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STORIA MODERNA - La Rivoluzione IndustrialeL'"OFFICINA DEL MONDO"Col termine "rivoluzione industriale" gli storici indicano il grande processo di trasformazione economico-sociale verificatosi in Inghilterra negli ultimi decenni del secolo XVIII e poi diffusosi in Europa, a cominciare dalla Francia e dal Belgio. Mediante l'applicazione delle nuove invenzioni meccaniche alla tecnica produttiva, questo processo portò alla rapida trasformazione della Gran Bretagna da Paese prevalentemente agricolo in "officina del mondo". Nel corso dell'Ottocento e agli inizi del Novecento la rivoluzione industriale si diffuse in Europa, dopo aver già largamente coinvolto gli Stati Uniti d'America. Essa sconvolse e sradicò le antiche istituzioni sociali, rivoluzionando la secolare vita di villaggio, e creò il problema delle nuove città industriali. Costrinse il Parlamento inglese a riformarsi ed elevò la classe media al potere politico e alla proprietà. Creò infine la moderna classe dei salariati, ossia il proletariato, che cominciò ad organizzarsi politicamente, dando origine al movimento operaio. La fase decisiva del processo di rivoluzione industriale si ebbe quando una serie di innovazioni tecniche, utilizzando per la produzione la forza motrice meccanica (prima dell'acqua, poi del vapore), trasformò il processo produttivo, trasferendolo dall'abitazione, o dalla bottega artigiana, alla fabbrica, dove gran parte del lavoro era affidato alle macchine e svolto in équipe. I lavoratori agricoli furono costretti a emigrare a migliaia verso le zone industriali per cercare lavoro nelle fabbriche, mentre coloro che rimanevano nelle campagne vedevano ogni giorno di più abbassarsi il livello dei loro salari reali, dato il crescente costo della vita, conseguente alle guerre in cui l'Inghilterra era stata impegnata dal 1793 al 1815. Le nuove invenzioni accrebbero considerevolmente la produttività del lavoro e compromisero la posizione degli operai specializzati, il cui lavoro poteva essere svolto da macchine azionate da donne e da bambini. Queste macchine offrirono quindi lavoro a una manodopera che, avendo minore potere di resistenza, era disposta ad accettare bassi salari e a protrarre la giornata lavorativa sino a una lunghezza disumana. Oltre a rivoluzionare i metodi di produzione, le macchine sconvolsero il tradizionale assetto socio-ambientale. Esse infatti richiedevano la concentrazione della manodopera nelle fabbriche situate in determinate località: per esempio, le industrie metallurgiche sorsero nei pressi dei più importanti giacimenti minerari. Anche le zone ricche di cascate o di corsi d'acqua furono sfruttate per la produzione di energia idroelettrica e videro la concentrazione di insediamenti industriali e urbani. Gli operai furono spinti a lavorare più rapidamente e a lungo, in modo da ottenere il massimo profitto per il capitale impiegato. La possibilità offerta dalle macchine di produrre quantità di merci sempre maggiori non divenne quindi un mezzo per alleviare il lavoro, ma per aumentare la produttività. Contemporaneamente andò aumentando l'offerta di mano d'opera quale conseguenza del forte aumento del tasso di incremento demografico e, nonostante i miseri salari e le cattive condizioni igienico-sanitarie, la popolazione andò sempre più aumentando, concentrandosi nelle nuove città industriali e provocando un radicale mutamento nella sua distribuzione geografica. Quelli che erano stati piccoli centri agricoli si trasformarono in grandi città industriali. Per esempio Manchester, che nel 1770 aveva una popolazione di circa quarantamila abitanti, nel 1831 era salita a 240.000. L'improvviso balzo in avanti dello sviluppo demografico indusse T.R. Malthus a concepire la famosa teoria che da lui prese il nome di "malthusiana" e che dominò il pensiero economico per un'intera generazione. Egli indicò nello sviluppo illimitato della popolazione il pericolo di una pressione sui mezzi di sussistenza tale da rendere impossibile un aumento del tenore di vita oltre il livello minimo di sopravvivenza, così da erodere l'intero sistema sociale. La teoria malthusiana produsse effetti decisamente negativi: nel 1834 fu votata in Inghilterra una nuova legge sui poveri che aboliva i sussidi dati alle famiglie numerose e imponeva la segregazione dei sessi nelle case di lavoro. La rivoluzione industriale entrò in una fase di ulteriore accelerazione a partire dalla seconda metà del secolo, in seguito alla soppressione delle leggi protezionistiche che danneggiavano gli interessi della classe imprenditoriale. A guidare l'Inghilterra in questa importante conversione alle leggi del libero scambio fu il gruppo liberal-conservatore guidato da Robert Peel (1846-1849). Le trasformazioni conseguenti all'industrializzazione si fecero sentire anche nel resto dell'Europa. Il processo di trasformazione investì, infatti, vari Paesi europei e i suoi influssi variarono a seconda delle condizioni e delle caratteristiche dei luoghi, oltre che dell'epoca in cui si realizzò pienamente. Per esempio, in Francia e in Italia i complessi industriali rimasero relativamente piccoli sino al Novecento, e solo dopo la prima guerra mondiale ebbe inizio l'industrializzazione di vasti settori dell'Europa centro-orientale. Comunque, pur presentandosi con quasi un secolo di ritardo in Germania e in Francia, rispetto all'Inghilterra, e ancor più tardi in Russia, in Italia e in altri Paesi, la rivoluzione industriale ebbe dovunque caratteristiche ed effetti simili. Dappertutto si presentò associata a un aumento della popolazione, all'applicazione della scienza all'industria e a un intenso ed esteso impiego del capitale. Dovunque si verificò una conversione delle comunità rurali in comunità urbane e poi suburbane e dovunque si assistette alla nascita di nuove classi sociali in un arco di tempo che può essere compreso tra il 1818 e il 1914.![]() LA RIFORMA PARLAMENTARE IN INGHILTERRANei primi decenni dell'Ottocento, la richiesta di riforme liberali non mancò di suscitare aspri conflitti e lotte sociali anche in Inghilterra, dove alla lotta politica delle classi borghesi contro i ceti possidenti si aggiunsero le agitazioni proletarie causate dalla rivoluzione industriale. Lo scontro tra i gruppi conservatori e quelli liberali - tra i "whigs" e i "tories", per dirla all'inglese - avvenne soprattutto sul tema della riforma parlamentare ed elettorale. Il sistema elettorale vigente, rigidamente basato sul censo, riservava di fatto ai maggiori possidenti terrieri quasi l'esclusività della rappresentanza parlamentare e relegava al margine della vita politica le classi imprenditoriali che costituivano il vero motore della rivoluzione industriale in atto. Inoltre la distribuzione dei collegi elettorali era tale per cui piccoli distretti di campagna eleggevano un numero di deputati superiore a quello delle più grandi città industriali (Birmingham, Manchester, Londra). Contro questo sistema, profondamente iniquo, reagirono dapprima i gruppi radicali, ma la loro lotta non ebbe successo. Essa determinò, al contrario, una dura repressione governativa, che si concretizzò nell'adozione di misure repressive, tra le quali la sospensione dell'Habeas corpus, e l'introduzione dei Six Acts (1818). In seguito anche i "whigs" si unirono ai radicali e gli effetti di questa alleanza non tardarono: nel 1832 fu approvato infatti un Reform Act che, pur non accogliendo la richiesta radicale del suffragio universale, adeguava le circoscrizioni elettorali alla nuova distribuzione della popolazione. Era la prima volta, dopo il 1689, che la classe politica inglese accettava l'idea e la pratica delle riforme. L'anno seguente il nuovo Parlamento a maggioranza "whig" decretò l'abolizione della schiavitù nelle colonie britanniche. Frattanto, con l'abolizione nel 1824 delle Combination Laws, le leggi che proibivano l'associazionismo e il riconoscimento legale dei sindacati, si era andata notevolmente estendendo l'attività delle associazioni dei lavoratori e delle organizzazioni politiche di varia tendenza radicale: dai "cartisti", propugnatori di una organizzazione democratica dell'elettorato e del Parlamento, ai filosofi utilitaristi, seguaci di Jeremy Bentham, che si battevano per riformare la pubblica amministrazione e il sistema giudiziario, tra i quali spiccava John Stuart Mill. Benché il cartismo (il nome derivava dal People's Charter, lo Statuto del popolo, redatto nel 1838 da W. Lowett e F. Place) come movimento politico fosse una filiazione dell'artigianato benestante londinese, si affermò soprattutto nelle zone industriali del nord, e ad esso si unirono la "Birmingham Union" e i "Leads" che introdussero elementi di estremismo radicale, tanto da trasformare il movimento cartista nel maggiore accusatore dei mali dell'industrializzazione e da sconvolgere la sicurezza e la stabilità politica dell'Inghilterra nel primo periodo dell'età vittoriana. Fu comunque durante il regno della regina Vittoria (1837-1901) che si ebbe in Inghilterra la piena affermazione del liberismo economico, mentre il Paese andava assumendo le caratteristiche di "officina del mondo", grazie a una politica di espansionismo coloniale che consentiva di importare materiale greggio e di esportare manufatti.FRANCIA E INGHILTERRA DURANTE LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALELa Rivoluzione del 1830 segnò per la Francia l'inizio di una nuova epoca, caratterizzata in campo economico dalla definitiva affermazione dell'ideologia e del sistema liberale, e in campo economico dalla piena attuazione della rivoluzione industriale. Profonde analogie vennero così a stabilirsi tra il sistema economico-politico francese e inglese. Anzi, ad un certo punto, dal 1830 al 1840, la Francia riuscì addirittura a porsi all'avanguardia dell'evoluzione economica in atto in Europa. Francia ed Inghilterra raggiunsero inoltre, negli anni Trenta, una cordiale e fattiva intesa nella politica estera, convenendo sulla necessità di assumere un atteggiamento ostile verso la Santa Alleanza. La "Cordiale Intesa" non ebbe però lunga vita. Nel 1839 infatti le due potenze assunsero posizioni diametralmente opposte nella contesa in atto tra il pascià d'Egitto, Mehemet Alì, che rivendicava la Siria e una completa autonomia da Costantinopoli, e la Turchia, che col sostegno della Russia si opponeva a queste aspirazioni. La Francia si schierò infatti con l'Egitto, mentre l'Inghilterra, col Patto di Londra del 1840, si impegnò, unitamente ad Austria, Russia e Prussia, ad appoggiare la Turchia. La firma del Patto di Londra suscitò immediate ripercussioni in Francia, dove il primo ministro Thiers, accusato dai nazionalisti di aver riportato di nuovo la Francia in una posizione di isolamento internazionale, fu costretto a dimettersi. Il suo successore, Guizot, di tendenze conservatrici, si fece interprete di una politica sostanzialmente antiliberale. Negli anni seguenti, con l'appoggio di Luigi Filippo, mirò soprattutto a salvaguardare gli interessi economici della borghesia, senza minimamente impegnare il governo nella risoluzione dei gravi problemi economici e sociali che la rivoluzione industriale causava.LA QUESTIONE SOCIALELa rivoluzione industriale scardinò il vecchio sistema economico, caratterizzato da un'assoluta preminenza dell'agricoltura, e il conseguente assetto sociale, provocando la nascita di una nuova classe: il proletariato. Le condizioni dei proletari erano inizialmente drammatiche: abitavano negli affollatissimi quartieri alla periferia delle città (slums, in Inghilterra), non erano tutelati sindacalmente, percepivano salari molto bassi, erano privi di istruzione e di assistenza medica. Già all'inizio dell'Ottocento si registrano le prime forme di protesta della nuova classe sociale: essa dapprima vagheggia un ritorno all'antico sistema produttivo e la distruzione delle macchine (luddismo da Ned Ludd, il leggendario fondatore del movimento), ritenute causa di disoccupazione. Successivamente, si costituiscono le prime associazioni operaie segrete (Trade Unions) che diventano veicoli di rivendicazione salariale e politica. Ma i primi moti operai vengono duramente repressi e, per tutto l'Ottocento, l'atteggiamento dei governi europei è intransigente nei confronti delle rivendicazioni dei proletari. Si attuano concessioni, ma sempre in merito a questioni sindacali; le masse operaie sono escluse dal diritto di voto e quindi dall'esercizio attivo della politica. Nella prima metà dell'Ottocento, si sviluppa una corrente di pensiero che, analizzando le disumane condizioni di vita della classe proletaria e rifacendosi al fallimento delle precedenti esperienze rivoluzionarie (Rivoluzione francese, congiura di Babeuf), giunge alla teorizzazione di diverse forme di organizzazione sociale. Principali esponenti di questa corrente, che fu detta poi socialismo utopistico, furono i francesi Claude-Henri Saint-Simon e Charles Fourier. Il primo aspirava alla costruzione di una società fondata sul lavoro, nella quale i ceti produttivi gestissero il potere. Il secondo riteneva invece che i mali della società capitalistica fossero principalmente dovuti allo sviluppo delle grandi fabbriche, nelle quali il lavoro era ripetitivo e alienante. La società che egli prospettava avrebbe dovuto essere un aggregato di falansteri, gruppi lavorativi di circa 1.800 persone, la cui retribuzione fosse commisurata alle capacità e alle prestazioni individuali. Questi progetti ebbero realizzazioni fallimentari e ben poche conseguenze nella vita delle masse operaie le quali, seppure escluse da ogni ruolo politico attivo, parteciparono, in collaborazione con le forze liberali, ai moti che squassarono l'Europa nella prima metà dell'Ottocento. Fu in occasione dei moti del '48 che Carlo Marx scrisse, con Friedrich Engels, il Manifesto del partito comunista, testo base dell'internazionalismo proletario. Marx fu il primo grande studioso della nuova società creata dalla rivoluzione industriale. Egli sosteneva che la società capitalista, come quelle che l'avevano preceduta, fosse caratterizzata dalla lotta tra le diverse classi sociali (teoria della lotta di classe). Essa avrebbe portato al definitivo trionfo del proletariato, unito, al di là di ogni nazionalismo, contro i capitalisti che ne sfruttavano il lavoro. In conseguenza di questa visione globale della lotta del proletariato, egli fondò a Londra, nel 1864, la Prima Internazionale, associazione dei lavoratori che si prefiggeva lo scopo di coordinare le masse operaie al fine di instaurare una società basata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione. Lo strumento per raggiungere tale obiettivo era, secondo Marx, proprio la lotta di classe e per questo vennero esclusi dall'Internazionale i mazziniani, che aspiravano invece ad una collaborazione fraterna tra capitalisti e operai. Successivamente anche un altro oppositore di Marx, il russo Michail Bakunin, lasciò l'Internazionale. Bakunin era un teorico dell'anarchismo, una dottrina politica che auspicava la costituzione di una società egualitaria mediante l'abolizione della proprietà privata e dell'autorità statale. Bakunin respingeva la tesi marxiana di una dittatura del proletariato, fase intermedia tra la società capitalista e la nuova società comunista, ma la sua linea politica fu sconfitta. La defezione di mazziniani e anarchici indebolì l'Internazionale che subì un duro colpo anche dalla sconfitta della Comune di Parigi (vedi più avanti) del 1871, nella quale Marx aveva individuato una delle prime forme di organizzazione politica consapevole del proletariato. L'Internazionale si sciolse quindi nel 1876 e fu seguita da una Seconda Internazionale che si costituì nel 1889. In essa, però, le rivendicazioni sindacali (otto ore lavorative, regolamentazione del lavoro femminile e minorile) prevalsero sulla volontà marxiana di conquista del potere attraverso la distruzione del capitalismo. Sul finire dell'Ottocento, si rafforzò l'ala revisionista del socialismo, il cui teorico era stato il prussiano Karl Kautsky. Egli rinnegava la lotta di classe come strumento di azione politica e proponeva la collaborazione con i settori più progressisti della borghesia per operare una graduale trasformazione della società capitalistica dal suo interno. Tutta la storia dei partiti socialisti nella seconda metà dell'Ottocento è segnata dal contrasto tra marxisti intransigenti e revisionisti.![]() PICCOLO LESSICOCARTISMOÈ il movimento riformista che animò la vita politica britannica tra il 1837 e il 1848. Esso prende nome dalla Carta del popolo, pubblicata nel 1837 dall'Associazione dei lavoratori di Londra, in risposta alla riforma elettorale del 1832, compiuta a beneficio della sola borghesia. Essa rivendicava: 1) il suffragio universale; 2) un'equa suddivisione delle circoscrizioni elettorali; 3) il voto segreto; 4) l'eleggibilità dei non proprietari; 5) l'indennità parlamentare; 6) la limitazione a un anno della durata delle legislature.HABEAS CORPUSCon questa espressione viene indicata una legge inglese emanata da Carlo II nel 1679. In base ad essa, i cittadini accusati o imprigionati hanno diritto alla libertà provvisoria, nel caso non vengano processati entro il terzo giorno dalla incarcerazione. É una legge che, di fatto, impedisce l'arresto arbitrario dei cittadini.PROLETARIATOÈ la classe sociale emergente (per numero) della rivoluzione industriale. Comprende infatti le masse operaie che, nel corso del XIX secolo, vanno sempre più emancipandosi, organizzandosi in corporazioni. Il proletariato svolge una funzione determinante nella dottrina marxista. Qui il proletario viene definito come colui che possiede come unica risorsa di vita la remunerazione che gli viene concessa per la vendita della propria forza lavoro.UTILITARISMODottrina filosofica che identifica la morale con l'utilità. Essa sostiene che la piena utilità del singolo individuo non può essere riconosciuta se non in accordo con l'utilità collettiva. I primi assertori di questa teoria furono i filosofi J. Stuart Mill e Jeremy Bentham.PERSONAGGI CELEBRITHOMAS ROBERT MALTHUS(Surrey, 1766 - Hertford 1834). Economista inglese. Nacque in una famiglia della borghesia con notevoli interessi culturali (la sua casa paterna era frequentata dal filosofo francese J.-J. Rousseau). Compì gli studi a Cambridge e divenne pastore anglicano ad Albury. Nel 1805, fu nominato professore di economia politica nel collegio di Haileybury, insegnandovi contemporaneamente storia moderna. Qui conobbe W. Pitt e, dal 1811, l'economista inglese D. Ricardo, cui fu legato da profonda amicizia. Malthus compì, a partire dal 1799, numerosi viaggi in Europa (Norvegia, Finlandia, Russia, Francia, Svizzera) per raccogliere la documentazione necessaria per i propri studi economici, anticipando, in tal senso, la linea che sarà poi seguita dai più moderni economisti.VITTORIA D'INGHILTERRA(Londra 1819 - Osborne 1901). Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, imperatrice delle Indie. Nacque da Edoardo, duca di Kent, quarto figlio del re Giorgio III, e dalla principessa Vittoria Maria Luisa di Sassonia-Coburgo. Alla morte del padre diventò, all'età di otto mesi, principessa ereditaria ed ebbe come tutore lo zio Leopoldo, futuro re del Belgio. Vittoria fu allevata secondo un'educazione semplice e rigorosa a Kensington Palace, sotto la guida della madre e dello zio. Alla morte, senza eredi, dello zio Guglielmo IV (1837), fratello e successore di Giorgio III, la diciottenne Vittoria, chiamata alla successione, fu incoronata il 28 giugno 1838. Ben accolta dall'opinione pubblica, trovò un valido collaboratore politico nel capo del gabinetto whig, lord Melbourne, che la portò a simpatizzare per i "whigs" e a entrare in contatto con Robert Peel, deputato rigidamente conservatore. Nel 1840, Vittoria si sposò con il cugino, principe Alberto di Sassonia-Coburgo, ponendo fine ad una vita piuttosto frivola. Dall'unione nacquero ben nove figli: la famiglia reale divenne agli occhi dell'opinione pubblica inglese un modello di rispettabilità e di decoro, ben accetto anche alla borghesia. Il principe consorte Alberto, fu da allora il più stretto collaboratore della regina che, per la sua influenza ideologica, abbracciò la linea politica dei conservatori e, quindi, del Peel. Durante il suo regno la Gran Bretagna ingrandì notevolmente i suoi possessi d'oltremare: si costituì l'Impero indiano, di cui Vittoria cinse ufficialmente la corona nel 1877.RIASSUNTO CRONOLOGICO1818-1914: Anni di attuazione della cosiddetta "rivoluzione industriale". 1818: Vengono introdotti i "Six Acts". 1824: Vengono abolite le "Combination Laws". 1832: Viene approvato il "Reform Act". 1834: Viene votata in Inghilterra la nuova legge sui poveri. 1837: Viene redatta la Carta del popolo. 1838-1901: Regno della regina Vittoria. 1846-1849: Governo Peel. |
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