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Botanica Giardinaggio Il Frutteto... trapaninfo.it TweetBOTANICA - GIARDINAGGIO - IL FRUTTETO
INTRODUZIONELa presenza nell'orto di qualche albero da frutto è sempre consigliabile, sia per ragioni estetiche sia perché offre la possibilità di assaporare la fragranza e la freschezza di un frutto coltivato al giusto grado di maturazione; è noto, infatti, che la frutta consumata appena staccata dall'albero mantiene inalterati tutti i principi nutritivi in essa contenuti (vitamine, sali minerali, sostanze acide, zuccheri ecc.), a differenza di quanto accade alla frutta acquistata nei negozi o nei supermercati che, per esigenze di trasporto e di conservazione, viene raccolta ancora semi-acerba. D'altra parte non bisogna credere che la coltivazione di un piccolo frutteto presenti particolari difficoltà tecniche o richieda un impegno maggiore rispetto al resto dell'orto. Chiunque, seguendo con attenzione alcune semplici regole, può allevare con successo delle piante da frutto: oltre all'abbondante raccolto, otterrà anche la soddisfazione di vederle crescere anno dopo anno. Infatti, la caratteristica fondamentale che differenzia le piante arboree dalle erbacee è proprio la durata di permanenza in campo: mentre le seconde esauriscono il loro ciclo vitale anche nel giro di una stagione, le prime durano nell'orto per diversi anni e, di conseguenza, necessitano di cure assidue per mantenersi sane e per garantire un buon livello di fruttificazione.
LA SCELTA DELLA SPECIE, DELLA VARIETA' E DEL PORTAINNESTOPrima di illustrare le modalità di impianto del frutteto, è indispensabile chiarire che la maggior parte delle piante da frutto sono normalmente innestate. Ogni pianta è, cioè, costituita da due parti (o membri), delle quali una, l'apparato radicale, prende il nome di portainnesto, l'altra, la parte aerea, viene chiamata nesto. Questo va tenuto ben presente al momento della scelta degli alberi da piantare, per evitare inconvenienti. La scelta delle specie da coltivare è strettamente correlata al loro grado di adattamento alle condizioni climatiche, ambientali e pedologiche. Infine, l'orticoltore dovrà tener conto della compatibilità o dell'incompatibilità tra una varietà e l'altra, anche all'interno della stessa specie. Questo problema, se non risolto, può compromettere totalmente il buon esito del frutteto. Per comprendere l'importanza del fenomeno della compatibilità, va anzitutto ricordato che, in genere, un albero produce frutti solo se il fiore femminile viene fecondato dal polline prodotto dagli organi maschili. Ma, mentre è ovvio pensare che il polline di una data specie non possa fecondare il fiore femminile di una pianta appartenente ad un'altra (ad esempio, il polline di un pesco non può fecondare un melo), non è altrettanto evidente che questa stessa impossibilità sussista tra varietà della stessa specie o, addirittura, all'interno di una stessa varietà. In effetti, questo è un fenomeno molto comune tra le piante da frutto e va tenuto in grande considerazione quando si scelgono le varietà da piantare. Se due varietà appartenenti alla stessa specie sono in grado di impollinarsi a vicenda, si dicono intercompatibili, viceversa, vengono dette interincompatibili. Allo stesso modo, piante della stessa varietà che sono in grado di autofecondarsi vengono dette autocompatibili; in caso contrario, sono autoincompatibili. Quindi, i fiori di un pianta che appartiene ad una varietà autoincompatibile non sono in grado di autofecondarsi, né di fecondare altre piante della medesima varietà. Sono autoincompatibili quasi tutte le varietà del ciliegio dolce, del mandorlo, del melo, del pero, del susino giapponese e dell'ulivo, mentre sono di norma autocompatibili il pesco, il ciliegio acido, il susino europeo e l'albicocco. Molto importante è anche la scelta del portainnesto. L'apparato radicale, infatti, è in grado di adattare un data varietà alle più disparate condizioni ambientali e di influenzare notevolmente lo sviluppo della pianta. Ad esempio, volendo introdurre nell'orto un filare di vite, è possibile scegliere, in base al terreno che si ha a disposizione e al clima, tra un'ampia gamma di portainnesti clonali (ottenuti per talea o margotta, ossia per riproduzione agamica). Ad esempio, un portainnesto molto usato nella viticoltura italiana, il Kober 5 BB, si adatta molto bene ai terreni profondi e fertili, mentre il portainnesto 420 A, pure assai diffuso, è più indicato per le zone collinari asciutte o, in generale, per quelle aride del meridione dai terreni poco profondi e compatti.
Anche nel pero è possibile scegliere tra portainnesti clonali con caratteristiche diverse: il Cotogno A è impiegato nei terreni fertili e non calcarei, il Cotogno BA 29, invece, in quelli calcarei. Allo stesso modo, anche per tutte le altre piante da frutto si può scegliere tra i portainnesti clonali e quelli ottenuti da seme. Generalmente, un albero innestato su un portainnesto ottenuto da seme raggiunge le dimensioni caratteristiche della specie a cui appartiene. Questi portainnesti franchi sono largamente usati in Italia, ad esempio per il pesco, che è normalmente innestato su franco comune (Prunus persica), per il susino, spesso innestato su mirabolano comune (Prunus cerasifera), o per il ciliegio, in cui il franco comune (Prunus avium) è tutt'oggi uno dei portainnesti più diffusi insieme al magaleppo comune (Prunus mahaleb), conosciuto anche con il nome di "Santa Lucia". La selezione genetica e le moderne tecniche vivaistiche hanno permesso di mettere a disposizione dei frutticoltori anche una serie di portainnesti clonali che influenzano in maniera diversa lo sviluppo della pianta. Ad esempio, per il pero è possibile utilizzare varie selezioni clonali di cotogno che hanno in generale la tendenza a ridurre lo sviluppo della pianta, a differenza di quanto accade con il portainnesto franco (Pirus communis). Anche per il melo è possibile scegliere tra una vasta gamma di portainnesti clonali prodotti, per la maggior parte, nella stazione sperimentale inglese di East Malling, contrassegnati da una sigla iniziante per "M" e con caratteristiche molto diverse tra loro; si va infatti da quelli molto vigorosi che inducono un notevole sviluppo della parte aerea, come l'M 16, a quelli mediamente vigorosi come l'M 7 e l'M 2, fino a quelli poco vigorosi o addirittura nanizzanti come l'M 9 e l'M 27. Come si può vedere, il mercato offre una vasta scelta e, quindi, il frutticoltore dilettante deve sapersi orientare tra le diverse possibilità. In generale, ad una pianta molto sviluppata è sempre da preferire una più piccola, poiché quest'ultima permette di effettuare la maggior parte degli interventi colturali, in particolare potatura e raccolta, senza dover ricorrere all'uso di scale. In ogni caso, anche le piante di dimensioni contenute producono frutti in abbondanza. Per ottenere alberi non troppo alti si può ricorrere a portainnesti nanizzanti o poco vigorosi, utili, in particolare, in quei terreni molto fertili dove, con l'impiego di un portainnesto vigoroso, si otterrebbero piante grandi e maestose, ma difficili da mantenere. Bisogna però ricordare che spesso i portainnesti di questo tipo sono caratterizzati da un apparato radicale debole e poco esteso e quindi necessitano di sostegni artificiali, per evitare che un vento forte o un violento temporale sradichino le piante. I portainnesti più vigorosi, invece, sono preferibili nei terreni poco fertili, per sfruttare meglio le risorse del suolo.
PIANTAGIONEL'epoca migliore per l'impianto degli alberi da frutto è l'autunno, a partire dalla metà di novembre fino ai primi 15 giorni di dicembre. Normalmente le piantine vengono comperate già innestate; in questo caso è molto importante rivolgersi a vivai o negozi specializzati, per evitare di usare materiale scadente o non corrispondente alle proprie esigenze. In primo luogo bisogna richiedere al rivenditore le più ampie garanzie circa il tipo di portainnesto e la varietà innestata. A occhio nudo è possibile, poi, individuare eventuali attacchi di insetti o di altre malattie crittogamiche: le radici, per essere in buono stato, non devono presentare tracce di marciumi o di tumori; i fusti devono essere del tutto privi di attacchi sia di cocciniglie (ad esempio il Quadraspidiotus perniciosus, o "cocciniglia di S. José", e la Diaspis pentagona), sia di larve di lepidotteri rodilegno. Le prime sono facilmente riconoscibili per le caratteristiche incrostazioni biancastre che ricoprono rami e fusto, le seconde per i grossi fori di entrata nel fusto. Se le piante sono acquistate a radice nuda, vanno messe a dimora al più presto, per ridurre i pericoli del trapianto, mentre se le loro radici sono protette dal pane di terra, si conservano anche per parecchi giorni, basta che siano tenute sempre all'aperto. La zona dell'orto destinata a ospitare il frutteto deve essere preventivamente preparata; per evitare del lavoro inutile è consigliabile, per prima cosa, effettuare lo scasso a buche, ossia scavare una fossa quadrata di circa 60-80 cm di lato per altrettanti di profondità. Questa buca, dopo essere stata accuratamente ripulita da eventuali residui vegetali, ad esempio radici di altre piante, deve essere riempita per circa 1/3 con materiali grossolani come ghiaia, sassi e pietre, portati in superficie durante lo scavo; ciò serve per garantire un buon drenaggio. Quindi, si ributta nella buca una parte della terra precedentemente asportata, fino a ottenere uno strato di circa 20-30 cm. A questo punto si distribuisce del letame maturo (circa una carriola per buca) con aggiunta di concimi minerali (indicativamente 0,5 kg di solfato di potassio e 1,5 di perfosfato minerale). Con la rimanente terra si riempiono gli ultimi 15-20 cm della buca, in modo da raggiungere il livello del terreno circostante. Prima di effettuare il trapianto, però, è meglio aspettare qualche giorno, affinché la terra nella buca si assesti; nel caso si verifichi un abbassamento, si deve rimediare con l'aggiunta di altra terra, per evitare in tutti i modi che le piante vengano a trovarsi in una depressione. Questa precauzione è basilare per prevenire eventuali ristagni idrici, che determinerebbero l'insorgere di malattie nella zona del colletto. A questo punto è possibile porre a dimora le piantine. Se queste sono a radice nuda, bisogna evitare di lasciarle esposte al sole durante il giorno o alle gelate di notte, perché l'apparato radicale potrebbe appassire. Al momento dell'impianto è quasi sempre necessaria una rapida potatura delle radici lesionate o secche. Per favorire l'attecchimento può essere utile praticare l'inzaffardatura, pratica che consiste nell'immersione delle radici per qualche minuto in una soluzione di acqua, letame e terra. La messa a dimora si attua interrando l'apparato radicale a una profondità non eccessiva ed estendendo bene le radici nel terreno, per evitare che si aggroviglino tra di loro. La terra per ricoprire le radici deve essere ben sgretolata e priva di sassi e andrà pressata coi piedi, per favorire l'attecchimento e migliorare la stabilità della pianta. Un paletto di sostegno è quasi sempre indispensabile per evitare che una forte ventata improvvisa possa sradicare la giovane pianta, prima che sia ben ancorata al suolo. In questa fase bisogna anche fare attenzione al punto di innesto, che deve trovarsi alcuni centimetri al di sopra del livello del terreno, per evitare che il nesto emetta direttamente le radici, vanificando così la funzione del portainnesto. A trapianto avvenuto, e in particolare se il terreno si presenta secco, è sempre bene procedere ad un'abbondante irrigazione in modo che l'acqua penetri anche negli strati profondi. Per favorire l'attecchimento della pianta, oltre a rispettare le semplici regole sopra esposte, è opportuno seguire alcuni consigli: in primo luogo, quando si utilizzano dei concimi chimici, bisogna sempre evitare che vengano in contatto con le radici, altrimenti queste potrebbero subire pericolose ustioni; inoltre, l'impianto non deve essere effettuato troppo in profondità e, soprattutto, occorre studiare bene la collocazione delle singole piante nell'orto, tenendo presente che, una volta adulte, occuperanno uno spazio maggiore.
POTATURANelle piante da frutto gli interventi di potatura sono fondamentali per garantire la produzione di un elevato numero di fiori e quindi di frutti. Inoltre, con l'accorciamento o la totale asportazione dei rami, le piante vengono mantenute entro dimensioni e forme appositamente studiate per facilitare le operazioni colturali, per sfruttare al massimo lo spazio e per migliorare la produzione. Va premesso che la potatura assume caratteristiche diverse a seconda dello stadio vegetativo in cui si trova la pianta. Sulle piante giovani gli interventi di potatura hanno lo scopo di formare lo scheletro, in base allo schema di allevamento prescelto. Questi interventi, che prendono il nome di potatura di allevamento, prevedono, in genere, un ricorso molto limitato ai tagli, per non privare troppo la giovane pianta di foglie e di gemme, privilegiando la piegatura e la curvatura dei rami. Man mano che la pianta assume la forma definitiva ed inizia a fruttificare, la potatura di allevamento viene gradualmente sostituita da quella di produzione, finalizzata sia a regolare la fruttificazione dal punto di vista quantitativo e qualitativo, sia a mantenere la forma.GLI INTERVENTI DI POTATURA Sono considerati interventi di potatura non solo quelli cesorei, che comportano l'asportazione di rami interi o di parte di essi, ma anche la curvatura e la piegatura dei rami, il diradamento dei frutti, la cimatura, la sfogliatura ecc. Ciascuno di essi ha degli effetti diversi, che è indispensabile conoscere per intervenire nella maniera appropriata. La piegatura consiste nel flettere un ramo orizzontalmente o verso il basso. Questa pratica, che va effettuata in inverno, quando le piante sono in riposo vegetativo, determina un maggiore sviluppo dei germogli presenti alla base del ramo e porta a invertire il normale sviluppo delle piante acrotone (piante dai rami alti più sviluppati di quelli bassi), mentre in quelle basitone aumenta la naturale tendenza ad un maggior sviluppo dei germogli basali e mediani rispetto a quelli apicali. Con la curvatura, invece, si ottiene un maggiore sviluppo dei germogli posti in corrispondenza del punto di massima curvatura. Questa operazione contribuisce, inoltre, ad accrescere l'allegagione dei frutticini e a diminuire la cascola (caduta dei frutticini immaturi), consentendo una precoce entrata in produzione. Anche gli interventi di taglio possono influenzare lo sviluppo dei nuovi germogli, se vengono effettuati prima dello schiudimento delle gemme. Questi interventi sono in genere riservati alle piante adulte e, in particolare, a quelle che presentano una scarsa attività vegetativa, per renderle più rigogliose. Il taglio su un ramo può essere eseguito per accorciarlo o per asportarlo totalmente. Nel primo caso, si ottengono germogli tanto più vigorosi quanto più è lunga la porzione di ramo che si elimina. La totale asportazione dei rami, invece, ha lo scopo di diradare la chioma delle piante in produzione. Non tutti gli interventi di potatura vanno effettuati durante il riposo vegetativo; alcuni vanno praticati in primavera o in estate e vengono detti interventi di potatura verde. Ad esempio, nelle piante in allevamento si procede a una cimatura precoce, ossia all'asportazione del solo apice dei germogli durante le prime fasi del loro accrescimento. In questo modo si induce il germoglio ad emetterne subito altri dalle gemme inserite lungo il suo asse, le quali si comportano come pronte. A questi interventi si ricorre qualora si disponga di una giovane pianta che non presenti rami adatti per impostare lo scheletro.
Quest'operazione è efficace solo se praticata su germogli vigorosi. Un altro intervento di potatura verde è il diradamento dei frutti, che va adottato nel caso in cui la naturale caduta dei frutticini immaturi sia stata insufficiente e la pianta, eccessivamente carica in rapporto alle proprie potenzialità produttive, rischi di portare a maturazione molti frutti, ma piccoli e qualitativamente scadenti. Il diradamento dei frutti assume una particolare importanza durante la potatura di allevamento, in quanto comporta la totale asportazione dei frutticini inseriti sulle branche principali, il cui sviluppo sarebbe altrimenti pregiudicato. LA POTATURA DI ALLEVAMENTO La potatura di allevamento viene eseguita sulle giovani piante durante i primi anni di impianto, per conferire loro la forma prescelta allo scopo di facilitare le successive operazioni colturali e di anticipare il più possibile l'entrata in produzione. In questa fase i tagli devono essere evitati il più possibile, mentre è normale ricorrere ad interventi di potatura sostitutivi. Bisogna cercare di formare lo scheletro in breve tempo, per non ritardare troppo l'entrata in produzione; lo scheletro inoltre deve essere il più ridotto e regolare possibile, anche se non va attribuita un'importanza eccessiva alla sua perfezione geometrica. Fin dal primo anno di impianto, e più precisamente dal momento del risveglio primaverile, vanno esaminati con attenzione i germogli, per scegliere al più presto quelli destinati a formare le prime branche. A questo proposito è meglio, in generale, che il primo palco di branche sia impostato il più in basso possibile, ossia, come si usa dire in gergo tecnico, che la pianta sia "impalcata bassa". Negli anni successivi verranno scelte, sempre precocemente, le branche dei palchi superiori o, a seconda della forma di allevamento prestabilita, le branchette secondarie, terziarie ecc. Tutti i germogli selezionati per costituire le branche portanti vanno aiutati nel loro sviluppo con opportune piegature. Per bilanciare lo sviluppo delle branche, in modo da ottenere un'intelaiatura equilibrata, bisogna imparare a sfruttare bene gli effetti derivanti dalla piegatura dei rami, ricordandosi sempre che quelli più sviluppati andranno piegati maggiormente per diminuirne la vigoria, mentre quelli più deboli devono essere mantenuti il più possibile in posizione verticale. Questa è la via da seguire per una corretta e rapida impalcatura della pianta, senza ricorrere ad interventi cesorei sulle branche portanti. LE PRINCIPALI FORME DI ALLEVAMENTO Nel corso dei decenni la tecnica di allevamento degli alberi da frutto ha cercato di risolvere i problemi di produzione mediante l'applicazione di una vastissima gamma di forme, che tuttavia possono essere raggruppate in due grandi categorie: forme appiattite e forme in volume. Nei sistemi di allevamento in forme appiattite, le piante vanno fatte crescere con le branche disposte lungo un piano verticale od orizzontale in modo che la chioma assuma appunto un aspetto appiattito. Le forme appiattite a cui si adattano le nostre specie da frutto sono moltissime, alcune molto complesse, altre più semplici, ma tutte utili per sviluppare piante esteticamente molto belle e per formare siepi o barriere divisorie verdi.
Spesso, per ottenere queste forme, sono necessarie delle intelaiature di pali e fili di ferro a cui legare i rami. Tra le appiattite più note vanno senz'altro annoverati i diversi tipi di palmette. Queste, in pratica, consistono in fusti verticali su cui sono inserite le branche primarie orientate, in modo più o meno inclinato, lungo il senso del filare, per contenere il più possibile lo spessore della chioma. SISTEMA BASE PER LA COSTITUZIONE DELLE PALMETTE Ogni palmetta è formata da un asse centrale detto "freccia" e da vari ordini di branche laterali. All'atto dell'impianto l'astone viene accorciato a circa 60-80 cm dal suolo. Nel corso della primavera successiva, quando i germogli avranno raggiunto una lunghezza di circa 20 cm, se ne scelgono tre, due dei quali, inseriti a circa 50 cm dal suolo, costituiranno il primo palco di branche, mentre il terzo, portato superiormente, è destinato a divenire il prolungamento della freccia. I primi due vanno quindi indirizzati, con l'aiuto di canne o fili, secondo l'inclinazione tipica della forma prescelta, mentre il terzo va sempre tenuto verticale. I germogli superflui, tranne quelli che vanno asportati perché troppo vicini ai principali, vanno piegati verso il basso o devono subire una leggera torsione che ne limiti lo sviluppo. Bisogna asportare anche tutti i germogli che si fossero eventualmente formati nella parte dorsale di quelli prescelti. Durante l'inverno si scelgono poi due getti formati sul prolungamento della freccia che, posti a circa 1 m o poco più al di sopra del primo, saranno destinati a formare il secondo palco. In questo modo, alla fine del primo anno, si saranno impostati i primi due palchi. Nel caso, però, che durante l'inverno non siano presenti germogli adatti a formare il secondo palco, si potrà ottenere un maggior rigoglio e la formazione di rami anticipati mediante una cimatura della freccia effettuata alla ripresa vegetativa. Nel secondo anno si procede come per il primo, impostando, in estate, il terzo palco a circa 80 cm dal secondo. Inoltre, si attuano quegli interventi di potatura verde volti ad assicurare un adeguato sviluppo delle altre branche. Durante l'inverno si liberano le cime delle branche, per circa 30 cm, da tutti gli eventuali germogli, si diradano i rami male inseriti e, se possibile, si imposta il quarto palco. Al terzo anno la potatura deve essere leggera e bisogna migliorare l'inclinazione delle branche continuando ad asportare i germogli inseriti dorsalmente. Negli anni successivi, la potatura di allevamento può considerarsi conclusa e sarà sostituita da quella di produzione. E' consigliabile non lasciare sviluppare troppo in lunghezza le branche, rinnovando continuamente i corti rami fruttiferi portati su di esse e mantenendo la produzione vicino al tronco. Con il sistema della palmetta anticipata si guadagna un anno sulla formazione dello scheletro perché, evitando di accorciare l'astone all'impianto e impostando subito i primi due palchi, si possono effettuare, già dal primo anno, interventi di potatura verde simili a quelli che si eseguono su una palmetta normale solo dal secondo anno; questo sistema, con i dovuti adattamenti, è applicabile al pero, al melo, al ciliegio, al pesco, ecc. Altre forme appiattite di minor importanza, limitatamente all'Italia, sono il Bouché Thomas, il Lapage e il sistema Marchand.
FORME DI ALLEVAMENTO IN VOLUME Nelle forme in volume la chioma dell'albero si espande non solo in larghezza ed altezza, ma anche, in modo più o meno uniforme, in spessore. Le più diffuse sono il vaso e la piramide, con le relative varianti. Le piante allevate secondo questi schemi si adattano molto bene a un orto familiare, specialmente se vengono mantenute entro dimensioni contenute, grazie a una saggia scelta del portainnesto e a opportuni interventi di potatura. La costituzione di un vaso non presenta particolari difficoltà e permette di ottenere piante formate già a 3 anni dall'impianto. Nel frutteto domestico questa forma a vaso è impiegata sia per le drupacee sia per le pomacee; nella frutticoltura intensiva, invece, per il pero e per il melo sono preferite altre forme di allevamento. Il vaso è costituito da un tronco di altezza compresa, in genere, tra i 50 e gli 80 cm, su cui si inseriscono tre branche (raramente quattro) inclinate di 45° e distanziate tra loro circa 120°. Su queste branche primarie sono inserite tre-quattro branchette secondarie, convenientemente orientate e distanziate tra loro. Per allevare una pianta a vaso bisogna, all'atto dell'impianto, accorciare l'astone all'altezza a cui si desidera impalcarla. Durante la germogliazione, nella primavera successiva, si sceglieranno i tre germogli destinati a formare le branche principali, che non dovranno essere inseriti allo stesso livello sul tronco, bensì distanziati tra loro di 10-15 cm. Per fornire loro la giusta inclinazione si fa ricorso a dei tutori costituiti da canne, opportunamente conficcate nel terreno, a cui vanno legati i rametti. I germogli superflui vanno piegati verso il basso per ridurne lo sviluppo e in un secondo tempo asportati. Giunto l'inverno, gli interventi di potatura secca consistono nel bilanciare la chioma in via di formazione, eliminando i rametti che possono entrare in concorrenza con le branche principali. In primavera si impostano le branche secondarie, che si originano da germogli inseriti su quelle primarie e che sono distanziate tra loro circa 70-80 cm. Queste sono inclinate di circa 60° e sono orientate obliquamente, in maniera da occupare gli spazi vuoti esistenti tra le branche primarie. Eventualmente, è possibile prevedere anche la formazione di un terzo ordine di branche inserite su quelle secondarie ed orientate in modo da occupare gli spazi ancora vuoti, ma senza appesantire troppo la chioma. Con il terzo anno si può considerare conclusa la potatura di allevamento e la pianta, che nel frattempo avrà assunto un aspetto a vaso, dovrà essere mantenuta libera dalla vegetazione nella sua parte interna mediante l'eliminazione dei germogli inseriti dorsalmente alle branche per facilitare al massimo l'illuminazione. Una variante della forma a vaso è la forma a globo, tradizionalmente utilizzata per l'allevamento degli agrumi.
Nella forma a piramide le piante presentano un tronco centrale su cui si inseriscono alcuni palchi, costituiti ciascuno da tre branche inclinate di circa 45° e distanziate tra loro di 120°. I palchi sono disposti a circa 70-90 cm l'uno dall'altro e le loro branche hanno una lunghezza pari circa a un terzo della distanza tra il loro punto di inserzione sul tronco e la cima dell'albero. Per la realizzazione della piramide, durante il primo anno si procede come per la forma a vaso, con l'unica differenza che si selezionano quattro germogli, di cui tre per le branche del primo palco e il quarto per la freccia; in inverno la freccia va raccorciata poco al di sopra del punto in cui si desidera formare il secondo palco. Negli anni seguenti, la potatura continua allo stesso modo fino a che non si è completata la formazione dello scheletro. Derivano dalla piramide altri schemi di allevamento, tra cui i più noti sono il fuso, che ha branche lunghe circa un quinto della distanza tra il punto della loro inserzione sul fusto e la cima, e lo spindelbush, simile al fuso con branche inserite sul tronco in modo irregolare. Un discorso a parte meritano le varie forme di allevamento della vite, che vengono trattate nel capitolo dedicato a questa specie.
ALBICOCCOL'albicocco (Prunus armeniaca o Armeniaca vulgaris) è una specie tipica del bacino del mediterraneo, assai diffusa nelle regioni caratterizzate da un clima mite, con inverni freddi ma non troppo rigidi, seguiti da una primavera asciutta. In Italia è coltivato soprattutto in Campania, Sicilia, Emilia Romagna, Liguria e Piemonte. Presenta dimensioni limitate (7-8 m di altezza) e chioma tondeggiante; i fiori sono bianco-rosati e compaiono in febbraio- marzo, mentre i frutti sono delle drupe globose di colore giallo- arancio. E' una specie di difficile adattabilità e richiede maggiori cure rispetto agli altri tipi di drupacee in quanto, fiorendo normalmente entro il 15-20 di marzo, è particolarmente esposta al rischio di ritorni di freddo e di brinate tardive, che possono causare aborti fiorali, difetti di impollinazione e cascola eccessiva di frutticini. Inoltre, durante la fioritura e le prime fasi di sviluppo e maturazione dei frutticini, le piogge persistenti, specie se accompagnate da temperature miti, possono ostacolare la impollinazione e favorire l'insorgenza di una pericolosa malattia crittogamica, la monilia, che provoca i tipici ammuffimenti a circoli sui frutti e il disseccamento dei rametti; durante la maturazione, invece, le piogge abbondanti possono talvolta causare la spaccatura dei frutti. L'albicocco predilige i terreni profondi, caldi e permeabili, ma grazie alla vasta gamma di portainnesti utilizzabili, si adatta anche ad altri tipi di suolo, tranne quelli umidi e compatti. La coltivazione dell'albicocco è complicata, inoltre, dalla scarsissima adattabilità delle cultivar ad ambienti diversi da quelli originari. Per evitare fallimenti, il sistema migliore è quello di fidarsi del consiglio di un esperto vivaista, oppure di acquistare una varietà di cui sia noto l'adattamento in orti e giardini della zona. La maggior parte delle cultivar di albicocco sono autofertili, anche se la fecondazione incrociata con altre cultivar è preferibile in quanto determina un aumento della produzione.PIANTAGIONE L'impianto dell'albicocco si esegue preferibilmente in autunno, attenendosi alle norme generali per la piantagione degli alberi da frutto. Le piantine che si acquistano in vivaio sono normalmente innestate. Non tutti i portainnesti presentano però una buona affinità con l'albicocco e possono determinarne il deperimento anche a distanza di qualche anno dall'impianto. Il portainnesto più usato in Italia è l'albicocco franco (diffusissimo nelle regioni meridionali), che presenta ottima affinità e si adatta bene ai terreni calcarei, siccitosi e poco fertili.
Nelle regioni settentrionali è invece più diffuso il mirabolano (utilizzato anche come portainnesto del susino), che si adatta meglio ai terreni pesanti ed argillosi, ma presenta una scarsa affinità; è possibile ovviare a questo inconveniente alzando il punto di innesto, in modo da diminuire i rischi di rottura, e ponendo tra portainnesto e cultivar un intermediario. Sono disponibili anche alcuni portainnesti clonali di mirabolano con un maggior grado di affinità e, talvolta, possono essere impiegati come portainnesti dell'albicocco anche il pesco e il mandorlo, che presentano però notevoli problemi di affinità. CURE COLTURALI Una pratica colturale indispensabile, particolarmente nei climi siccitosi, è l'irrigazione, da eseguire sia prima della fioritura e durante la maturazione, per evitare la colatura dei fiori e la cascola dei frutticini, sia in piena estate, dopo la raccolta, per non compromettere le produzioni future. Anche la concimazione è necessaria per migliorare qualitativamente e quantitativamente la produzione; essa va effettuata con apporti di sostanza organica e concime azotato (ad esempio 0,5 kg di urea per albero, ogni anno). POTATURA L'albicocco è una pianta dallo sviluppo vegetativo molto disordinato e difficilmente può essere allevato secondo schemi predeterminati. Anche nelle coltivazioni specializzate, infatti, queste piante sono allevate in forma libera e la potatura è finalizzata, per lo più, a contenerne lo sviluppo. L'albicocco produce essenzialmente sui dardi o sui rami misti, a seconda della cultivar. La potatura di produzione è finalizzata a migliorare l'illuminazione tramite il diradamento della chioma e l'asportazione di parte dei rami di un anno e dei rami secchi; si eseguono poi dei tagli di ritorno sui rami principali per contenere lo sviluppo della chioma. RACCOLTA E CONSERVAZIONE Nelle diverse cultivar di albicocco la raccolta dei frutti è scalare e si protrae per i mesi di giugno e luglio, inoltre può durare su una stessa pianta fino a 10 giorni, poiché il frutto deve essere colto solo quando raggiunge il giusto grado di maturazione. Una volta staccate dalla pianta, le albicocche non si conservano in frigorifero per più di qualche giorno. PARASSITI E MALATTIE L'albicocco è soggetto agli stessi parassiti animali del pesco (afidi e cocciniglia bianca), e a parassiti vegetali, quali il coryneum, che intacca le foglie, e la moniliosi, che fa disseccare i fiori e i rami.
ARANCIOOriginario del Medio Oriente, l'arancio (Citrus sinensis) è il più diffuso tra gli agrumi coltivati. Ha una chioma compatta a forma conica e rami forniti di piccole spine (tranne quelli provenienti da piante nate da seme). I fiori sono bianchi e profumati, il frutto, di colore rosso-arancio e internamente diviso in logge, è molto apprezzato per la gradevole polpa agrodolce e ricca di vitamina C. Poiché si tratta di una pianta subtropicale, la sua coltivazione è possibile in zone in cui la temperatura è compresa tra i 10 e i 30°C; temperature di pochi gradi sotto lo zero possono danneggiare, oltre ai frutti e alle foglie, anche il legno, mentre un'improvvisa gelata notturna è sufficiente a compromettere la chioma. Il clima, inoltre, influenza anche la qualità dei frutti, che nelle zone più fredde hanno buccia e polpa più scura rispetto a quelli delle aree calde, mentre nelle zone asciutte hanno buccia più sottile rispetto a quelli prodotti in zone piovose. Anche il vento, se carico di salsedine, può causare la caduta di foglie e frutti, la rottura dei rami e il disseccamento dei fiori. Il terreno più indicato per la coltivazione dell'arancio è quello di medio impasto, fertile, sciolto e ben drenato, con un pH compreso tra 6 e 8, che, oltre a evitare il pericolo di ristagno d'acqua, permette di ottenere in abbondanza frutti molto succosi, poco acidi e di colore più intenso. In base al colore della polpa si possono distinguere le cultivar in "bionde" e "pigmentate". Le prime producono frutti ben attaccati ai rami e dalla buccia sottile e ben aderente alla polpa; sono particolarmente indicate per spremute (ad esempio "Ovale calabrese", "Valencia late"). Le seconde hanno frutti con polpa sanguigna, gustosi e che si staccano dal ramo facilmente (ad esempio, "Tarocco", "Sanguinello"); in alcuni casi sono grossi, molto dolci e privi di semi (ad esempio, "Washington Navel").
PIANTAGIONE E' preferibile acquistare le piante da un vivaista, evitando così la difficile operazione dell'innesto. I portainnesti generalmente usati sono: l'arancio amaro (C. aurantium), che è adatto a quasi tutti i tipi di terreno, tranne quelli pesanti, ed è resistente alle basse temperature e alle malattie, ad esclusione di quelle chiamate "mal secco" e "tristeza", e l'arancio trifogliato (Poncirus trifoliata), robusto, resistente al freddo e anche al "mal secco" e alla "tristeza", adatto ai terreni pesanti. Per l'impianto occorre preparare delle buche, distanti l'una dall'altra 5-6 m, nelle quali andranno posizionati gli alberelli. CURE COLTURALI E' bene effettuare alcune irrigazioni per migliorare la produzione, ma senza eccedere, altrimenti si rischia di favorire ristagni d'acqua che potrebbero causare spaccature nei frutti. Si consiglia di non bagnare a ridosso del tronco per evitare l'insorgere di marciumi. Normalmente si ricorre a concimazioni equilibrate, in quanto, ad esempio, un eccesso di azoto ridurrebbe la pezzatura, il contenuto di vitamina C e di zuccheri del frutto, aumentandone invece l'acidità; bisogna usare, quindi, una sostanza organica quale terricciato maturo ed eventualmente anche dell'urea (0,4-0,6 kg per pianta) e del perfosfato (0,3-0,4 kg per pianta). POTATURA La forma di allevamento più diffusa è il "globo". In genere le piante che provengono dai vivai sono già impostate correttamente, basta assecondarne la naturale tendenza alla forma compatta e limitare le potature all'eliminazione dei rami vecchi interni alla chioma, di quelli danneggiati dal gelo e dei germogli vigorosi che potrebbero sopraffare le branche. RACCOLTA E CONSERVAZIONE La raccolta avviene, a seconda delle cultivar, da novembre a maggio, quando il frutto ha raggiunto un rapporto ottimale tra acidi e zuccheri; la colorazione della buccia non sempre dà indicazioni precise riguardo al grado di maturazione e, in ogni caso, i frutti maturi possono rimanere sulla pianta per un certo periodo senza subire danni. Non bisogna strappare i frutti dal ramo, ma tagliarli con parte del peduncolo. Si consumano freschi e si conservano in frigorifero a temperatura di 4-7°C. PARASSITI E MALATTIE L'arancio è pericolosamente soggetto ad attacchi di cocciniglie; questi insetti provocano sui frutti e sui giovani rami delle piccole placche di diversa forma e colore che, se grattate, si staccano facilmente. Altri insetti pericolosi sono la mosca mediterranea (Ceratitis capitata), che porta i frutti a marcescenza, e gli afidi, che deformano le foglie. Tra le malattie segnaliamo il marciume radicale (Phytophthora citrophtora), che danneggia la base del tronco e le radici superficiali, provocando anche l'emissione delle cosiddette "gomme"; è possibile prevenire questa malattia eliminando tutti i residui radicali, effettuando lavorazioni profonde prima dell'impianto e scegliendo dei portainnesti adatti al terreno e resistenti alla malattia.
CILIEGIOIl ciliegio appartiene al genere Prunus di cui in Italia sono coltivate principalmente due specie: il P. avium, comunemente detto "ciliegio dolce", e il P. cerasus, detto "ciliegio acido", a cui appartengono le amarene e le visciole. Esiste, tuttavia, anche un'altra specie di Prunus, il P. mahaleb, detto comunemente "megaleppo" o "ciliegio di Santa Lucia", che è utilizzato esclusivamente come portainnesto. In Italia il ciliegio è particolarmente diffuso in Campania, in Emilia Romagna (nelle province di Modena e Forlì) e in Veneto (nelle province di Verona e Vicenza). Il "ciliegio dolce" cresce nei climi miti, essendo notevolmente sensibile agli inverni molto freddi e alle gelate tardive; nei momenti critici della fioritura e dell'allegagione dei frutticini, infatti, è sufficiente un improvviso abbassamento della temperatura sotto i -2°C perché la pianta subisca danni irreparabili. Il terreno deve essere profondo, permeabile e molto fertile. Contrariamente al ciliegio dolce, il "ciliegio acido" è una specie molto rustica che si adatta facilmente a tutti i terreni e anche ai climi più freddi. Le due specie differiscono tra loro anche in quanto ad aspetto e fertilità: il ciliegio dolce è grande e maestoso (raggiunge anche i 20 m di altezza) e ha cultivar autosterili che rendono quindi indispensabile l'introduzione nell'orto di almeno due cultivar interfertili; il ciliegio acido, invece, è molto più basso, ha rami penduli nelle amarene e assurgenti nelle visciole, e presenta cultivar per lo più autofertili.PIANTAGIONE Presso i vivai è possibile acquistare ciliegi dolci innestati su diversi tipi di portainnesti; tra questi analizziamo i più diffusi in Italia. Il franco comune (P. avium), essendo molto vigoroso, induce un notevole sviluppo della pianta, ma entra in produzione tardi, sebbene poi fruttifichi abbondantemente. Il megaleppo comune (P. mahaleb) è meno vigoroso del precedente, ma presenta una più rapida entrata in produzione e anticipa di qualche giorno la maturazione dei frutti; essendo, inoltre, molto sensibile ai ristagni idrici, richiede terreni ben drenati. Il ciliegio acido (P. cerasus), che è meno diffuso dei precedenti perché comporta notevoli problemi di affinità con le cultivar di ciliegio dolce, è poco vigoroso e mantiene le piante entro dimensioni ridotte. Esistono infine alcuni portainnesti clonali, tra cui si ricorda il Colt, che dà luogo a uno sviluppo contenuto delle piante. Il ciliegio acido non è quasi mai innestato e viene propagato molto semplicemente per polloni radicali. Per stabilire la distanza di impianto tra un ciliegio e l'altro, bisogna tenere conto della notevole mole di queste piante; per il ciliegio dolce innestato su portainnesti vigorosi è consigliabile non scendere mai al di sotto dei 7-8 m, mentre se si utilizza un portainnesto meno vigoroso, come il megaleppo, sono sufficienti anche 5-6 m, dato il minor sviluppo in altezza e in volume di questa specie. CURE COLTURALI Il ciliegio trae vantaggio sia da una concimazione azotata sia da una organica con letame o composta, entrambe da effettuare a fine inverno. In genere, il ciliegio, grazie al suo profondo apparato radicale, non necessita di irrigazioni frequenti. Tuttavia, se l'estate o la primavera sono siccitose è indispensabile aumentare gradualmente l'apporto idrico, evitando di somministrare grosse quantità di acqua in una volta sola, in particolare prima della raccolta, perché potrebbero provocare delle spaccature nei frutti.
POTATURA Il ciliegio è spesso allevato in forme libere, di conseguenza raggiunge una notevole mole che rende oltremodo difficoltosa la raccolta. Volendo però adattarlo ad una forma precisa, ci si può orientare verso quella a vaso oppure verso alcune forme appiattite, tra cui la più indicata è quella a bandiera (drapeau Marchand), che prevede l'impianto degli astoni inclinati di 45° e l'allevamento dei germogli orientati in senso opposto. Il ciliegio dolce produce essenzialmente sui dardi, mentre quello acido di preferenza sui rami misti. La potatura di produzione, per entrambe le specie (ma soprattutto per il ciliegio dolce), è molto spesso limitata all'asportazione dei rami secchi e allo sfoltimento della chioma. Nel ciliegio acido, inoltre, la potatura deve essere più energica, evitando, comunque, di tagliare i rami troppo grossi perché potrebbero provocare una forte produzione di gomma dalle ferite e accelerare così l'invecchiamento della pianta. RACCOLTA E CONSERVAZIONE La raccolta delle ciliegie è un'operazione lunga e impegnativa; è stato calcolato che non è possibile raccoglierne in un'ora più di 7-8 kg. Per non danneggiare i rami fruttiferi, e in particolare i dardi, le ciliegie vanno strappate delicatamente con il loro peduncolo in modo perpendicolare all'asse del ramo, per evitare l'asportazione di parte della corteccia. Una volta raccolte, possono essere conservate in frigorifero per alcuni giorni. PARASSITI E MALATTIE Tra i parassiti animali si ricordano gli afidi (afide nero del ciliegio e afide verde del pesco) che intaccano le foglie, e la mosca delle ciliegie, che scava delle gallerie nei frutti facendoli poi marcire. Tra i parassiti vegetali, si hanno il coryneum, un fungo che buca le foglie, e il mal del piombo.
COTOGNOLa Cydonia vulgaris, più nota come cotogno, è una pianta rustica di sviluppo contenuto (fino a 5 m di altezza). Ha radici superficiali, foglie di colore verde intenso superiormente e biancastre nella pagina inferiore e fiori solitari bianco-rosati che sbocciano ad aprile. Produce grossi frutti di colore giallo dorato, gradevolmente profumati e dalla polpa ricca di tannini e di sostanze pectiche che li rendono non consumabili crudi, ma ottimi per confezionare conserve e la classica "cotognata". La specie C. japonica, arbustiva, è coltivata a scopo ornamentale, poiché ad inizio primavera, quando contemporaneamente spuntano le foglie, presenta una fioritura gradevolissima, di un bel colore rosso-arancio. Il terreno deve essere profondo, sciolto, poco calcareo, mentre il clima più indicato è quello temperato, essendo una pianta abbastanza sensibile al gelo (nei climi caldi cresce anche in forma rinselvatichita, in terreni incolti e lungo le siepi).PIANTAGIONE Si propaga facilmente per talea o per seme, ma in quest'ultimo caso la pianta assume caratteristiche selvatiche e viene utilizzata solo come portainnesto. E' preferibile quindi acquistare la pianta da vivaisti e metterla a dimora a primavera. CURE COLTURALI Il cotogno è difficilmente attaccato da malattie o parassiti e non esige particolari cure colturali. POTATURA Bisogna assecondare lo sviluppo naturale della pianta dandole la forma a vaso ed evitando le potature energiche. RACCOLTA E CONSERVAZIONE La raccolta avviene intorno ad ottobre; ogni pianta produce da 30 a 50 kg di frutti; questi si conservano a lungo anche fuori dal frigorifero, ma non devono essere messi insieme ad altri frutti, ai quali potrebbero trasmettere aromi e sostanze volatili (ad esempio, l'etilene), che favoriscono la maturazione. PARASSITI E MALATTIE Il cotogno è soggetto agli stessi parassiti e malattie del melo.
FICOIl Ficus carica, che può raggiungere anche 8 m di altezza, è caratterizzato da un tronco corto, da rami ricchi di midollo (quindi soggetti a facili rotture) e da gemme apicali tipicamente acuminate. Si distinguono due sottospecie: il Ficus c. "sativa" e il F. c. "Caprificus". Il primo, detto anche "fico domestico", possiede solo fiori femminili, i cui ricettacoli in autunno danno origine ai cosiddetti "fioroni" o "fichi primaticci" (pronti per il consumo nel giugno successivo) e in primavera ai "fichi veri", che maturano a fine estate. Il secondo, noto con il nome di "caprifico", ha invece uno sviluppo ridotto rispetto a quello precedente ed infiorescenze con fiori sia femminili sia maschili; è utilizzato a volte per la fecondazione (attuata da un insetto: Blastophaga psenes), anche se le varietà coltivate sono generalmente partenocarpiche.PIANTAGIONE La propagazione avviene facilmente per talea, utilizzando rami di 2-3 anni, lunghi 30-50 cm, o polloni radicati messi direttamente a dimora in autunno. CURE COLTURALI Richiede terreno sciolto e fresco, tuttavia cresce bene anche in quello argilloso e calcareo, e perfino in quello roccioso. E' consigliabile un'esposizione a sud e, in inverno, nei climi particolarmente rigidi, una protezione di paglia o materiale simile. E' resistente alla salsedine e alla siccità, poiché possiede un apparato radicale espanso ed efficiente, mentre può venire facilmente danneggiato da un eccesso di acqua nel terreno. Il clima ideale è quello subtropicale e temperato. POTATURA Non necessita di particolari interventi di potatura, tranne l'eliminazione, in inverno, dei rami secchi o mal disposti e dei polloni. RACCOLTA E CONSERVAZIONE La raccolta avviene in più riprese, facendo attenzione a non rompere il peduncolo dei frutti che, inoltre, una volta raccolti, non proseguiranno la maturazione. I fichi si consumano freschi oppure si possono far essiccare disponendoli lungo rastrelliere in posizione assolata. PARASSITI E MALATTIE Le cocciniglie intaccano rami e foglie, mentre l'antracnosi determina sulle foglie delle macchie bruno-rossastre.
KAKIComunemente conosciuto come kaki o diospiro, il Diospyros Kaki è una pianta longeva, alta da 5 a 12 m e originaria dell'Asia centrale. Possiede un apparato radicale espanso formato da una radice fittonante e numerose radici secondarie superficiali che lo rendono assai sensibile ai ristagni. I fiori possono essere ermafroditi, femminili o maschili, ma in genere si coltivano varietà con fiori femminili, che allegano senza fecondazione, dando origine a frutti privi di semi. Le branche e i rami sono fragili e si spezzano facilmente sotto il carico dei frutti, perciò, a volte, può essere utile sostenerli con dei tiranti o delle paline. E' coltivato in genere per le bacche globose di colore arancione-rosso dalla polpa dolce e succosa; esistono però alcune specie utilizzate a scopo unicamente ornamentale, tra cui il D. lotus, che è anche un ottimo portainnesto perché resistente alle basse temperature.PIANTAGIONE Si propaga all'inizio della stagione primaverile mediante innesto, a spacco o a gemma, impiegando portainnesti di 1 anno (D. lotus e D. virginiana). Le piantine innestate di 1 anno si mettono a dimora in autunno nelle zone a clima mite, altrimenti in primavera, distanziandole circa 6 m le une dalle altre. Il kaki entra in vegetazione tardi, a fine marzo-inizio aprile. CURE COLTURALI Il kaki richiede terreni fertili e permeabili e teme il freddo intenso, per cui nelle zone a clima più rigido deve essere ricoperto con coperture di paglia. POTATURA I fiori (isolati o in numero di 2-3 sulle ascelle fogliari) e quindi i frutti si trovano su rami nuovi inseriti a loro volta sui rami formatisi l'anno precedente; di conseguenza, quando si effettua la potatura di produzione bisogna limitare gli interventi a diradamenti e raccorciamenti e mantenere la forma di allevamento a cono o a vaso. RACCOLTA E CONSERVAZIONE La raccolta dei frutti si effettua in autunno, quando le bacche sono mature e quando la pianta ha già perso le foglie; solitamente occorre un certo periodo di post-maturazione prima di poterli consumare, per far perdere loro le sostanze tanniniche che li rendono astringenti e poco commestibili.
LAMPONEIl lampone (Rubus idaeus) è un arbusto cespuglioso, alto fino a 2,5 m e facile da coltivare. Ha tralci più o meno spinescenti, a seconda della cultivar, e foglie di colore verde intenso superiormente e bianco-cenere nella pagina inferiore. I frutti sono composti da piccole drupe aggregate di colore rosso, nero o violaceo. Richiede terreno fertile, lavorato in profondità, arricchito con sostanza organica, ben drenato (non resiste ai ristagni d'acqua) e con un pH neutro o leggermente acido, non superiore, cioè a 7,0, in modo da evitare che la pianta presenti carenza di ferro. Predilige un clima mite, con inverni non troppo freddi ed estati fresche; difficilmente le gelate tardive possono arrecare danni gravi, in quanto la fioritura è avanzata e scalare, mentre più pericoloso è il vento che può provocare l'avvizzimento dei tessuti erbacei, per questo è opportuno allestire dei ripari frangivento.
PIANTAGIONE E' consigliabile acquistare le piante in vivaio. Per propagare la pianta di lampone negli anni successivi si utilizzano i polloni radicali, che si formano in abbondanza; questa operazione si effettua durante il periodo di riposo vegetativo: si tagliano con la vanga le radici che uniscono il pollone alla pianta-madre e si mette a dimora in un solco preparato in precedenza, sufficientemente profondo da permettere di allargare le radici; infine, si assesta il terreno e si accorcia la piantina lasciando 3 gemme fuori dalla terra. I polloni devono essere collocati ad una distanza di circa 1 m l'uno dall'altro. Nel primo anno non si ottengono frutti, si formano solo i tralci che entreranno in produzione l'anno successivo, per poi seccare (le radici, invece, sono perenni). CURE COLTURALI A fine inverno è necessario somministrare una buona dose di letame maturo al momento dell'impianto; in seguito, annualmente e in primavera, è necessario arricchire il terreno con concimi minerali. Sempre in primavera, è utile una pacciamatura con composta, letame maturo o torba. POTATURA Con la potatura si esportano i rami che hanno fruttificato e i polloni deboli e malati, lasciando una decina di tralci vigorosi per ogni pianta, che vanno a loro volta cimati ad una altezza di circa 1,5 m per ottenere una produzione qualitativamente migliore e un ricaccio di polloni vigorosi. Il lampone va sempre sostenuto, altrimenti i rami si piegano sotto il peso di frutti e foglie; a questo scopo generalmente si utilizza una spalliera (paletti collegati da una serie di fili) alla quale si appoggiano e si legano le piante. Per quanto riguarda le cure colturali, importante è un regolare apporto di sostanza organica da interrare con zappettature frequenti e superficiali per non rovinare le radici. RACCOLTA E CONSERVAZIONE La maturazione è scalare e quindi la raccolta va effettuata a più riprese, quando i frutti sono ben maturi e si staccano con facilità dal ricettacolo. Si possono consumare freschi o trasformati in marmellate, confetture o sciroppi. Se congelati, si conservano per molto tempo. PARASSITI E MALATTIE Il lampone è soggetto agli afidi, che colpiscono foglie e germogli, e al marciume radicale, provocato dall'Armillariella mellea.
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