi fermarsi davanti al rarissimo piccolo Panda, dà un'occhiata indifferente alle Antilopi pronghorn d'America e si ferma appena davanti alle figure della Capra del Caucaso o del Bharal, che rievocano vagamente, in tutti, le figure familiari di alcuni animali domestici conosciuti e comuni.
Infatti, anche in questo, non si tratta che di una questione di pubblicità: se la stampa annunciasse a caratteri cubitali che al giardino zoologico locale sta per arrivare un animale straordinario, si farebbe la coda per andarlo ad ammirare.
Lo scopo di questa serie di opere è proprio quello di mostrare la straordinaria diversità del creato che ha moltiplicato le forme simili le une alle altre e che ha peccato infinitamente più per generosità che per avarizia.
 

TAKIN O BUDORCA (Budorcas taxicolor)

Nonostante Budorcas significhi bove-gazzella, non si deve pensare che questo animale sia una via di mezzo fra le gazzelle ed i bovini. Tutt'al più potremmo essere portati a dire che questi animali abbiano un aspetto intermedio fra i buoi ed i camosci. Ma ciò non può bastare per una classificazione vera e propria e, come spesso succede nelle cose poco chiare già di per sé, altri elementi complicano ancora più la situazione.
Il Takin, questo piccolo bufalo dalle corna corte, oltre al nome che in italiano presenta una bizzarra assonanza, ha anche una figura assai sorprendente che sembra fatta apposta per attirare su di lui l'attenzione. L'identificazione e lo studio di questi animali, nonostante fossero stati riconosciuti e descritti da Marco Polo nel Milione, fu fatto solo verso la metà del secolo scorso, quando al famoso naturalista Padre David ne fu regalato un esemplare. Si definì che il Takin o Budorca è un ovibovide, come il bue muschiato, il che significa che esso costituisce il punto d'unione tra bovini ed ovini. Vive lungo i bassi pendii delle montagne o nelle pianure paludose che si estendono dalla regione ad est dell'Himalaya fino al sud della Cina: terreni che gli danno la possibilità di brucare un'erba molto ricca. Nonostante la mole poderosa sono agili e buoni corridori ed arrampicatori, adatti quindi a vivere in montagne dove, fra i 2000 e 5000 metri, trovano il loro ambiente ideale. Si cibano di erbe e di foglie, ma il loro alimento preferito è costituito dalle piante di bambù. Anche d'inverno difficilmente abbandonano il distretto in cui vivono, poiché, essendo provvisti di un denso e pesante pelame, resistono facilmente al freddo. Il colore del loro pelo cambia molto; i Takin che vivono più a est hanno un pelo di color giallo vivo e brillante nel treno anteriore, che diventa oro pallido verso la parte posteriore, ciò che lo rende un animale del tutto particolare nella fauna mondiale. Sia i maschi che le femmine possiedono piccole corna, da principio orizzontali, che salgono poi verticalmente ad angolo retto. Vivono riuniti in gruppi di pochi individui guidati da un maschio, di solito il più adulto, e conducono vita mite evitando di doversi scontrare coi loro rivali o con chi li caccia o perseguita; non tralasciano però di far fronte ai nemici e sono guai quando li agganciano con le loro robuste corna. Le femmine mettono al mondo un solo piccolo alla volta per altro brutto e goffo. Come altre specie il Takin è rarissimo nei giardini zoologici.
Noi abbiamo avuto la grande fortuna di vederne uno di passaggio, mentre, dall'estremo Oriente, veniva portato al giardino zoologico di New York. L'animale ci è parso non molto grande, circa delle dimensioni di un poney, e molto tranquillo, benché fosse circondato da una corte di graziose hostes che, senz'altro, lo avevano scambiato per un vitello un po' strano. Bisogna sperare che i pochi zoo che possiedono dei Takin facciano in modo di far perpetuare questa specie in via di sparizione, ma che ebbe senza dubbio grande importanza nei tempi antichi. L'altro ovibovide, il bue muschiato, se l'è cavata egregiamente riacclimatandosi nelle regioni dell'Europa o dell'Antartide, dove sta originando una nuova discendenza, senza contare i branchi domestici che si espandono attualmente fino al Canada. Se le nostre opere devono servire a far conoscere le specie animali ancora ignorate dalla maggior parte delle persone, i giardini zoologici e le loro dipendenze hanno un ruolo ancora più importante da esercitare: salvare alcuni animali dall'estinzione e conservare, al di fuori della portata dei cacciatori? tanti esemplari quanti sono necessari per essere sempre in grado di ripopolare le loro antiche patrie il giorno in cui gli uomini saranno diventati tanto saggi da renderle loro...
Vedremo come questo ruolo sia stato svolto dai cinesi a favore del cervo di Padre David e come gli zoo lo svolgono, in questo momento, a favore del grande Panda o degli ultimi autentici cavalli selvatici esistenti al mondo. Senza gli uni e gli altri queste specie sarebbero già scomparse definitivamente, come l'Uro o il Gran Pinguino. E noi sappiamo che queste sparizioni sono assolutamente irreversibili.
 

GORAL (Nemorhaedus goral)

Il Goral è proprio della regione himalayana da cui si spinge fino alla vallata dell'Amur ed alla Corea. Esso predilige le zone scoscese, a notevole altezza (da 1000 a 3000 metri), là dove il terreno appare solcato da crepacci e burroni, e scende verso le regioni boschive solo per abbeverarsi e per il riposo notturno. I Goral sono animali agili e robusti, con arti snelli, corna presenti sia nei maschi che nelle femmine, pelame denso, più lungo sulla nuca dove forma una piccola criniera, di color bruno rossastro o grigio nella parte superiore del corpo, più chiaro in quella inferiore.
Questo animale si distingue per la sua straordinaria attitudine ad arrampicarsi ed a discendere pendii delle montagne più scoscese. La minima pietra sporgente, la più piccola cornice, la «presa» più stretta sono sufficienti perché i suoi zoccoli tagliati riescano a farvi presa, giusto il tempo necessario per il rimbalzo più fantastico. E' questo uno dei rari animali della montagna capaci di discendere una gola stretta e profonda rimbalzando dall'alto in basso e da una parete all'altra. Timido e scontroso, dotato di sensi affinati e di un notevole grado d'intelligenza e di astuzia, questo caprino si avvale della sua agilità e della sua straordinaria abilità di saltatore per raggiungere i luoghi appartati dove nessuno può turbare il suo placido pascolare; per raggiungere queste oasi di pace il Goral non esita ad attraversare con salti acrobatici i più profondi abissi. Di solito questi animali si raggruppano in grandi branchi che si nutrono di erbe e degli sterpi delle zone montuose durante il giorno, del tenero fogliame delle piante arboree nelle ore del crepuscolo serale e del mattino, quando essi raggiungono le foreste per trascorrervi la notte o quando le abbandonano di nuovo. Non è raro trovarne anche in vicinanza di località abitate dall'uomo.
 

EMIONE (Equus hemionus)

Le varietà di asini selvatici che vivono in Africa sono due, quelle che vivono in Asia sono tre: l'Onagro, il Kiang e l'Emione. Quest'ultimo abitava un tempo tutto il centro del continente asiatico, ma che ora non si incontra più che in Mongolia, dove diventa sempre più raro. L'Emione non è molto grande, ha il manto color sabbia, una criniera diritta senza ciuffo frontale, una lunga coda che termina con ciuffo scuro e sottile ed una striscia dorsale sottile e nera. Gli arti presentano delle striature trasversali e gli zoccoli sono stretti ed alti, come è di regola tra gli asini. Generalmente si pensa che gli asini domestici discendano dalla varietà selvatica della Nubia, ma non è del tutto impossibile che le tre razze asiatiche abbiano partecipato a questa formazione in uguale misura. Tutte le varietà di asini selvatici, siano essi africani od asiatici, sono diventate rare o rarissime persino nei giardini zoologici più riccamente dotati. Gli asini selvatici sono creature estremamente scontrose, che fuggono disperatamente l'uomo e che si rifugiano nei punti più impenetrabili dei deserti per trovarvi pace e libertà. Purtroppo vi è ancora gente appassionata a questo genere di caccia che non ha nulla a che vedere con la selvaggina... L'asino selvatico non viene mangiato, non costituisce alcun trofeo e la sua pelle non ha il minimo valore. Allora perché ucciderlo?
Ai nostri giorni poi sono rimasti senza dubbio più cavalli selvatici nei giardini zoologici di tutto il mondo che nel libro della natura.
 

CAVALLO DI PRZEWALSKI (Equus Przewalskii)

Ed, in effetti, non resta più che una sola varietà di questo animale: quella che un colonnello dello zar scoprì alla fine del secolo scorso, durante una lunga spedizione in Mongolia. Egli ne portò con sé alcuni esemplari giovani e vivaci che dovevano far razza, così come avvenne per una gazzella che porta anch'essa il suo nome e di cui parleremo in seguito... Gli altri cavalli selvatici sono totalmente scomparsi (e doveva esisterne tutta una gamma con aspetti differenti) oppure sono dei falsi cavalli selvatici, come le differenti varietà di poney tedeschi, norvegesi, inglesi o francesi e come i mustang americani che sono tutti animali discendenti da avi domestici fuggiti e ritornati alla vita libera. Si suppone che la scomparsa del vero cavallo selvatico americano e dei differenti tarpani europei sia contemporanea all'avvento dell'uomo; vero è che il cavallo di Przewalski è l'unico animale che abbia il diritto di fregiarsi del titolo di «cavallo selvatico».
E' un animale tozzo, molto pesante, non molto grande, con un pelo baio, chiaro sotto, testa corta, criniera nera diritta, con un folto ciuffo in fronte, coda lunga nera. A dire il vero, questo cavallo è molto simile agli innumerevoli disegni lasciatici dai nostri antenati di quindici o trentamila anni fa sulle pareti delle grotte, dalla Siberia alla Spagna. I cavalli selvatici dovevano essere abbondantissimi a quei tempi e costituivano probabilmente una delle fonti di alimentazione preferita dagli uomini. Le sue ossa, cotte e spaccate per estrarne il midollo, si ritrovano nei resti preistorici di cucine di tutta l'Europa. Questi infaticabili cavallini sono stati senza dubbio addomesticati qualche migliaio di anni prima della nostra era, sia come carne di scorta, sia per la riproduzione controllata, sia per il latte di giumenta, sia, infine, come mezzo di trasporto e di trazione. Quando, esattamente, non lo sapremo mai. Ma, quel che è certo, è che gli ultimi discendenti di questa immensa popolazione ippica vanno tenuti a rango di monumento storico da salvare, costi quel che costi. E' per questo che esiste ai nostri giorni uno «stud-book» aggiornato sulle nascite e sulle morti dei Cavalli di Przewalski, infinitamente più preziosi, agli occhi degli zoologi, dei più meravigliosi prodotti degli allevamenti dei purosangue.
 

TIGRE SIBERIANA (Panthera tigris altaica)

In un tempo molto antico, esisteva in Estremo Oriente, e in particolare verso il nord-est del continente asiatico, un grande animale striato di nero su fondo giallo pallido. Durante i millenni la tigre, poiché è di lei che si parla, è migrata verso le regioni calde o caldissime del sud. Due rami hanno circondato il gruppo dell'Himalaya: uno è andato verso la Persia, in cui resta ancora qualche raro rappresentante della specie, l'altro ha invaso l'antica Indocina, l'India, la Penisola e le isole della Indo-Malesia fino a Giava, raggiunta senza dubbio a nuoto, ma non fino al Borneo, dove non si conosce la «signora a strisce». Nelle Indie la tigre si è trovata in competizione col leone e l'ha praticamente eliminato senza neppure combattere, semplicemente con la sua presenza. Nei paesi caldi il nostro animale ha trovato abbondanza di selvaggina, ma anche sole e siccità gravi inconvenienti per lei che soffre se non ha acqua a sufficienza in cui bagnarsi. Ciò non ha però impedito alla specie di sopravvivere anche al nord, dalla Corea alla Siberia. Ma, mentre le tigri del Sud hanno perso la loro enorme grandezza, il loro peso e la lunghezza del loro pelo, quelle del nord sono rimaste enormi, imponenti e ricoperte da un pelo pallido, ma estremamente spesso, il che conferma una volta di più questa superiorità fisica delle specie che vivono esposte al freddo. La tigre del nord, chiamata anche tigre coreana o Tigre del Bacino dell'Amour, misura fino a tre metri di lunghezza, compresa la coda naturalmente, misura che nessun leone ha mai raggiunto. Per quel che riguarda il peso, esso oscilla tra i 250 e i 300 chilogrammi, il che supera ampiamente tutti i records di questi animali. La Tigre, sia del nord che delle Indie, è un animale solitario, le coppie si separano con la stessa fretta con cui si sono formate e la femmina non segue più i figli appena essi hanno raggiunto l'età adulta. A volte le tigri arrivano a mettersi d'accordo per una caccia, ma nulla di più. Nelle nevi ghiacciate del nord, nella tundra o nelle foreste poco folte, le tigri camminano assai facilmente e le loro grandi zampe vellutate non affondano troppo. Non hanno alcun avversario della loro misura, dal più grande orso al più vecchio cinghiale; nessuno, tranne l'uomo armato, può resistere loro. E la caccia abbonda: cervi, caprioli, uccelli di ogni tipo, animali domestici o selvatici... In più, su tutta la distesa dell'URSS, la tigre è totalmente protetta; rare autorizzazioni sono date solo per la cattura di esemplari giovani, destinati ai giardini zoologici nazionali o stranieri. I russi sono così riusciti a salvare questa specie diventata rara da loro, così come lo sta diventando altrove; si può prevedere che la Tigre indiana entro venti anni sarà sparita totalmente, se non si mette fine alla caccia così come è attualmente praticata.
Numerosi films russi ci hanno reso familiare la Grande Tigre dei monti Altai o delle valli dell'Amour e dello Oussouri. Come per tutti i felini macchiati o striati, non ve ne sono due identici, tanto per la disposizione che per il colore delle striature. Ve ne sono di nere e di bianche, ma generalmente le striature sono scure, mentre il fondo varia dal giallo arancio al bianco avorio. Non si deve dimenticare che la leggendaria Tigre bianca, descritta da Pierre Benoit in uno dei suoi romanzi, può esistere. Non si tratta che di un caso di albinismo, ma più frequente di quel che si pensi tra le tigri del nord, che hanno tendenza per i colori pallidi per il fatto che vivono spesso tra la neve. Dato che queste immense regioni sono quasi desertiche, le tigri non sono considerate come veramente pericolose, a condizione però di non provare a incontrarle o a cacciarle. Come tutte le altre belve, esse preferiscono mantenere le distanze con gli uomini e non combattono se non quando ne sono costrette. Ciò non impedisce al folclore asiatico e siberiano di dare un posto preponderante alla «Grande Van», come chiamano la tigre in quei luoghi. I raccoglitori di mandragora, o i ricercatori di corna di cervo ancora in velluto, rimedi estremamente ricercati nella medicina cinese, ben conoscevano i suoi scontri con i grandi orsi ed i grandi cinghiali; i loro racconti alimentavano le lunghe sere passate accanto al fuoco nelle isbe di abeti. La tigre aveva sempre il ruolo più bello ed era considerata come il personaggio principale delle tundre e della taiga che si estende sulla metà settentrionale del continente asiatico.
Questo folclore è decisamente diverso da quello dell'India in cui la tigre abbonda parallelamente ad una brulicante popolazione umana con cui è perennemente in guerra, sia perché le sottrae gli animali domestici, sia perché diventa molto spesso «mangiatrice di uomini» cosa che non accade mai in Siberia. Attualmente è possibile ammirare la tigre del nord in tutti i principali giardini zoologici. A volte si rimarrà delusi nel non trovare l'abbondante pelliccia che il suo nome fa immaginare: infatti è spesso il clima che comanda e gli inverni relativamente clementi dei nostri paesi non aiutano certo l'animale siberiano a conservare il ricco mantello indispensabile nel nord. Si noterà, al contrario, la gioia con cui questi animali si rotolano nella neve là dove hanno a disposizione, nell'inverno, un terreno all'aria libera. La neve è il loro elemento; adorano l'acqua per bagnarsi e questo sconvolge forse un poco le nostre idee a proposito delle tigri. Parlando, più avanti, delle varietà del sud e in particolare della famosa tigre reale del Bengala, che di reale non ha che il nome, essendo di un buon terzo più piccola e meno pesante della nostra siberiana, vedremo che vi sono ancora molte cose da dire sui costumi e le usanze del solo felino striato esistente al mondo. Lo spaventoso Machairodus della preistoria, forse contemporaneo all'uomo, che aveva canini lunghi 14 o 15 centimetri, era o no ricoperto da una pelliccia striata? Era l'antenato delle nostre tigri attuali? La domanda resterà senza risposta...
Comunque non è mai stato provato che i Machairodus d'Europa e gli Smilodons del Nuovo Mondo siano stati contemporanei dell'uomo.
 

MUFLONE DI MARCO POLO (Ovis ammon poli)

Quando il grande esploratore Marco Polo esplorò, nel secolo tredicesimo, il centro dell'Asia, vide sull'altopiano del Pamir, ad un'altezza di circa quattromila metri, branchi di pecore grandissime, dalle corna smisurate. Ne rimase tanto colpito che le descrisse nel suo libro: IL MILIONE. Questa scoperta venne confermata, alcuni secoli più tardi, dall'ufficiale Przewalski, lo stesso che dette il nome ad un cavallo selvatico, il quale affermò che l'animale superava, per imponenza, tutti gli altri della sua specie. Alcuni esemplari avevano un peso di oltre duecento chilogrammi e le corna erano lunghe circa un metro e mezzo, con una circonferenza, alla base, di cinquanta centimetri.
E' bello aver dato ad un montone selvatico il nome di questo viaggiatore italiano che andò, un tempo, fino in Cina, senza passaporto, senza travellers cheques, senza dogana, senza carta d'identità e che ne ritornò per raccontare e scrivere tutte le meraviglie incontrate per via. Felice tempo in cui gli uomini erano liberi di viaggiare e di percorrere il mondo senza difficoltà politiche di ogni tipo!... Bisogna constatare che, a questo riguardo, il progresso non è stato a nostro favore.
Il maestoso muflone di Marco Polo, che gli indigeni chiamano Katschkar, è molto simile al tipico Argali ma, a differenza di questo, vive preferibilmente a grandi altitudini spingendosi fino a quattromila metri. E' un bell'animale dal pelo corto, che abita il centro dell'Asia; buon arrampicatore, con magnifiche corna, e si noterà, a questo proposito, l'esistenza della parola ammon nel suo nome scientifico. Ammon era un dio-ariete dell'antichità egiziana, dalle lunghe corna arrotolate. E da questo deriva il nome di Ammonite dato ad un Cefalopode dell'era secondaria, la cui conchiglia, a volte enorme, arrotolata su se stessa come un corno d'ariete, si trova in molti terreni ricchi di fossili. Le corna del Muflone di Marco Polo non sono arrotolate così strettamente, ma si allargano con eleganza, su ogni lato della testa, abbozzando una torsione su se stesse. I Mufloni vivono in branchi di circa una trentina di capi, di cui pochissimi di sesso maschile; vi è sempre un grande ed imponente animale che fa da guida e sorvegliante. Questo bell'esemplare ha, come tutti gli altri mufloni, dato la sua importanza personale all'elaborazione dei montoni domestici. I popoli di pastori, allevatori di caprini e di ovini, nomadi, contemplatori dei cieli, discendenti di Caino, che hanno popolato l'Asia dalla notte dei tempi, erano già capaci di organizzare una selezione paziente degli animali di cui si servivano.
Essi si opponevano ai discendenti di Abele, nemici dei nomadi ed attirati dall'allevamento di altri animali, bovini, cavalli e persino asini, capaci di tirare l'aratro o un carro pesantemente caricato. Questa divisione dell'umanità è alla base di tutto ciò che è seguito.
 

ARGALI (Ovis ammon ammon)

Non vi sono quasi differenze tra il Muflone di Marco Polo e l'Argali, se non che quest'ultimo possiede il record mondiale di lunghezza delle corna: un metro e novanta sull'arco esterno, il che è veramente spaventoso... L'Argali abita la regione compresa tra la pianura del Pamir e l'estremità orientale della Siberia. E' un animale di taglia media, generalmente bruno con qualche macchia più chiara sul petto, sulla schiena e sul muso, e che sembra un po' schiacciato dal peso delle sue corna.
Le sue gigantesche corna sono a sezione triangolare, talmente grosse alla base da occupare tutta la parte superiore del capo; si piegano prima all'indietro e lateralmente, poi descrivono una curva dirigendosi in avanti, infine con l'estremità puntano verso l'alto e verso l'esterno. Profondi solchi trasversali le percorrono dalla base fino alla punta. Come tutti gli altri mufloni, anche questo è un animale estremamente agile e rapido sulle montagne scoscese che formano il suo biotopo preferito e tra le quali il suo colore si perde facilmente, Se si trova in una zona non troppo alta, vi si trattiene estate e inverno, se invece si trova ad altezze considerevoli, durante l'inverno scende a valle per avere la possibilità di trovare cibo. Questo è costituito principalmente da erbe, durante l'estate, da licheni, muschi e cortecce e tutto ciò che può trovare di vegetale, durante l'inverno. Anche gli Argali, come tutte le altre pecore selvatiche, vivono in branchi guidati da un capo. I maschi, dopo l'accoppiamento che viene in ottobre, abbandonano le femmine che, dopo sette mesi, mettono al mondo uno o due agnellini di dimensioni piuttosto grandi. Questi sono prestissimo in grado di seguire la madre, e, ad appena due mesi, hanno già un abbozzo di corna.
Dobbiamo aggiungere che tutti questi mufloni selvatici, hanno, nei luoghi dove abitano, una reputazione decisamente diabolica. Essi si fanno beffe dei cacciatori, scompaiono e ricompaiono a volontà, come per magia. Sono, quindi, una selvaggina molto difficile da catturare, il che ha permesso loro di sopravvivere fino alla nostra epoca, malgrado la caccia intensa di cui sono oggetto! Speriamo ora che leggi intelligenti risparmino loro la sparizione definitiva che li minaccia da quando i fucili a cannocchiale, le «fuori-strada», gli elicotteri vengono usati contro di loro...
Quando si pensa alla leggenda del montone, non è senza un certo spavento che si constata questo: la leggenda è divisa in due parti diametralmente opposte. Da una parte l'agnello che rappresenta la dolcezza e la sottomissione, la vittima che si fa sgozzare e muore piangendo. Dall'altra parte un bruto molto temibile: l'ariete che ha dato il suo nome all'arma da guerra destinata a sfondare le porte dei castelli o delle città che non si arrendevano abbastanza in fretta agli assedianti. In verità, è possibile inventare due animali più opposti, nel loro simbolo, dell'agnello e dell'ariete? Eppure si tratta esattamente dello stesso animale, uno nei primi mesi di vita, l'altro. l'adulto, nella pienezza della sua forza brutale. Inutile aggiungere che questa dualità che, se ci pensiamo, ci tocca profondamente, rivestiva una grande importanza una volta, ai tempi in cui uomini e bestie erano molto più vicini gli uni agli altri.
 

MONTONE DEL KAMTCHATKA (Ovis canadensis nivicola)

Questo ovis, parola latina che significa «pecora», è canadensis semplicemente perché, vivendo nel Kamtchatka e cioè all'estremità est dell'Asia, è quasi identico ad un altro montone selvatico del Nuovo Mondo, la varietà chiamata del «Dal», una prova di più della stretta rassomiglianza che esiste tra la fauna dell'antico e del nuovo mondo, che trascorre la sua esistenza nel grande nord. Il terzo nome latino dell'animale «nivicola», è un'allusione al clima del paese, innevato per buona parte dell'anno. Anche questo montone selvatico ha magnifiche corna, con una curvatura molto simile a quella di alcune specie di montoni domestici. Ancora una volta, come ogni altra volta che è stato trattato questo ramo del mondo animale, possiamo considerare questo montone come uno degli antenati dei nostri armenti, più o meno diretto, più o meno certo, senza la possibilità di sapere, a questo proposito, l'esatta verità. Anche questi animali, come le altre pecore selvatiche, vivono in piccoli branchi, nelle zone montane, preferibilmente in luoghi dove raramente si incontrano uomini. Mentre nella bella stagione si spostano poco, in inverno compiono lunghe escursioni spingendosi a valle; ciò è comprensibile se si pensa che in estate il cibo è abbondante ovunque, mentre nella stagione invernale diventa difficile trovarlo. Ci può stupire il gran numero di mufloni e montoni selvatici che esistono nel vasto mondo, ognuno con caratteristiche proprie e che non si mischia con gli altri.
Ma quel che più impressiona, in tutti questi animali, è che essi non hanno mai lana, questa lana che occupa un posto così grande nella nostra civilizzazione. La ragione di questa assenza è semplice: la lana non esiste che sui montoni domestici, selezionati da secoli per ottenerla.
Occorre, dunque, avere molta riconoscenza per quei pastori di molto tempo fa, ai quali dobbiamo questa lana così preziosa.
 

ORSO

ORSO DI KAMTCHATKA (Ursus arctos beringianus)

Si sanno poche cose di questo grandissimo Orso bruno che abita l'estremità nord est dell'Asia, se non che rassomiglia stranamente agli enormi orsi bruni che abitano di fronte, nell'Alaska, e raramente nell'isola Kodiak e nelle terre vicine. In quanto Orso bruno autentico, è dunque legato allo stesso ramo dell'orso Kodiak, dell'orso Grizzly e delle differenti altre varietà di orso che abitano l'Europa, l'Asia e l'America, dai Pirenei fino a Sud della Cordigliera delle Ande. La pelliccia di questi animali è molto spessa, non molto morbida, col pelo di media lunghezza che può variare dal bruno nero al bruno grigio, al rossastro e, a volte, al grigio.
Anche i loro costumi, come il colore, variano moltissimo, ma quello che si sa degli orsi giganti dell'Alaska può essere certamente riferito anche agli orsi giganti del Kamtchatka, loro fratelli. Sono forestali per eccellenza ed hanno bisogno di molto spazio in cui muoversi alla ricerca del cibo. Preferiscono i boschi fitti ed il terreno movimentato, ricco di caverne e di anfratti. Gli orsi ibernano a lungo e si risvegliano all'epoca della risalita dei salmoni, venuti dal mare per deporre le uova nei fiumi, salmoni che gli orsi pescano nella corrente, afferrandoli sia con un rapido morso che con una fulminea zampata, e che procurano loro uno spesso strato di grasso che durerà tutto l'anno. Passato il periodo dei salmoni, gli orsi continuano a mangiare, e mangiare di tutto, come è di regola per questi onnivori perfetti: uova, insetti, uccellini, mammiferi di ogni tipo, dai grandi alci del nord fino ai lemmi pazientemente dissotterrati, frutti in quantità, con un debole per i mirtilli colti delicatamente con la punta del muso, gamberi, pesci, crostacei, molluschi di ogni specie: tutto piace loro. Sanno anche arrampicarsi sugli alberi, su cui ricercano i nidi delle api; trovatili, allargano la cavità a colpi di unghia per rubare i favi e mangiare il miele di cui sono particolarmente ghiotti. Le api, che si avventano loro addosso, normalmente non danno loro fastidio poiché non arrivano a giungere, attraverso la folta pelliccia, fino alla pelle. Solo quando si dirigono verso le labbra, il naso o il margine degli occhi riescono ad usare la loro arma ed allora i grossi animali, urlando per il dolore, si danno grandi zampate sul muso per cercare di uccidere le loro tormentatrici. Se nelle vicinanze del bosco vi sono coltivazioni di grano, segale, orzo, granoturco gli orsi approfittano per andare, di tanto in tanto, a rimpinzarsi di spighe e pannocchie. Infatti, per quanto onnivori, la loro alimentazione è prevalentemente vegetale e si rivolgono al mondo animale solo quando il cibo comincia a diventare scarso. In questo caso può capitare che gli orsi tornino malvolentieri al cibo vegetale e, per procurarsi facili prede, si rivolgono anche agli animali domestici. Dotati di un udito finissimo, di un ottimo olfatto, di grande forza e scaltrezza, possono diventare dei veri flagelli. Verso la fine dell'autunno i grandi orsi, che si sono rimpinzati durante tutta la bella stagione, raggiungono la loro tana e si addormentano di un sonno più o meno profondo, attendendo la prossima, ed a volte lontana, primavera. Mentre l'orso grigio americano è considerato aggressivo e pericoloso, l'orso bruno non è mai stato considerato feroce: è soltanto un animale da cui è bene guardarsi, ma che normalmente è innocuo. Gli orsi bruni hanno un'indole scontrosa (da cui l'abitudine di dare dell'«orso» ad una persona che non ama la compagnia) e sospettosa, ma, se non sono molestati, si guardano bene dal molestare.
Quel che è certo è che questi animali enormi, i più grandi quadrupedi carnivori del mondo (più di tre metri di lunghezza per un'altezza di un metro e venti ed un peso che oscilla intorno agli 800 chilogrammi) non si possono considerare del tutto tranquilli e possono anche, al caso, rivelarsi aggressivi e pericolosi come l'orso grigio americano. Dobbiamo solo sperare e fare in modo che essi abbiano solo raramente l'occasione di provarcelo.

 

ORSO DELL'HIMALAYA (Selenarctos thibetanus)

Questo straordinario animale dalla testa che sembra ancora più enorme per un grande collare di pelliccia e dalle orecchie portate quasi orizzontalmente, possiede un secondo collare a forma di V, completamente bianco, che parte da ogni lato delle spalle e termina a punta, verso il centro del ventre. E infatti lo si chiama ugualmente Orso dell'Himalaya od Orso dal Collare. Esso abita nelle foreste montagnose non solo dei pendii dell'Himalaya, ma anche di un'immensa parte dell'Asia, dalla Persia al Giappone, passando attraverso il nord dell'India e trovandosi ancora più lontano, nelle isole Hainan e Formosa... Non è un animale enorme, ma misura almeno un metro e sessanta di altezza e quando si mette in piedi, cosa che gli piace molto, diventa veramente impressionante.
Malgrado ciò è uno degli Orsi più pacifici che vivano al mondo: a contatto con l'uomo non dimostra né paura, né aggressività e si lascia facilmente addomesticare. D'altronde le sue unghie sono molto piccole e il suo regime prettamente vegetariano. Molto goloso di miele, mangia anche molte larve ed insetti.
Si ciba pure di frutti, ma solo quando sono completamente maturi e di suo gusto, gusto molto delicato, come quello di tutti gli altri Orsi. Bisognerebbe aver visto un gigante delle isole Aleutine, pesante circa come un grosso cavallo da traino, mentre coglie dei mirtilli o delle fragole selvatiche con la punta dei denti, per capire quali bongustai siano questi grandi animali.
Ritornando al nostro orso dal collare, non potremmo giurare che non ceda di tanto in tanto alla tentazione di divorare qualche uccello, ma ciò non costituisce senz'altro la base del suo menù. Come tutti gli altri Orsi, anche quello dal collare non ama la compagnia dei suoi simili, ma, a questo proposito; è meno esclusivista degli Orsi bruni, strettamente solitari tranne che al momento delle loro brevi nozze. Infatti si possono incontrare coppie di Orsi dal collare, o addirittura famiglie complete, con i giovani dell'ultima o della penultima nidiata.
Allorché gli Orsi dal collare divengono un poco obesi, prima del letargo, si spostano lentamente, annusando a destra o a sinistra, con il loro olfatto molto fine, ciò che potrebbe essere buono da mangiare e tirando fuori una lunga lingua per cogliere questo o quello. Sono spettacoli, questi, molto rari, sia per ciò che riguarda gli Orsi Kodiak che gli Orsi dal collare, dei quali un naturalista conserverà il ricordo fino alla fine dei suoi giorni. Fortunatamente, se non è molto difficile osservare questi animali nel loro ambiente naturale, diventa sempre più facile trovare films che mostrano questi o altri altrettanto appassionanti e divertenti nelle loro manifestazioni di vita. Il cinema, dopo la fotografia, avrà fatto molto per meglio far conoscere la fauna selvatica, il che non toglie nulla, ben inteso, al disegno, il solo capace di fissare alcuni dettagli e di insistere sulla loro importanza.

 

ORSO LABIATO (Melursus ursinus)

Quest'Orso, sembra, ha ispirato Rudyard Kipling per la creazione del suo «Baloo». Osservate il gallone bianco giallastro che orna il davanti della sua pelle irsuta, la lunghezza smisurata delle sue unghie, il suo muso glabro e chiaro ed i suoi piccoli denti. In verità l'Orso labiato si sta evolvendo verso un'altra specie: tra una decina di secoli o più, se esisterà ancora, gli zoologi avranno tendenza a classificarlo tra i formichieri. Questo grosso Orso pacifico, infatti, alto un metro e mezzo più una decina di centimetri per la coda, pur essendo fungivoro ed erbivoro, ama con tale passione le larve di termiti, di formiche e di api, e il miele ancora di più, che tende veramente a non cercare che questo nutrimento, persino sugli alberi, pur essendo molto pesante. Quando ha trovato le sue prede preferite nulla lo ferma: distrugge le pareti del più duro termitaio, a grandi colpi di unghie demolisce l'alveare delle api selvatiche sventra il formicaio e si ciba di quel nutrimento di cui è tanto goloso. La sua lingua, ancora più lunga ed ancora più flessibile di quella degli altri orsi, ma non tanto, tuttavia, quanto quella dei formichieri giganti o dei pangolini, gli permette di portar via ciò che gli interessa all'interno delle gallerie ed i suoi piccoli denti masticano rapidamente tutto ciò che essa porta dentro la bocca. L'Orso labiato sembra del tutto indifferente alle punture od alle morsicature degli insetti o degli imenotteri che preda ed a questo non è certamente estranea la sua golosità. Occorre inoltre notare che l'Orso labiato ha una pelliccia particolarmente spessa, abitudini piuttosto notturne ed è certamente immunizzato contro il veleno delle sue vittime. Queste, di notte, non sono altrettanto attive quanto in pieno giorno, e ciò spiega, forse, quanto abbiamo detto... L'Orso labiato è un soggetto completamente indiano che abita anche nell'isola di Ceylon. E' un animale assai pacifico, rumoroso, turbolento e che non ha certamente la saggezza e la sapienza che il celebre romanziere inglese ha attribuito al suo «Baloo». Le ragioni per cui è stato scelto per recitare questo ruolo ci sfuggono, ma ciò poco importa, poiché il libro della giungla non ha mai avuto la pretesa di essere un trattato di zoologia.
Lo zoo di Parigi ne possiede due che sembrano un po' tristi, un po' oppressi e molto strani. La lunghezza delle loro unghie è impressionante.

 

ORSO MALESE (Helarctos malayanus)

Ed ecco un altro fenomeno l'Orso malese, soprannominato Orso dei cocchi ed anche Bruan. Esso presenta una figura molto caratteristica: un pelo raso, simile a velluto nero, orecchie rotonde molto piccole, un notevole muso chiaro e delle macchie giallastre sul petto, che formano vagamente un distintivo con la punta rivolta verso il basso. E' munito di lunghi artigli, fornito alle mascelle di buoni denti e non supera la lunghezza di un metro e trenta centimetri, più una cortissima coda. Così con la sua fisionomia simpatica e le sue false arie da grosso cagnone, con la sua abitudine di stare volentieri in piedi, attira molto la curiosità, specialmente se si tratta di un soggetto giovane. Diffidate, tuttavia: è una specie di ciclone, di cataclisma. Goloso, ladro, roso dalla curiosità, imparerà molto presto ad aprire le porte, le serrature, i frigoriferi. Si arrampicherà dappertutto, romperà tutto, gusterà e divorerà tutto e, dotato di una forza inverosimile, romperà le sue catene e si mostrerà molto pericoloso se cercherete di correggerlo. Ciò non impedisce che tutti quelli che hanno allevato dei Bruan, ne custodiscano un ricordo contemporaneamente commovente e terribile. A dire il vero, è quasi impossibile sopportarli quando diventano adulti. Anche nei giardini zoologici, i loro guardiani devono sempre diffidare di loro. Cosa che avviene anche per tutte le altre varietà di orso, poiché questa specie è quella che soffre di più, forse non per la cattività, ma per la promiscuità. Per finire il ritratto di questo Orso malese, possiamo aggiungere che è totalmente onnivoro ed arrampicatore eccellente. Vive nell'est dell'Himalaya, nel sud della Cina ed in tutto il sud-est asiatico, fino all'isola di Borneo.
 

PICA DI ROYALE (Ochotoanidae royalei)

Chi, a parte qualche scienziato particolarmente specializzato, può sospettare l'esistenza in Asia di questa bestiola? Abbiamo già parlato dei Pica nella opera dello stesso editore riservata agli animali d'America. Ed ecco di nuovo i Pica in Asia!... Sono esattamente gli stessi graziosi animaletti che paiono di «peluche», molto simili a piccoli conigli con corte orecchie, pelo chiaro e che emettono grida acutissime. Riguardo a questi animali occorre dire che gli zoologi moderni non sono del tutto d'accordo sulla loro classificazione. Più precisamente, si tratterebbe di sapere se gli animali a forma di lepre, i Lagomorfi, sono o no roditori. Infatti le lepri, i conigli ed i pica hanno, dei roditori, soltanto la dentatura. Per tutto il resto della loro anatomia se ne differenziano talmente che numerosi zoologi preferiscono raggrupparli in un ordine a parte, chiamato dei «mammiferi saltatori». Ciò non impedisce ai piccoli Pica d'Europa, di Asia e d'America di vivere felici e liberi, tra le rocce sotto le quali scavano le loro tane e dove tengono vivaci conciliaboli, animati dal loro fischio continuo. Essi rosicchiano in pace il loro nutrimento che si preoccupano di ritirare velocemente nelle tane se piove, per rimetterlo fuori a seccare non appena la pioggia è cessata.
 

THAR (Hemitragus jemlahicus)

Per quel che riguarda i Thar possiamo dire che sono tipi di capre selvatiche. Con le due seguenti, abbiamo il gruppo degli Emitraghi (nome che significa letteralmente mezza capra), che alcuni zoologi considerano come il solo ed autentico antenato di tutte le nostre capre domestiche. Ma è inutile riaprire questo discorso, poiché non riusciremmo ad uscirne, come non ne siamo usciti la prima volta. In ogni caso, tutti questi animali, robusti ed ammirevolmente agili, dalle corte corna ricurve, dalla pelliccia sontuosissima per quel che riguarda la varietà himalayana, con quell'enorme criniera che ricopre completamente il dorso e che discende sulle zampe anteriori, sono rari e molto poco conosciuti. Nascosti tra le loro alte montagne, capaci di arrampicarsi su qualsiasi pendenza, nutrendosi unicamente di vegetali, i Thar vanno e vengono, salgono e scendono, al nord delle Indie e delle temibili montagne dell'Himalaya, che sono il loro dominio preferito. Si osserveranno due dettagli importanti per la loro identificazione: le corna-cave dei Thar sono semicircolari, poiché la superficie piana è girata all'interno del corno, ed esse sono molto vicine, alla base. I Thar si abituano facilmente alla vita domestica e possono vivere anche in ambienti che non somigliano affatto alle loro montagne. Vi sono stati casi di Thar che sono vissuti in prigionia fino ad una quindicina d'anni.
La quantità di capre selvatiche che esiste ancora al momento attuale nel mondo è tale che, se si vuole veramente studiarle, occorre conoscerle nei minimi dettagli. Abbiamo già detto che in realtà tutte hanno dato qualcosa alle nostre razze attuali di caprini. Tenendo in considerazione la grande varietà di esemplari presentati, non possiamo fare a meno di ammirare il lavoro della natura e la straordinaria profusione di specie a volte molto vicine fisicamente le une alle altre e che, malgrado tutto, coesistono senza mai mischiarsi, tranne quando l'uomo interviene per realizzare sottili incroci che hanno dato origine alle varie razze di animali domestici. Quanti millenni saranno occorsi per arrivare a ciò e quanta riconoscenza dobbiamo a questi pastori, a questi allevatori accaniti che hanno addomesticato tanti animali, di generazione in generazione, prima di arrivare a quel che noi conosciamo! Noi non faremo, forse, altrettanto!...
Tuttavia, ai nostri giorni, e molto recentemente, si può notare l'interesse manifestato un poco ovunque per l'addomesticamento dei delfini. Purtroppo, però, questo addomesticamento ha per unico scopo la loro esibizione in spettacoli o nei giardini zoologici.
 

BUE GRUGNENTE O YACK (Bos grunniens)

Prima di essere sottomesso alla Cina popolare, il Tibet esportava ogni anno una grande quantità di code di Yack in Gran Bretagna. Queste servivano per confezionare barbe per i... Papà Natale inglesi... Questo commercio poetico è ormai scomparso come tanti altri e non ha avuto neppure il vantaggio di insegnare ai bambini inglesi che gli Yack sono strani bovidi, più o meno selvatici, che vivono nel Tibet e che hanno i Bisonti come parenti più prossimi. Ciò non impedisce loro di dare prodotti fecondi con le differenti razze di vacche indiane e tibetane...
Gli Yack sono animali conosciuti e popolari nel mondo intero: da tutto il loro corpo si può intuire una grande forza; il tronco mastodontico è sorretto da zampe relativamente corte; la testa, di media dimensione, è molto larga nella parte posteriore; l'occhio è piccolo e spento, le lunghe corna sono percorse da solchi verso l'attaccatura, lisce nella parte terminale. Sono completamente rivestiti da una spessa lana che cade verso il basso, fin quasi a coprire le zampe, di colore piuttosto chiaro. Sia che si tratti di animali selvatici, dal bruttissimo carattere, sia che si tratti di animali domestici, dal latte ricco di crema, si può dire che tutto il folclore del Tibet si articola intorno allo Yack tibetano. In verità lo Yack di pura razza selvatica sta divenendo molto raro; non è più nel Tibet che occorre cercarlo, ma in rare regioni dell'Estremo Oriente. Per contro, ai nostri giorni, nel Tibet non esistono che Yack domestici, i quali costituiscono una razza di dimensioni più piccole e che si adatta a tutti i servizi possibili con grande docilità. Come il bisonte, lo Yack non muggisce, ma grugnisce (da qui il suo nome) ed ha, sempre come il bisonte, un paio di costole più degli altri bovidi. E' un animale molto parco, che si accontenta di pochissimo cibo, ed è molto resistente al freddo. Se nessun pericolo lo minaccia, passa molte ore nello stesso luogo, brucando i ciuffi d'erba finché lo stomaco è pieno; allora si sdraia e passa altre varie ore fermo a ruminare. Quando vi è un pericolo, gli individui adulti formano un cerchio in mezzo al quale hanno spinto i piccoli, così da formare una vera e propria barriera che li protegga. Basta però un colpo di fucile per far fuggire precipitosamente gli animali che si rifugiano in un posto molto dirupato dove il nemico difficilmente li può raggiungere. Il più sviluppato tra i loro sensi è l'olfatto; la vista è molto debole ed anche l'udito sembra che non sia molto sviluppato, tanto che i cacciatori possono, a volte, giungere in prossimità del branco senza che alcun animale se ne accorga.
Gli Yack domestici sono di colore variabile, che va dal bianco al nero, passando attraverso tutte le tonalità intermedie; ve ne sono anche di macchiati, al contrario di quelli selvatici che sono di un colore unico che varia dal beige, d'estate, al bianco d'inverno. Sia quelli domestici che quelli selvatici sono considerati tra gli animali più sicuri in montagna. E' un dettaglio molto poco conosciuto, questo della sicurezza di piede dei bovidi... Coloro che hanno visto il modo in cui, da noi, una modesta vacca è capace di passare dove un cavallo non passerebbe mai, non saranno sorpresi di sapere che gli Yack si incamminano senza la minima esitazione e senza inciampare lungo i peggiori sentieri di montagna, con la parete di roccia da una parte e lo strapiombo dall'altra, senza mai cadere, come un mulo non sarebbe forse mai capace di fare. L'aggressività degli Yack non è una leggenda: essi caricano volentieri gli estranei che si avventurano nei loro pascoli. E c'è di che aver paura, davanti a questa massa villosa e fornita di così belle corna, ringhiante, soffiante e grugnente. Allo stato domestico questi grandi animali dal lungo mantello sono invece docilissimi, proprio come potrebbero essere i nostri buoi, e rendono grandi servigi all'uomo. Sono infatti considerati animali da lavoro, da carico e da sella; danno un latte abbondantissimo e molto nutriente, lana molto forte, tanto che si ritiene più adatta per fare cordicelle che non tessuti, ed hanno una carne molto simile, come gusto, a quella dei nostri bovini. Per mezzo di questi animali, i tibetani possono spostarsi facilmente per le immense valli, risalendo i monti sino a considerevoli altezze. Uno Yack può camminare un giorno intero, senza fermarsi, portando sul dorso un carico di centocinquanta chilogrammi. Per finire con questo animale, notiamo che son ben rari i giardini zoologici che non ne mostrino qualcuno ai visitatori. Il che non ha certo influito poco sulla reputazione di questa specie... Infatti, gli Yack si riproducono bene nel nostro clima, senza soffrire eccessivamente il caldo.
 

IRBIS O LEOPARDO DELLE NEVI (Panthera uncia)

Come in Africa, anche in Asia esiste la Pantera o Leopardo, questo grande felino che sembra un enorme gatto, anzi un supergatto maculato, nel quale si trovano sviluppate tutte le qualità del gatto, ma al più alto grado: la grazia, la bellezza, l'agilità, la forza, l'astuzia. Le sue zampe vellutate nascondono i terribili e mortali artigli, mentre nella bocca nasconde i denti che sono più forti di quelli del leone. I popoli antichi, notando la coabitazione di questo animale feroce nell'habitat del leone, furono indotti a considerarlo come un derivato del leone, cioè un leone a macchie, e i Romani lo chiamarono Leopardo (Leo = leone, Pardus = pantera).
Nell'Asia centrale vive l'Irbis o Leopardo delle nevi che occupa, tra i Felini, un posto tutto particolare, poiché il suo habitat ed i suoi modi di vita si differenziano nettamente da quelli dei suoi affini del genere. Le notizie relative ai suoi modi di vita appaiono piuttosto incomplete e discordanti, essendo questo animale oltre tutto legato alle tradizioni ed alle leggende della sua zona di diffusione, tradizioni e leggende fra le più antiche e molteplici che l'Asia alimenti. Un cenno speciale va fatto per la denominazione «uncia» che ne definisce la specie. Il nome «uncia», infatti, venne attribuito a questo Leopardo delle nevi dal Buffon e generalmente accettato fino a quando, con simile denominazione, non si arrivò anche a distinguere il Giaguaro. A questo equivoco, fonte di confusione, risale l'appellativo di Irbis, oggi più conosciuto. Attualmente, però, il nome latino del Giaguaro accettato dalla maggioranza degli studiosi è «Panthera onca».
Le sue carni non sono commestibili e le popolazioni locali non usano la sua pelle né per scopi artigianali, né per abbigliamento.
La presenza di un Irbis nei giardini zoologici non è frequente, poiché si tratta di animali fieri, indomabili e selvaggi (anche più del congenere Leopardo) che si adattano difficilmente allo stato di cattività. Al riguardo si ricordano soltanto pochi casi in cui questo animale sia vissuto oltre qualche anno, malgrado le cure e le assistenze ricevute.
L'Irbis o Leopardo delle nevi raggiunge le dimensioni di un leopardo comune, e cioè un metro e dieci di lunghezza massima per il corpo e la testa, un po' meno (circa cm. 85) per la coda e più di centimetri sessanta di altezza. Esteriormente il Leopardo delle nevi è molto simile al leopardo comune, ma le ossa del suo cranio hanno una conformazione particolare che permette agli specialisti la sua identificazione. La sua pelliccia è splendida: spessa, soprattutto in inverno, di un grigio molto dolce che diventa bianco sul ventre, con macchie e raggi scuri su tutto il corpo. Le orecchie sono bordate di nero, con una macchia bianca davanti. Questo bellissimo animale si è adattato in modo particolare alla montagna dove lo si trova in Asia centrale, nell'Altai, nell'Himalaya; il suo regno, insomma, si estende su tutti i gruppi montuosi della Persia, ad ovest fino all'isola di Sakkalin e fino a quelle del Giappone a nord-est. In effetti l'Irbis vive ovunque il freddo impedisca di vivere al Leopardo comune. Il Leopardo delle nevi caccia di preferenza di notte; tutto gli va bene: cervi, daini, stambecchi, moschi, marmotte e tutti i roditori; anche gli animali domestici: montoni, capre, cani. Ma è accertato che questo animale non attacca mai l'uomo, neppure per difendersi o quando è stato ferito, circondato, o se si cerca di catturarlo vivo, come si è visto recentemente in un film di origine sovietica In linea di massima il Leopardo delle nevi non discende mai al di sotto dei duemila metri di altitudine, in inverno, ma lo si può trovare molto più in alto o molto più in basso a seconda della stagione.
Alcuni esploratori zoologi l'hanno visto ad una grande altezza, nel massiccio dell'Himalaya, o hanno incontrato le sue impronte caratteristiche nella neve molle. In U.R.S.S. l'animale è protetto, come la Tigre di Siberia, e non se ne catturano che per il ripopolamento dei giardini zoologici. In ogni modo, e dovunque, l'Irbis è molto raro, forse perché esso è veramente poco abbondante, e questa deve essere senz'altro la verità. Occorre osservare che esistono ben pochi animali altrettanto ben mimetizzati nel loro ambiente naturale. Prudente, silenzioso, esso evita da lontano gli esseri umani; il suo colore grigio, vagamente picchiettato, si perde alla perfezione nel paesaggio innevato e l'animale diventa praticamente invisibile. Un tempo, quando ve n'era anche qualche esemplare (ma può darsi che ne restino ancora...) in Iran, l'antica Persia. i personaggi importanti cacciavano questo leopardo con l'aiuto dei loro grandi levrieri, i saluki o gli afgani. Al momento esistono pochissimi esemplari nei giardini zoologici e non si sa quasi nulla delle loro abitudini intime, né della loro riproduzione. C'è solo da augurarsi che la moda non porti a fine la distruzione di questa bella specie, la cui pelliccia sontuosa piacerebbe certamente molto alle signore. Non occorrerebbe molto tempo perché il Leopardo delle nevi scompaia definitivamente dalla superficie della terra... Come è già il caso del Leopardo comune...
 

RINOPITECO ARANCIONE (Rhinopithecus roxellanae)

I Rinopiteci appartengono al genere dei Colobini. La loro struttura corporea è piuttosto massiccia, la loro testa è tondeggiante, il muso piatto fatta eccezione per il caratteristico naso, volto incredibilmente all'insù.
Hanno una pelliccia morbida e lanosa, anche in considerazione del loro habitat, che li costringe a resistere a basse temperature. L'area in cui si trovano è costituita dall'altopiano tibetano, che ha un'altitudine variabile da 4000 a 6000 metri; un insieme di alteterre con un aspetto arido, squallido ed in gran parte desertico.
Questi animali non sono soliti lasciare il loro distretto, ma lo fanno frequentemente a causa delle inclemenze climatiche, alla ricerca di temperature meno dure. Di questi caratteristici animali se ne conoscono quattro specie, ma lo studio non è stato approfondito ai vari tipi esistenti, anche perché solo in tempi abbastanza recenti si cominciò a parlare di queste scimmie.
Il più famoso di questo genere è comunque il Rinopiteco arancione.
Questa curiosa scimmia di montagna si trova dalle regioni situate ad est del Tibet, fino al nord-est della Cina e fino alla parte meridionale del deserto di Gobi. Perché curiosa? Perché le piace in modo particolare la neve, cosa che sembra assai paradossale per una scimmia, ed anche perché il suo muso è ornato da un naso schiacciato che le procura uno degli effetti più strani e più comici. E' questa la ragione del suo secondo nome latino, datole da uno zoologo in vena di facezie: roxellanae, a ricordo di una bella Rossella vissuta nella prima metà del secolo XVII, cantata da poeti e drammaturghi e nota per la sua straordinaria bellezza cui conferiva fascino e grazia il piccolo naso all'insù come (e non sia offesa alla memoria della bella Rossella) quello del Rinopiteco.
Oltre al singolare naso all'insù, altro carattere che distingue nettamente i Rinopitecidi è il mantello, costituito da un lungo, folto e morbido pelo, sempre a tinte molto vivaci. Quello della specie citata, infatti, è bruno in tutte le parti superiori del corpo, grigio verde nella fascia esterna degli arti e sulla coda mentre tutte le regioni inferiori del corpo, le zone interne degli arti, le mani, i piedi, la fronte ed i lati del muso hanno un bellissimo colore rosso-arancione; le parti nude del viso, inoltre, presentano una vistosa colorazione blu viva.
Le scimmie delle nevi vivono a gruppi, saccheggiando le case che trovano; e sono molto rispettate dagli indigeni.
Le loro dimensioni sono medie, ma sono dotate di una grande forza e sembrano intelligenti e sono molto bene organizzate. La loro lunga coda non è del tutto prensile, essendo, come si sa, questo privilegio della «quinta mano» riservato solo alle scimmie americane. Non si hanno molte notizie sulla vita di questi animali: abitano le zone montane fino a tremila metri e pare che il loro cibo preferito sia costituito da germogli di bambù. Si raccontano molti strani episodi riguardanti queste scimmie delle nevi; uno dei più stravaganti è questo: una volta un grosso branco di questi animali fu costretto ad abbandonare le zone più elevate, a causa del troppo freddo; mentre migravano verso zone meno fredde, le scimmie furono avvistate da alcune persone e molte altre si riunirono per vederle passare. Gli animali, impauriti, scapparono velocemente lasciando in terra un gran numero di bottiglie contenenti del liquore, che avevano tenute fino a quel momento nascoste nella folta pelliccia. Solo più tardi si venne a sapere che quelle bottiglie erano state rubate dalle scimmie in un villaggio distante circa venti chilometri...
Malgrado abbiano fama di essere nocivi, i Rinopiteci godono ugualmente delle simpatie degli indigeni che, anziché perseguitarli, preferiscono catturarne i giovani per allevarli allo stato di domesticità, nel quale i vivaci animali si dimostrano sempre piacevolissimi compagni.
 

PANDA

Un poco meglio si conoscono gli altri due animali che vi presentiamo: il Panda minore ed il Panda gigante, che hanno lo stesso nome, ma che non si assomigliano per niente e che è impossibile classificare allo stesso modo.

 

PANDA MINORE (Ailurus Fulgens)

Il Panda minore, chiamato anche Volpe di fuoco a causa del suo fiammeggiante colore rosso, è molto più vicino ai Procioni, ai Coati, ai Bassarischi ed altri simili animali dell'America, che a qualsiasi altro animale.
E' un animale che ha più o meno le loro dimensioni, con zampe piuttosto corte e robuste; la pelliccia, lunga e molto folta, dal colore rosso fiamma, come già si è detto, è la maggior particolarità di questo animale; anche la coda ha un rivestimento di pelo così lungo ed abbondante da sembrare ugualmente grossa in tutta la sua lunghezza. Il Panda minore è un animale di montagna, che si trova dall'Himalaya al Laos e che vive nelle fitte foreste che si estendono fra i duemila e i cinquemila metri di altezza. Queste volpi di fuoco hanno una caratteristica andatura saltellante e si arrampicano con facilità sugli alberi, nelle cavità dei quali hanno anche le loro tane. Il loro nutrimento è assai vario: frutta, germogli di piante, uccellini, uova, insetti, molluschi, ogni animaletto, insomma, a qualsiasi specie appartenga. Tra i due tipi di cibo, però, sembra che preferiscano quello vegetale.
In cattività, che sopporta assai male a causa del nutrimento, il Panda minore si segnala per la sua passività, interrotta da momenti di collera furiosa, durante i quali morde e graffia crudelmente.

 

PANDA GIGANTE (Ailuropoda melanoleuca)

Il Panda gigante, detto anche Orso del Bambù o Orso di padre David, fu scoperto proprio da questo Gesuita che gli diede il nome, nelle province cinesi dello Sé-Tchouan e del Kansou, nella seconda metà del secolo scorso. Come classificarlo? Non lo si sa troppo bene, se si considerano le sue sembianze che ricordano un poco un orso, un poco un procione, senza però che esso sia né orso, né procione. L'aspetto di questi animali, alquanto goffi, che misurano circa un metro di lunghezza ed hanno una coda cortissima, è caratteristico. Il loro mantello, molto folto e dal pelo piuttosto ruvido, è bianco e nero: la testa è bianca, con due grandi macchie nere intorno agli occhi, le orecchie pure nere; le zampe anteriori e posteriori e la parte anteriore del corpo sono nere; bianca è, infine, la rimanente parte del corpo. I Panda giganti vivono ad altezza considerevole, preferibilmente nelle fittissime macchie di bambù tra cui hanno anche la loro tana; il loro nutrimento è formato quasi esclusivamente da vegetali e, in particolare modo, da germogli di bambù, il che spiega la loro predilezione per i luoghi in cui vivono. Poco dopo la scoperta di Padre David, questo grosso animale bianco e nero venne completamente dimenticato. Bisognò attendere parecchio, fin dopo la prima guerra mondiale, per vederlo riportare in auge. Fu infatti nel 1939 che un grande esploratore e cacciatore riuscì a catturare quattro Panda giganti vivi e, dopo un lungo ed avventuroso viaggio, riuscanimali fino a Londra, dove vennero sistemati nel giardino zoologico. Essi destarono grandissimo entusiasmo e, per giorni e giorni, vi fu un'ininterrotta sfilata di visitatori dinanzi alle loro gabbie; da animali pressoché sconosciuti, divennero in breve tempo animali notissimi. Si adattarono molto bene alla vita in cattività e divennero tanto domestici da poter essere messi in recinti in cui avevano la possibilità di muoversi e giocare liberamente, divertendo i visitatori con le loro buffe mosse. Al momento sono pochissimi i giardini zoologici che possiedono questo strano animale, estremamente dolce e pacifico, simile ad un giocattolo gigante e poco disposto a riprodursi in cattività, a quel che sembra dopo le deludenti esperienze matrimoniali tra i due Panda, maschio e femmina, dei giardini zoologici di Londra e di Mosca, accoppiati nel giardino di quest'ultima città... Ma è a Pechino, dove esiste un parco zoologico molto ben popolato, che si devono vedere i Panda giganti. Purtroppo questo privilegio è riservato a pochi occidentali. Infatti, se il latino serve da lingua universale agli zoologi, le frontiere, le dogane, i passaporti ed i cambi continuano a separare i popoli e, naturalmente, anche i loro scienziati. Sia quel che sia, se il Panda gigante è una scoperta recente per gli Europei, non lo è per i cinesi che lo conoscevano e lo disegnavano già molto tempo fa. Prova supplementare, se ce n'era bisogno, dell'importanza dell'immagine offerta al popolo, quando si tratta di ricerche zoologiche.
Ai nostri giorni si possono trovare facilmente nei giardini zoologici europei dei Panda minori, ma rari sono ancora i Panda giganti.
Ovunque, dove questi animali sono stati presentati al pubblico, si è posto un problema piuttosto difficile da risolvere e che rende problematico il loro mantenimento: il problema della loro alimentazione.
 

CAPRICORNO DI SUMATRA (Capricornis sumatrensis)

Il Capricorno di Sumatra, di cui esistono più varietà, è un'antilope capra, dello stesso tipo del Goral, del Camoscio e della Capra bianca americana. Ha più o meno le loro dimensioni, è capace come loro, o forse un po' meno, di arrampicarsi con facilità, ha il vello formato da pelo piuttosto lungo, ruvido e liscio, di colore sempre piuttosto scuro, a volte persino nero. I Capricorni di Sumatra sono diffusi in tutta l'Asia centrale, dal Cachemire fino alla Malesia compresa, in varie zone della Cina, della Birmania, nell'isola di Formosa, nella penisola Malese, nella Thailandia e nell'isola di Sumatra che ha dato origine al loro nome.
Non sono animali graziosi come la Capra bianca od il Camoscio: tozzi e di aspetto pesante, con zampe alte e sottili, coda molto corta, collo robusto, orecchie lunghe e appuntite, nerastri, hanno corna (che nelle femmine si presentano di dimensioni minori) schiacciate lateralmente, un po' curve all'indietro, leggermente divergenti, di una ventina di centimetri di lunghezza. Sono animali dall'espressione triste, con un profilo rettilineo dall'estremità del muso fino alla base delle corna; vivono in piccoli gruppi, nelle parti più impervie delle montagne, sempre però dove vi siano in abbondanza cespugli ed alberelli; sono molto miti, timidi e si affezionano al luogo in cui si insediano. Se ne vedono, a volte, nei giardini zoologici; ma chi avrebbe l'idea d'interessarsi a questo animale non molto bizzarro, con le sue piccole corna, il suo pelo irsuto, la sua criniera e le sue zampe chiare?
Le Capre selvatiche, com'è già stato detto, popolano il mondo intero, con aspetti differenti, ma con numerosi punti in comune: la barbetta più o meno lunga, le lunghe corna dei maschi, la stravagante agilità sulle rocce di montagna, l'occhio «diabolico» e cioè generalmente giallo con la pupilla orizzontale e lo sguardo fiero, infine un odore «sui generis» molto caratteristico.
Lo ripeteremo ancora questa volta: tutti gli animali hanno partecipato, poco o tanto, alla lenta elaborazione delle differenti varietà di capre domestiche, uno dei primi animali addomesticati e poi selezionati dagli uomini preistorici nostri lontani antenati. In che misura? Non lo sapremo mai esattamente. Comunque non più delle proporzioni dei differenti mufloni rispetto ai nostri attuali montoni, ecc...
 

MARKHOR (Capra falconeri)

Vediamo dunque ora due varietà di Markor (o Markhor, essendo l'ortografia di questi animali poco comuni soggetta ad alcune variazioni). La più conosciuta è quella le cui grandi corna, viste di faccia, formano una V maiuscola. Il modo con cui queste corna sono avvolte su se stesse è veramente curioso: si direbbe che siano state messe due lame di spada, larghe, diritte ed appuntite, in una morsa e che, di forza, siano state attorcigliate su se stesse, con un numero di giri variabile a seconda della varietà di Markor. In poche parole, esse sono foggiate a cavatappi. Ciò dà un aspetto del tutto particolare a questi fieri animali selvatici. Il Markor, con la sua altezza che può superare il metro, è considerato il gigante dei caprini.
La sua caratteristica principale, come abbiamo detto, è costituita dalle corna che, nelle femmine, sono molto meno sviluppate e non hanno nulla di particolare. Altri attributi riservati agli animali di sesso maschile sono: una barba più o meno folta ed una «palandrana» di pelo abbondante e lungo che ricade sulla parte anteriore del petto.
Questi attributi aumentano e migliorano ancor più quell'aspetto diabolico che gli abitanti di tutti i paesi in cui vive attribuiscono allo stambecco.
I Markor hanno un mantello di color bruno rossastro e più rado, in estate; di color grigio nel periodo invernale.
La parte anteriore delle zampe e la coda sono più scure, quasi nere. Il modo di vita di questi animali è molto simile a quello di tutti gli altri caprini, con la sola differenza che i branchi si trattengono in foreste poco fitte o in mezzo agli arbusti e, durante l'inverno, scendono anche molto in basso per sfuggire al freddo intenso.
Il Markor occupa le montagne asiatiche, e più particolarmente quelle dell'Afganistan, paese molto scosceso, popolato da uomini ardimentosi, cacciatori ed abili tiratori. Bisogna dire che essi fanno più o meno, senza dubbio più che meno, la guerra agli stambecchi delle loro montagne, che costituiscono una selvaggina molto nobile, poiché molto difficile da cacciare. Si sa che gli stambecchi, come altri animali di montagna, preferiscono gettarsi nel vuoto piuttosto che lasciarsi raggiungere da un persecutore. Essi conoscono bene il vuoto e non lo temono quanto invece può temerlo un cacciatore accompagnato dai suoi cani. Essi sanno anche che la minima asperità di una parete è utilizzabile, grazie ai loro zoccoli spaccati e dotati di una incomparabile sicurezza. Essi sanno anche che la loro caduta può essere ammortizzata dalle loro corna, solide e leggermente elastiche. Si pretende addirittura che alcuni stambecchi siano riusciti a salvare la loro vita posandosi, al termine di una caduta, sulle corna. E in questo genere di affermazioni difficilmente c'è, come si suol dire, fumo senza arrosto. Infine resta uno straordinario film sovietico che mostra gli stambecchi che discendono lungo un immenso burrone con i due fianchi a picco, saltando da una parete all'altra, dall'alto in basso, senza incidenti. Il fatto è già stato citato in precedenza. Ma è il solo assolutamente autentico di cui disponiamo per dare un'idea precisa delle prodezze di cui sono capaci questi animali, quando viene il momento di scegliere tra i colpi del cacciatore ed un salto nel vuoto. Fortunati coloro che hanno avuto la fortuna di poter avvicinare questi prestigiosi animali e vedere coi propri occhi come essi se la cavano nel loro ambiente naturale. Tanto più fortunati in quanto entro pochi anni sarà senz'altro diventato impossibile incontrare stambecchi Markor, se non in qualche rarissimo giardino zoologico, che dovrà essere adatto in modo particolare, per rinchiudere questi saltatori che non temono alcun ostacolo.
Per la sua grande e massiccia mole, che gli conferisce un aspetto imponente, il Markor viene chiamato in alcuni distretti della sua area di diffusione «il Patriarca», e numerose leggende, tramandateci dai popoli asiatici, vogliono che esso sia «il Saggio» cui ogni altro animale della regione ricorre per sanare controversie e avere giustizia.
Il Markor è noto col nome di Stambecco di Falconer. Durante la stagione degli amori, ottobre-dicembre, il Markor scende dalle regioni più elevate in cui staziona abitualmente verso le zone collinose, dove i branchi rimangono riuniti per l'intero periodo di gestazione delle femmine. I piccoli, uno o due per ogni parto, nascono fra maggio e giugno.
Il Markor tipico, sebbene preferisca vivere in zone ricche di foreste, suole tuttavia trattenersi allo scoperto nelle radure dove gli sia possibile avvistare il pericolo e attuare la fuga, quando ciò si rende necessario.

 

MARKHOR DI SULFERNIAU (Capra falconeri jerdoni)

Il Markor di Sulferniau è conosciuto anche col nome di Stambecco Falconer Jerdoni, i suoi modi di vita e le abitudini non differiscono affatto da quelli del Markor anzidetto, prediligendo le zone impervie con burroni e crepacci, caratterizzate da un clima rigido d'inverno e da temperature torride d'estate. Tali zone sono aride e inospitali e questa è certo una delle ragioni per cui la particolare sottospecie del Markor Falconer Jerdoni, che le abita, appare più tozza e più robusta dell'altra.
Una particolarità che potrebbe sembrare strana della quale non abbiamo la benché minima informazione scientifica per avvalorarne la tesi, è l'aggruppamento che avviene durante il periodo degli amori. Abbiamo già detto che durante tutto l'anno i Markor vivono riuniti in gruppi misti, individui giovani ed adulti d'ambo i sessi. All'approssimarsi dell'epoca degli amori il branco si divide in due gruppi, quello dei capi adulti e quello dei giovani. I vecchi maschi apertamente disdegnano l'attività amorosa dei giovani. Possiamo dire che anche fra gli animali alcuni comportamenti discriminatori sembrano avvalorare la tesi del «razzismo»; ancora una volta troviamo elementi per rafforzare questo strano fenomeno, del quale però non sappiamo darne giustificazione su basi scientifiche. Da parte dell'uomo il Markor non ha nulla da temere poiché gli indigeni lo rispettano ancora oggi, per la convinzione radicata che debba trattarsi di animale saggio, e i cacciatori sostengono di non trovarvi utilità alcuna né dalle sue carni, né dalle sue pelli e dalle sue imponenti ramificazioni cornute.
 

MUFLONE ORIENTALE O URIAL O DELLE VIGNE (Ovis orientalis)

Le montagne asiatiche sono il regno delle pecore selvatiche e fra queste si distingue, con non poche difficoltà, forse massimamente per le sue dimensioni, il Muflone orientale o Urial o Muflone delle vigne.
Questo animale è il più grande del suo genere: può raggiungere il metro e trenta in altezza e superare i due metri di lunghezza. Il corpo è tozzo, il collo poderoso, la testa grossa e le corna di dimensioni notevoli. Le corna, a sezione triangolare, occupano alla base tutta la parte superiore del capo ed in alcuni individui, maschi, possono raggiungere il peso di venti chilogrammi, pari ad un quinto del peso dell'animale. Sempre nei maschi, la crescita delle corna incomincia addirittura a due mesi dalla nascita e negli adulti raggiunge la lunghezza di un metro e venti.
L'Urial vive nelle zone montagnose dell'Asia centrale, sopra i mille metri, scegliendo preferibilmente le vallate ricche di erbe e le scarpate rocciose provviste di cespugli. Nei periodi invernali, quando il tempo non gli consente di continuare a vivere ad altitudini elevate, scende dove il clima è più mite e si stabilisce in corrispondenza dei ruscelli.
Si dice che questi animali scelgano con grande cura le acque per le loro abbeverate, preferendo luoghi dove l'acqua è più limpida; e si stabiliscano in zone dove possono trovare piante e vegetali ricchi di sostanze saline e sali minerali di cui sono ghiottissimi. Pare, a proposito, che tra i loro alimenti abbiano una particolare predilezione per il fogliame ed i germogli delle viti, forse appunto perché sono di particolare saporazione salina; e da ciò trae origine il loro nome: Muflone delle vigne. La loro vita di gruppo si svolge come per tutte le altre pecore selvatiche, già più volte descritte. Gli accoppiamenti avvengono ad ottobre e durano solo pochi giorni. Ad aprile la femmina mette al mondo uno o due agnellini, di grosse dimensioni e dal manto fulvo. In capo a pochi giorni questi saranno già in grado di seguire la madre.
Il Muflone delle vigne è senz'altro uno degli animali rari. E' dotato di un eccellente odorato; la sua caccia è tra le più difficili e le sue carni pare siano di squisita succulenza. La sua folta pelliccia lo protegge bene dal freddo e dai rigori invernali delle zone dove staziona e vive.
Ancora una volta, occorre essere uno zoologo molto preparato per riconoscerlo tra le altre varietà di montoni e mufloni che noi abbiamo seguito, dalla Corsica e Sardegna fino alle Montagne Rocciose dell'America, passando per l'Africa del Nord e per le regioni dell'Ovest asiatico. Una volta di più questa immagine può dare un'idea della ricchezza di cui dispone la natura, o il Creatore, per popolare la superficie della terra. Una volta di più, infine, occorre constatare questo «razzismo» del mondo animale, che rifiuta gli incroci e le cui differenti specie restano ben distinte, anche se vivono a fianco di altre specie quasi simili.
 

PANTERA (Panthera pardus)

Nella moderna sistematica faunistica il termine Panthera è stato eretto a genere per varie specie di felini che prima erano ascritti al genere Felis, quali il leone, la tigre, il giaguaro. Nel linguaggio comune il leopardo è detto Pantera per indicare le forme asiatiche. La pantera o leopardo asiatico è la fiera con la più vasta area di diffusione della terra (Africa ed Asia). Il mantello, dal fondo fulvo chiaro, è cosparso di macchie di grandezza, forma e disposizione variabili: queste sono più piccole e meglio definite nelle razze africane che in quelle d'Asia. La caratteristica maculazione del mantello della pantera viene interpretata come un fenomeno di mimetismo; la forma e la disposizione delle macchie intorno imitano infatti i cerchietti di luce e di ombra che il sole proietta sul terreno attraverso il fogliame: in tal modo, l'animale si confonde assai bene con la natura che lo circonda e può rimanere in agguato o avvicinarsi alla preda, senza essere visto. Nelle razze dei due continenti della pantera di cui diciamo, ma particolarmente a Sumatra e Giava, si presentano forme melaniche del mantello, per effetto del fenomeno detto «melanismo» dal greco «mèlas = nero» da cui deriva a questi felini il nome di pantere nere.
La pantera, nel suo insieme, è una belva dalle proporzioni perfette, che può arrivare ai due metri di lunghezza e al peso di ottanta chilogrammi e più. La testa è sempre piuttosto grande, rotondeggiante, il collo è corto, il corpo molto snello ed elegante, le zampe piuttosto grosse ed armate di robustissimi artigli, gli occhi grandi e di un bellissimo giallo verdastro, il muso breve, ed i padiglioni auricolari piuttosto piccoli. La dentatura è completa ed è forte almeno quanto quella del leone. Questo bellissimo felino è uno degli animali più largamente distribuito sulla superficie della terra: lo si trova nelle pianure caldissime, come pure sui monti anche a qualche migliaio di metri di altezza sul livello del mare; vive in zone brulle e povere d'acqua, così come vive in zone in cui vi è abbondanza d'acqua e in cui predomina la vegetazione fatta di boscaglia fitta e intricata. La pantera vive in genere da sola; è particolarmente dotata per correre, balzare, arrampicarsi sugli alberi, ma sa anche nuotare; sicché sono sua preda animali diversi, dai quadrupedi selvatici o domestici alle scimmie, dagli uccelli ai pesci; talvolta assale anche l'uomo.
Si adatta alla prigionia ma, come diremo in seguito, di solito conserva la sua indole selvaggia, tanto che è difficile addomesticarla. Le pantere, in genere, sono animali dotati di una fenomenale agilità: sanno strisciare appiattiti al suolo in modo tale da riuscire a nascondersi fra l'erba, aiutate inoltre dal mantello che si presta allo scopo; sanno arrampicarsi con la velocità e la sicurezza dei gatti; sanno camminare in perfetto equilibrio sui rami; fanno balzi di alcuni metri e sono velocissimi nella corsa. Le pantere sono spietate e agilissime cacciatrici, attive di giorno, ma ancor più di notte; cacciano di preferenza animali di piccole dimensioni, ma aggrediscono e uccidono anche animali di mole maggiore. Anche gli animali domestici cadono spesso vittima delle pantere che, nel compiere siffatte imprese, sono di un'audacia inverosimile: strisciano di solito di notte, ma a volte anche in pieno giorno, fino in prossimità del recinto che racchiude gli animali; con un balzo si gettano fra questi ammazzandone più di uno e, con rapidità impressionante, fuggono portandosi via una delle vittime. Inseguirli oltre che inutile è anche pericoloso poiché la pantera, se minacciata, non esita ad assalire anche l'uomo. La pantera è inoltre la più sanguinaria delle fiere; in un batter d'occhio compie vere e proprie stragi fra il bestiame degli indigeni ed è quindi fra tutte le belve la più odiata.
Se sa di poter «lavorare» con calma, sgozza più animali che può, lasciandoli poi sul terreno, come per prepararsi una scorta di viveri a cui attingere nei giorni seguenti. Ogni notte le tenebre sono lacerate dal suo ruggito roco e minaccioso. Giovani bufali, Sambar, capre, e qualsiasi altro tipo di selvaggina di media taglia costituiscono la preda di questo felino sanguinario. Inoltre, con l'età avanzata, la Pantera può divenire portata all'antropofagia, e spesso non si tratta di leggende. Nel secolo scorso si è calcolato che in India circa 300 uomini ogni anno venivano divorati da pantere.
I veddidi, i più probabili discendenti della tribù Dasas, una delle tribù indiane rimasta agli stadi primitivi della civiltà, nel sud dell'India, cacciano spietatamente la pantera in battute collettive, stringendo sempre più un compatto cerchio di uomini e frecce mortali pronte a colpire la più temibile delle fiere, consapevoli che qualcuno di loro potrebbe perire in questa spietata caccia. In tutta l'area di diffusione la pantera viene cacciata specie per il valore della sua pelliccia. Di solito viene presa legando fra gli alberi un animale da richiamo e stando appostati in un luogo elevato, pronti a sparare non appena la belva sopraggiunga. Meno spesso la caccia viene praticata con l'aiuto di cani particolarmente addestrati che, scovata la pantera, la costringono a fuggire ed a rifugiarsi su di un albero, così che diventi facile colpirla col fucile; altro mezzo usato è quello delle trappole in cui, nonostante la furbizia, questi animali cadono spesso.
Per finire, possiamo dire che la pantera è una delle bestie più conosciute dal grande pubblico, che ne vede in tutti i circhi ed i giardini zoologici, anche se spesso la confonde con il giaguaro o con l'ocelot... Una delle cose che maggiormente colpisce è che una pantera rimanga per tutta la vita estremamente dolce e paziente, nonché piacevole da frequentare. Ma attenzione! Non tutte! Abbiamo comunque avuto diversi casi di questo genere, tra i quali citiamo quello della pantera che apparteneva al cavaliere d'Orgeix e che non lo lasciava mai. C'è stata anche una bella pantera al giardino zoologico di Parigi, a Vincennes, che si lasciava accarezzare, rotolare, abbracciare dal suo guardiano e che gli rispondeva a grandi colpi di lingua senza mai sfoderare gli artigli, né mostrare i denti. Essa naturalmente, era sola nella sua gabbia, ma le sue vicine avrebbero volentieri massacrato quell'uomo se avessero potuto averlo tra le loro grinfie. Questi sono i misteri del mondo animale che ci sono ancora oscuri. E ciò prova che gli animali non sono macchine fatte tutte con lo stesso stampo. Come non esistono due pantere macchiate nell'identico modo, così non ve ne sono due con lo stesso carattere. E' molto meglio così, ma ciò ci impedisce di trarre delle conclusioni precoci e ci costringe a riflettere un po' più a lungo quando abbiamo a che fare con gli animali.
 

TIGRE (Panthera tigris)

Si è già parlato a lungo della Tigre gigante, quella che vive nella taiga e nella tundra del nord est asiatico. Essa può essere considerata come capostipite di tutte le tigri. In India, ecco una sua discendente, pomposamente soprannominata Tigre reale o Tigre del Bengala. E' un poco più piccola, più leggera, di pelo più corto e di colore molto più vivo. Si può dire che nessun altro carnivoro esistente ha la bellezza e l'eleganza della Tigre. Il tronco è molto snello e flessuoso, la testa è proporzionata al corpo ed arrotondata, le zampe sono molto agili ed il mantello può essere eguagliato nella sua bellezza soltanto da quello dei Leopardi e dei Giaguari. Il mantello è costituito da peli molto fitti, piuttosto corti, salvo che sul lato del muso dove formano una specie di barba, non molto morbidi, di color giallo fulvo, con striature nere. A dire il vero, il suo pelo può sembrare il gioco dell'ombra e della luce nella giungla: i raggi del sole che seguono i sottili tronchi neri dei cespugli impenetrabili, dei bambù e delle alte erbe. Le Tigri, pur trovandosi bene in ambienti diversissimi, preferiscono le zone molto umide, dove la vegetazione è molto rigogliosa; la giungla fitta, ricca di ombra e di nascondigli, abbonda di mammiferi di ogni taglia, così che la Tigre può facilmente procurarsi il nutrimento; inoltre l'abbondanza di ombra e di acqua permette alla Tigre di ristorarsi e ripararsi, poiché, contrariamente a quanto comunemente si pensa, la Tigre non è affatto amante del caldo.
Pur essendo più piccola del suo antenato, la Tigre indiana non è meno temibile, solitaria, cosciente della sua forza, della rapidità folgorante dei suoi attacchi e della sua prontezza a sparire l'agilità e la scioltezza dei movimenti di questo animale, infatti, sono certamente pari alla sua forza. Come la Pantera, può appiattirsi e strisciare al suolo, insinuarsi in fessure strettissime, correre con notevole velocità e superare con un balzo alcuni metri. E' molto amante dell'acqua e nuota con grande sicurezza sia in superficie che in profondità. Qualsiasi preda è buona per questo animale, tuttavia, come avviene per molte belve, esso fa di tutto per risparmiare fatica dirigendosi verso animali che possono essere facilmente uccisi. La caccia si svolge a tutte le ore, di giorno e di notte, ma di preferenza verso sera.
Il metodo usato è l'agguato: strisciando silenziosamente, la tigre va ad appostarsi vicino all'acqua per attendere gli animali che si recano a bere. Allora con un balzo, atterra la vittima e l'azzanna al collo. La Tigre uccide rapidamente e bene, mangia enormemente e beve altrettanto, poi dorme a lungo. Non teme che l'elefante e il bufalo che però, all'occorrenza, non ha paura di attaccare. E l'uomo.
Diventa mangiatrice di vecchie donne e di bambini per pigrizia, se non per gusto. Ritorna sui loro resti, anche se putrefatti. Fa perdere la testa alle sue prede, quando caccia, con una specie di urlo sordo e basso, che sembra venire contemporaneamente da tutte le parti. Pesante fino a 250 chilogrammi, è però capace di saltare una barriera di due metri e mezzo con un vitello di 150 chilogrammi preso al collo e bilanciato sulla sua schiena. Ciò è stato visto. E quando carica una fila di battitori, uccide al volo con una precisione spaventosa, l'uomo che le dà fastidio: testa stritolata da un colpo di mascella o da una zampata. Un tempo la caccia a questo felino avveniva dalla groppa di un elefante. Oggi queste sfarzose battute si son fatte rare e generalmente la si caccia all'agguato dall'alto di un albero con una bestia morta od una preda viva come esca.
Omer Sarraut, grande cacciatore francese, ha ucciso, nell'antica Indocina, quattro tigri con quattro colpi di fucile. Molto usate sono, però, anche le trappole sotto forma di gabbie, di buche scavate nel terreno e di reti e sempre con un'esca viva per attirare la belva. Il risultato di tutto ciò è che l'animale è in via di rapida sparizione. Si calcola che ormai non ve ne siano più di ventimila. Ed è poco per assicurare il mantenimento della specie. Buona nuotatrice come si è detto, la Tigre indiana, dopo la colonizzazione dell'Indocina e della Malesia, ha raggiunto le isole di Sumatra, Giava e Bali.
La Tigre è un animale abbastanza facile da addomesticare: basta pensare a quanti di questi animali lavorano nei circhi, compiendo esercizi che ci lasciano senza fiato. Ma, salvo casi eccezionali, questi animali conservano sempre la loro vera indole e sono sempre pronti a rivoltarsi e ad aggredire anche il domatore che li conosce da anni.
 

GATTI SELVATICI

GATTO DELLA GIUNGLA (Felis chaus)

Il Chaus è comune all'Africa ed all'Asia ed è più simile alle linci che ai gatti. Esso è presente, in questo ultimo continente, dalla Persia all'India. Abita nella giungla, nella savana; ha dei ciuffi di pelo sulla punta delle orecchie ed il suo colore, press'a poco uniforme, è assai chiaro.

 

GATTO DEL DESERTO CINESE (Felis bieti)

Il Gatto del deserto cinese è stato descritto per la prima volta dal principe francese Henri d'Orleans. Ma non si conoscono che pochissimi dettagli sull'ambiente ed i costumi di questo animale che vive, sembra, sui pendii del Tibet e nelle steppe della Cina.
Esso è molto simile al Gatto del deserto libico ed ha le dimensioni di un gatto domestico, con un pelo uniforme, senza macchie né striature. La parte superiore è grigio giallastra, la gola gialla e il ventre è chiaro. Esso deve misurare circa 90 cm., secondo una delle rare spoglie conosciute, più la coda.

 

GATTO PESCATORE (Felis viverrina)

Il Gatto pescatore raggiunge un metro di lunghezza. Non si sa molto sul suo conto, se non che è molto forte e molto scattante per la sua taglia. Vive in India, da Ceylon alla Cina, e lo si trova fino in Birmania, a Giava ed a Formosa. Ovunque è chiamato Gatto pescatore, ma non si sa se per questo esso entra in acqua o se prende i pesci con un colpo di zampa, senza bagnarsi. Ciò non gli impedisce di attaccare, all'occasione, animali grossi come cani, vitelli o montoni.

 

GATTO DELLE STEPPE (Felis manul)

Il Gatto della steppa è uno dei più strani di tutto il gruppo. Esso non è molto grande, non pesa mai più di tre chilogrammi, ha una bella pelliccia grigio argento, particolarmente lunga e spessa nella parte inferiore, forse per adattarsi alla vita nella neve e nel ghiaccio. Ha anche qualche indistinta striatura, sul corpo. La sua testa, dai lunghi favoriti, ha una bizzarra apparenza umana, quando non si guarda il suo corpo. Ne esistono tre varietà che abitano nel Turkestan e nell'est della Siberia, nella regione del lago Baikal e nel Tibet, dove vive probabilmente la varietà più piccola dei tre.

 

GATTO DALLA CODA FOLTA (Felis empilura)

Il Gatto dalla coda folta abita nell'Asia orientale ed è molto simile ai nostri gatti domestici.

 

GATTO COLOR RUGGINE (Felis rubiginosa)

Il Gatto color ruggine è un felino molto piccolo, assai simile ad una piccola pantera di meno di due chilogrammi. Lo si trova a sud dell'India ed una sottospecie che vive a Ceylon è stata identificata solo nel 1956. Sembra che sia abituato a vivere contemporaneamente nei boschi, nella giungla e nelle praterie, dove si può notare, quando lo si incontra, come è elegante ed agile.
Caccia gli uccelli, all'occasione anche il pollame ed i piccoli mammiferi.

 

GATTO DEL DESERTO (Felis lybica)

Il Gatto del deserto indiano è identico al Gatto del deserto libico. Non è molto grosso, ma ciò non impedisce che uno di essi sia stato ucciso mentre stava assalendo un montone. Abitualmente questa piccola fiera si contenta di catturare e mangiare dei piccoli gerbilli...

 

CARACAL (Lynx caracal)

Ecco infine il Caracal, tanto africano quanto asiatico, e simile alla lince (tanto che oggi viene classificato col nome generico di Lynx piuttosto che Felix), coi suoi ciuffi di pelo oscillanti sulle orecchie. Esso vive nella zona che va dalla Persia al centro dell'India.

 

GATTO MARMORIZZATO (Felis marmorata)

Il Gatto marmorizzato è un eccellente cacciatore. In cattività uccide e mangia scoiattoli, uccelli o rane, ma non accetta mai alcuna carogna

 

LEOPARDO NEBULOSO (Neofelis nebulosa)

ll Leopardo nebuloso è, su questo non c'è alcun dubbio, il più bello, il più sontuoso degli animali rivestiti con una pelliccia macchiettata. Esso presenta inoltre alcune particolarità stupefacenti: una coda, una testa e delle zanne di una lunghezza eccezionale. Esso non lascia, per così dire, mai gli alberi e gli indigeni che lo conoscono affermano che non attacca mai gli uomini, neppure quando gli si dà la caccia e lo si ferisce. Esso è raro, ricercato ovunque, ma discreto, e pochissimi sono coloro che l'hanno incontrato. Tuttavia alcuni affermano che esso attacca l'uomo in alcune circostanze. Nel Borneo una coppia di queste belve, che aveva ucciso una scimmia nasica, si è rivoltata contro un gruppo di cacciatori che osservava la scena.
Ma, se catturato giovane, il Leopardo nebuloso si addomestica molto bene. Questo animale si trova nel Sikkim, nel Bhutan, nell'Assam, in Birmania, nella penisola Malese, nel Borneo, a Sumatra, a Formosa ed in alcune regioni della Cina continentale.
Allo stato selvatico la sua riproduzione resta ancora misteriosa.
Il Leopardo nebuloso non accetta, in cattività, che prede vive che esso uccide con un morso dopo un attacco fulmineo.

 

GATTO DALLA TESTA PIATTA (Felis planiceps)

Il Gatto dalla testa piatta, soprannominato anche piccolo gatto di Malesia, è un piccolo felino, uno dei più piccoli felini selvatici d'Asia. Lo si trova nel Borneo, a Sumatra ed in Malesia, dove è molto raro. Esso caccia di notte i pesci e le rane; ne sono stati visti anche attaccare le galline. Si addomestica molto bene e non si conosce null'altro sulle sue abitudini e la sua riproduzione.

 

GATTO LEOPARDO (Felis bengalensis)

Il Gatto leopardo è più conosciuto dalla Persia alla Birmania. Notturno, dà la caccia agli uccelli ed ai piccoli mammiferi. Esso si addomestica molto bene, ma teme gli estranei.

 

GATTO DORATO (Felis temmincki)

Il Gatto dorato corrisponde al gatto aurato africano ed ha una bella pelliccia spessa, uniforme, di un bel rosso più pallido inferiormente. Ma il suo colore è molto variabile, con a volte dei segni e delle stelle impresse nella parte superiore. Se ne vedono in Cina, in India, nel Nepal e fino a Sumatra. Uno di questi animali, che la televisione ha presentato al pubblico, si è addomesticato molto bene ed ha fatto la gioia del suo padrone che lo aveva trovato piccolissimo in Assam.

 

GATTO ROSSO DEL BORNEO (Felis badia)

Il Gatto rosso del Borneo è di un colore che tira al marrone, chiaro sul ventre, con del nero sulle orecchie. E' un animale quasi sconosciuto, del quale non si possiede forse ancora alcuna fotografia e che gli indigeni dell'isola considerano particolarmente cattivo. Non è stato identificato che nel 1856. Sembra che viva sulle alture rocciose, dove acchiappa gli uccelli ed i piccoli mammiferi a portata delle sue forze...
In tutti i posti in cui esiste, il gatto selvatico mostra all'incirca lo stesso carattere: vive solo (e Kipling lo descrive così: «Io sono il Gatto che se ne va tutto solo...»), caccia da solo e bene, non ha bisogno di nessuno, ama la carne fresca ed in particolare la selvaggina con le piume ed il pesce, che quasi dimenticavamo! L'autore si ricorda di avere, parecchi anni fa, allevato per quasi un anno un gatto trovato, dandogli da mangiare del pesce vivo, preso nel fiume. Fin da piccolo questo gatto era stato abituato a pescare il suo pranzo in una grande conca in cui i pesci nuotavano liberamente, così bene che il gatto era diventato un pescatore di prima categoria: discendeva il fiume, si bagnava le zampe fino al ventre ed anche più in alto ancora e prendeva lui stesso il pesce di cui aveva bisogno. Non è un caso isolato e parecchi altri gatti sanno fare altrettanto, ma è l'unico che l'autore ha visto agire così davanti a lui. E' per questo che la leggenda del gatto che teme innanzi tutto di bagnarsi non l'ha mai convinto del tutto. Tra bagnarsi e soddisfare il suo gusto per la caccia e la pesca, un gatto che ha l'abitudine di vivere allo stato selvatico o che è addirittura selvatico non esiterà mai. E tutti questi gatti, che noi incontriamo da un capo all'altro del mondo, più grandi, più piccoli, fino a piccolissimi, tutti hanno la stessa bramosia di catturare le prede vive, per mangiarle sul posto o per portarle, ancora guizzanti, ai propri piccoli, quando si tratta di una gatta, animale altruista come nessun altro quando si tratta di procurare il nutrimento ai propri figli. Si amano i gatti o non li si ama, ma se si è in buona fede sembra molto difficile non accorgersi che sono gli animali più belli del mondo, nonostante il significato relativo di questa parola. Poiché la bellezza non è mai assoluta: la nostra opinione può anche non essere condivisa da altri. Ma guardiamo questi Ocelot, questi Puma, questi Gatti normali o Gatti-Leopardo. Guardiamoli saltare, ricadere sulle quattro zampe, correre, allungarsi nobilmente, svegliarsi sbadigliando, sognare al sole, stiracchiarsi, cacciare, flirtare, allattare i propri piccoli e saremo proprio costretti ad ammettere che non manca mai grazia ai loro movimenti. Ciò non toglie nulla al merito di altri animali, ma essi appaiono a dir poco rigidi, più pesanti, meno aggraziati, più lenti di questi meravigliosi gatti, creature favorite tra tutte le altre. Non c'è niente come la loro pelliccia per far sognare le signore eleganti. Pellicce macchiettate pezzate, uniformi o striate, con i loro toni sempre caldi e vivi, o dolci, che sono sempre le più belle malgrado le lontre, le otarie, gli zibellini ed i castori.
 

LEONE D'ASIA (Panthera leo persica)

In un'epoca in cui i films ci mostrano tanto facilmente tigri in assoluta libertà in piena, Africa o elefanti africani nelle isole del Pacifico nessuno si spaventerà leggendo il titolo «Leone d'Asia». Ma in questo caso si tratta della verità: non vi sono tigri in Africa, né elefanti africani in Oceania, ma vi sono autentici leoni, perfettamente autoctoni, in Asia. Più esattamente nelle Indie e precisamente nella foresta di Gir, nello stato del Gujarat. E' l'ultimo resto di un destino di malinconia, che non ha mai cessato di restringersi: il dominio del leone d'Asia. Sospinto dalla tigre che veniva da nord verso est ed ovest dei monti del Tibet, cacciato dall'uomo deciso a difendere il suo bestiame, il Leone signore temibile della savana e della steppa, da tempo immemorabile, conosciuto in tutta l'Asia, rappresentato mille e una volta da tutti gli artisti, scultori, pittori, disegnatori, illustratori cinesi, giapponesi, indocinesi ed indiani, il Leone è quasi scomparso dalle Indie. E non è neppure certo che i 290 capi censiti nel 1958, più o meno protetti, siano in grado di perpetuare questa specie. Le Tigri indiane, che attualmente non sono senz'altro più di ventimila, stanno avviandosi lungo lo stesso cammino. La nostra inesorabile civiltà, la sovrabbondanza della specie umana che né la fame, né le epidemie, né le guerre scoraggia e che si espande tanto meglio quanto maggiore è la sua miseria, non lascerà mai abbastanza spazio perché sopravvivano questi animali grandi sì, ma più timidi che feroci, incapaci di sopportare il rumore, salvo che li si allevi veramente in condizioni di cattività confortevoli, così da trasformarli in animali domestici.
Un animale dal quale bisogna diffidare tanto più, quanto più sembra domestico. Eccovi dunque il Leone d'Asia e, a sinistra, la sua Leonessa. Come riconoscerli dai loro cugini africani?
In nessun modo, almeno a guardarli così. In ogni modo bisogna ricordare che non ci fu, un tempo, alcuna soluzione di continuità tra i Leoni di questi due continenti. Il Leone abitava in Grecia nell'epoca micenea ed in Francia durante il Magdaleniano. Era presente in Palestina all'inizio della nostra era e la Bibbia ne ha parlato spesso. I Leoni africani e quelli asiatici si "sfidavano" da una riva all'altra del Nilo egiziano e quelli che i re ed i guerrieri dell'antica Persia cacciavano con la lancia, non differivano certamente dagli ultimi Leoni della foresta di Gir, né dai Leoni un po' più numerosi dei parchi di Nairobi o dell'Africa del Sud. Quelli delle fresche montagne dell'Atlas, un tempo, o dell'Abissinia, attualmente, hanno spesso criniere nere che arrivano alle ascelle e sotto il ventre. Quelli della savana sudanese non hanno che un pelo accorciato sulla testa e dei corti favoriti sulle guance. Ma, anatomicamente, sono tutti Leoni, qualunque siano le loro dimensioni, qualunque sia il loro peso... Alcuni autori, pertanto, sostengono che i Leoni delle Indie sono di taglia inferiore a quelli d'Africa. Non si potrà esserne certi se non dopo aver visto il peso medio di tutti gli animali di un continente, comparato al peso medio di tutti quelli dell'altro. Ma poiché sono stati uccisi molti più Leoni in Asia che in Africa, da due secoli a questa parte, resteremo molto probabilmente alle supposizioni ed alle approssimazioni.
Occorre anche dire che in India i cacciatori inglesi si sono dedicati con passione all'uccisione dei Leoni. Sono più di uno coloro che hanno sulla coscienza, se ci riflettono, la morte di un numero impressionante di questi animali rari: citiamo la cifra di trecento capi uccisi, tra il 1850 ed il 1860, da uno di questi «gentlemen».
Al momento, dunque, la popolazione di Leoni delle Indie è stimata solo ad alcune coppie secondo alcuni zoologi, portata generosamente a 290 da altri, nel 1958. Di modo che il Leone d'Asia può ormai essere considerato tra le specie più rare di tutto il mondo... Come vive, di che cosa si nutre il Leone d'Asia? Non è concepibile che i suoi costumi siano molto differenti da quelli del suo congenere d'Africa, al quale rassomiglia tanto. Vive in una regione calda circa allo stesso modo, in mezzo ad una vegetazione di arbusti più o meno folta e senza dubbio molto simile a quella delle savane sudanesi. Dà la caccia all'antilope ed anche alle prede di minori dimensioni. Non ha, si dice, la predilezione della tigre per il pavone o per il Nilgaut, ma deve uccidere cinghiali, scimmie o cervi ogni volta che gli si presenta l'occasione. Il bestiame domestico resta l'eccezione nel suo menù, poiché non ve n'è assolutamente intorno al suo ultimo rifugio. Per principio, il Leone è protetto in India... ma chi sorveglia, chi verifica, chi conta gli animali che rimangono?... E chi punisce i contravventori?... Abbiamo affermato in precedenza che non rimanevano più pantere in Marocco. Questa affermazione fu in seguito contestata. Ci fu assicurato che la belva, la più grossa della specie, con quella veramente defunta dell'Algeria o della Tunisia, resisteva ancora all'estinzione, nelle montagne sud-marocchine. Ne resterebbero una cinquantina di coppie. Ed ecco spiegato il motivo: solo il Re caccia la Pantera; e lui non la caccia che quando non ha nient'altro da fare: mettiamo ogni due o tre anni... Non si può sognare migliore protezione per i Leoni indiani, questa belva così rara, anch'essa, ai nostri giorni. Aggiungiamo poi che coloro che mi hanno dato queste informazioni affermano anche che le pantere marocchine sono sovente pantere nere. Ed io desidero precisare che la pantera nera non appartiene ad una razza a parte. Si tratta solo di un caso di melanismo che può avvenire così come per l'albinismo, tra gli animali anormalmente bianchi. Il che, per altro, non spiega meglio la cosa...
 

LUPO INDIANO (Canis lupus)

L'ubiquità del lupo è ben nota. Esso è ben rappresentato, in Asia, tanto al nord, da forti animali assai simili a quelli del Canada degli Stati Uniti o della Russia, quanto al sud, e particolarmente nelle Indie, dove vivono branchi di grandi lupi dal pelo corto, che alcuni zoologi distinguono dal «Canis lupus» classico, battezzandolo «Canis pallipes», il che non aggiunge nulla alle nostre conoscenze ed all'idea che dobbiamo farci dell'animale. E' certo che i Lupi cacciano e che hanno, a volte, dei feroci combattimenti con i Dholi, cani selvatici rossi. I Lupi delle Indie vivono in famiglia; il maschio è molto attaccato alla sua lupa ed ai suoi lupacchiotti fino a che non diventano adulti, obbligati a cacciare per proprio conto. Essi, a volte, si riuniscono in gruppi, in mute che comprendono più famiglie, generalmente per venire a capo di una grossa preda, poi ritornano al loro gusto familiare di isolamento e di tana, di «covo» strettamente personale. Come tutti gli animali selvatici delle Indie, essi diminuiscono di numero, ma il paese e grande, gli individui sono molti e la razza dei Lupi non è ancora minacciata di estinzione, in questa parte del mondo. Nelle Indie, come altrove, i Lupi sanno e amano ululare di notte. rispondendo di luogo in luogo, riunendosi per cacciare, forse parlandosi. Essi si muovono volentieri di notte, con una propensione ancora maggiore, perché è di notte che rischiano meno cattivi incontri. Con gli esseri umani, ben inteso... Nelle Indie, più che altrove, c'è sempre meno spazio per gli animali selvatici, poiché la popolazione umana, si sa, non cessa di aumentare terribilmente. Ed il Lupo, come la pantera, come la tigre, come tutti i carnivori, è considerato un nemico.
 

GHEPARDO (Acinonyx jubatus)

Se il ghepardo è divenuto praticamente introvabile in Asia, e particolarmente nelle Indie dove era un tempo molto abbondante, non è perché esso fosse il nemico, ma, al contrario, era il «troppo amico». Nessun rajah avrebbe ammesso di non avere Ghepardi nel proprio serraglio o nelle sale basse del palazzo. Il Ghepardo è il felino che ha più affinità con l'uomo. Anche se catturato già adulto e provetto cacciatore, esso si lascia facilmente addomesticare ed in qualche mese impara a tenersi seduto sulla sella di una cavalcatura, con la testa avvolta in un cappuccio; poi, liberato, ad avventarsi contro la selvaggina che gli si mostra e ad atterrarla in meno di mille metri, distanza sulla quale può mantenere una velocità di più di cento chilometri all'ora. Anche il miglior maschio di un branco di gazzelle cervicapre, questi bolidi indiani che gli inglesi hanno soprannominato «Blackbuck», si fa raggiungere, se il ghepardo non viene lanciato troppo lontano e se il terreno non è troppo disseminato di ostacoli e di cespugli. Solo che, a forza di catturare Ghepardi vivi, dato che essi non si riproducono in cattività, si è finito per svuotarne le Indie. Di modo che gli ultimi nababbi di questo paese fanno venire i loro dall'Africa, così che anche in Africa il Ghepardo sta diventando introvabile, tranne che nelle grandi riserve create dagli inglesi e legate alle nuove repubbliche indipendenti. Può piacere o meno la figura allungata di questo grande gatto un po' canino, la sua piccola testa rotonda con le tempie molto segnate, le sue zampe da scattista, la sua lunga coda spessa e striata e la sua macchiatura, simile a quella di un dalmata.
Ma, per apprezzare veramente questo animale, non bisogna andarlo a vedere né nei giardini zoologici, né nel salone di un amatore di animali rari. Solo coloro che hanno avuto l'occasione di assistere all'attacco esplosivo di un Ghepardo, di un Sheetha, che si avventa su di una preda allontanandosi poi con tutta la rapidità delle sue zampe, sanno veramente qual è l'eleganza ed anche l'efficacia di questa grande carcassa, quando è allungata, anche se, a riposo, può sembrare inelegante. Questo non è però il concetto di tutti. Anche la moda si è interessata alla sorte del Ghepardo. Non solo i ricchi signori indù lo vogliono per cacciare la gazzella od il cervo nelle distese dei loro ultimi domini, ma anche i pigri europei od americani trovano di buon gusto acquistare dei giovani Ghepardi per ornarne i loro salotti, ampiamente aperti sul giardino. Purtroppo i piccoli Ghepardi sono animali fragili, dei quali occorre avere grande cura, poiché vengono uccisi rapidamente da malattie intestinali che i veterinari cominciano appena a conoscere. Questi animali sono, inoltre, difficili da nutrire: coniglio fresco, crudo... ed hanno bisogno di molto moto. E' uno degli aspetti di questo dramma perpetuo che consiste nel voler allevare degli animali in condizioni che non convengono loro, quando essi sarebbero tanto più felici in libertà.
 

CUON ALPINO (Cuon alpinus)

I Cuon alpini, o Cani rossi, sono per le Indie quello che i licaoni sono per l'Africa australe... E cioè animali assai simili ai canidi, senza farne veramente parte, che cacciano in mute, ed unicamente in mute, scegliendo tra la loro selvaggina abituale un vecchio maschio molto grosso e perseguitandolo continuamente, senza accettare alcun cambio pur vedendo altri animali lungo il cammino, fino a che non l'hanno raggiunto, abbattuto sul posto con morsi ai garretti, al ventre, al collo, alle labbra, poi divorato immediatamente da tutta la muta, compresi gli inseguitori ritardatari. Questo modo di cacciare è anche quello dei lupi quando in muta inseguono un vecchio cervo di parecchi anni, o quello dei «cacciatori alla corsa», in Francia. I Cuon non hanno paura di niente né di nessuno, ancora come i licaoni. Qualche volta cacciatori od esploratori hanno visto passare presso di loro una grande antilope indiana, un nilgaut, un bufalo o un grande cervide... Dietro, non lontano, veniva la muta silenziosa dei Cani rossi, la lingua fuori, il pelo arruffato, la coda strascicata, la testa alta, che cacciava contemporaneamente con la vista e con l'olfatto e seguiva impietosamente le tracce del grande animale braccato, senza uno sguardo per i testimoni. In effetti, i Cuon sono capaci di assalire il cinghiale indiano e di battere anche, probabilmente, la tigre stessa se si sentono abbastanza numerosi per questo. Ed i licaoni fanno lo stesso con il leone, quando decidono, per un motivo o per un altro, di attaccarlo. I Cuon abitano in Asia. dalla Siberia alla punta sud dell'India, isola di Ceylon esclusa, passando dal Tibet e dalla Mongolia.
Li si ritrova in Malesia e fino alle isole del Borneo, di Sumatra e di Giava, ma sotto aspetti differenti che permettono di classificarli in tre razze diverse, ma assai simili. Essi sono lunghi meno di un metro, coda esclusa; hanno due denti meno dei cani e quattordici mammelle anziché dieci. Per finire, il loro colore varia, ma sempre ruotando intorno al bruno rossastro e al rosso, con del bianco sui fianchi per la specie che si trova in Malesia.
Nessuno è ancora mai riuscito ad ammansire e tanto meno ad addomesticare un Cuon. Non più di un licaone, d'altronde, e la cosa è comune anche al dingo d'Australia, un vero cane, questo... Ci si ricorderà, nel secondo libro della giungla, del terribile combattimento al quale Mowgli prese parte, in compagnia dei lupi ed a cavallo di uno di loro, contro cani rossi, intrepidi ed innumerevoli, e della dura vittoria acquistata a prezzo di molto sangue.
E' da credere che esista una veritiera inimicizia, una furiosa concorrenza tra queste due razze di animali, pur molto simili l'una all'altra.
 

IENA STRIATA (Hyaena hyaena)

La Iena striata, in Asia, non è comune che in determinate zone al nord dell'India. Misura circa un metro, esclusa la coda; ha la testa piuttosto grossa, le orecchie a punta ed il corpo ricoperto da un lungo pelo grigio giallastro con generalmente sei striature nere sui fianchi ed altre, più numerose, sulle zampe; la coda è molto folta e sul dorso, a cominciare dalla nuca e fino alla coda, porta un'abbondante criniera che nella parte anteriore è quasi nera. La Iena abita prevalentemente in boscaglie ed in zone anche estremamente aride e non è difficile trovarla nelle vicinanze di abitazioni umane. Durante il giorno preferisce rimanere nascosta in tane o in mezzo a cespugli; solo al calar della sera esce, sola o in gruppetti, per esplorare i dintorni, alla ricerca di cibo. Essa mangia tutto ciò che può essere mangiato, anche se si tratta di avanzi maleodoranti e talmente pieni di vermi che nessun altro carnivoro accetterebbe, e dissotterra volentieri i cadaveri, anche umani. E' capace di stritolare anche le ossa più dure, mangia pelle e cuoio e si contenta anche di spazzatura abbandonata in vicinanza dei villaggi. Raramente attacca le persone, ma si dice che talvolta abbia aggredito dei bambini ciò contribuisce a renderla decisamente odiosa. Quando si prospetta la possibilità di una caccia, le Iene si chiamano una con l'altra emettendo il loro caratteristico ululato che risuona lugubremente tra le tenebre della boscaglia. La Iena striata ha una resistenza veramente straordinaria che la rende capace di fuggire anche se moribonda; alla resistenza bisogna aggiungere anche una grande astuzia che la rende capace di sfuggire ad ogni insidia e di penetrare nei villaggi senza farsi né udire, né vedere. Nonostante ciò essa si adatta facilmente a vivere in cattività, quando viene catturata giovane. e si mostra anche molto attaccata al suo padrone tanto che, se non fosse per le grida che emette e per l'odore che emana, potrebbe venir tenuta al pari dei cani lupi.
 

SCIACALLO DORATO (Canis aureus)

Questa specie di lupo è precisamente lo stesso Sciacallo conosciuto nel sud-est dell'Europa, nell'Africa del nord e nell'ovest dell'Asia, dal Medio oriente alla Malesia. E' un animale che ha qualcosa della volpe; non molto grande, la sua statura non supera normalmente i quarantacinque centimetri compresa la coda: il tronco è snello, gli arti di media lunghezza, la testa è allungata con il muso appuntito e le orecchie, molto corte, sono poste a distanza una dall'altra. Gli occhi, di colore giallo, hanno la pupilla rotonda. Come le Volpi si possono trovare in qualsiasi ambiente, dalla pianura alla montagna, e come le Volpi hanno usanze più notturne che diurne. Vivono in caverne naturali, in tane abbandonate da altri animali, in tronchi cavi di alberi od anche nel fitto dei cespugli. Lo Sciacallo è un animale astuto che approfitta dei resti di tutti gli altri, se essi sono più forti di lui, e che caccia anche per suo conto, in gruppo, ogni tipo di piccole prede. Del tutto onnivoro, esso mangia il sudiciume, le larve, gli insetti, i rettili, i roditori, le uova, gli uccelli e i piccoli mammiferi. E, per finire, tutto ciò che trova da mettere sotto i denti. Esso teme la presenza umana, ma ne è anche attratto e segue volentieri, ma prudentemente, gli accampamenti dei nomadi, come pure si aggira intorno alle abitazioni fisse, ma solo la notte, poiché di giorno dorme nella sua tana. Esiste una quantità di varietà e di razze, ma l'esemplare Canis aurens è il più diffuso e il meglio rappresentato nel mondo antico. Alla fin fine, esso vi conduce la stessa vita del suo lontano cugino, il Coyote americano. Ed è curioso che sia nell'uno quanto nell'altro continente il nome di Sciacallo o quello di Coyote è sempre attribuito ad esseri spregevoli, senza coraggio e capaci solo di depredare i poveri e di adulare i ricchi per approfittare dei loro resti. In effetti gli Sciacalli, come i Coyote, hanno un ruolo da svolgere nella natura, non fosse altro, come le iene e gli avvoltoi, che per fare sparire i resti che rischiano di avvelenare i dintorni. Lo Sciacallo presenta anche un altro motivo di interesse: esso è, con il lupo, il solo canide selvaggio che si accoppia con il cane e dà dei frutti indefinitivamente fecondi. Di modo che, se tutte le nostre razze di cani non discendono dal lupo e dallo Sciacallo, o da tutte e due, esse hanno molto probabilmente un antenato o degli antenati comuni, ed è per questo che questi tre animali sono rimasti molto simili gli uni agli altri, mentre nessuno ha mai potuto provare che una unione tra il cane e la volpe avrebbe potuto essere realizzata... Gli Sciacalli restano abbondanti ovunque. Non possono essere mangiati; la loro pelle non presenta il minimo interesse, ma, sempre disprezzandoli, gli uomini che hanno contatti con loro e che trovano che non valgono una cartuccia sono coscienti del ruolo benefico che essi hanno nelle regioni calde, dove tutto quello di organico che si avanza putrefà così in fretta e puzza così fortemente... Una volta di più dobbiamo avere pietà di questo animale un po' miserabile, un po' famelico, che ulula così orribilmente, ma che fu forse il primo, nei tempi molto antichi, a simpatizzare con l'uomo...
 

PARADOSSURO ERMAFRODITO (Paradoxurus hermaphroditus)

Non di rado gli uomini, posti dinanzi a forme di animali aberranti dallo schema comune, hanno fatto ricorso al termine «paradosso» per definire brevemente le anomalie. Tale è il caso di una sottofamiglia dei Viverridi, in cui si riscontrano caratteri non frequenti nei carnivori, designata con il nome di «Paradossurini», che ripete quello di Paradoxurus con cui si definisce uno dei suoi generi più importanti. Questi viverridi erano originariamente diffusi su quell'immenso continente di Gondwan che, ricoperto di foreste, si estendeva dall'Atlantico al Pacifico comprendendo l'attuale Oceano Indiano. Lo sprofondamento di cui esso fu poi oggetto e la formazione dei rilievi montuosi nella parte orientale dell'Africa attuale fecero sì che queste forme di animali risultassero distribuite in due direzioni, l'una verso l'estremo oriente asiatico e l'altra verso l'occidente africano. Il Paradossuro ermafrodito fa parte di un genere ricco di specie e sottospecie della Cina, India, Cocincina, Thailandia, Tonchino, Isole Sonda e Filippine, di cui abita i territori che vanno dalle pendici rocciose dell'Himalaya all'Indocina.
Chiamato anche Musang, misura circa 60 centimetri tra capo e corpo, con una coda della medesima lunghezza ed un peso che varia da tre a cinque chilogrammi. Perché «ermafrodito»? Perché le prime spoglie di questo animale giunte in Europa non avevano permesso di determinare il suo sesso. In effetti esistono Musang maschi e Musang femmine. Sono animali di dimensioni già apprezzabili, dalla forma snella, dal pelame molto lungo e di colore variabile dal giallastro al bruno scuro, con raggi longitudinali e macchie sul dorso. Qualunque sia il colore del mantello, i Paradossuri hanno sempre una striscia color cenere che parte dalla fronte per giungere sino alle orecchie. Il muso è curiosamente segnato di nero, attorno ai suoi occhi da notturno, così come nere o bruno scuro sono le zampe e l'estremità della coda.
Questo animale preferisce le zone molto ricche di vegetazione e conduce vita notturna; ha tanta audacia di notte, ma ad essa non corrisponde il suo comportamento durante le ore del giorno, che l'animale trascorre sonnecchiando nel fitto della vegetazione entro buche del terreno od in qualsiasi altra cavità naturale. Con lo scendere delle tenebre, sia la vivacità dei movimenti, sia gli istinti predatori si destano, ed esso si arrampica allora destramente sugli alberi, salta da un ramo all'altro con facilità estrema. E' infatti riconosciuto trattarsi di un animale agilissimo, molto vivace, capace di correre, di arrampicarsi, di saltare con grande velocità. E' un grande cacciatore di piccoli animali, che si spinge anche sopra o sotto i tetti delle abitazioni in cerca di prede. Caccia ratti, topi, uccelli, rettili, in breve tutto ciò che lo può interessare. All'occasione divora anche frutta o altre sostanze vegetali. Se il Paradossuro vive nelle vicinanze delle piantagioni, fa frequentemente visita alle piante di banano, di ananas o di altra frutta, rimpinzandosi ed appestando la piantagione con la secrezione delle sue ghiandole. Pare che mangi volentieri anche la polpa che avvolge i grani di caffè. S'interessa anche del pollame, nonché delle uova, e se trova un'apertura non esita ad entrare sia nei pollai, sia in qualsiasi altro luogo dove suppone vi sia qualcosa di buono da mangiare. Il Musang può quindi essere assai dannoso, sia come divoratore di frutta che come devastatore di pollai. La sua vicinanza, sempre molto rumorosa, non è dunque molto gradita e ci ricorda, a questo proposito, un altro animale altrettanto invasore, il Coati americano.
Una caratteristica di questo animale, come di tutti gli zibetti, è la secrezione di una particolare sostanza, detta «muschio» o «zibettone», che avviene in particolari ghiandole poste nella parte anale. Si ritiene sia una base ricercata per fissare profumi rari. Il muschio è raccolto su animali allevati in gabbia, principalmente in Etiopia. In natura il muschio serve agli zibetti per segnare il loro territorio e per riconoscersi tra di loro. Il Paradossuro, se catturato da giovane, è assai facile da addomesticare e si comporta in modo molto simile al gatto: salta, gioca con ogni piccola cosa, accetta le carezze. Bisogna però stare attenti perché, crescendo, la sua natura torna a galla e facilmente tenta di mordere ed aggredire animali domestici.
 

VIVERRICOLA INDIANA (Viverricula indica)

La Viverricola indiana, detta anche Gondha, è lunga circa novanta centimetri, trenta dei quali spettano alla coda.
La si vede in tutta l'India, dall'Himalaya a Ceylon; come pure in Birmania, nel sud della Cina ed in Malesia. Ha una forma molto snella ed elegante, la testa piuttosto lunga con il muso appuntito. La pelliccia di questo animale, piuttosto corta e ruvida, è color grigio bruno con cinque o sei strisce nere, più o meno visibili, sul dorso e una serie di macchie, sempre nere, sui fianchi e sugli arti. La coda è ad anelli alternati chiari e scuri.
Le Viverricole indiane vivono nelle zone aride, ma ricche di piante, sulle quali sanno arrampicarsi con l'agilità pari a quelle delle scimmie. Come gli altri animali simili a loro, hanno abitudini notturne; durante il giorno stanno sugli alberi o in buche scavate nel terreno uscendone di notte per andare a caccia. In cattività si adattano e vivono a lungo. Gli indigeni le tengono chiuse in gabbia per procurarsi quella caratteristica sostanza, lo zibetto, che le viverricole secernono con le ghiandole anali. I cinesi ne apprezzano anche la carne. Queste bestiole, se catturate in giovane età, non sono difficili da addestrare. Da adulte sono cattive e mordono senza ragione. Se messe in due nella stessa gabbia vanno d'accordo, ma in tre o più litigano e si azzuffano. Neanche con gli altri animali vanno d'accordo. Il loro cibo preferito sono gli animaletti vivi su cui possono avventarsi per succhiarne il sangue. Gli indigeni sostengono che, nutrendole con riso e pisang, aumenta la secrezione del famoso zibetto.
 

CIVETTA INDIANA (Viverra zibetha)

La Civetta indiana si presenta nelle forme e dimensioni simili a quelle della Viverricola. Preferisce però i luoghi aridi, rocciosi, con vegetazione sparsa. Fa vita notturna e assale qualsiasi animale di piccola mole le capiti d'incontrare. Le sue prede più facili sono gli uccelli che nidificano in basso, i piccoli roditori ed i sauri e serpenti che non mancano nelle zone aride. In mancanza di preda si accontentano anche di vegetali.
Qualora questi animali si trovino e vivano nei pressi di abitazioni umane, si comportano come le nostre faine: si introducono nei pollai e fanno larga strage di ciò che trovano: galline, oche, conigli. La loro vita si svolge isolatamente o accoppiate con l'altro sesso. Una femmina partorisce 4 o 5 piccoli all'anno. Anche la Civetta indiana possiede le ghiandole dello zibetto; e quindi è anche lei preda dei cacciatori.
 

LINSANGO MACCHIATO (Prionodon pardicolor)

Il Linsango macchiato è certamente l'animale più grazioso e affascinante fra i viverrini. Ha il corpo lungo 30 centimetri circa a cui si aggiungono i 35-35 della coda. Il suo mantello, di colore fulvo chiaro sulle parti superiori e bruno chiaro in quelle inferiori, era un tempo molto ricercato dai cacciatori di pellicce. Il capo è generalmente più scuro delle altre parti del corpo, con una grossa macchia nerastra dietro le orecchie; da questa chiazza si dipartono due strisce nere che raggiungono le spalle dividendosi in una serie di macchie. La coda è caratterizzata da anelli chiari e scuri, mentre l'apice è quasi bianco.
Il Linsango si differenzia dagli altri animali della sua famiglia per la mancanza di ghiandole odorifere. Vive in tutto l'est asiatico, dalla Cina del sud all'isola di Giava, nelle foreste e nelle boscaglie, sia sul terreno che sugli alberi, mostrando sempre grande agilità. Sono animali prettamente carnivori; se allevati in cattività, cosa piuttosto rara, rifiutano il pesce e le uova. Non si sa altro di questo bell'animaletto.
Tutta questa piccola fauna notturna brulicante, che si è adattata molto bene alle successive civilizzazioni degli esseri umani a cui hanno vissuto vicino, resta poco conosciuta, poco studiata, in ogni caso molto meno delle grandi belve classiche. Non si vedono mai Zibetti, Linsanghi, Musang o Paradossuri nei giardini zoologici ed è un male, poiché essi si adattano molto bene alla vita in cattività.
I rapporti con l'uomo possono essere riguardati sotto punti di vista diversi: il primo, che forse è anche il meno importante, riguarda l'utilizzazione di questi animali come soggetti da pelliccia, per la qual cosa vengono oggi preferiti ai viverrini africani dal mantello morbido e delicato. Assai più notevole è il contributo da essi fornito alla industria dei profumi, ancora oggi. Spetta senz'altro alla Civetta indiana, più che agli altri, il primato della qualità e quantità del prodotto, che da essa prende, appunto come abbiamo già detto, il nome di zibetto, usato fin dai tempi assai remoti, sia in profumeria sia come medicamento per le sue peculiari doti cardiocinetiche.
 

PUZZOLA

Fra gli aristocratici congegneri della puzzola, destinati a fornire i loro sontuosi mantelli ai sovrani ed alle signore eleganti, la puzzola, che pure non cede ad essi in bellezza, è soprattutto conosciuta come ladra dei cortili e dei pollai e come vorace sterminatrice di uccelli e di animaletti selvatici e al tempo stesso accuratamente sfuggita per il cattivo odore che essa promana. Il suo habitat è prevalentemente boschivo, estendendosi anche alle zone sassose, alle cave abbandonate, ai cedui sterposi fino oltre i 2000 metri di altitudine, ma sempre in prossimità dei luoghi d'acqua in quanto questo mustelide è buon nuotatore e caccia volentieri sulle rive degli stagni, dove cattura rane e rospi.
La puzzola però non uccide per il gusto di uccidere, ma solo quando ciò sia necessario al proprio sostentamento, e spesso anche quando serva per costituire nella tana qualche provvista per i giorni di carestia. Le tane sono talvolta scavate dall'animale stesso nel terreno fra le stoppie e i cespugli, mentre sono altre volte rappresentate da un rifugio naturale fra le rocce o dal cortile abbandonato di un roditore.
Qualunque sia comunque il luogo abitato da questo mustelide in esso permane a lungo il caratteristico e spiacevolissimo odore delle sue secrezioni ghiandolari. Sebbene si mostri diffidente e scontrosa e per quanto sia adusata ad avvicinarsi con cautela ai centri abitati, la puzzola cade facilmente nelle trappole e nei lacci predisposti per catturarla.
E' superfluo ricordare che le puzzole sono state e sono tuttora attivamente cacciate per la qualità della loro pelliccia, ricercatissima in passato e oggi meno in voga, sebbene abbia nulla da invidiare per qualità e morbidezza a quella della martora. La coda di questi mustelidi, fornita di peli lunghi e flessibili, viene utilizzata nella fabbricazione di delicati pennelli. Nei nostri paesi, peraltro, sebbene le puzzole non siano numerose come un tempo, esse vengono soprattutto cacciate a causa dei gravi danni apportati agli allevamenti di animali da cortile. Sebbene la puzzola mostri di assuefarsi facilmente alla cattività e fornisca un solido ausilio all'uomo nell'opera di distruzione di topi e di ratti, i casi di addomesticamento non sono frequenti.

 

PUZZOLA SCREZIATA (Vormela peregusna)

La Puzzola screziata (la si chiama anche marmorizzata) è un bell'animale che ha una bizzarra striscia chiara a forma di montatura di occhiali, sopra gli occhi. E' scura davanti e sul muso, chiara e segnata di nero sul dorso e la coda è bianca, con l'estremità nera. Essa esiste anche in Europa, in rare zone ad est della Grecia e della Jugoslavia, ma vive soprattutto in Siberia. E' un animale notturno, ama le rocce, gli smottamenti, i cespugli, i giardini, la foresta secca; vive in una tana e caccia i conigli stanandoli nella loro. E' capace di arrampicarsi sugli alberi; se minacciata si mette diritta, lancia grida furiose e, alla fine, lancia verso il nemico il liquido contenuto nelle sue ghiandole anali. Anche altri Mustelidi hanno delle riserve di liquido, ma spesso più nauseabondo, tanto da arrivare sino all'irritazione per la Moffetta e le Zorille. Questi animali se ne servono per scoraggiare i loro avversari. Sottile ed agile, la Puzzola marmorizzata si riconosce a colpo d'occhio per il suo aspetto caratteristico.
 

DONNOLA

La donnola è un animale molto grazioso ed elegante. Essa misura in media 25 centimetri se di sesso maschile e 20 centimetri se di sesso femminile. Ha un tronco molto sottile ed elegante; il collo, pur essendo abbastanza lungo e poco meno grosso del tronco, mantiene lo stesso diametro per tutta la sua estensione; la testa è molto allungata col muso appuntito e ornato di lunghe vibrisse. La donnola ha occhi molto piccoli e di taglio obliquo; le orecchie sono situate molto indietro e sono di forma rotondeggiante e non molto accentuate; le zampe, pur essendo molto corte, sono robustissime e le dita sono ornate di unghie taglienti. Uno dei pregi della donnola è certamente la pelliccia, rara e molto morbida, di colori differenti. In genere, comunque, la parte superiore è rossiccia, mentre quella inferiore è biancastra. Per questi animali non esiste un habitat ideale. Essi infatti vivono sia nelle campagne che in alta montagna. L'unica condizione è che esistano, nei luoghi in cui vivono, nascondigli sicuri per sottrarsi ai nemici. La donnola non vive mai in gruppi molto numerosi, ma si limita alla compagnia di due o tre suoi simili. Verso il tramonto escono dalla loro tana e vanno a caccia di animali. Gli animali attaccati dalle donnole sono in maggioranza più grossi di loro, ma esse non temono i pericoli e non rinunciano alla lotta neppure di fronte all'uomo.
La caccia dell'uomo a questi animali è spietata sia per le loro pellicce, sia perché attaccano i pollai. Nei paesi con condizioni climatiche miti le donnole si accoppiano in qualsiasi mese; nei paesi freddi, invece, l'unione si verifica in marzo.
Anche se temibili per gli allevamenti, questi animali sono molto utili per l'agricoltura in quanto distruggono i roditori. Specie nelle zone della Siberia le donnole sono sempre state oggetto di leggende e superstizioni. In alcune zone non si poteva pronunciare il loro nome senza prima aver pronunciato la formula: «Che Dio ti protegga, cara bestiola», altrimenti la donnola avrebbe perseguitato l'uomo che l'aveva menzionata. In altre zone essa era portatrice di fortuna; in altre ancora si pensava che il suo alito potesse rendere ciechi o addirittura potesse uccidere. Il suo sangue era usato per guarire gli epilettici; mentre chi mangiava il suo cuore crudo leggeva nel futuro. Ed ecco la descrizione delle varie specie di questo animale.

 

DONNOLA SIBERIANA (Mustela sibirica)

La Donnola siberiana è di un colore che varia dal rosso volpe fino al cioccolato scuro, più pallido nella parte inferiore ed all'interno delle zampe. Il colore del muso è scuro in alcune specie, più o meno chiaro in altre. Il che permette agli zoologi di classificare un certo numero di sottospecie locali. Questo piccolo Mustelide, che misura circa 30 centimetri, più 15 per la coda, vive nell'Himalaya, al centro ed all'est dell'Asia, fino in Birmania e nell'isola di Giava. In montagna esso si ritrova fino a 4900 metri d'altezza e dimostra, in ogni occasione, una notevole facoltà d'adattamento alle differenti condizioni di vita che le offre il suo biotopo. Essa si abitua così a vivere nel buco di un muro o sotto il tetto di una casa abitata, o ancora sotto il pavimento. Si conosce il modo di muoversi delle Donnole, a balzi rapidi, il dorso arcuato. Esse seguono le tracce delle loro prede grazie al loro olfatto e, ogni tanto, si fermano sedute sulle zampe posteriori, per guardare ed ascoltare. Le Donnole uccidono, dissanguano e mangiano topi, sorci, uccelli, uova e alcuni insetti. Occorre notare che, all'interno dei villaggi, arrivano a fare più vittime nei cortili di quante ne possano mangiare. Sono animali estremamente coraggiosi, capaci di aggredire prede decisamente più grosse di loro, e non hanno paura di niente. Esse terrorizzano letteralmente le loro vittime. Il loro attacco brutale mira sempre ad una parte vitale della vittima, generalmente la cervice, la colonna vertebrale, la costa del collo, al fine di colpire la vena giugulare.
E' una perfetta macchina per uccidere, che uccide in fretta e bene. La Donnola siberiana caccia da sola o con i suoi piccoli. Si conosce molto poco sulla sua riproduzione.

 

DONNOLA DELL'ALTAI (Mustela altaica)

La Donnola dell'Altai è un'altra varietà: le sue zampe sono bianche come quelle dell'ermellino, ma non ha la punta della coda nera, segno distintivo dell'ermellino, tanto nella sua divisa scura per l'estate, quanto in quella chiara invernale. La Donnola dell'Altai vive nell'Himalaya, tra i 2135 e i 3960 metri d'altezza.

 

DONNOLA DAL VENTRE GIALLO (Mustela kathiah)

La Donnola dal ventre giallo è comune nello stesso massiccio montagnoso dall'ovest all'est, compreso l'Assam. Come la Donnola siberiana, essa ha le zampe nere, ma la si identifica subito vedendo il contrasto tra la parte superiore color cioccolato scuro e la parte inferiore di un ricco colore giallo.

 

DONNOLA DALLA STRIATURA DORSALE (Mustela strigidorsa)

Infine la Donnola dalla striatura dorsale è facile da riconoscere, con la netta e lunga striscia bianca che ha sul dorso e sotto il ventre. E' un animale poco diffuso e ancora poco conosciuto, che vive nelle foreste della zona temperata dell'Asia meridionale, tra i 1220 ed i 2130 metri di altezza. Le abitudini di questa varietà non differiscono assolutamente da quelle delle altre donnole di cui si è parlato sopra e, a dire il vero, da tutte le altre puzzole del mondo, siano esse europee o americane. Si discuterà all'infinito se sono utili o nocive. Quel che è certo, e niente può provare il contrario, è che esse costituiscono i nostri alleati più sicuri nella lotta perpetua che la specie umana è obbligata a combattere contro il popolo innumerevole dei roditori. Ben inteso, quando un allevatore troverà le galline, le sue anatre o i suoi coniglietti morti, sanguinanti dietro l'orecchio, farà di tutto per annientare le Puzzole, gli Ermellini e gli altri Mustelidi che potrà trovare. In verità egli non sa se questi massacri non sono imputabili ai topi. In più egli ignora che le Donnole, anche se sono colpevoli, massacrano senz'altro più roditori che animali da allevamento. Ma nessuno va, di primo mattino, a contare i cadaveri di ratti, di sorci o topi campagnoli che noi dobbiamo alle donnole e agli altri Mustelidi. Le loro prodezze restano segrete ed anonime e non si imputano loro che i saccheggi. Pertanto questi animali partecipano all'equilibrio generale della natura e la loro sparizione si tradurrebbe in un'invasione inimmaginabile di roditori che non lascerebbero nulla dietro di loro. Sono queste riflessioni che impongono uno studio serio della fauna selvatica e della sua azione segreta nella natura...
 

TASSO

Questi falsi Tassi, questi Tassi falliti sono autentici animali dell'Asia; Tasso-furetto, Binturong, Tasso naso di porco e Tasso del miele sono nomi che suonano male alle nostre orecchie europee, nomi appena conosciuti, nomi del tutto sconosciuti, tranne quello del Tasso del miele capense già incontrato in Africa mentre mangia il miele, accompagnato dal suo piccolo amico, l'uccello «indicatore».
I caratteri che accomunano tutti i Tassi sono: la tendenza alla solitudine, la scontrosità e l'attitudine a scavare il terreno. Il loro habitat è vario, ma pur sempre limitato ai luoghi poco frequentati e talvolta selvaggi. La tana del Tasso, scavata nel terreno, là dove la vegetazione è folta, merita un breve cenno descrittivo. E' composta da un buon numero di camere vaste e molto ben rifinite e da innumerevoli gallerie che sfociano tutte in vicinanza di particolari uscite di sicurezza. Il vano centrale è ben imbottito di erbe e foglie ed in esso il Tasso dorme durante tutta la giornata e si ritira al sopravvenire dell'autunno per addormentarsi in un perfetto stato di nutrizione. I Tassi sono animali molto pigri e lenti che camminano pesantemente sul terreno, da cui alzano di tanto in tanto il grifo emettendo una sorta di grugnito. I sensi degli arctonici non sono molto sviluppati ed alcuni osservatori hanno avanzato l'ipotesi che essi avvertano i pericoli attraverso una particolare sensibilità del naso.

 

TASSO FURETTO (Melogale personata)

Il Tasso-furetto è un tasso arboricolo. Esso si arrampica sugli alberi con grande abilità e, se il muso è prettamente di tasso, il suo corpo è più simile a quello di «martora». Se ne contano quattro varietà che vivono in India, Birmania e Cina, comprese le grandi isole di Formosa e di Hainan. Hanno la coda lunga, il muso pure molto allungato, le zampe corte e le unghie molto solide. Il Tasso-furetto è onnivoro, il che non fa meraviglia, da parte di un tasso.

 

TASSO NASO DI PORCO (Arctonyx collaris)

L'Arctonix, chiamato anche Tasso naso di porco per la forma del suo muso, ci fa ritornare ai tassi più autentici. La testa ed il corpo misurano circa 75 centimetri e la coda ha una lunghezza di soli 20 centimetri; il pelo è ruvido, il muso assai allungato e glabro, gli occhi piccoli e le zampe fornite di unghie molto lunghe e adatte agli scavi. Esso, infatti, scava molto ed in fretta; vive nelle regioni semideserte ed aride; esce solo di notte alla ricerca di frutti, radici e soprattutto di insetti di ogni tipo. Ne esistono più varietà, ripartite dall'Himalaya alla Cina attraverso il Tibet, l'Assam e la Birmania. L'Arctonix è di colore grigio scuro, con due strisce nere ai lati del capo, le zampe e la parte inferiore più scure del resto del corpo, la gola e la coda perfettamente bianche.
Sono animali d'intelligenza molto limitata, poco svegli. La loro andatura è lenta, goffa, pesante. Il loro senso più sviluppato è l'olfatto, grazie anche al loro muso, molto allungato, che termina piatto con due grosse narici, proprio come quello dei suini. Quando essi sono irrequieti alzano il muso, inspirando profondamente l'aria. Non è difficile impadronirsi di uno di questi animali, ma in cattività non sono certo piacevoli. Assonnati, pigri, rifuggono da carezze e rimproveri. Spesso tentano anche di mordere.

 

TASSO DEL MIELE (Mellivora capensis)

La Mellivora capensis, detta anche «Ratelo», come già detto l'abbiamo incontrata anche in Africa.
E' un animale molto simile al tasso, ma con una colorazione caratteristica: il suo corpo, infatti, è ricoperto da una pelliccia fitta ed ispida di color grigio chiaro su tutta la parte superiore del capo, del tronco e della coda, di color bruno nero nella parte inferiore. Le due zone sono separate da una striscia nettamente bianca. Buoni denti, unghie solide, carattere pessimo, ecco come si potrebbe definire questo mangiatore di miele, miele che non ha certamente l'effetto di addolcire le sue abitudini, poiché esistono pochi animali altrettanto irascibili quanto questo piccolo ratelo bianco e nero...
Le Mellivore vivono in boscaglie piuttosto aride; è molto difficile riuscire a vederle poiché durante il giorno se ne stanno rintanate in lunghe e profonde gallerie, che scavano servendosi dei loro forti unghioni; durante la notte escono per la caccia, ma, dotate di sensi finissimi, fuggono al minimo accenno di pericolo, mimetizzandosi nella boscaglia. Le loro prede sono varie: roditori, coleotteri, gechi e persino serpenti, compresi quelli velenosi, che attaccano ed aggrediscono con lo stesso sistema delle Manguste: li azzannano al capo uccidendoli immediatamente, se riescono; in caso contrario fingono finti assalti finché riescono a stancarli e ad ucciderli. Difficilmente i rettili riescono a mordere questi animali e, le rare volte in cui riescono, non ottengono alcun effetto poiché il veleno non riesce a penetrare profondamente attraverso il fitto pelo; inoltre pare che le Mellivore siano parzialmente immuni dal veleno dei rettili. Come il suo consimile d'Africa, la Mellivora asiatica è fanatica del miele delle api selvatiche, quelle api che la tradizione indù fa venire dal pianeta Venere...
Nel buio della notte questi animali riescono ad individuare gli alveari, spesso anche quelli sotterranei. Dopo averli rotti, fanno incetta di tutto: fuchi, larve e miele; gli assalti delle api operaie armate di lunghi pungiglioni non hanno successo contro questi devastatori. Quando le api che l'assalgono sono troppe, la Mellivora si rotola velocemente in terra uccidendole o tramortendole.
In India, però, l'animale va solo alla ricerca delle arnie e nessun uccello indicatore l'accompagna come avviene in Africa. Ciò nonostante non se la cava certamente peggio e si è tentati di domandarsi se il famoso indicatore non sia, in realtà, un semplice seguace che approfitta degli avanzi e che si spazientisce sopra l'arnia che l'animale sta per attaccare. Sono, queste, sottigliezze alle quali solo un'attenta osservazione e molti esempi potrebbero dare una risposta precisa e definitiva. Ancora una volta dobbiamo dire che il cinema è il solo capace di informarci in modo formale. Le osservazioni certamente sono appassionanti, ma restano soggettive ed ognuno vede solo ciò che vuole vedere, pur con la più grande onestà del mondo. Sono stati necessari films relativamente recenti per sapere come una femmina cucù si installi nel nido di un piccolo uccello e come il giovane cucù inarchi il dorso e faccia forza sulle sue membra ancora implumi per prendere le uova dei suoi parenti adottivi (loro malgrado) e spingerle nel vuoto. Occorrerà filmare, un giorno, il riccio che porta delle mele infilzate nei suoi aculei, o il topo che trasporta un uovo tra le sue quattro zampe, sdraiato sulla schiena, trascinato da un suo compagno. Ed occorrerà filmare anche la Mellivora africana con il suo indicatore. Anche i giovani zoologi equipaggiati nel modo più moderno avranno molto da fare.
 

BINTURONG (Arctictis binturong)

Il Binturong è stato da noi messo qui, ma altri lo avrebbero aggiunto ai Mustelidi o ai viverridi. In effetti non si sa bene dove sistemarlo.
E' un grosso animale irsuto e mal fatto, lungo circa due metri contando anche la sua lunga coda prensile ed appuntita, lunga quanto tutto il corpo. I baffi sono abbondanti e lunghi, le orecchie pelose, le unghie assai modeste, gli occhi tondi e neri ed il naso assai molto ben fatto.
La pelliccia fitta, ma non molto morbida, assume colorazioni diverse: nerastra nei maschi, grigiastra nelle femmine e giallognola nei giovani. Il suo dominio è molto vasto poiché si estende, attraverso la Birmania e la Malesia, dai pendii dell'Himalaya fino alle grandi isole di Giava e di Sumatra. E' molto diffuso pure in Ungheria dove questo animale è chiamato «Gatto oscuro nero».
Il Binturong è un animale notturno, timido, silenzioso malgrado qualche grugnito da orso. Vive in genere sugli alberi, su cui si arrampica con grande sicurezza, ma non con grande agilità. Sembra che per le sue evoluzioni sugli alberi si serva della sua lunghissima coda. E' predatore ed assale preferibilmente animali di dimensioni ridotte. Mangia di tutto: bestiole, frutti, gemme. Ha dei piccoli denti e sembra pacifico. Esclusi questi pochi dettagli, non si sa nulla di lui, né dei suoi costumi.
 

MARTORA GOLA GIALLA (Martes flavigula)

La martora nera e aranciata dell'Himalaya è un animale di discrete dimensioni, misurando da 45 a 60 centimetri di lunghezza per la testa ed il corpo e da 38 a 40 centimetri per la coda.
Il suo colore è assai variabile, secondo la stagione ed anche da una specie all'altra. Il dorso va dal bruno scuro al nero più o meno profondo ed anche la macchia della gola, il «tovagliolo», di color giallo arancio, può essere più o meno scura. Questo animale si trova nelle Indie, nell'Himalaya, nelle colline dell'Assam, in Birmania, in Cina ed in Malesia. In montagna vive tra i 1200 e i 2000 metri di altezza, ma è anche presente nelle foreste tropicali e subtropicali. Le Martore cacciano da sole, a volte in due, la madre ed il suo piccolo, mostrando un'estrema agilità sugli alberi. Inseguono scoiattoli od uccelli, pigliano le uova ed i nidi; non esitano neppure, all'occasione, ad assalire animali grossi quanto le faine. Esse mangiano anche frutti, fiori e si lasciano addomesticare molto facilmente.
 

LONTRA NANA (Amblyonix cinerea)

Questo esemplare di Lontra è un animale quasi senza unghie alle dita e senza membrane tra di esse. Questo animale, e ne esistono diverse razze, abita nel sud-est asiatico, come pure in India. In questo stesso paese, nonché in Indocina, in Malesia e nelle grandi isole che prolungano quest'ultima, esiste un'altra Lontra chiamata «Lutrogale», grossa e con la coda appiattita orizzontalmente e bordata da un cuscinetto, come quella della Lontra gigante dell'America del sud. Non si può non paragonarle le une alle altre... La Lontra senza unghie ha pressappoco le stesse abitudini delle Lontre comuni; la sua alimentazione, però, oltre che dai pesci è costituita anche da crostacei e molluschi. E' facilmente addomesticabile e viene spesso addestrata per aiutare i pescatori nel loro lavoro.
 

PANGOLINO INDIANO (Manis crassicaudata)

Il Pangolino indiano, che abita in tutta l'Asia del sud-est ed anche in Madagascar, è una specie diversa dai Pangolino africano, ma non differisce molto da questo ultimo.
Esistono più varietà di Pangolini, in Asia, almeno tre, e li si ritrova fino alle isole di Celebes. Come tutti gli altri Pangolini del mondo hanno la coda prensile che serve all'animale sia come quinta mano, per sospendersi quando sale sugli alberi, sia per chiudere la palla che forma arrotolandosi su se stesso quando è inquieto. E', in questo caso, impossibile anche per un gruppo di uomini srotolare di forza un Pangolino spaventato. Le specie asiatiche sono particolarmente arboricole e la loro coda non è solamente prensile richiudendosi verso l'interno, ma si può muovere in tutti i sensi. Essere arboricoli non impedisce a questi animali di mostrarsi all'occasione degli scavatori emeriti, che scavano molto rapidamente la tana in cui spariscono. L'animale scava il suolo e vi penetra molto, molto in fretta Questi mammiferi a scaglie si possono considerare formichieri completi, nutrendosi di formiche, termiti e delle loro larve, arraffate in grande quantità con l'aiuto della particolare lingua più lunga, una volta spiegata, del torso dell'animale stesso. Quanto alle scaglie, contemporaneamente molto dure e leggermente elastiche, sono fatte di una materia simile a pelo agglutinato e sono sovente separate le une dalle altre da qualche pelo isolato. Queste scaglie, infatti, hanno la stessa composizione delle corna dei rinoceronti.
 

FAINA (Martes foina)

La Faina è un animale di piccole dimensioni, comune all'Europa e ad una gran parte dell'Asia centrale e settentrionale; il suo corpo è ricoperto da una bella pelliccia bruno rossastra, con una macchia bianca sotto la gola. Vive nei boschi, anche ad altezze considerevoli, ed è facile trovarla in vicinanza di abitazioni umane. La Faina è un animale furbo e di sorprendente agilità: si arrampica sui più alti alberi con velocità pari a quella della scimmia, è in grado di arrampicarsi sui muri, nuota discretamente e si infila in passaggi anche strettissimi. E' un animale dalle abitudini notturne; silenziosa e velocissima uccide tutti gli animali che le vengono a tiro, ne succhia il sangue ed abbandona poi le prede. La sua caccia è diretta verso conigli, lepri, topi, uccelli e persino rettili; in mancanza d'altro si accontenta anche di rane, rospi ed anfibi in genere. E' assai golosa anche di sostanze dolci, per cui non è raro che vada a svaligiare frutteti e persino campi di granoturco. La Faina è un animale molto sospettoso: se si accorge di essere stata individuata, non esita ad abbandonare la propria tana e cambiare località, ed è molto abile anche nel nascondersi, rendendosi invisibile tanto per il cacciatore quanto per un'eventuale preda. Per questo, e per la sua sveltezza, non è facile riuscire a catturarla.
 

NILGAU (Boselaphus tragocamelus)

Il Nilgau, è senza alcun dubbio, la più grande antilope d'Asia, se non la più bella. Questa grande Antilope è esclusivamente indiana: vive nella parte meridionale del paese, in zone ricche di vegetazione erbacea, in piccoli gruppi di dieci, quindici capi. Può misurare fino ad un metro e mezzo di altezza, alla spalla, il collo è lungo e muscoloso, le zampe sottili, la testa grossa, con orecchie di medie dimensioni ed occhi molto grandi e dall'espressione mite. Le corna, non molto grandi, sono lisce, a sezione triangolare alla base, rotonde all'estremità, appuntite e dirette un poco all'indietro. Il maschio si segnala per un curioso ciuffo di peli neri che pende sotto la gola. Il Nilgaumsembra assai vicino ai bovidi, come le due antilopi africane, quella alcina e quella derbiana. Ne ha anche l'andatura e le abitudini... Si noterà la piccola criniera del Nilgau, la macchia bianca sulla gola, le cosce chiare internamente e la coda che termina con una ciocca di crini neri. I Nilgau sono animali molto pacifici e timidi; il loro cibo preferito è costituito dall'erba grassa della prateria e da giovani foglie degli alberi; essi pascolano durante tutto il giorno, spostandosi lentamente e di poco. Proprio in queste radure interviene molto spesso il suo più temibile nemico, la tigre, che si mostra grande amatrice di questa carne ricca e rossa. Si può anzi dire che, con il pavone, il Nilgau è veramente la sua selvaggina preferita. «Dove c'è pavone, c'è tigre», si dice, ma il Nilgau resta la preda preferita dalla signora striata. La tigre non è la sola ad apprezzare la carne di questo grosso animale. I cacciatori europei ne hanno fatto un tempo un gran consumo. Ciò non ha impedito al Nilgau di mantenersi assai bene ed oggi non è più minacciato molto, né dai bianchi che preferiscono prede più comuni, né dagli indiani che trovano una certa rassomiglianza tra questo e le sacre vacche; per questo, attualmente, non è considerato un animale in pericolo di estinzione.
Il Nilgau è molto tipico dell'India, tanto che è stato rappresentato anche su francobolli di questo paese, il che è certamente un segno di grande popolarità. Lo si ritrova in numerosi parchi zoologici occidentali e si abitua molto bene alla vita in cattività, riproducendosi regolarmente. Viene scambiato quasi sempre per una specie di antilope africana, tanto è ancorata, nello spirito dei visitatori, l'idea che le gazzelle ed antilopi non possono provenire che dall'Africa. Vedremo presto, invece, che noi non abbiamo ancora terminato con le gazzelle e le antilopi asiatiche... e che ne esistono di altrettanto graziose ed altrettanto rapide quanto quelle del continente nero.
Vedremo pure che, se il Nilgau era una tra le selvaggine preferite dai cacciatori europei (britannici, per essere precisi), ve n'era un altro la cui conquista li eccitava infinitamente di più. Uno degli animali più rapidi e con le più belle corna di tutta l'Asia, senza ombra di dubbio. Nell'attesa d'incontrarlo, salutiamo il bello e nobile Nilgau, il cui fiero atteggiamento non manca di suscitare la nostra ammirazione.
 

ANTILOPE

In India, dal tempo della dominazione inglese, nessun animale da caccia è stato tanto popolare, tanto ricercato quanto il famoso «blackbuck», poiché questa antilope è uno dei quadrupedi più rapidi, nonché uno dei migliori saltatori che esistano al mondo, paragonabile al meraviglioso impala africano, rimbalzante come un'enorme palla di caucciù. E' un animale di dimensioni medie, dall'aspetto agilissimo; il tronco è allungato, le zampe alte e sottili, la testa di dimensioni medie è ravvivata da occhi grandi e dall'espressione vivace. Il mantello è di colore diverso a seconda del sesso e dell'età: se si tratta di maschi è quasi nero nella parte superiore, mentre nelle femmine e nei piccoli è di color nocciola chiaro; la parte inferiore è sempre completamente bianca. Ciò conferisce a queste Antilopi un aspetto bellissimo. Esse vivono nelle zone pianeggianti e ricche di erba di tutta l'India; evitano le zone in cui vi sia vegetazione alta, poiché non potrebbero sfruttare la loro dote principale: la velocità nella corsa e l'abilità come saltatrici.

 

ANTILOPE CERVICAPRA (Antilope cervicapra)

Le Antilopi cervicapre vivono in branchi, che durante tutto il giorno, rimangono, nei pascoli sorvegliati da alcuni individui che fanno da sentinella. Al minimo accenno di pericolo le si vede drizzare di scatto la testa e, dopo un attimo di immobilità, lanciarsi in una corsa folle. Le corna di questo animale sono veramente caratteristiche e lo fanno riconoscere immediatamente: di sezione rotonda, sono anellate dalla base fino alla estremità e descrivono una spirale di tre, quattro o cinque giri, attorcigliandosi su se stesse come un cavatappi; possono raggiungere quasi un metro di lunghezza ed hanno sempre costituito un trofeo molto ricercato tra i cacciatori. Le cervicapre sono animali tanto veloci che lo stesso ghepardo, con le sue punte di 114 chilometri all'ora, non sempre è capace di raggiungerle; inoltre esse non si lasciano facilmente avvicinare e sono molto resistenti al male: se il colpo loro destinato non colpisce un punto vitale, non le si rivede più.
Numerosi racconti di caccia narrano come cacciatori provetti siano sovente ritornati scornati, dopo aver visto passare davanti ai loro occhi i più bei capi di questa specie. E' proprio grazie a questa diffidenza, a questa rapidità ed a questa vitalità che le Antilopi cervicapre si sono conservate bene in India. Infatti è stato provato tutto contro di loro, comprese le «fuori strada» e le armi a ripetizione, se non le mitragliatrici. Sembra che al momento attuale gli abitanti del Pakistan e dell'India siano decisi a proteggere la loro fauna selvatica, entro i limiti del possibile, tranne forse le loro ultime tigri. Le Antilopi cervicapre costituiscono una curiosità zoologica particolarmente interessante per gli specialisti, poiché non possono essere classificate con nessun altro animale. Occorre dunque assolutamente, nell'interesse della scienza ed anche nell'interesse del paese in cui vivono, che esse siano rispettate e protette.
Non siamo più, per fortuna, ai tempi in cui i «grandi fucili», si facevano fotografare, con l'arma in mano, a fianco dei cadaveri degli animali uccisi. La Cervicapra è difficile da allevare in un giardino zoologico: è troppo nervosa, troppo rapida, troppo buona saltatrice. Si ucciderebbe contro le gabbie o contro i muri.
Nonostante in India questi animali siano considerati sacri, purtroppo devono ancora sostenere persecuzioni da parte dei cacciatori più agguerriti.
Per la loro velocità di mimetizzarsi è inefficace l'uso del fucile: oggi ci si serve dei grossi ghepardi addestrati per la caccia alle Cervicapre. Nonostante questa ostilità da parte dell'uomo, se addomesticate accorrono ai richiami dell'allevatore e prendono addirittura il cibo dalle mani dell'uomo.

 

ANTILOPE QUADRICORNE (Tetraceros quadricornis)

Passiamo ora ad un animale sorprendente, poiché porta sulla testa quattro corna anziché due. Immaginate un'antilope della grossezza di un capriolo e con una andatura simile a quella del Nilgau. Due piccole corna, diritte ed appuntite, escono dalla sua fronte; altre due, grosse circa la metà, compaiono tra i due occhi. Le Antilopi quadricorne sono animali agili, rapidi, che amano la vicinanza dell'acqua, brucano l'erba lungo i pantani e vivono in piccole famiglie di due, massimo tre individui. Il mantello, di pelo corto, è bruno rossiccio nella parte superiore e diventa sempre più chiaro, scendendo, fino ad essere bianco sul ventre ed all'interno delle zampe. Notiamo, a proposito di questo animale, che esiste in Irlanda e nell'isola di Man una razza di montoni pure tetraceri, termine che deriva dal greco e significa letteralmente: con quattro corna. Questa razza, conservata e selezionata con cura dagli allevatori a causa del suo estremo interesse, sarebbe, per gli zoologi, il risultato di una mutazione genetica. Se ne trovano allo stesso modo a Cipro e nel Cachemire ed esistono anche dei casi di capre a quattro corna, altrettanto inspiegabili per gli scienziati. Infatti dire che si tratta di una mutazione, di un riaffioramento di caratteri primordiali non spiega nulla. Nella fauna selvatica, comunque, l'Antilope quadricorne rimane un caso assolutamente unico.

 

TRAGULO MEMINNA (Tragulus meminna)

Parlando del Tragulo meminna, chiamato anche Muschietto per una certa rassomiglianza coi moschi, possiamo dire che è un minuscolo animale con orecchie corte e rotonde, il muso appuntito, il dorso rotondo ed il posteriore sostenuto da gracili zampe. Le sue dimensioni non sono mai più grandi di quelle di una lepre; ciononostante è il più grosso della famiglia dei Tragulidi.
E' di color bruno, più o meno scuro, con una fitta macchiettatura bianca sul dorso e strisce bianche o giallicce sui fianchi; nella parte inferiore è più chiaro, quasi bianco. E' proprio per il suo manto che presenta una certa somiglianza con i Moschi (da cui prende il nome di Muschietto). Il Tragulo meminna è un animale notturno, molto poco conosciuto, le cui abitudini sono ancora oggi oggetto di osservazione da parte di molti studiosi, zoologi e faunisti specializzati.
Abbiamo detto trattarsi di animale notturno, appunto perché di giorno rimane nella tana a ruminare e dormicchiare, sempre attento, però, ai minimi rumori; di notte esce alla ricerca di erbe, foglie e frutti, ciò che costituisce il suo alimento. E' fornito, sulla mascella superiore, di piccoli canini appuntiti, ma è privo di incisivi. Strana caratteristica dei Traguli meminna che, come abbiamo già detto, comunemente sono chiamati Muschietti, sono le zampette diritte e rigide: la gente dei luoghi dove vive dice che questo animale manca di ginocchia. Nonostante la sottigliezza delle zampe, è forte ed agile ed è capace di fare salti sorprendenti per le sue dimensioni. E' timidissimo, tanto che non si avventura mai allo scoperto, specialmente di giorno, per gli agguati che possono essergli tesi nella foresta, nella quale preferisce vivere; nonostante ciò è facilmente addomesticabile, con le relative riserve per quanto riguarda il periodo più adatto per farlo abituare ad una vita domestica. Di questo genere di animali se ne conosce, in tutto l'estremo Oriente e nelle isole ancora più ad est, tutto un elenco, la maggior parte dei quali frequenta i pantani e vive solitaria o a piccoli gruppi, di solito la femmina coi suoi piccoli. Abbiamo già osservato, a proposito dei capretti d'acqua africani, quanto siamo ancora ignoranti sui costumi esatti di tutta questa famiglia di Tragulidi, siano essi africani o asiatici. E' un gruppo molto primitivo, altrettanto vicino ai suini ed ai camelidi, quanto ai cervidi, secondo gli zoologi moderni, e su cui noi abbiamo ancora tutto, o quasi da imparare. Ancora una volta dobbiamo dire che c'è molto da fare per i futuri esploratori, fotografi, cineasti, zoologi...
 

CINGHIALE INDIANO (Sus scropha)

Con il suo grugno allungato, il suo pelo quasi raso e le sue alte zampe il cinghiale indiano ci sembra alquanto differente dal nostro tipo europeo, talmente più massiccio, più alto e più tarchiato, sotto la sua armatura di peli neri. In effetti è lo stesso animale e non è Kipling che ce lo ha descritto, ma un passaggio di un film celebre tra le due guerre: «Lanceri del Bengala»... Vi si vedono ufficiali inglesi e grandi personaggi indù forzare a cavallo questi Cinghiali ed attaccarli con la lancia, il che non è senza pericolo, anche per il cavaliere.
Il «Pig-sticking» è uno sport violento ed il «Pig» in questione un rude avversario. Esistono altre specie di cinghiale selvatico in Asia: il minuscolo Maiale pigmeo dell'Himalaya, per esempio, o il gigante del Borneo, i cui due metri di lunghezza valgono i due metri di lunghezza dell'Ilochero africano. Ma è il Cinghiale indiano, quale ce lo mostra Robert Dallet, il più diffuso in alcune regioni dell'Asia: le Indie innanzi tutto, poi Ceylon, la Birmania e la Cina. Se esso non ha la folta pelliccia dei suoi consimili europei, è perché il Cinghiale asiatico vive in un clima più caldo che renderebbe questa «copertura» insopportabile. Ma è sempre lo stesso animale, con quattro temibili canini impiantati nelle robuste mascelle, temibili armi di difesa e di offesa, che ne fanno dei combattenti veramente pericolosi, sia che «lacerino», i loro avversari come con un rasoio ben affilato, sia che mordano con efficacia pari a quella dei grandi felini. Il loro ambiente preferito è quello costituito da fitte macchie, da foreste con abbondante sottobosco, da zone paludose con ricca vegetazione: tutti i luoghi, insomma, dove sia facile trovare da nascondersi e riposare.
I Cinghiali si spostano preferibilmente di notte e vanno alla ricerca di cibo: ghiande, tuberi, piccoli animali, specialmente roditori, foglie tenere e qualsiasi altro cibo vegetale o animale che riescano a trovare. Quando penetrano nelle coltivazioni, possono arrecare danni anche molto considerevoli. I Cinghiali selvatici restano molto vicini a tutta una collezione di maiali più o meno domestici, con i quali s'incrociano all'occasione, dando prodotti indefinitamente fecondi. Ciò spiega senza dubbio perché la discendenza diretta dei maiali selvatici, e magari anche i nostri maiali domestici, sia così diversa, con tipi a volte così differenti. Ancora una volta si tratta di animali della stessa specie ed il cui sangue contiene lo stesso numero di cromosomi. Questi stessi maiali selvatici hanno, d'altronde, invaso con il nostro aiuto, un gran numero di isole piccole o grandi del Pacifico così come una gran parte del territorio americano, in cui, primitivamente, non ne esistevano. Essi vi si sono moltiplicati ed hanno ritrovato la maggior parte delle caratteristiche dei Cinghiali asiatici od europei.
 

BUFALO INDIANO o d'ACQUA o ARNI (Bubalus bubalis)

Se Kipling parla del Bufalo indiano non è certo per estasiarsi sulla sua intelligenza. E Mowgli farà parecchia fatica a spiegare al toro, capo della mandria, come deve fare il branco per schiacciare Shere-Khan, la tigre, sotto gli zoccoli lanciati al gran galoppo... Ma, a parte l'intelligenza, bisogna dire che si tratta di un bovide particolarmente imponente, con immense corna orizzontali, dalle punte girate all'indietro, delle quali si serve con una forza straordinaria. Questi animali ancora di più del Bufalo Cafro africano, hanno un aspetto poderoso. Essi raggiungono infatti i due metri di altezza ed i sei quintali di peso, sono forniti di monumentali corna, hanno corte e robuste zampe che terminano con larghi zoccoli da animale destinato a districarsi su terreni melmosi e cedevoli.
Questi animali si incontrano in tutta l'Asia, e particolarmente nelle Indie, con caratteri somatici differenti, ma a tutti è comune una particolarità: vivono solo in presenza d'acqua, per cui allo stato brado stanno preferibilmente nelle zone forestali fitte, umidissime, traversate da corsi d'acqua, oppure nelle paludi. Vivono in branchi da venti a cinquanta individui e mentre il giorno lo passano a riposare ed a strofinarsi nella melma, al mattino presto, all'imbrunire e spesso la notte vanno a pascolare, accontentandosi di qualsiasi tipo di erba e di ciò che trovano, persino di sterpi. Non si muovono infatti volentieri alla ricerca di cibo e, se niente li disturba, difficilmente si allontanano dal luogo dove sono insediati. Sono, in compenso, degli ottimi nuotatori e si muovono senza dubbio con più abilità in acqua che sulla terra. I branchi sono formati da individui di entrambi i sessi e di ogni età, ma non è raro che i vecchi maschi conducano una vita solitaria e schiva giungendo, se molestati ad assalire anche gli uomini.
Nonostante la sua indole generalmente tranquilla, il Bufalo d'acqua non esita ad attaccare anche animali più potenti e forti di lui, quando avverte il pericolo o quando crede di avvertirlo.
Secondo i migliori zoologi, la natura del Bufalo può ritenersi quella di un animale mite e tranquillo: i soli veramente selvatici sarebbero quelli del Borneo e delle isole Celebes, essendo stati gli altri più o meno addomesticati in tempi remoti e recenti.
Sebbene questa affermazione circa la assoluta mitezza del Bufalo indiano venga data per certa, sarà bene non accettarla completamente: si tratta pur sempre di animali selvatici, la cui natura rimarrà tale, in ogni caso, nonostante gli sforzi prodigati dall'uomo, da innumerevoli generazioni, per addomesticare questo animale. Sappiamo infatti che, se credono di avvertire un pericolo si allarmano e facilmente si infuriano ed in questo caso possono diventare molto pericolosi, poiché si lanciano alla carica e non si arrestano se non quando sono all'estremo delle forze.
Sfruttando questa caratteristica del Bufalo, d'infuriarsi al minimo sospetto, fino a non molto tempo fa si organizzavano, in India, combattimenti fra Bufali e Tigri.
I risultati non erano sempre gli stessi: se il recinto era piccolo il Bufalo non aveva difficoltà ad incontrare la Tigre, ed ucciderla con un solo colpo delle sue grandi corna; viceversa se il recinto era più grande, era il felino a poter organizzare il suo attacco, dilaniando il ruminante con unghiate e morsi. Allo stato domestico i Bufali sono animali molto utili all'uomo, innanzi tutto come animali da lavoro: tirano l'aratro, trascinano i carri, servono come animali da sella. Quando un Bufalo lavora ha una potenza di trazione che nessun altro animale della stessa specie può eguagliare.
Le femmine producono oltre quattro litri di latte al giorno, come media, latte che contiene il doppio di grassi del migliore latte di mucca. Inoltre la carne degli individui più giovani è tutt'altro che disprezzabile.
Questi animali, dal garretto poco arrotondato, non ricordano né le differenti varietà di «Buoi con la gobba», né i loro lontani cugini, i Bufali africani, ferocemente selvaggi.
Per i Bufali del Borneo e delle isole Celebes, che costituiscono un continuo pericolo per le coltivazioni e per gli indigeni, i capi tribù ed anche le autorità in qualche caso, accettano che vengano effettuate delle vere e proprie battute, per disinfestare le zone abitate dai pericolosi animali. Uno dei modi per effettuare una battuta di caccia è quello, del tipo africano, consistente nell'accerchiare la mandria di Bufali con un semicerchio di fuoco e, a qualche chilometro di distanza, con un altro semicerchio costituito da battitori, i quali stringono sempre di più l'accerchiamento, avanzando verso il fuoco e spingendovi la mandria. Una volta circondati i Bufali sono costretti ad uscire dalla zona circoscritta e, terrorizzati, vanno alla carica verso gli uomini. I secondi che impiega un Bufalo in carica per coprire trenta metri, sono estremamente pochi. In quei secondi il cacciatore deve prendere la mira, sparare e colpire la spalla sinistra della bestia scatenata, l'unico punto dove si è sicuri d'arrestare un bufalo in carica. Ma non basta; occorrerà dopo l'uccisione aizzargli contro cani addestrati al fine di scuotere i Bufali e in qualche caso morderli sulle cosce e sulla schiena, tutto ciò per accertarsi che il Bufalo o i Bufali siano stati veramente uccisi. Un Bufalo a terra non è sempre morto, ma può fingere di esserlo per cercare di colpire il suo nemico prima di morire; ed è per questo che molti cacciatori inesperti, dopo aver creduto di aver ucciso un Bufalo, si son trovati improvvisamente colpiti da una cornata mentre si chinavano su di lui.
I Bufali indiani si ritrovano in molti paesi, oltre a quelli in cui vivono allo stato selvatico; perfino in Italia, nelle risaie della valle del Po, dove sono stati introdotti molto tempo fa, e forse anche in un angolo perduto della Tunisia, dove una mandria sarebbe stata importata altrettanto tempo fa. Tutti hanno il piede largo e molto aperto, il che permette loro di non affondare nella melma; sono animali estremamente utili, indispensabili, insostituibili ovunque il suolo spugnoso e periodicamente inondato, sotto i Tropici od altrove, sia propizio alla coltura del riso. Gli Stati Uniti stessi si sono interessati all'allevamento del Bufalo d'acqua, che non stenta ad acclimatarsi ed a riprodursi ovunque la temperatura non sia eccessivamente bassa e l'acqua sia abbondante. Anche nei giardini zoologici è facile mantenere questi animali, ma la mancanza di movimento li fa ingrassare in modo tale che diventano veramente orribili.
 

ELEFANTE ASIATICO (Elephas maximus)

Nonostante il suo nome latino che lo designerebbe il più grande del suo genere, l'Elefante asiatico è di dimensioni inferiori al suo congenere africano, che raggiunge le massime dimensioni e porta zanne generalmente più grandi e più pesanti. Oltre alle dimensioni altre differenze caratterizzano le due specie tre di cui sono le più vistose: l'Elefante africano possiede due dita in cima alla proboscide, che gli permettono di raccogliere, se lo desidera, un chicco di grano per terra; l'asiatico non ha che un solo dito. Le orecchie di quest'ultimo sono molto più piccole e la sua testa, doppiamente ingobbita nella parte superiore, non è strutturata come quella dell'africano, con le sue immense orecchie ed il suo cranio che forma angolo retto con la parte superiore e la faccia propriamente detta. Infine, se i record delle zanne dell'elefante africano sono di 3,45 metri di lunghezza per circa 140 chilogrammi di peso, l'Elefante indiano che porta zanne di 80 chilogrammi per 2,65 metri di lunghezza, è già un fenomeno. Non dimentichiamo, d'altronde, che la maggior parte degli avori artistici scolpiti in Cina da tempo immemorabile, lo sono stati in avorio «blu», cioè nelle zanne di Mammuth ritrovati nel suolo ghiacciato dell'estremo nord-est asiatico. Infatti si ritrovano, nell'aspetto curvo di tutti i soggetti umani scolpiti, pezzi di notevoli dimensioni e dalla curvatura molto accentuata. Ritorniamo al nostro Elefante indiano, conosciuto fin dalla più lontana antichità e da allora addomesticato; raggiunge i tre metri e mezzo al garrese, contro i quattro metri e oltre della specie africana. Può raggiungere un massimo di settant'anni di età, infatti i capi in cattività non hanno mai raggiunto una età più avanzata. La femmina, che porta il suo piccolo da 18 a 22 mesi, difficilmente rimane incinta in cattività, di modo che gli Elefanti asiatici che lavorano per conto dell'uomo devono essere regolarmente rinnovati con la cattura di nuovi capi. Questo dà luogo a straordinarie battute nelle quali gli Elefanti già addomesticati ed i loro custodi sono i principali attori. Questi animali hanno abitudini gregarie e nomadi, con una organizzazione sociale molto sviluppata. La ricerca del nutrimento e dell'acqua determina il percorso del loro perpetuo errare.
A parte l'uomo, essi non hanno nemici e le femmine custodiscono i nuovi nati con molta cura e molto da vicino affinché le tigri se ne tengano lontane. Ben inteso, le leggende tipo quella dei cimiteri di Elefanti non sono basate su alcuna verità, mà questi animali sono abbastanza grossi ed impressionanti per far sorgere le storie più straordinarie su di loro. L'elefante asiatico è essenzialmente indiano ed indocinese. Esso è in netta via di regressione, a causa dell'avanzamento perpetuo di una civilizzazione che non ama. Inoltre il mantenimento di un branco di Elefanti domestici costa assai caro ai nostri giorni, per cui gli stati o i privati che hanno bisogno del loro lavoro sono tentati di sostituirli con macchine moderne; di modo che, ai nostri giorni, si catturano meno elefanti selvatici di un tempo. Anche la tradizionale caccia alla tigre diventa rara, poiché essa costa ogni volta una fortuna; anche da questo lato, quindi, vi è un minor consumo di Elefanti. Sono forse i circhi ed i giardini zoologici che ne fanno il più grande uso, a parte qualche stato asiatico che ha ancora i mezzi per mantenerne. Anche l'Elefante bianco del Siam è un personaggio da leggenda e la piccolissima macchia chiara sulla superficie della sua pelle grigia è sufficiente a qualificarlo così. Ciò che è certamente la cosa più notevole negli elefanti, e studi molto seri sono stati fatti a questo riguardo, è che non ve ne sono due identici, tanto dal punto di vista fisico, quanto dal punto di vista del carattere. Sono, queste, verità delle quali i domatori devono tenere gran conto, aggiungendo inoltre che le femmine sono sempre più docili, più maneggevoli e meno pericolose dei maschi. Gli specialisti di Elefanti sanno che grande memoria hanno, il che suppone un altrettanto grande rancore contro gli autori di vecchi maltrattamenti. Essi sono soggetti, a volte, ad accessi di furore, durante i quali divengono temibili, tanto è grande la loro forza. In ogni modo sono animali attraenti, con una intelligenza persino stupefacente, soggetti a paure imprevedibili come, ad esempio, quella dei topi e che non si è ancora finito di studiare.
Oltre ai caratteri distintivi di cui si è fatto cenno, esso differisce dall'elefante africano per una maggiore agilità che permette un più facile e rapido addomesticamento.
Una volta addomesticato rende all'uomo servizi preziosi in ogni sorta di lavori pesanti: nelle grandi segherie abbatte gli alberi con una facilità sorprendente; trasporta i tronchi attraverso i sentieri della foresta come fossero arbusti, li spinge sotto la sega con una prudenza più unica che rara; accatasta in bell'ordine le tavole, una volta segate; e fa tutto ciò con disciplina, intelligenza e scrupolosità sorprendenti. Molto amante della pulizia, compie talora percorsi lunghissimi in cerca di ruscelli e fiumi per bagnarsi. E' pericolosissimo tagliare la strada agli elefanti quando, verso sera, si recano a bere.
Altro pericolo che questi colossi in genere docili e fedeli presentano per l'uomo è una forma di pazzia, detta «must» a cui vanno soggetti in certi periodi; diventano allora intrattabili e spesso furiosamente selvaggi, tanto da non riconoscere neppure i loro guardiani.
 

RINOCERONTE

RINOCERONTE INDIANO (Rhinoceros unicornis)

Il grande Rinoceronte indiano non ha che un solo corno, di dimensioni assai modeste, sul suo naso. Ma l'animale è enorme, senza che si possa dire se esso supera o no in peso, altezza e lunghezza l'altro gigante della specie, il Rinoceronte africano dal muso camuso, o Rinoceronte «bianco» che ha invece due lunghissimi corni. Un'altra particolarità di quello indiano è lo spessore della sua pelle, che sembra una corazza formata da placche per blindatura sovrapposte e bullonate. Conosciuto molto prima dei Rinoceronti africani, quello delle Indie lo si trova rappresentato da molto tempo nelle opere di zoologia d'Europa, sempre con la sua spessa corazza che sembrava impenetrabile alle armi dell'epoca. I Romani l'hanno spesso opposto agli Elefanti, nei loro raccapriccianti giochi del circo; alcune collezioni zoologiche l'offrivano allo stupore dei visitatori prima del Medio Evo... Sempre più rari, per non dire rarissimi, i grandi Rinoceronti indiani sono attualmente protetti e non vivono più che in alcune regioni nettamente delimitate di questo paese: nel Bengala, nell'Assam (regione che si può definire preziosa riserva di animali selvatici) e nel Nepal. Praticamente inoffensivi, si nutrono di erbe e di vegetazione acquatica, non lasciano mai i pantani ed avrebbero potuto continuare a popolare l'India in gran numero, come accadeva meno di un secolo fa. Purtroppo l'invenzione delle armi moderne è stata loro fatale quanto la leggenda stupida ed impossibile da distruggere che fa di loro, del loro sangue, della loro carne, della loro pelle, del loro pelo e soprattutto del loro corno una specie di panacea che si paga almeno al prezzo dell'oro.
Quando si conosce la miseria che regna nei paesi dove vivono i Rinoceronti asiatici (parleremo più avanti delle varietà bicorni dell'India, di Sumatra e di Giava), si capisce facilmente con quale folle ardore i bracconieri di professione cercano di uccidere uno di questi animali per venderne le spoglie. I grandi acquirenti sono sempre dei cinesi, poiché la loro farmacopea si è interessata, dalla notte dei tempi, a questi prodotti e la loro azione nefasta è esercitata anche in Africa, dove è la causa della sparizione accelerata delle due varietà del continente: il Rinoceronte bianco ed il Rinoceronte nero, ambedue bicorni. Il nostro grande Rinoceronte unicorno sarebbe, dunque, il secondo mammifero terrestre del mondo, con il suo collega africano «camuso». Esso ne ha le abitudini, con pochi dettagli simili, con una decisa propensione per l'umidità, i pantani, i canneti. La protezione di cui gode, ammettendo che essa sia efficace contro i bracconieri, e non sempre è così, non rende facile il suo studio e rende difficile l'andarlo a filmare o a fotografare sul posto. Per contro, in cattività essi si addomesticano molto facilmente e si riproducono con molta regolarità. Lo zoo di Basilea si è più o meno specializzato in questo genere di allevamento, e con successo. Come abbiamo spesso ripetuto, i giardini zoologici ammirevolmente tenuti, che noi conosciamo in Europa, negli Stati Uniti o altrove, restano l'ultima possibilità di sopravvivenza per alcune specie di animali in via di estinzione. Esisteva, ad esempio, una seconda varietà di Rinoceronte indiano, più piccolo, bicorno, che viveva in Assam, nel Bengala ed in Birmania. Esso è completamente scomparso da queste regioni e bisogna considerarlo estinto definitivamente sia in Asia che nei giardini zoologici.
Vedremo in seguito che una terza varietà, molto simile, esiste ancora a Sumatra ed è bicorno, mentre una quarta specie, unicorna, è in via d'estinzione nelle isole della Sonda. Sarebbe proprio il momento di salvare queste speci in estinzione, immettendole in qualche riserva rigorosamente controllata. Molte organizzazioni e centri di studio promuovono attualmente iniziative d'ogni tipo al fine di salvare il salvabile. C'è da augurarsi soltanto che si riesca ad operare efficacemente e in tempo.

 

RINOCERONTE DI SUMATRA (Dicerorhinus sumatrensis)

Ecco ora uno degli animali più rari che vi siano al mondo. Se resta solo qualche centinaio di grandi Rinoceronti indiani, gli ultimi Rinoceronti di Sumatra non sono più forse di qualche decina, certo non molti di più. Noteremo subito che, come i Rinoceronti Africani, quello detto di Sumatra ha due corna molto corte, il più piccolo ridotto ad un semplice bernoccolo, proprio sopra gli occhi. L'animale non è molto grande, la sua pelle non forma grosse pieghe, né placche, come il suo congenere indiano, e sembra molto villoso sui fianchi, sotto la testa e sotto il ventre, cosa insospettabile in questo genere di animali. In effetti esistevano due varietà di Rinoceronti bicorni asiatici. Uno aveva un paio di orecchie frangiate con lunghi peli e viveva nel Bengala, in Assam ed in Birmania. Il suo corno più avanzato, all'estremità della testa, raggiungeva una bella lunghezza ed il suo pelo era abbondante su tutto il corpo. Dobbiamo considerare questo animale definitivamente estinto, come il grande pinguino, la zebra cuagga od il Tilacino di Tasmania. La seconda varietà, la più piccola di tutti i Rinoceronti, ha le orecchie con peli più corti, i corni più modesti, il colore più scuro ed i peli più lunghi sotto il ventre. Divenuto rarissimo, non esiste certamente che in zone molto ridotte delle regioni citate sopra, aggiungendovi le isole del Borneo e di Sumatra. Gli indigeni, malgrado la protezione, unicamente teorica, di cui gode, non gli danno la caccia, ma lo intrappolano in buchi scavati lungo la sua strada per poi finirlo con le lance. Sempre per i soliti motivi: valore terapeutico dei corni, della pelle, dei peli, della carne, del sangue, delle ossa e... di tutto. Resta un'ultima varietà di Rinoceronte asiatico, il Rinoceronte di Giava (Rhinoceros sondaicus), unicorno, molto simile ad una copia di dimensioni ridotte del grande rinoceronte indiano, ma con un aspetto assai differente per quel che riguarda le sue placche corazzate.
Non ha bernoccoli, è senza dubbio meno raro dei due precedenti e vive ancora lungo la costa dell'isola di Sumatra, dove sembra non lasciare mai le acque dei pantani, salate o dolci che siano. E' praticamente scomparso dalla Birmania e dalla Malesia. Tutti questi rinoceronti, a parte la grande varietà indiana, sono animali timidi, notturni e che sembrano aver capito con quanta insistenza sono cacciati. Tutto ciò ha dato loro un comportamento estremamente discreto e rende il loro incontro veramente difficile ed anche problematico. Coloro che hanno esplorato le isole della Sonda ne hanno visti molto raramente, anche se ne hanno sentito parlare molto dagli indigeni. Solo, naturalmente, se hanno saputo conquistare la fiducia di questi ultimi, poiché i bracconieri non amano generalmente parlare della loro cacciagione. Di modo che l'esistenza oltre al previsto di qualche rinoceronte, può sussistere solo nelle possibilità di queste isole gigantesche di cui non si sa ancora quasi nulla, tanto dal punto di vista zoologico, che botanico... Tapiri indiani e piccoli Rinoceronti indiani hanno circa le stesse abitudini: amano l'acqua ed il fango in cui sprofondano per sfuggire al morso degli insetti parassiti e spariscono nelle buche scavate negli argini dei fiumi o nelle coste marittime non appena compaiono gli uomini, i loro soli e veri nemici. Se ci sono degli animali poco conosciuti sono proprio questi e si attende con impazienza che coraggiosi zoologi vadano a guardarli vivere, prima della loro completa sparizione. Sparizioni che le grandi società di protezione della fauna combattono con tutte le loro forze. In verità, si saprebbe molto bene cosa fare per salvare questi animali: acquistare a prezzo molto alto dei vasti spazi nel loro paese d'origine, là dove esistono ancora questi animali, circondarli con recinti, farli custodire e sperare che ciò riesca.
 

MANGOSTA

L'Asia ospita un certo numero di varietà di Mangoste che si rassomigliano tutte; sono più o meno grandi e più o meno colorate e si trascinano tutte dietro una lunga coda, a volte cilindrica, a volte che termina a punta, ma sempre folta. Il loro aspetto ricorda alquanto quello degli zibetti, con corpo allungato, arti piuttosto brevi, orecchie piccole e di forma arrotondata, unghie abbastanza sviluppate e ghiandole che si aprono in apposite borse situate nella regione anale. Tutte queste varietà, di dimensioni non molto grandi, preferiscono le zone aride e cespugliose preferite da piccoli mammiferi, specie da roditori, e da rettili. Anche per questi animali possiamo risalire alla prosa di Rudyard Kipling che li ha resi celebri con la descrizione della terribile lotta tra la mangosta Rikki Tikki Tavi ed il serpente Nag. Le mangoste, infatti, sono note per la loro abilità nell'attaccare e vincere i serpenti; soprattutto quelli velenosi, come il terribile cobra indiano. Esse hanno una tattica speciale, basata sull'agilità, la sveltezza dei movimenti e la furbizia: dopo aver avvistato il rettile gli vanno vicine rimanendo, però, ad una distanza tale da non poter essere raggiunte; a questa distanza rimangono ad osservarlo, strisciando o saltellandogli intorno; dopo qualche tempo iniziano il combattimento con una serie di finti attacchi che hanno lo scopo di stancare ed infuriare l'avversario. A questo punto le mangoste assalgono decisamente: con un veloce scatto si slanciano contro il serpente azzannandolo possibilmente al collo, e altrettanto velocemente, si ritraggono. Se la ferita non è grave, si slanciano una seconda volta, poi una terza fino a quando il nemico si affloscia moribondo. Allora ne divorano tranquillamente una parte, di solito la testa e la prima parte del tronco. Difficilmente i serpenti velenosi riescono a mordere la loro nemica, ma anche quando ciò capita, ben difficilmente la mangosta ne risente, un po' perché il pelo ispido serve ad impedire che il morso sia molto profondo, un po' perché questo animale è relativamente immune dal veleno degli ofidi. Questa particolarità nell'aggredire i serpenti è anche la ragione per cui le Mangoste, che possono essere anche dannose perché non è raro che compiano stragi nei pollai, sono protette e tenute come animali domestici in quasi tutti i villaggi: insediate in un'abitazione si può essere perfettamente sicuri che non vi si insedieranno serpenti o, se ciò dovesse avvenire, che non ne usciranno più.

 

MANGOSTA DAL COLLO BARRATO (Herpestes vitticollis)

La mangosta dal collo barrato è la più grande di tutte: 90 centimetri di lunghezza per un peso di 3,2 chilogrammi. Un raggio nero, che parte dal naso ed arriva fino alle spalle, è il segno distintivo di questa specie, di color marrone rossastro su fondo grigio nel resto del corpo. La coda e le zampe sono pressoché nere; queste ultime sono munite di unghie non retrattili, con le quali dilaniano la preda una volta afferratala. Ne esistono due varietà, di colore leggermente differente; entrambe vivono in tutta l'India, Ceylon compreso. Esse mangiano di tutto: serpenti, roditori, pesci, gamberi, ecc...

 

MANGOSTA CANCRIVORA (Herpestes urva)

La mangosta cancrivora misura fino a cinquanta centimetri di lunghezza, più trenta centimetri di coda che risulta priva di peli alla sua estremità. Essa vive dal Nepal all'Assam, in Birmania, nel sud della Cina e nel nord della Malesia. E' più acquatica della prima, più abile nel catturare le rane, i gamberi ed i pesci di tutte le altre specie. Essa fa un buco nel suolo e si difende lanciando dal dietro un liquido nauseabondo prodotto dalle ghiandole anali. Si ignorano le sue abitudini di riproduzione...

 

MANGOSTA DORATA (Herpestes auropunctatus)

La Mangosta dorata non è molto grande: cinquanta centimetri in tutto, compresa la coda non molto lunga. Essa è di color bruno oliva, macchiata in giallo oro, con una morbida pelliccia serica. E' un animale che vive in India, dal Cachemire al Bengala, in Assam, in Birmania ed in Malesia; ad ovest la si ritrova in Afghanistan, in Belucistan, in Persia ed in Mesopotamia. La Mangosta dorata è molto utile, malgrado le sue piccole dimensioni, per liberare la casa dai suoi parassiti; topi, ratti, serpenti, scorpioni, millepiedi, vespe ed insetti di ogni genere. Essa vive molto bene, in semilibertà, presso gli uomini.
Le Mangoste vivono generalmente in gruppi poco numerosi; si ignorano le abitudini relative alla loro riproduzione. Hanno odorato ed udito finissimi, mediante i quali avvertono la presenza della preda; appiattite al suolo la seguono e, giunte a poca distanza, balzano sull'animale uccidendolo rapidamente coi forti denti.
 

SCOIATTOLO

SCOIATTOLO FRANGIATO (Sciurus finbriatus) - SCOIATTOLO BIANCO E NERO (Sciurus alboniger) - PETAURISTA (Petaurista petaurista)

Questi tre esemplari sono scoiattoli volanti. Essi hanno, sui fianchi, una duplicatura cutanea, detta patagio, che può diventare un valido paracadute quando l'animale si lancia nel vuoto estendendo le quattro zampe. Esistono degli anfibi ed anche dei rettili che utilizzano un paracadute simile per saltare da un albero all'altro o da un albero al suolo. Ma gli scoiattoli, ed in particolar modo la famiglia dei Petauristi, sono degli specialisti straordinari, in materia. Innanzi tutto perché, in questo modo, sanno superare distanze considerevoli, in secondo luogo perché possono cambiare direzione in pieno volo, come potrebbe fare un paracadutista umano, infine perché essi possono arrivare a raggiungere un punto d'atterraggio persino più alto del loro punto di partenza. Bisogna dire che la loro lunga coda, con i peli fissati lateralmente, ha molto a che vedere in questo poiché serve ottimamente da utile timone di profondità e permette dunque un rialzamento della traiettoria molto marcato, quando occorre. Tutte queste graziose bestioline vivono nel sud dell'Asia, e cioè in India, a Ceylon, in Malesia e nelle isole che seguono. Se ne possono trovare anche tra le nevi dell'Himalaya.

 

FUNAMBOLO DELLE PALME (Funambulus palmarum) - DREMOMYS (Dremomys lokriah)

Più affascinanti di tutti sono i minuscoli Scoiattoli Funamboli, striati longitudinalmente e veramente graziosi, con i loro grandi occhi intelligenti e le loro corte orecchie. Il più raro è, però, il Dremomys, di colore scuro, con grandi occhi da notturno.
Tutti questi animali amano vivere sugli alberi e raramente discendono a terra. Essi non vi troverebbero, d'altronde, né il loro nutrimento, né la loro sicurezza per cui preferiscono saltare di ramo in ramo, salire e scendere lungo i tronchi, vicino al loro nido che può sembrare quello di un uccello, costruito con erbe e materiale vario reperito durante le loro escursioni, od essere semplicemente una cavità di un albero resa più comoda da una buona imbottitura. Questi animali mangiano un po' di tutto: frutti, grani, semi, gemme, foglie; a volte, ma più raramente, larve, insetti, uova di uccellini od addirittura piccoli uccelli. Sono, però, prevalentemente vegetariani. I loro nemici naturali sono tutti gli uccelli rapaci dotati di artigli e di becchi adunchi, tutti i carnivori arrampicatori, quali le faine e le martore dei differenti tipi e tutti i serpenti arboricoli che li aspettano pazientemente alla biforcazione di due rami, invisibili ed immobili, e li bloccano al passaggio.
Tutto questo mondo di mangiatori e di mangiati (bisogna prendere le cose come sono ed ammettere le leggi inesorabili della natura) si mantiene in equilibrio poiché gli uni e gli altri si sostituiscono e si rimpiazzano di mano in mano che scompaiono.

Tornando ai nostri graziosi scoiattoli, essi amano le immense foreste, la giungla impenetrabile e fanno concorrenza alle scimmie per la loro vivacità, la loro agilità ed i luoghi in cui vivono. Gli Scoiattoli asiatici, compresi i «volanti», hanno fatto la loro comparsa, da qualche anno, sul mercato europeo degli animali da compagnia. Essi non sono molto difficili da nutrire e da mantenere ed alcuni perdono completamente il loro carattere selvatico addomesticandosi completamente, al punto da poter vivere in libertà in un appartamento, saltando da un mobile ad un tavolo, da una spalla ad un ripiano di biblioteca, senza nulla rompere quando si muovono o saltano da un punto all'altro della stanza. Alcuni possono rimanere diffidenti, persino mordaci, ma ciò dipende dal modo in cui sono stati catturati e dalla pazienza di coloro che li allevano e li addomesticano. Non occorre mai dimenticare le due virtù dell'allevatore che vuole riuscire nel suo intento: la pazienza e la golosità dell'animale.
 

PTEROPO EDULE (Pteropus celaeno)

Questo Pteropo, detto anche Rossetta o volpe volante, che non mangia altro che frutti maturi: banane, arance, pesche, prugne ecc..., che si lascia gentilmente addomesticare e che si riproduce in cattività, passa, in tutto il mondo, per un abominevole vampiro che si nutre del sangue fresco di uomini ed animali. Uno Pteropo che era evaso dalla casa del suo padrone, pochi anni fa, a Parigi, è stato abbattuto a colpi di pistola da un agente della polizia, senza dubbio complimentato, in seguito, per il suo operato.
La Rossetta abbonda nell'Asia di sud-est ed anche nelle altre regioni tropicali del mondo. E' senza dubbio un gigante tra i pipistrelli, misurando fino a un metro e sessanta centimetri di apertura alare. La testa è relativamente piccola ed ha un muso alquanto allungato che ricorda quello delle volpi, da cui il nome di Volpe volante. Questi animali, come tutti i pipistrelli, durante il giorno se ne stanno appesi ai rami, avvolti nella loro membrana; di notte diventano molto attivi e volano, anche a chilometri di distanza dal loro rifugio, in cerca di cibo.
Costituiscono, a volte, un reale pericolo, non per l'uomo, ma per le colture, specie i frutteti, che essi invadono al cader della notte e dove si rimpinzano con il succo di tutto ciò che sembra loro maturo. Il loro mantello è ruvido e piuttosto fitto nelle parti superiori per diventare più rado in quelle inferiori; è di color bruno nero sul dorso e sul ventre, giallo rossastro sul collo e sulla testa. La membrana alare di color bruno diventa sempre più scura di mano in mano che l'animale invecchia. Gli abitanti delle isole oceaniche, in cui le Volpi volanti vivono, si vendicano dei danni che possono subire da parte loro mangiandole. E sembra che queste bestiole, specie se giovani e grasse, siano deliziose malgrado il bizzarro odore muschiato che diffondono e che si può nettamente sentire chinandosi su di una gabbia in cui vi siano rinchiuse alcune di esse.
Per quanto facile possa essere addomesticarli, non è facile mantenerli: non per il nutrimento, poiché si accontentano di qualsiasi frutto che abbia una polpa morbida, ma perché di notte sentono vivamente il desiderio di volare e si feriscono urtando contro le sbarre delle gabbie.
 

BOVIDI SELVATICI

L'Asia è ricca di bovidi selvatici. Il Bisonte europeo, nella sua forma attuale non è assente da molto tempo dal vicino Oriente, particolarmente dalla regione del Caucaso. L'Uro, Bos primigenius, non è scomparso che da circa tre secoli, dopo essere vissuto nell'Asia centrale ed in Europa ed aver generato tutto o parte del bestiame con le corna della nostra epoca. Ma torneremo su questo argomento scottante un po' più avanti. Abbiamo incontrato, di passaggio, lo Yack del Tibet, poi il Bufalo indiano; ora arriviamo a cinque varietà di buoi (o meglio di tori, poiché non esistono buoi, nel senso esatto della parola, tra gli animali selvatici), più o meno conosciuti, sovente impossibili da addomesticare e che, secondo alcuni zoologi, hanno forse aggiunto qualche goccia del loro sangue a quello delle differenti stirpi di buoi domestici asiatici prima, poi, più tardi, europei. Ciò che non è senz'altro avvenuto con i bovidi africani, tutti bufali e senza alcun rapporto con i nostri animali con le corna.

 

COUPREY (Bos sauveli)

E' stato necessario attendere l'anno 1937 affinché questo esemplare di Couprey venisse definitivamente identificato e classificato, non esistendo alcun documento su di esso, almeno a sua conoscenza.
Il Couprey (o Kouprey) vive nella radura, nelle foreste situate a nord e ad est della Cambogia; non lo si incontra in nessun altro luogo e, fino alla data sopra menzionata, coloro che per caso l'avevano incontrato od ucciso non avevano visto in lui che un ibrido tra il Gaur ed il Bufalo indiano. Non era niente di tutto ciò: il Couprey è un animale da classificare a parte, che raggiunge circa i due metri al garrese, che ha una gobba enorme e molto arrotondata, corna bizzarramente proiettate in avanti, ricurve all'interno, che poi tornano all'indietro ed infine, ultimo particolare, delle «balzane» bianche alle quattro zampe, che arrivano fin sopra l'articolazione. Noteremo ancora l'enorme gozzo che gli pende tra le zampe anteriori e le sue grandi orecchie leggermente cadenti. Il colore è generalmente molto scuro nei vecchi maschi, più chiaro nelle femmine e nei giovani. Vi sarebbe ancora una caratteristica, che finora nessuno ha mai menzionato: è stato detto, senza che ci si sia mai potuto spiegare come e perché, che le corna del Couprey hanno una specie di sfilacciatura alla loro estremità. E l'autore dice che, se la sua memoria è fedele, si ricorda di aver visto un Couprey portato dal suo «inventore», il rimpianto professor Achille Urbain, creatore e primo direttore del giardino zoologico di Parigi, che aveva, in effetti, l'estremità delle sue corna terminanti con grossi pennelli. A parte tutti questi dettagli, il Couprey rimane un animale molto raro, molto poco conosciuto, senza dubbio ancora meno ora che non all'epoca in cui è entrato definitivamente nei registri delle società scientifiche di zoologia.

 

GAUR (Bos gaurus)

Parliamo ora del gigante della famiglia: il Gaur (Bos gaurus), che supera i due metri di altezza al garrese e pesa più di una tonnellata. Viene, a volte, soprannominato Bisonte indiano e c'è del vero in questo paragone, tanto è contemporaneamente massiccia ed alta la sua figura. Anche questo animale è di color bruno scuro e porta delle calze bianche. La giogaia che porta sotto la gola è molto meno sviluppata di quella del Couprey e le sue corna formano un disegno meno complicato, partendo da dietro e venendo in avanti, con una tendenza ad avvicinarsi una all'altra con le punte. Il gigantesco Gaur vive al centro dell'India, in Assam, in Birmania, in Indocina principalmente, ma è dappertutto assai raro.
Non lo si caccia in modo specifico poiché, pur non essendo così aggressivo come alcuni bufali africani, non si priva tuttavia del piacere di caricare chi lo molesta. E, signori miei, la carica di un animale che pesa più di una tonnellata e misura più di due metri di altezza, dotato in più di un bel paio di corna appuntite, potrebbe forse far male... Che il Gaur sia stato addomesticato od almeno allevato in semidomesticità non è impossibile. L'unico caso impossibile, attualmente, sembra sia quello del Couprey, mentre si vedono dei Banteng, perfettamente domestici, per esempio nell'isola di Bali.
Contrario è il caso del Gayal, che viene addomesticato tanto frequentemente da poter quasi essere considerato come una forma domestica del Gaur. La domanda che ci si pone ora è se questi animali hanno partecipato o no all'elaborazione delle nostre razze domestiche. Si è maggiormente tentati di crederlo guardando le femmine dei Gaur, dei Gayal o dei Banteng piuttosto che i loro enormi tori. Come notato più sopra, alcuni autori ne sono persuasi, altri ritengono l'Uro il solo antenato, o meglio gli Uri poiché gli antichi autori, a partire dai romani, ne conoscevano due differenti. Sono, questi, ancora studi che bisogna sperare di vedere un giorno portati a termine, ma che si annunciano estremamente delicati e difficili.
Il famoso zoologo americano Ivan T. Sanderson è convinto che l'Uro basti a spiegare tutte le razze europee di bovidi domestici. Un altro specialista in materia, meno universalmente conosciuto, ma pure molto competente. il dottor Vincent Menager, pensa al contrario che l'Uro non è intervenuto che nelle razze corse, della Camargue e spagnole da una parte, e nella Charollais ed in alcune razze primitive inglesi dall'altra, considerando che vi fu un tempo un Uro scuro ed uno chiaro quelli che noi abbiamo chiamato in «Fauna d'Europa» Uro tedesco (ricostruito) e Uro inglese (più o meno ben conservato).
Il Gaur è invece perfettamente conservato e non ha alcun bisogno, al momento, di essere ricostruito. Prudente, si sposta a piccole mandrie comandate da un solo toro, il più forte, e costituite da qualche giovane maschio, dalle femmine e dai vitelli. Evita i cattivi incontri, soprattutto quelli coi cacciatori, e non esita a caricare anche una tigre, se gli sembra animata da cattive intenzioni. Ciò che la Tigre stessa preferisce evitare, d'altronde In realtà questi grandi animali sono condannati, pur con una scadenza più o meno lontana. Essi non sono più del nostro tempo ed hanno bisogno di troppo spazio per sopravvivere, uno spazio che è loro limitato e che si riduce sempre più. Non sono né il fucile, né le pallottole esplosive che fanno loro del male, ma le strade, quando se ne aprono, il passaggio dei camion, il loro rumore, il dissodamento dei pascoli naturali, l'abbattimento degli alberi, l'odore e la vicinanza degli uomini. Una sola cosa potrebbe salvarli, e non è certo la protezione contro i cacciatori: abbandonare loro un vasto territorio ed impegnarsi affinché gli uomini non vi mettano mai più piede. Cosa che sembra particolarmente difficile in un paese che ha fame, come l'India, e la cui popolazione aumenta così in fretta. Le due o tre prossime generazioni assisteranno senza dubbio alla sparizione definitiva di un gran numero di specie animali. E' triste!... E non è neppure la speranza di conservare nei giardini zoologici alcune di queste specie che può consolare gli amanti della natura. Innanzi tutto perché molti animali non sopportano la cattività, poi perché la più bella gabbia dorata è sempre e solo una gabbia e gli animali non sono veramente belli se non quando sono liberi. La sola consolazione che potremmo avere è che gli animali non si rendono conto della sparizione di tante loro specie. Abbiamo appena detto, parlando del Gaur, che il Gayal ne è una forma leggermente ridotta e semidomestica.

 

GAYAL (Bos frontalis)

Come i bovidi precedentemente descritti, il Gayal è un animale di colore scuro, con delle balzane bianche sulle quattro zampe, fino all'altezza del ginocchio.
Le sue corna massicce restano molto corte e sono leggermente girate verso il dietro e l'alto. Esso vive nelle regioni ad est dell'Assam e a nord della Birmania e conduce la vita di tanto bestiame più o meno domestico, più o meno sorvegliato dal suo proprietario e completamente tranquillo.

 

BANTENG (Bos banteng)

Il Banteng è un bue selvatico di poco più piccolo del Gaur, ma forse meno massiccio. Ne differisce per un paio di corna che ricordano molto più quelle dei bufali. Esse sono più lunghe, più sottili, girate all'indietro e poi di nuovo in avanti, corte ed aguzze nelle vacche e con una specie di placca ossea molto dura tra i punti in cui nascono, in mezzo alla testa dell'animale. I Banteng sono di un colore marrone rossiccio con quattro balzane bianche ed una macchia bianca sulle natiche, interrotta al centro da una coda molto corta. Questi animali vivono nelle foreste diffuse dalla parte sud della Birmania fino alle lontane isole di Giava e di Bali, ed anche in quelle più piccole, dove li si ritrova molto spesso addomesticati per eseguire lo stesso lavoro dell'Arni, il grande bufalo indiano.

 

ANOA (Bubalus depressicornis)

Molto più lontano, verso nord-est nelle isole Celebes e nell'isola di Mindoro, una delle innumerevoli Filippine, esiste un tipo di Bufalo in miniatura di cui si conoscono, assai male, due varietà: l'Anoa ed il Tamaru. L'Anoa non supera il metro e dieci centimetri al garrese, ha il dorso rotondo e le corna aguzze, corte, massicce e dirette decisamente all'indietro. La loro base possiede una sezione triangolare, molto curiosa ed eccezionale. Gli Anoa sono marrone-nero, i Tamaru grigi e non si sa praticamente nulla sulle loro abitudini allo stato selvaggio, mentre li si conosce un po' meglio in cattività. Una volta di più si verifica non una regola, ma una generalità: la presenza di forme nane nelle isole o nelle regioni che sono state, in tempi antichi, separate per lungo tempo dai continenti. Ripetiamo che questa non è una regola assoluta: incontreremo presto, infatti, il più grande varano del mondo nella minuscola isola di Kommodo. Quanto al nano Anoa, non si sa ancora se bisogna considerarlo una forma di bufalo adattato alla superficie del suo ambiente od un animale da classificare a parte. E' molto poco conosciuto: buona occasione per andare a guardarlo vivere nelle basse pianure e nelle colline coperte da una spessa foresta, che esso predilige.
Il gruppo così importante dei bovidi termina dunque, verso est, con un animale di piccole dimensioni, veramente poco conosciuto e che non esiste, tranne qualche rara eccezione, nei giardini zoologici. Un animale che non si è mai cercato di addomesticare e che non renderebbe, d'altronde, alcun servizio, al contrario di tutti quei buoi da lavoro che abbiamo incontrato, in Europa, in Africa ed in tutta l'Asia continentale. Se noi ci spingiamo ancora più ad est, sia verso il sud-est, in Australia, sia verso le isole del Pacifico, non troveremo più la minima traccia di questi animali.
 

LINSANGO FASCIATO (Prionodon linsang)

Il Linsango fasciato, pur facendo parte dei Galactidi, è ancora molto simile ai viverridi. E' una affascinante bestiola, dalla coda striata più lunga del corpo, un po' macchiettata in tutti i sensi, nera su fondo bianco sul ventre, giallastro sul dorso. I Linsang occupano sempre quella stessa vasta regione di foreste che discende dal versante est dell'Himalaya e si estende attraverso la Malesia fino alle lontane isole di Giava, Sumatra e Borneo.
Esiste un buon numero di varietà di Linsang. Essi non salgono molto volentieri sugli alberi, ma sembrano preferire la caccia a terra, rivolta verso uccelli, lucertole, anfibi ed anche pesci lungo i fiumi.
 

CROTOGALE (Chrotogale owstoni) - DIPLOGALE (Diplogale hosei)

Il Crotogale vive nel Tonchino; il rarissimo Diplogale vive in una zona ridotta e ben delimitata nella montagna dell'isola del Borneo. Questi animali occupano il posto delle genette e degli zibetti, là dove essi mancano. Al Crotogale ed al Diplogale si può aggiungere anche l'Emigale. Tutti e tre sono carnivori e si arrampicano bene sugli alberi, ma non si sa quasi niente sulle loro abitudini intime e sulla loro riproduzione. La loro pelliccia è sempre molto bella: l'Emigale ha dei segni triangolari sui fianchi. Il Crotogale ha una coda inanellata alla base, poi tutta nera lungo la seconda metà e fino alla punta. Quanto al Diplogale, esso è nero con la testa Chiara. Inutile è cercare questo animale in un giardino zoologico e Pierre Pfeffer, del museo di Parigi, è senza dubbio uno dei rari europei che ne ha visto uno nel suo paese d'origine.
 

CIVETTA MASCHERATA DELLE PALME (Paguma larvata)

Esistono due Civette delle palme, quella «a piccoli denti» e quella delle «Celebes», la prima delle quali vive solo nelle regioni orientali, dall'Himalaya al Borneo. Sono animali molto poco conosciuti, ancora poco studiati, anche se la Civetta delle palme di Celebes è molto familiare e quasi già addomesticata quando si avvicina ai villaggi ed agli uomini. La Civetta mascherata delle palme è chiamata anche Civetta delle palme dell'Himalaya. Essa raggiunge i 120 centimetri di lunghezza, coda compresa, e pesa fino a 5 chilogrammi. La si distingue dagli altri Zibetti indiani per i suoi lunghi baffi bianchi e per la mancanza completa di macchie o di striature sul suo corpo. Essa è uniformemente grigia o fulva, con qualche macchia o striscia bianca sul muso, attorno al naso ed agli occhi. Questo animale vive nel Cachemire, a ovest, fino ad est dell'Himalaya, poi nell'Assam, in Birmania, in Indocina ed in Malesia. Onnivora, essa è anche capace di pescare i pesci, ma meno della Civetta-Lontra.
 

CIVETTA-LONTRA (Cynogale bennetti)

La Civetta-Lontra, più comunemente chiamata Cinogale, raggiunge una lunghezza di ottanta centimetri, più venti centimetri per la coda, bianca alla sua estremità; il muso dell'animale è pure bianco, mentre il suo corpo è marrone scuro. Il Cinogale ha una fisionomia conturbante ed inquietante. Esso vive in Malesia, fino nelle grandi isole, e mostra gli stessi costumi delle lontre, nuotando come loro e cacciando anfibi e pesci con ardore e successo. Le sue zampe hanno unghie non retrattili e sono molto palmate, la sua testa è larga e piatta, la sua bocca dotata di denti molto adatti ad afferrare il pesce. Il Cinogale ha delle narici che possono chiudersi sott'acqua, quando caccia tuffandosi. La stessa azione muscolare esiste in molti altri mammiferi, cacciatori di pesci. Il Cinogale ha dei grandi baffi formati da peli tattili, che circondano la sua gola, il suo muso, le orecchie ed i suoi occhi da notturno, leggermente sporgenti. Queste vibrisse, molto probabilmente, informano l'animale quando nuota sott'acqua e gli facilitano l'avvicinamento dei pesci di cui si nutre.
Non sappiamo assolutamente niente di più sul Cinogale e ci sono buoni motivi per credere che la Civetta-lontra sia tra le poche dozzine di animali di cui solo un uomo su centomila ha già sentito parlare. Eppure questi animali vivono, nascono, muoiono, mangiano, si riproducono, allevano i loro piccoli, soffrono, giocano, dormono come i nostri cani, i nostri gatti o i nostri cavalli. Questi animali hanno dei problemi di sopravvivenza, dei periodi di fame, degli appetiti assecondati o no. Essi hanno una bellezza adatta a loro, una loro utilità incontestabile nell'equilibrio del biotopo che è loro imposto. E noi non sappiamo nulla di tutto ciò, neppure venti righe di testo, mentre gli uomini vanno sulla Luna e si preparano a posare presto i loro piedi sul pianeta Marte; il nostro pianeta ci rimane quasi sconosciuto; su tutta una parte delle terre emerse, sulla totalità delle profondità marine esistono animali ai quali siamo incapaci di dare un nome. Sicuramente tutte queste specie sconosciute spariranno dall'oggi al domani senza che la faccia del mondo cambi molto e la Terra continuerà a girare intorno al Sole, la Luna intorno alla Terra. Ma esistono ancora degli esseri umani che rimangono toccati più dalla scoperta dell'esistenza di un animale, che della composizione del suolo sulla Luna. E se avessero la possibilità, partirebbero certamente più volentieri per studiare, disegnare, fotografare e filmare la fauna sconosciuta del Borneo, piuttosto che il desolato cratere lunare presso il quale il modulo dell'Apollo XI si è posato un giorno dell'estate 1969. Siamo senz'altro dei sognatori; vi sono forse dei poeti tra noi o in fondo al cuore di ciascuno di noi. Possano queste opere decidere qualche vocazione di sognatori e di poeti, desiderosi di cacciare gli «animali immaginari nella foresta del sogno e dell'incantesimo». Così si esprimeva il poeta francese Albert Samain quando metteva in scena, nel giardino d'infanzia, i Levrieri di Scozia, dagli occhi malinconici.
 

TAPIRO DALLA GUALDRAPPA O TAPIRO INDIANO (Tapirus indicus)

Il Tapiro indiano è spesso chiamato Tapiro dalla gualdrappa: questo vocabolo indica infatti una specie di copertura che i cavalieri medievali mettevano sul dorso delle loro cavalcature, sotto la sella. Questa gualdrappa bianca ricopre il dorso, i fianchi e i quarti posteriori del Tapiro il resto del cui corpo è nero lucido o bruno molto scuro. E' il solo mammifero terrestre così mascherato e ci si domanda perché non lo si vede, di notte, poiché è un notturno, spostarsi nel sottobosco alla ricerca del suo nutrimento. In effetti queste due macchie contrapposte, la nera e la bianca, «rompono» talmente la sua figura che esso diviene perfettamente invisibile; ed è tutto ciò che esige la sicurezza dei Tapiro indiano. Amante delle foreste, vive più nel sud-est asiatico che nell'India propriamente detta. Lo si trova dunque in Birmania, nel Siam, nella penisola di Malacca e nell'isola del Borneo. E' un grosso animale, pesante e massiccio, che varia dai cento ai centocinquanta chilogrammi, capace di mordere molto forte e di difendersi molto coraggiosamente contro la pantera ed anche contro la tigre, i suoi soli nemici. In più, si getta in acqua, se può, quando è attaccato. Si nutre di erbe e di arbusti diversi ed i suoi piccoli (infatti anche se generalmente si tratta di uno solo, capita anche che nascano due gemelli), quando nascono, sono di color marrone scuro, striati longitudinalmente di giallo.
Questo strano animale, che sembra sempre passeggiare con un'enorme medicazione sulla parte posteriore del corpo, non è conosciuto agli scienziati europei da molto tempo. Buffon ne ignorava l'esistenza così come, fino a meno di un secolo e mezzo fa, lo ignoravano le classificazioni zoologiche. Valeva perciò la pena di occuparsi di lui.
 

BABIRUSSA (Babyrussa babyrussa)

Il Babirussa è uno stranissimo maiale selvatico del quale si riconosce subito la pelle caratteristica e le enormi zanne: il paio superiore di queste, anziché uscire sotto le labbra, traversa da parte a parte la mascella superiore ed esce dritto verso l'alto per incurvarsi poi all'indietro come le corna di un camoscio. Il secondo paio di zanne, meno forti, spunta normalmente dalla mandibola verso l'alto; ma sia le une che le altre raggiungono una lunghezza straordinaria che dà alla testa, molto allungata e fornita di ridicole e piccole orecchie aguzze del Babirussa, una fisionomia particolarmente sbalorditiva. L'animale è delle dimensioni di un bel maiale, con zampe molto alte. E' notturno e scavatore; solo i maschi portano queste strane zanne; vive in alcune isole dell'estremo Oriente; Buru, Celebes, così come in Indonesia. Sembra che ce ne siano due varietà, ma non si è molto bene informati sulle loro abitudini intime, sebbene non sia molto raro nei giardini zoologici europei. Esso completa, in ogni caso, questa famiglia così ben fornita dei suini, che noi abbiamo seguito dall'Africa al Nuovo Mondo, poi dall'Europa all'Asia, e che là finisce...
 

DUGONGO (Dugong dugong)

Del Dugongo abbiamo già parlato quando abbiamo descritto il Lamantino. Il Dugongo appartiene alla stessa famiglia, quella dei sirenidi. Una terza varietà vi si ricollega, la Ritina o Mucca di Steller, un enorme animale di dieci metri di lunghezza e con un peso di tre o quattro tonnellate. Scoperta nel 1741, la Ritina sarebbe definitivamente scomparsa sotto i colpi degli arpioni dei cacciatori di foche russe, venti anni più tardi. Eppure accade ancora che nelle acque libere del Grande nord venga segnalato l'incontro con grandi animali, non identificati, che potrebbero essere mucche marine. Non è assolutamente impossibile che alcune coppie di questi mammiferi strani siano sfuggite ai loro nemici e si siano riprodotte fino ai nostri giorni. E' uno dei numerosi misteri che gli zoologi desidererebbero svelare. Lamantini e Dugonghi sono dunque dei mammiferi ed anche se pienamente mammiferi hanno forse potuto dare origine al mito delle sirena di cui l'antichità ha tanto parlato. Infatti le madri Lamantino e Dugongo hanno delle mammelle molto alte; sporgono la loro testa rotonda dall'acqua per vedere passare le navi ed allattano così i loro piccoli, avendo l'aria di tenerli stretti al corpo, tra le pinne natatorie. Con una buona dose di fantasia e qualche bicchiere di troppo, non è stato necessario niente di più per accreditare, tra i marinai di un tempo, la leggenda degli uomini e delle donne che vivono nell'acqua. Se il Lamantino ama l'acqua dolce, il Dugongo resta all'incirca esclusivamente marino. Esso bazzicava un tempo lungo le coste dell'Oceano Indiano, dall'est africano e lungo quelle dell'Oceano Pacifico fino a nord dell'Australia. Si guardi il numero di paesi differenti, di continenti e di isole bagnate da questi oceani e ci si immaginerà facilmente la lunghezza delle coste che esso poteva frequentare!... Purtroppo la qualità della carne del Dugongo, la relativa facilità della sua pesca con gli arpioni, con le reti, la sua caccia nelle acque basse con l'arco o il fucile hanno quasi sterminato questa specie divenuta rarissima e sempre tanto poco conosciuta. Esso raggiunge circa tre metri di lunghezza, non di più; i maschi hanno due lunghi canini nella mascella superiore e sanno servirsene quando li si molesta, anche per mordere il bordo di una barca, per rovesciarla. Nell'acqua sembrano non temere gli squali e si sarebbero certamente mantenuti bene fino ai nostri giorni se non si fosse pagata così cara la loro carne e l'olio che si può estrarre dal loro grasso. Essi sono solo vegetariani e brucano a lungo nelle praterie sottomarine, aiutandosi col loro grugno appiattito in cui il labbro superiore è spaccato a metà. Anche riguardo al Dugongo rimane un problema di cui nessuno ha mai dato la soluzione: ne esiste, sembra, una varietà nelle acque dolci e chiuse dei grandi laghi est-africani. Non si sa come vi siano arrivati, né se vi sono effettivamente arrivati. Rimane dunque da sapere se i Dugonghi sono originari delle acque dolci e sono passati in seguito, nell'acqua del mare, o se i Dugonghi dei laghi africani (se esistono veramente) sono divenuti abitanti delle acque dolci dopo aver lasciato il mare. E perché? e come?... Dettagli? Sì, se si vuole, ma sono i dettagli di questo genere che fanno la gioia degli specialisti del mondo animale, quando possono spiegarli. Esso ha, come i delfini e tutti i mammiferi marini, una coda orizzontale a due lobi. Queste vestigia delle membra inferiori sono caratteristiche e permettono di dire, al primo colpo d'occhio, che non abbiamo a che fare con un pesce. Inoltre non dimentichiamo che tutti questi mammiferi marini sono obbligati a risalire regolarmente alla superficie dell'acqua per inspirare l'aria di cui hanno bisogno quanto noi. Quanto alla fisionomia del Dugongo, bisogna proprio osservare che essa non ricorda in niente gli uomini o le donne più brutti, nel senso umano di questa parola, che noi abbiamo mai incontrato. Povere sirene!... Quante belle cose crea l'immaginazione!
 

RICCIO

RICCIO ORECCHIUTO (Hemiechinus auritus) - RICCIO DEL SUD (Paraechinus mlcropus)

Ecco due varietà asiatiche di Ricci che non sono assolutamente come quelli, che noi conosciamo, dell'Europa occidentale. Uno, alto sulle zampe, ha il muso aguzzo e le orecchie simili a quelle di un piccolo cane, diritte ed appuntite. L'altro, di forma più classica, ha il muso nero, la fronte, la gola e la parte inferiore di un bianco puro, le zampe nere e gli aculei grigi. Tutti e due sono animali notturni ed hanno, con pochi dettagli simili, le stesse abitudini dei loro congeneri di casa nostra. Essi mangiano i piccoli serpenti e molte altre prede minute.
 

ISTRICE INDIANO (Hystrix indica)

L'Istrice indiano si distingue per le grosse dimensioni, un collare bianco sotto la gola, degli aculei bianchi sui lati del collo e sui fianchi ed una coda molto corta. E' un animale notturno, molto diffuso in India, in tutta la sua immensa distesa, e molto simile ad un'altra varietà asiatica presente dal vicino Oriente fino all'India. Questi animali misurano ottantacinque centimetri di lunghezza, coda compresa; hanno abitudini discrete e prudenti, facendosi vedere il minimo possibile, ma l'appetito formidabile di cui sono dotati, oltre alla straordinaria durezza dei loro incisivi, ne fanno dei temibili nemici per tutti i vegetali, alberi e colture, dei quali essi vengono a capo senza sforzo. La loro armatura di aculei fa sì che essi non abbiano nemici e solo l'uomo può frenare il loro aumento. Ma si sa che gli abitanti dell'India sono molto rispettosi della vita degli animali. Situazione senza uscite, quindi... Come tutti gli istrici, quelli dell'Asia amano scavare delle profonde tane o installarsi in quelle che altri animali si sono preparate. Essi coabitano con i primi occupanti, a volte altri animali, ad esempio serpenti, mostrandosi tutti capaci di sopportarsi l'un l'altro. Contrariamente a quanto si crede, gli Istrici sono incapaci di lanciare i loro aculei sugli assalitori, ma questi lunghi peli molto duri non sono molto saldi alla loro radice e, dato che la loro punta è più o meno seghettata, rimangono nella ferita che hanno causato e si muovono lentamente, attraversando le carni, nel giro di qualche tempo.
 

ORANGO (Pongo pygmaeus)

Esistono due varietà di queste grandi scimmie chiamate Oranghi, ognuna vivente in un'isola, una a Sumatra, l'altra nel Borneo. Esse si rassomigliano, con i loro lunghi peli rossi, le loro braccia immense che, con le dita ripiegate, toccano il suolo quando gli animali sono in piedi, le loro corte gambe e la loro faccia nettamente mongoloide. Tutto il mondo sa che il loro nome, in malese, significa «uomo dei boschi», e sono effettivamente dei meravigliosi acrobati, molto più a loro agio tra i rami dei più grandi alberi della foresta vergine, che ricopre il loro paese natale, che sul terreno. I maschi, invecchiando, diventano sempre obesi. Un gozzo si appesantisce sotto il loro mento e delle callosità cartilaginee si sviluppano, a forma di mezzaluna, su ogni lato della testa, il che non aggiunge nulla all'idea che noi abbiamo della bellezza mascolina, ma che, in quanto caratteri sessuali secondari, devono piacere molto alle signore ed alle signorine Orango... Un maschio in piena forma pesa più di cento chilogrammi, con un'altezza di un metro e mezzo circa. La sua forza è prodigiosa, poiché questi animali non cessano di passare da un ramo all'altro, di salire e scendere lungo le liane. il tutto a forza di braccia e tenendosi con la punta delle dita delle loro lunghe mani. Si racconta che un Orango, colpito da alcuni cacciatori in un'epoca non molto lontana in cui questi animali rarissimi non erano ancora protetti, fu deposto su una barella portata da parecchi servitori malesi. La scimmia non era morta. Nello spazio di un battito di ciglia, liberò una delle sue mani legate saldamente e, afferrando uno dei cacciatori per una gamba, gliela strappò di colpo con una sola brutale torsione. Questo per dimostrare che, quando è attaccato, l'Orango sa difendersi.
Normalmente è una creatura timida e pacifica, che non discende mai dai suoi alberi su cui si costruisce una specie di nido, fatto con rami e tappezzato di foglie e su cui trova tutti i frutti, le bacche, le gemme ed il fogliame di cui si nutre.
Gli Oranghi in cattività sembrano malinconici, raggiungendo i trenta, quaranta anni o anche di più, senza dare troppe preoccupazioni ai loro guardiani. Gli olandesi, che hanno mantenuto il contatto con i loro antichi possessi indonesiani, ne presentano in tutti i loro grandi parchi zoologici e si vedono, nell'alto delle grandi gabbie di vetro, ben riscaldate ed adorne di molta vegetazione e di attrezzi ginnici di ogni tipo, enormi o giovani Oranghi; mentre sgranocchiano frutta con aria meditabonda.
Adottati da piccoli, questi animali sembrano amare la vita di famiglia presso gli uomini, ma, crescendo, la loro forza diviene tale che non è più possibile custodirli all'interno di un appartamento.
Gli Oranghi sono diventati rari, molto rari. Gli Stati Malesi che ne ospitano ancora si sforzano di proteggerli e non vendono elementi giovani che agli zoo che offrono di più e presentano le migliori garanzie di salute per questi preziosi animali. Con i Gorilla, gli Scimpanzè e, in una certa misura, anche i Gibboni di cui si parlerà più avanti, gli Oranghi sono i nostri parenti più prossimi del mondo animale. Quanto ai Semnopitechi si tratta di grandi scimmie dalla lunga coda, di cui esistono una ventina di specie, dalle Indie fino alle più lontane isole della Sonda, passando per la Birmania, l'Indocina e la Malesia. Ve ne sono di tutti i colori, con o senza ciuffi sulla testa, alcune con dei peli posti sopra gli occhi come una visiera, altre con il muso nero o chiaro ed una criniera intorno, con delle basette bianche completamente o quasi, dei lunghi peli sulla punta della coda, ecc...
 

PRESBITI

I Presbiti sono quelle famose scimmie sacre e ladre che vivono nelle città indiane, saccheggiando le case ed i magazzini e non sopportano neppure di venire insultate da un derubato insolente. Esse sono sacre; ritualmente protette dalla popolazione, e lo sanno, per cui si permettono letteralmente tutto... Compreso togliere tutte le tegole di un tetto di una casa per bombardare qualche povero diavolo che ha mancato loro di rispetto. E' tra questi tipi di scimmie che bisogna riconoscere il famoso Bandar-Logs (altro personaggio creato da Kipling)...

 

BONNET (Macaca corodiata) - SILENO (Macaca sllenus)

Il Bonnet, o scimmia di Bonnet, vive nel sud delle Indie. Il Sileno è soprannominato anche scimmia Leone, misura circa 60 centimetri di lunghezza, vive a piccoli gruppi assai sospettosi, in piena foresta, a sud dell'India ed a Ceylon. Passa per il più tranquillo, il più «serio» della famiglia dei Macachi, e si fa generalmente notare per il saccheggio perpetuo al quale si dedica. Si noterà un'altra particolarità propria dei Macachi: amano bagnarsi, nuotano, ed alcuni tra loro, in Giappone, in Corea, in Cina, in Malesia, si sono specializzati nella caccia ai gamberi che costituiscono la parte più importante del loro nutrimento abituale. Essi raccolgono anche i molluschi, catturano i pesci quando riescono e aggiungono, a questo menù anche le alghe. Anche se è vero, non si riesce ad immaginare queste scimmie dalla coda lunga che pescano con le mani, in piena acqua o sotto gli scogli, come dei buoni villeggianti europei in vacanza al mare, in cerca di gamberetti grigi o di vongole. Questo modifica il nostro concetto sulle scimmie mangiatrici di noccioline o di banane, come siamo soliti immaginarle abitualmente. Vedremo più avanti che esiste qualcosa di ancor più stupefacente in quel regno... Quel che è certo, e tutti i nostri naturalisti l'hanno osservato da tempo, è che queste scimmie pescatrici sembrano più intelligenti delle altre, a parte i grandi Antropodi.
Ciò è forse collegato al fatto che queste amatrici di gamberi, molluschi e pesci, dovendo mostrare più cura nella ricerca del loro nutrimento ed una maggiore attenzione, anche per i pericoli che rappresentano le navi, le onde, l'immersione, la marea, hanno alla fine acquisito da tutto questo una più grande valutazione delle loro possibilità e, in definitiva, un cervello più sviluppato e più allenato. E' forse semplicemente il risultato di una specie di selezione. In ogni caso il risultato non cambia: le scimmie pescatrici sono scimmie di qualità migliore rispetto alle altre, ovunque le si trovi, e soprattutto sulle coste dell'Estremo Oriente e delle isole che continuano questo continente verso l'est: Giappone, Filippine, Celebes, ecc...
 

GIBBONE

Eccovi ora la quarta scimmia nell'ordine di quelle che si trovano più vicine a noi. Ne esistono, sembra, sei varietà più o meno tipiche. Esse sono ripartite dal massiccio dell'Himalaya fino a Giava. con alcuni punti di popolamento in Indocina ed in Birmania. Sono animali di piccole dimensioni, tranne il Siamango di Sumatra che raggiunge quasi un metro di altezza e due metri di larghezza, a braccia distese. Sono dunque tutte braccia e un po' di gambe, senza coda, con callosità sul dietro ed una piccola testa rotonda con grandi occhi vivi ed orecchie quasi invisibili.
L'Olock (Hylobates hoolock) è il più nordico dei gruppo, piccolo e nero, con strane sopracciglia bianche.
L'Hylobates lar (o Gibbone dalle mani bianche) ha le mani bianche (viene infatti chiamato anche ilobate dalle mani bianche), così come ha bianca la zona intorno al muso. Esso è birmano e malese.
Il grosso Siamango di Sumatra (Symphalangus syndactylus) è un urlatore senza pari, specie all'alba e al tramonto, ed ha una specie di gozzo, che fa da cassa di risonanza, sotto la gola.
Il Gibbone agile (Hylobates agilis) è tanto birmano che malese e se ne trovano ancora anche nel Borneo.
Quanto al Gibbone cinerino (Hylobates moloch), a volte tutto bianco brillante; esso vive nell'isola di Giava in cui è soprannominato Wow, nome che imita le sue grida. Il Gibbone agile è invece soprannominato Unkaputi dai malesi che lo addomesticano, lo amano e lo trattano assai bene. Tutti i frequentatori dei giardini zoologici conoscono questi stravaganti Gibboni, mentre si lanciano tra due alberi. La vita familiare dei Gibboni è stata attentamente studiata: essi sono fieri, gelosi e buoni sposi. Per finire, la tonalità straordinaria delle loro grida (si ha voglia di dire dei loro «canti») è unica nel mondo animale. Può essere comparata, ma molto più forte, agli ululati che facevano le prime radio quando si cercava di regolarle. Sembra proprio che le manifestazioni vocali dei Gibboni, così come quelle delle scimmie urlatrici sud-americane, siano tra i suoni più «esotici» che possano sentire degli europei. Nel senso che esse evocano, senza dubbio nel modo migliore, i paesi sconosciuti dei Tropici, le foreste vergini e le terre sconosciute dove l'uomo non è ancora penetrato.
Bisogna aggiungere che i Gibboni sono tra le rare scimmie che si possono allevare in casa senza rimpiangerlo: sono dolci e non dispettose, da principio... Da principio, abbiamo detto, perché non è mai escluso completamente un gesto di cattivo umore, cioè un graffio od un morso.
 

NASICA (Nasalis larvatus)

La Nasica, prima di tutto, che non vive che nel Borneo, tra i gruppi di mangrovie, i cui rami e radici si bagnano nel mare, sul litorale. E' un'eccellente nuotatrice, che si arrischia anche molto lontano dalle coste. Si sono potuti vedere dei documentari che mostravano pescatori locali mentre raccolgono sulla loro barca una Nasica presa in mare. Quel che caratterizza immediatamente la Nasica è... il suo naso. Esso è aguzzo e voltato all'insù nelle femmine e nei giovani, come quello delle scimmie delle nevi di cui abbiamo già parlato. Ma, a mano a mano che i maschi invecchiano, questo naso diviene enorme, gonfio, turgescente, penzolante ed assolutamente strabiliante. E', ancora una volta, un carattere sessuale secondario, ma aggiunge forse una tonalità nasale e gradevole alle grida dell'animale. La pelliccia della Nasica è marrone-arancio, la sua coda mediamente lunga, il suo ventre chiaro. E' impossibile mantenerla in cattività poiché si nutre esclusivamente, lei così brutta, di fiori, di gemme e di foglie di alcune piante accuratamente scelte e perfettamente impossibili, al momento, da coltivare in altro luogo che non sia il suo biotopo.
 

CINOPITECO NERO (Cinopithecus niger)

Il Cinopiteco è una grande scimmia nera, dalla testa di cane, simile ad un Babbuino d'Africa, con un ciuffo aguzzo sul cranio. Questo animale vive nelle Celebes e nel sud delle Filippine, dove si nutre di vegetali e di molluschi o crostacei trovati nel mare, durante la bassa marea. Malgrado l'aspetto un po' diabolico, forse anche inquietante, questo animale ha un'ottima reputazione e gli abitanti delle regioni che frequenta non se ne lagnano mai. Sembra inoltre particolarmente intelligente; di modo che ci si pone questa domanda senza essere certamente capaci di dare una risposta: perché le specie di scimmie che vivono lungo le coste del mare e che si nutrono di frutti di mare sembrano più intelligenti, meglio organizzate delle altre? Chi si interesserà di questo piccolo problema, se di problema si tratta, e ne darà una spiegazione? Dipenderà dal nutrimento? dalla ricerca dello stesso? dall'aiuto reciproco all'interno della tribù? O forse non è che un'illusione ed esse non sono superiori alle bande molto ben organizzate dei Babbuini e di altri Cinocefali... Sia quel che sia, è utile sapere quale stupefacente molteplicità esiste in questo mondo delle scimmie che vivono nel Nuovo Mondo, in Africa, in Asia ed in una minima parte dell'Europa, a Gibilterra. Non si è mai finito di farne il giro. A dire il vero, quando si sa che esistono cinquemila varietà di roditori nel mondo, non ci si deve stupire troppo trovando centinaia di scimmie di specie differenti. Solo per loro sarebbe necessario un grosso volume illustrato, e forse più ancora! Tutte presentano un interesse particolare per noi, uomini, poiché tutte hanno sempre qualcosa che ce le rende simili.
 

QUALCHE ANIMALE DEL NORD-EST

A parte la sua salamandra gigante (un metro di lunghezza), il Giappone, cioè quel numero spaventoso di isole grandi e piccole che formano il Giappone, non ha una fama molto particolare, riguardo agli animali, come è il caso del Madagascar o dell'Australia. Si ritrovano, sul territorio dell'Impero del Sol Levante, quasi tutte le stesse specie che si possono vedere nella Cina. che gli sta di fronte ad Ovest, o altrove in Asia.

 

SIKA (Cervus nippon)

Il Cervo Sika può essere considerato, per le sue dimensioni, più vicino al capriolo d'Europa che al nostro Cervo. Esso è macchiettato di chiaro e le sue corna sono generalmente poco sviluppate. In Giappone si trova il cervo Sika allo stato selvaggio ed anche in cattività, poiché era riservato ai domini dell'imperatore e molto rispettato per questo motivo. Ma esso vive anche in tutto il nord-est asiatico, dalla Siberia alla Cina, così come nell'isola di Formosa.

 

CERVO DI PADRE DAVID (Elaphurus davidianus)

Il caso del Cervo di Padre David è più complicato. A dire il vero, non si sa esattamente da dove venga, poiché i soli esemplari scoperti nel 1864 da questo famoso padre gesuita zoologo a cui si deve pure la scoperta dei grande Panda, del Budorca e di molte altre specie dell'estremo oriente erano semidomestici e rinchiusi in un parco privato dell'Imperatore cinese. Il Padre patì tutte le pene dell'inferno per ottenere di gettare loro una occhiata dalle alte muraglie, poi di averne una pelle che fu spedita al museo di storia naturale di Parigi. Ci si accorse allora che questo grande animale dai piedi di mucca, dalla coda di mulo e dalle corna di cervo, era completamente sconosciuto nei trattati di zoologia. In seguito, qualche capo vivo fu spedito in Europa e fu costituita una mandria nelle terre del duca di Bedford, dove esiste sempre e conta qualche centinaio di capi. Sono i soli cervi di Padre David che esistano al mondo, perché le sommosse che ebbero luogo in Cina all'inizio di questo secolo fecero sparire ogni traccia di questa specie. Non molto grandi, né particolarmente eleganti, costruiti bizzarramente, con ramificazioni che non somigliano a quelle di nessun altro cervo, questi animali pongono ancora oggi un enigma agli specialisti.

Gli altri animali di cui ora parleremo sono contemporaneamente asiatici e giapponesi.

 

TASSO ANAKUMA (Meles anakuma)

Il Tasso Anakuma (Meles anakuma) non ha le caratteristiche di quello che noi conosciamo così bene in Europa. Ma le sue abitudini restano le stesse ed il Tasso giapponese si ritrova in racconti antichi, come il nostro Tasso nelle storie francesi, inglesi, svedesi, tedesche o italiane; resistente al male, buongustaio furbo e discreto.

 

CANE PROCIONE (Nyctereutes procyonoides)

Il cane procione, che rassomiglia decisamente più ad un orsetto lavatore o ad un procione che ad un bassotto tedesco o ad un setter irlandese, è il solo canide, giacché di canide si tratta, che iberna. Esso vive nel nord-est asiatico e nel Giappone; pesca, mangia di tutto, caccia in coppia o a piccole mute e ricorda certi altri canidi bizzarri dell'America del sud, soprannominati cani da cespuglio. Infatti, benché i russi l'abbiano filmato e descritto sovente, non si sa molto di più di quanto già detto su questo strano animale.

Il Giappone ospita anche degli affascinanti scoiattoli, dal pelo molto scuro, macchiato di bianco sotto la gola e sulle gote e con una coda veramente magnifica, sia come spessore che come forma; essa serve loro, durante i loro salti fantastici, da timone, mentre le quattro zampe aperte distendono la pelle dei fianchi che fa da paracadute. Il che non stupirà certamente i nostri lettori già familiarizzati con molte varietà di scoiattoli «volanti».
Per terminare, possiamo citare ancora il Ghiretto del Giappone (Glirulus japonicus) e la Martora del Giappone (Martes melampus tsnensis), che si trova spesso, anche lei, nei disegni degli artisti di questo paese. Essi infatti sono sempre stati ispirati alla fauna del loro paese. Coloro che hanno avuto la fortuna di sfogliare gli albi da disegno giapponesi, eseguiti col pennello e col bambù tagliato, su carta di foglia di riso piegata a fisarmonica, non scorderanno mai la straordinaria esattezza ed il senso dell'atteggiamento e del movimento che offrono questi disegni.
Ma solo per quel che riguarda gli animali familiari a questi artisti; quando si tratta di animali estranei all'arcipelago nipponico non è più lo stesso stile. E' comunque certo che nel XVIII secolo il popolo giapponese imparava le scienze naturali in base ai disegni degli artisti dell'epoca ed i risultati erano eccellenti. Il Giappone, tutto il mondo lo sa, è un paese sempre più popolato; ma. malgrado i progressi enormi della tecnica moderna, esso resta attaccato al suo passato e protegge gelosamente la sua fauna, questa fauna giapponese che si vede intervenire così spesso nel folclore del paese: i cormorani, la capra, la salamandra gigante, i cervi Sika, le volpi, l'orso, il Tasso e molti altri ancora.
Questo popolo marino conosce altrettanto bene la fauna acquatica: le sue conchiglie, i suoi molluschi, i suoi crostacei, ed i suoi pesci. Occorreva dire tutto ciò e salutare questo paese dove la tradizione serve a proteggere la natura, la fauna e la flora, sempre così minacciate dall'espansione umana. Questo è il lato meno conosciuto del Giappone, ma non è né il meno simpatico, né il meno seducente...
L'autore non vuole assolutamente dimenticare, e stava per farlo, il modo con cui i disegnatori giapponesi hanno saputo rappresentare gli insetti del loro paese. Egli ha sotto gli occhi parecchi albi dove si vedono brulicare le libellule, i grilli, le farfalle, le cavallette, le mosche ed i maggiolini, rappresentati tutti così ammirevolmente da domandarsi che cos'altro potrebbe aggiungere la fotografia.
 

ALCUNI ANIMALI DEL SUD-EST

Presenteremo ora un gruppo di animali strani, decisamente straordinari, usciti, sembra, dal cervello di un autore di opere di fantascienza. Questi animali vivono generalmente nel sud-est asiatico, sono notturni pochi e molto poco conosciuti, costruiti su modelli non abituali e sconcertanti. Alcuni di essi sono anche difficili da classificare, il che è la peggiore ingiuria che un animale possa fare ad uno zoologo.

 

LORI GRACILE (Loris tardigradus)

Presentiamo ora un Lori gracile e tardigrado: grossi occhi da notturno, piccole orecchie a pieghe complicate, zampe gracili, mani sui quattro arti costituite da un pollice opponibile alle altre dita, colore della pelliccia variabile. Non è lungo che una ventina di centimetri e vive a Ceylon e nel sud dell'India. Lo si riconosce subito per le macchie scure che ricoprono i suoi occhi. Non ha coda e mangia un po' di tutto.

 

NICTICEBO (Nycticebus caucang)

Il Nicticebo è anche chiamato Lori lento. Esso è molto più grande, almeno il doppio del precedente, ha un pollice molto grosso ed il secondo dito minuscolo. La sua pelliccia, molto morbida, sembra un velluto chiarissimo, con delle zone argentate ed altre più scure. E' un animale dal corpo tozzo e dagli arti forti, notturno, che mangia volentieri i vegetali così come gli insetti e vive nella parte nord orientale dell'India, in Assam, a Sumatra, nel Borneo ed a Giava. Alcuni zoologi, vedono in questi animali, molto più che in qualsiasi varietà di scimmia, i probabili antenati dello uomo: arboricoli, notturni, provvisti di mani e di un cervello ben sviluppato, circospetti, intelligenti alla loro maniera, ecc...

 

GALEOPITECO (Galeopithecus volans)

E' considerato uno degli animali più strani del creato: è un mammifero volante, né pipistrello, né scoiattolo volante.
Il Galeopiteco, chiamato anche Colugo, Kobego, ecc. in malese, misura una sessantina di centimetri, coda compresa. Ha la testa conica con occhi feroci, orecchie minuscole, forti zampe con belle unghie, coda abbastanza lunga; il tutto, dal mento fino ai polsi poi dalle caviglie fino all'estremità della coda, è collegato per mezzo di una membrana sottile che serve contemporaneamente da superficie portante e da paracadute, quando si lascia cadere da un albero sull'altro. Esso si avvinghia così strettamente all'albero che lo si può prendere per una macchia di lichene, poi, d'improvviso, si rovescia e scompare verso un altro tronco. Il Galeopiteco, di cui vi sono due varietà, vive in Malesia e nelle grandi isole vicine, nonché nelle isole Filippine. Esso è grigio bruno nella parte superiore, bruno rosso in quella inferiore; per ogni parto nasce un solo piccolo che resta attaccato a lungo al ventre materno; si nutre di vegetali, sebbene non abbia per niente una dentatura da roditore. Anche le sue zampe sono palmate e, riunite tutte e quattro, gli servono, con le forti unghie, a sostenerlo a testa in giù quando dorme. Il Galeopiteco è molto poco diffuso, difficile da distinguere e passerebbe del tutto inosservato se gli zoologi esploratori non andassero alla sua ricerca nella giungla in cui vive. Ciò che si sa resta, tuttavia, assai limitato e non figura mai nei giardini zoologici, se non altro perché il suo nutrimento molto speciale rende il suo allevamento quasi impossibile.

 

TUPAIA DI ELLIOT (Anathana ellioti)

Le Tupaie sono delle specie di toporagni arboricoli e ne esiste un gran numero di specie, ripartite in cinque generi e che vivono in India, nella Cina del sud, in Malesia, nelle grandi isole e nelle Filippine. Nello stesso tempo alcuni aspetti della loro conformazione le avvicinano talmente ai lemuri che si è costretti a classificarle tra i primati. Per i partigiani dell'evoluzione, sarebbero dunque degli insettivori «migliorati», che si siedono per mangiare e che tengono il cibo tra le mani.

 

PTILOCERCO DI LOW (Ptilocercus lowi)

Lo Ptilocerco è una varietà di Tupaia, caratterizzata da una lunga coda, la cui estremità ha dei lunghi peli disposti come le foglie d'acacia. Questa coda, nuda e scagliosa verso la base, serve da bilanciere e forse anche da timone di profondità per questi animali essenzialmente arboricoli, nella loro marcia sui rami e nei loro salti da uno all'altro, ad una decina di metri dal suolo. Tupaie e Ptilocerchi hanno delle piccole mani, ma il loro pollice non è opponibile alle altre dita; tutte le dita sono fornite di unghie aguzze. Sono animali perfettamente onnivori, non più grossi dei nostri sorci domestici, colorati, aggressivi e battaglieri tra di loro.
 

GLI UCCELLI

Anche tra gli uccelli restano ancora possibilità di scoprire delle novità o degli sconosciuti. L'esplorazione sistematica di regioni come l'isola del Borneo ha permesso, ad esempio, di studiare uccelli dei quali non esistevano da nessuna parte esemplari vivi e le spoglie dei quali, più o meno ben conservate, si contavano sulle dita di una mano Pierre Pfeffer, del museo di scienze naturali di Parigi, racconta, in una recente opera di aver mangiato una sera un Argo, fasianide diffuso nelle isole della Sonda, ma raro anche nel suo habitat, del quale è riuscito a salvare le spoglie, ma che vivo sarebbe valso una fortuna. Non bisogna dimenticare che la scoperta del pavone congolese, a mezza strada tra il pavone propriamente detto e la gallina faraona, data all'inizio di questo secolo, per l'esattezza al 1913. L'Asia, e soprattutto l'Asia tropicale, è la patria dei gallinacei. Il Gallo bankiva, uccello selvatico del sud-est asiatico, è l'antenato dei nostri volatili domestici e rassomiglia loro parecchio, avendo il nostro gallo la stessa cresta rossa e la stessa coda ricurva. I Fagiani sono originari dell'Asia; anche quello detto «da caccia», così comune in Europa, ha lasciato i suoi resti nei cocci da cucina dei nostri antenati neolitici.

 

GRANDE MALCOA (Phoenicophaeus tristis longicaudatus)

Il grande Malcoa è lungo sessanta centimetri, di cui trentacinque per la coda. E' un uccello che vive nelle foreste e sembra scuro prevalentemente, a parte l'estremità bianca delle piume della sua coda. Forestale, il grande Malcoa può tuttavia. essere visto anche nella giungla di arbusti e sugli alberi vicino ai villaggi. Lo si vede svolazzare di ramo in ramo, utilizzando le sue ali e la sua lunga coda con molta abilità. Lo si incontra da marzo a settembre in numerosi punti della Birmania e a volte i piccoli sono già usciti dall'uovo al primo marzo. Il nido è simile a quello di una gazza, ma foglie verdi ricoprono generalmente le uova, due o tre, bianche e simili a quelle di un piccione. Il grande Malcoa vive in Malesia, ma anche a nord fin nello Yunnan e nell'Himalaya, salendo nelle colline della Birmania fino all'altezza di 1600 metri circa.

 

CUCULO DALLE ALI ROSSE (Clamator coromandus)

Il Cuculo dalle ali rosse non è molto grande. Ha un grazioso ciuffo sulla testa e del bianco all'estremità delle piume della coda. Il suo canto, o meglio, il suo grido, è uno stridulo «Creech-creech-creech», come se avesse qualcosa di traverso in gola. A volte si sente anche un dolce «tu-tu» e, nelle notti calde, una specie di fischio. L'uccello frequenta la foresta, la giungla folta e ne sono stati visti nei giardini di Rangoon. E' un uccello irrequieto e attivo, che si può vedere soprattutto in Birmania, nella pianure ed anche sulle colline, fino a duemila metri di altezza. Pratica una migrazione locale che non si conosce ancora molto bene.

 

CINCIA SULTANA (Parus sultanea)

La Cincia sultana vive in India, in Birmania e nelle isole fino a Sumatra. Abita preferentemente in pianura e sui primi pendii delle colline, a piccoli stormi che cercano insetti nei buchi degli alberi e sotto la loro corteccia, svolazzando sul posto e passeggiando sui tronchi a testa in giù, cosa che è un'abitudine molto da cincia. Sarebbe la più grande di tutte le Cince, ammettendo che sia una Cincia, il che non è opinione di tutti gli ornitologi. La Cincia sultana non è ancora molto conosciuta: in particolare si ignora quali siano le sue abitudini intime. Nel centro della Birmania, è stata vista occupare il suo nido nel buco di un tronco d'albero verso metà aprile e, alla fine del mese di luglio, sono stati visti volare alcuni piccoli. Ma non si sa nulla di più.

 

LOFOFORO DI LHUYS (Lophophorus lhuysi)

Il Lofoforo di Lhuys è uno degli uccelli con le piume più sontuose che vi siano nel mondo.
Non è esattamente un fagiano, un fagiano vero, come dicono gli zoologi, ma più esattamente un Fagiano dalla coda corta. Esso la dispiega come un pavone o un urogallo, piuttosto che trascinarla come gli altri fagiani. La ricchezza del suo piumaggio è meravigliosa. Vive sui pendii dell'Himalaya, ad est, così come nelle regioni montagnose che li prolungano. Ne esiste un certo numero di varietà, ognuna più bella dell'altra... In effetti, gli uccelli d'Africa e d'Europa sembrano smorti a fianco di questi pavoni, di questi Fagiani, di questi Lofofori, di questi uccelli blu delle fate, di questi Tragopani, di queste galline selvatiche e di questi Pappagallini asiatici. E' dall'Asia che sono venuti quegli uccelli da ornamento che i greci ed i romani apprezzarono tanto, prima degli amatori dei tempi moderni. La leggenda racconta che il Vello d'oro, conquistato da Giasone e dai suoi compagni in Colchide, altro non era che il Fagiano dorato, originario dell'Estremo Oriente. Il Pavone, invece, viene dall'India e dall'Indocina. Acclimatato presto dai romani, raggiungeva ancora un valore favoloso durante i primi secoli della nostra era. I grandi dell'epoca lo mangiavano volentieri, benché la sua carne sia dura e nerastra; essa valeva il suo peso in oro. E' durante questi sontuosi pranzi che i Cavalieri formulavano il famoso «voto del pavone». Stendendo la mano destra sopra l'uccello arrostito e completamente rivestito delle sue piume, rimesse al loro posto una per una, essi promettevano di realizzare questa o quell'opera incredibile, il che, ben inteso, li impegnava a farlo, costasse quel che costasse. Da allora ai nostri giorni il Pavone ha perduto il grande valore gastronomico, ma continua a regnare come il più bell'uccello del mondo sui parchi dei ricchi proprietari e sui prati dei grandi giardini zoologici. Esso lancia sempre il suo grido malinconico «eon-eon», adora appollaiarsi sui tetti delle case di cui sposta spesso le tegole o le ardesie, e fa la ruota con le magnifiche piume della sua coda, non solo per sedurre le femmine, ma anche per suo proprio piacere, sembra, e per offrirsi alla ammirazione dei passanti. Da cui il ben noto detto: «vanitoso come un pavone». Ma esso non è vanitoso: è bello... E non sa di esserlo, poiché non ha mai avuto l'occasione né il desiderio di ammirarsi in uno specchio. Esso non si conosce, non può inquadrarsi, né apprezzarsi. E' lui, e ciò gli basta per comportarsi come deve.

 

CUCULO (Centropus sinensis intermedius)

Questo Cuculo, di cui vi sono parecchie varietà, è lungo circa 45 centimetri. Questo grosso uccello nero, con la sua coda voluminosa, potrebbe essere preso per una cacciagione, da cui il soprannome di fagiano, che gli è molto adatto, o di corvo fagiano. E' un uccello delle regioni coltivate e della giungla spessa, visibile soprattutto nella parte orientale della Birmania, sulle alture fino a 1300 metri di altezza. Si nutre di insetti, di cavallette, di lucertole, e di piccoli serpenti. Ama le rive dei corsi d'acqua, costruisce il suo nido tra gli alberi, a forma di sottocoppa, e vi depone da tre a cinque uova bianche e senza macchie.

 

AQUILA PESCATRICE (Haliaetus albicilla)

L'Aquila pescatrice ha delle ali con un'apertura di circa due metri e mezzo; la femmina è un poco più grande del maschio. Ha l'aspetto di un grande uccello scuro, dalla coda bianca con bordi neri. Il colore marrone chiaro della sua testa non è visibile che in piena luce. E' comune vicino ai corsi d'acqua, dal sud della Russia fino all'Asia centrale, l'India e la Birmania, dove nidifica in ottobre a volte novembre, per scomparire all'arrivo del monsone.

 

FAGIANO VENERATO (Syrmaticus revesii)

Il Fagiano venerato vive nel sud-est asiatico. E' uno dei più belli e dei più grandi di questo gruppo di uccelli poiché, coda compresa, supera a volte i due metri di lunghezza. Acclimatato in Europa da qualche decina d'anni, vi si è abituato molto bene. E' un uccello rustico, resistente, astuto, prudente e con una forza stupefacente; non sopporta la presenza di altre specie di fagiani sul suo territorio e li caccia via. Il suo volo astuto ha sorpreso più di un tiratore e la sua magnifica spoglia variopinta è molto ricercata.

 

PICCHIO GRIGIO (Mulleripicus pulverulentus harterti)

Il Picchio grigio misura cinquanta centimetri. In volo appare grigio scuro, con il becco e la testa più pallidi. Il suo grido è lamentoso, molto particolare. Lo si incontra nelle foreste rade, generalmente a gruppi di cinque o sei uccelli che si inseguono l'un l'altro dalla cima di un albero all'altro. Sono vigorosi tambureggianti, che picchiano molto forte col becco sulla corteccia, dove si nascondono gli insetti. Essi vivono in Birmania e possono essere visti in tutta la parte orientale del sud-est asiatico.

 

MARTIN PESCATORE DI SMIRNE (Halcyon smyrnensis)

Il Martin pescatore, dal petto bianco, lungo dodici centimetri e mezzo, vive in tutta l'Asia del sud, dalla Persia alla regione orientale, fino a più di duemila metri di altezza. Ha le stesse abitudini di tutti gli altri Martin pescatori.

 

GAZZA BLU DELLA CINA (Kitta erythrorhyncha magnirostris)

La Gazza blu della Cina è certamente la più graziosa di tutte le gazze esotiche. La Gazza blu non vive solo nella Cina centrale, ma anche nello Yunnan, nel Tonkino, nel Laos e nel centro dell'Assam. La si vede svolazzare a gruppi numerosi nei boschi ed ogni coppia fa il suo nido in cima ad un albero. E' un nido piatto, di grandi dimensioni, nel quale vengono deposte quattro o cinque uova verdastre, segnate di marrone scuro. La Gazza blu cinese si nutre di insetti e di frutti, ma mangia anche le uova e gli uccellini dei nidi del vicinato. La sua misura raggiunge i 65 centimetri, dei quali 30 per la coda.

 

GRUCCIONE DALLA GOLA ROSSA (Nyctyornis anicta)

Il Gruccione dalla gola rossa vive nel sud dell'India, in Malesia e nelle isole di Sumatra e del Borneo. Come le rondini, questo bellissimo uccello vola raso terra o sul filo dell'acqua per catturare gli insetti di cui si nutre. Come quello di tutti gli altri Gruccioni del mondo, il suo nido è posto in fondo ad un tunnel che esso scava nella terra molle delle rive dei corsi d'acqua. I Gruccioni vivono così, in colonie. Essi preferiscono la pianura, sebbene se ne vedano a volte nelle regioni montagnose poco elevate; vivono nei boschi e non se ne allontanano che raramente.

 

GHIANDAIA INDIANA (Coracias bengalensis affinis)

La Ghiandaia indiana si trova in tutta l'Asia meridionale, dall'Arabia fino alla Malesia, passando per il sud dell'India, il sud della Cina, della Thailandia e del Laos. Misura 32 centimetri e si riconosce facilmente in volo per il blu delle sue ali. Infatti è anche soprannominata «Ghiandaia blu». Quando è appollaiata lancia una specie di «Tchock» acuto e, in volo, uno stridulo e profondo raschiamento, ripetuto più volte. Ama posarsi sui pali telegrafici o sulle rocce o, ancora, sugli alti rami scoperti, per sorvegliare i dintorni. Quando ha avvistato una preda, si slancia in basso. Cavallette, lucertole, serpentelli, tutto le va bene.
Vola ad acchiapparle, mostrando il suo magnifico piumaggio, poi ritorna al suo posto di vedetta con la preda nel becco, che verrà presto ingoiata in attesa della seguente.

 

GAZZA DELLA CINA (Cissa sinensis)

La Gazza della Cina rievoca perfettamente le ghiandaie d'Europa. Essa è altrettanto familiare, altrettanto curiosa, altrettanto chiacchierona ed altrettanto capace di imitare ogni tipo di rumore della nostra ghiandaia europea di cui ha all'incirca la dimensione. Le Gazze della Cina vivono a piccoli gruppi, rallegrando i grandi alberi tra i quali stridono, svolazzando di ramo in ramo. Esse danno la caccia ad ogni tipo di preda: insetti, lucertole, rane, inghiottendo anche uova ed uccellini e, ben inteso, tutti i frutti che piacciono loro. Sono uccelli comuni in tutta l'India, in Birmania, in Indocina, in Malesia ed in Indonesia.

 

PARROCCHETTO DALLA TESTA ROSA (Psittacula krameri boralis)

Il Parrocchetto dalla testa rosa misura circa trentatrè centimetri. I giovani maschi non acquisiscono il loro collare nero e la striscia rosa sulla testa che al terzo anno: ornamenti che la femmina sostituisce con una striscia assai indistinta verde smeraldo. Questi uccelli hanno un verso stridulo, penetrante, poco piacevole da sentire. Essi esistono, identici, in Africa, ma è in Asia, e soprattutto in India ed in Birmania, che è più facile incontrarli. Essi preferiscono le regioni secche, la pianura, dove sono tra i più numerosi, i più conosciuti ed i più familiari della vasta famiglia dei pappagalli e delle cocorite. Si sa che il pappagallino dalla testa rosa nidifica in gennaio, nelle regioni dell'Estremo Oriente in cui vive, e che esso aggiusta sempre i vecchi nidi per riinstallarvisi.
Questi nidi sono più spesso in cima agli alberi che vicino al suolo, a volte molto vicino alle abitazioni umane, generalmente un solo nido per albero, ma ne sono stati contati, una volta, una dozzina sullo stesso albero. Il Parrocchetto depone da quattro a sette uova di un pallido colore blu-verde, con molte macchiette marrone-rossastro, soprattutto da una estremità.
 

I RETTILI

L'Asia di sud-est è ricca di rettili e, soprattutto, di serpenti. Essa ospita il più grande di questi ultimi, il Pitone reticolato, di cui un esemplare, il più grande conosciuto, raggiungeva 8,53 metri con un peso di 113 chilogrammi. Il Pitone delle rocce indiano (Python molurus) è stato annotato fino ad un massimo di 7,62 metri con un peso di cento chilogrammi. Ve ne sono due varietà: una vive in India e a Ceylon, l'altra, con due strisce, in Malesia ed in Indonesia. Come tutti i Pitoni e come tutti i Boa, il Pitone delle rocce ha due speroni esterni (vestigia di arti posteriori) su ogni lato della apertura cloacale.
Sono animali calmi e poco aggressivi, che si vedono spesso nei serragli, e sono i più grandi del mondo, con il Pitone seba (africano) e l'Anaconda (dell'America del sud).
La Vipera di Russel, molto velenosa, vive in India e nei circondari di questo paese. Il Drago di Komodo (Varanus komodoensis) è stato scoperto in questa piccola isola del gruppo della Sonda, verso l'anno 1913, per caso. Esso misura fino a tre metri e mezzo di lunghezza, si nutre di ratti, topi selvatici, cervi, persino di carogne. Si cita il caso di un indigeno ucciso e mangiato da uno di questi animali, ma in genere non sono aggressivi e quelli dello zoo di Anversa non hanno mai attaccato il loro guardiano. Sono dotati di unghie, solidamente armati di denti aguzzi, lenti, forti, massicci ed impressionanti quanto un Iguanodon risuscitato dall'era secondaria. Quanto al Cobra dagli occhiali (Naja naja), esso è considerato il responsabile della morte di circa trentamila persone all'anno. Più temibile ancora è il Cobra reale che vive nello stesso ambiente di quello con gli occhiali. Questo grande Elapide, con il terrore della savana o Surucucu brasiliano (Lachesis mutus) è il più grande serpente velenoso del mondo: tre metri e mezzo, quattro, si è anche detto cinque metri di lunghezza. Esso costruisce un nido per le sue uova e la femmina le difende furiosamente. Mangia altri serpenti, è soprattutto notturno ed è sordo come tutti i serpenti.
Il veleno del Cobra agisce sui muscoli e li paralizza rapidamente. Ma si calcola che solo il dieci per cento dei morsi si rivelano alla fine mortali. Non è meno vero che il grande Cobra può mostrarsi molto aggressivo e che si muove molto in fretta quando si decide a mordere.
Ecco finito questo viaggio tra gli animali d'Asia, un viaggio che si sarebbe potuto prolungare all'infinito, ma che, speriamo, darà un'idea della ricchezza stupefacente della fauna asiatica, e della sua varietà: una fauna ancora più affascinante per noi, poiché essa ci è molto meno familiare di quella d'Africa o di quella d'America.
     



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