LA FRANCIA DI LUIGI XVI
All'inizio della seconda
metà del secolo XVIII venne a mancare in Francia una guida politica
sicura. Infatti, negli ultimi anni del suo regno, Luigi XV prese sempre meno
parte all'attività di governo, lasciando che se ne occupasse il figlio.
Questi, dal 1757, presenziò ai Consigli e avrebbe probabilmente
assicurato alla Francia una guida politicamente capace e attiva, ma nel 1765
morì. Pertanto, nel 1774, toccò al suo giovane figlio di succedere
al nonno. Quando fu incoronato, Luigi XVI aveva vent'anni ed era privo di
qualsiasi esperienza di governo.
Non era pertanto nelle condizioni di poter
garantire alla Francia una guida politica sicura e autorevole. Il Paese si
trovava inoltre in gravissime difficoltà finanziarie.
La
gravità stava non tanto nell'ammontare del debito pubblico, quanto
nell'incapacità di risolvere il problema del crescente
disavanzo.
Nei decenni precedenti le spese del governo erano andate
aumentando e le fonti abituali del reddito non erano più in grado di
sostenere lo sforzo bellico.
Nel 1787, alla fine della guerra di
indipendenza americana (la partecipazione alla guerra aveva causato alla Francia
ingenti perdite finanziarie) il deficit era sempre più ingente. La
Francia rimaneva tuttavia uno Stato ricco e potente, che contava circa 26
milioni di abitanti, sostenuto da un'economia piuttosto florida. Negli ultimi
decenni si era avuto un notevole sviluppo industriale e commerciale: la
borghesia mercantile e imprenditoriale era prospera e anche la classe contadina
godeva in genere di maggior floridezza che in qualsiasi altro Paese d'Europa (i
contadini possedevano i due quinti della terra e la sfruttavano interamente).
Ma, a partire dagli anni Settanta, l'asprezza della crisi finanziaria,
accompagnata dal crescente malcontento delle masse rurali, colpite da una
politica favorevole ai ceti urbani, alimentarono i fermenti di rivolta che
dovevano poi sfociare in aperta rivoluzione. Se le imposte fossero state
proporzionali al reddito, il maggiore onere fiscale sarebbe ricaduto sulla
classe privilegiata. Invece le imposte dirette e indirette colpivano soprattutto
i contadini-proprietari e le classi urbane meno abbienti, mentre i nobili, il
clero e i detentori di cariche erano esenti da imposte. Pertanto, in un Paese in
cui circa mezzo milione di persone, che costituivano la minoranza privilegiata
dei detentori del potere politico, erano esentate dal pagamento delle tasse, lo
sviluppo economico non poteva non risultare squilibrato e il clima sociale e
politico generale del Paese non poteva non essere potenzialmente
esplosivo.
Sopravviveva la tradizionale struttura giuridica basata sulla
divisione in tre classi o «stati»: clero, nobiltà, terzo stato,
che riconosceva ai primi due (circa mezzo milione di persone) particolari
privilegi. Inoltre, la composizione sociale dei due «stati» che
costituivano la classe dominante era resa omogenea dal fatto che
pressoché tutte le più alte cariche della gerarchia ecclesiastica
erano detenute da aristocratici. All'epoca di Luigi XVI tutti i vescovi
appartenevano alla nobiltà, mentre altri membri delle stesse famiglie
detenevano il monopolio delle più importanti cariche dell'amministrazione
pubblica e dell'esercito. Nonostante il permanere degli antichi privilegi,
grandi ricchezze si erano andate accumulando nelle mani di un nuovo ceto
composto da mercanti, imprenditori, armatori, funzionari e professionisti,
principali protagonisti di quel nuovo fenomeno di mobilità sociale, che
cominciava a incrinare il tradizionale immobilismo delle caste. Mentre l'alto
clero, espresso dalla nobiltà di corte, si era ulteriormente arricchito
grazie ai vasti possedimenti terrieri di cui disponeva (un sesto dell'intera
superficie coltivata), il basso clero si era invece impoverito. Altrettanto era
avvenuto nell'ambito della classe nobiliare: all'alta nobiltà, che in
certe zone possedeva oltre la metà delle terre, e che si era
ulteriormente arricchita in seguito a legami stipulati con grandi finanzieri, si
contrapponeva la condizione dei nobilotti di provincia, gli
«hoberaux», molti dei quali risultavano più poveri degli stessi
contadini, per cui l'unica loro ricchezza consisteva nell'orgoglio di
appartenere a una casta chiusa. Più considerevoli erano i mutamenti
avvenuti nell'ambito del «terzo stato», di cui facevano parte tutti
coloro che non appartenevano né al clero né alla nobiltà.
Esso costituiva una grande piramide, al cui vertice stavano i ricchi mercanti,
industriali e finanzieri e alla base il proletariato industriale e agricolo.
Date le esenzioni fiscali di cui godevano clero e nobili, l'onere di provvedere
alle spese dello Stato ricadeva, come abbiamo già sottolineato, sulla
borghesia urbana e sugli agricoltori più agiati, ossia sulla classe
esclusa dalla gestione del potere politico.
GLI STATI GENERALI
Borghesia e ceti popolari della città e
della campagna avevano quindi gravi motivi di malcontento e reclamavano a gran
voce provvedimenti che ponessero fine all'ingiustizia presente nel sistema
fiscale. Ma, nel timore che una riforma governativa accogliesse in qualche modo
le rivendicazioni di questi ceti, furono le classi aristocratiche ad avviare la
rivolta contro l'assolutismo.
L'occasione fu loro fornita dalla decisione
del sovrano di introdurre una imposta proporzionale su tutta la proprietà
fondiaria, senza distinzione tra le varie classi sociali. Nel tentativo di
fermare questo progetto, nel 1787 iniziò nel Paese una grande agitazione
aristocratica volta ad ottenere la convocazione degli Stati Generali, ai quali
soltanto, in base alla legge francese, spettava il potere di decidere in merito
ad una così importante modifica dell'ordinamento fiscale. Agli
aristocratici si unirono i parlamentari e ben presto nel Paese scoppiarono moti
insurrezionali.
Il re fu così costretto ad acconsentire alla
richiesta, promettendo la convocazione per il maggio del 1789. Fu allora che
entrarono in scena le classi possidenti del «Terzo Stato» e si ebbe il
primo scontro tra borghesia e ordini privilegiati sulla questione della
rappresentanza agli Stati Generali e del metodo da tenersi nelle votazioni (per
ordine o per testa). Chi infatti rappresentava legittimamente la nazione, in
quel momento? La nobiltà e il clero, classi privilegiate e improduttive,
o il Terzo Stato, composto dalla parte attiva e più numerosa della
popolazione?
Il «Parlement» di Parigi, portavoce delle classi
privilegiate, schierato ovviamente a difesa della prima ipotesi, aveva richiesto
che gli Stati Generali si costituissero come nel 1614 (anno dell'ultima loro
convocazione), in modo che, privilegiando la votazione per ordine, la
nobiltà e il clero continuassero a detenere la maggioranza. In tal modo,
nobilità e clero, che rappresentavano complessivamente una percentuale
nettamente minoritaria rispetto a quella del Terzo Stato, riuscivano a
perpetuare la loro tradizionale egemonia politica.
La pronta reazione del
Terzo Stato, che si espresse con violente agitazioni in tutto il Paese,
costrinse il Parlamento a ritirare la proposta. Venne così accolta la
richiesta della borghesia, secondo la quale al Terzo Stato spettava un numero
doppio di rappresentanti rispetto al passato.
L'INIZIO DELLA RIVOLUZIONE
Gli Stati Generali vennero ufficialmente
inaugurati dal re a Versailles il 5 maggio 1789, mentre rimaneva ancora sospesa
la questione riguardante la procedura del voto, se cioè la votazione si
sarebbe basata sul computo dei suffragi individuali e in un'unica assemblea o se
ciascuno dei tre stati avrebbe espresso il proprio voto in un'assemblea
separata. Nella sua richiesta di votare in assemblea comune, il Terzo Stato
trovò l'appoggio di una buona parte dei rappresentanti del clero
parrocchiale, e di una non trascurabile minoranza «liberale» dei
rappresentanti della nobiltà.
Il 10 giugno 1789 il Terzo Stato,
incoraggiato dalle manifestazioni di protesta popolare, decise così di
passare all'azione e il 17 giugno, con una maggioranza di 491 deputati contro
89, si autoproclamò Assemblea Nazionale (che assumerà, più
tardi, il nome di Costituente) ottenendo l'adesione, a titolo personale, di
alcuni rappresentanti del clero parrocchiale e della nobiltà, tra cui il
duca d'Orléans. Il 20 giugno i rappresentanti dell'Assemblea giurarono
solennemente di non separarsi prima di aver proclamato la costituzine, basandola
su solide fondamenta. Questo atto di sfida politica fu il primo passo importante
verso il tramonto della monarchia assoluta. Frattanto il clero aveva deciso, sia
pure con un'esigua maggioranza, di unire le proprie sorti a quelle del Terzo
Stato e la maggior parte dei suoi rappresentanti entrarono a far parte
dell'Assemblea, nella quale confluirono poi anche parecchi esponenti della
nobiltà.
Il re e l'aristocrazia tentarono in ogni modo di stroncare
l'aperta ribellione del Terzo Stato, ma il sostegno della popolazione parigina
all'Assemblea Nazionale rese inutili i tentativi compiuti dal re, che presto si
rese conto di non poter contare neppure sull'appoggio delle forze armate. Il
tentativo del partito di corte di riaffermare l'autorità del re non fece
che precipitare gli eventi. All'inizio di luglio scoppiarono tumulti che
portarono alla demolizione di pressoché tutti i caselli del dazio,
vennero assaliti i monasteri e i negozi degli armaioli. Il 14 luglio la folla
dei dimostranti diede l'assalto alla prigione parigina della Bastiglia.
L'avvenimento ebbe conseguenze di vasta portata: l'Assemblea ottenne il
riconoscimento da parte del re, il partito di corte cominciò a
disgregarsi, nella capitale il potere venne assunto dagli elettori che
istituirono un consiglio municipale, nominando sindaco J.S. Bailly e comandante
della Guardia Nazionale il generale La Fayette.
La notizia degli eventi
parigini intensificò ed estese le rivolte contadine che erano già
in atto nel Paese, trasformandole in vere e proprie rivoluzioni municipali
contro gli istituti feudali. I castelli furono presi d'assalto, i documenti sui
quali i nobili fondavano i loro diritti feudali vennero bruciati. Ovunque
l'esercito appoggiò gli insorti.
L'Assemblea Nazionale,
profondamente scossa da questi avvenimenti, votò il 3 agosto l'abolizione
del sistema feudale. Il 26 dello stesso mese approvò la
«Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino», il vero e
proprio manifesto programmatico della Rivoluzione.
In essa erano contenuti
tutti i principi del nuovo sistema costituzionale borghese: libertà
individuale, eguaglianza di fronte alla legge, sovranità popolare,
diritto di proprietà. Luigi XVI rifiutò di approvare sia la
«Dichiarazione» che la decisione antifeudale dell'11 agosto, e questo
fatto suscitò nella popolazione parigina il fondato timore che si stesse
preparando una imminente controrivoluzione. Per scongiurare questo pericolo, nel
mese di ottobre la popolazione parigina ricorse nuovamente all'insurrezione.
Messo alle strette, il sovrano ratificò i decreti approvati
dall'Assemblea Nazionale e dichiarò «legittima» la
Dichiarazione. La Corte e l'Assemblea si trasferirono a Parigi.
Questi
avvenimenti, se da un lato portarono alla definitiva vittoria contro
l'assolutismo monarchico, dall'altro contribuirono ad inasprire ulteriormente i
contrasti politici esistenti all'interno dello schieramento rivoluzionario. Come
abbiamo visto, infatti, in esso ed anche nell'Assemblea Costituente erano
confluiti gli esponenti di diverse classi sociali e, di conseguenza, di diversi
modi di intendere il processo rivoluzionario. I moderati-costituzionali,
espressione della parte più «illuminata» della nobiltà e
della borghesia più ricca, miravano all'accordo istituzionale tra
nobiltà e borghesia; facevano capo al Club degli Amici del 1789 ed
avevano in La Fayette, Barnave e Duport i loro più prestigiosi
rappresentanti. Per la piena instaurazione di un regime borghese e repubblicano
si battevano invece gli appartenenti alla Società degli Amici della
Costituzione, detti anche giacobini, che avevano in Maximilien de Robespierre,
deputato di Arras, il loro capo riconosciuto. Vi era, infine, il movimento
popolare dei sanculotti, formato da operai, artigiani, piccoli imprenditori e
bottegai, che rappresentava l'ala più radicale del movimento
rivoluzionario, quella che si batteva per l'instaurazione di un sistema
repubblicano e democratico.
Nella prima fase della Rivoluzione fu la
componente moderata ad avere il sopravvento: essa riuscì infatti a far
prevalere i propri disegni politici nell'Assemblea Nazionale e, quindi, a
promuovere l'opera di rifondazione delle istituzioni politiche, allora
intrapresa. Tra l'ottobre del 1789 e il settembre del 1792 l'Assemblea
Costituente diede vita infatti ad un sistema monarchico-costituzionale che aveva
la sua base sociale nell'alta borghesia e nella nobiltà liberale. La
stessa Costituzione che venne approvata nel 1791, pur richiamandosi ai principi
della «Dichiarazione», rispecchiò in pieno il pensiero delle
classi borghesi e dei gruppi politici moderati, non accogliendo le istanze di
democrazia diretta che erano sostenute dai rivoluzionari più radicali.
Venne introdotta infatti una netta distinzione tra cittadini «attivi»
e «passivi» sulla base della loro contribuzione fiscale, e negato il
diritto di voto a coloro che non pagavano tasse per un valore corrispondente ad
almeno tre giorni di salario. Ignorando le energiche proteste dei rappresentanti
giacobini, tra i quali si segnalò Robespierre, l'Assemblea decise inoltre
di limitare la eleggibilità a deputato a coloro che pagavano imposte
dirette per almeno cinquanta franchi. Nonostante questi limiti, il diritto di
voto venne esteso a oltre quattro milioni di persone e ai deputati fu
riconosciuta l'immunità parlamentare. La Francia venne divisa in 83
dipartimenti, 547 distretti, 4.732 cantoni, 43.360 comuni. Rimaneva ancora da
risolvere il grosso problema del feudalesimo agrario, abolito sulla carta dai
decreti dell'anno precedente. Inoltre si poneva l'esigenza di definire la nuova
posizione della Chiesa e del clero sulla base della Costituzione civile del
clero, votata nel 1790, che faceva coincidere i nuovi confini delle diocesi con
quelli dei dipartimenti, decretava l'eleggibilità popolare dei vescovi e
dei parroci e la corresponsione di uno stipendio al clero secolare. Ciò
provocò, nell'autunno del 1790, un conflitto tra Chiesa e Stato che
portò allo scisma della Chiesa francese, ancora prima che il Papa
condannasse le riforme introdotte. Netto apparve il contrasto tra alto e basso
clero. Infatti, mentre pochi vescovi accettarono le nuove disposizioni, circa la
metà dei parroci prestò giuramento.
La presa della Bastiglia
LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL'UOMO E DEL CITTADINO
I rappresentanti del popolo francese, costituiti
in Assemblea Nazionale, considerando che l'ignoranza, l'oblio o il disprezzo dei
Diritti dell'Uomo sono le sole cause delle sciagure pubbliche e della corruzione
dei governi, hanno deciso di esporre in una solenne Dichiarazione i diritti
naturali, inalienabili e sacri dell'uomo, affinché questa Dichiarazione,
sempre presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro
incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché gli atti del
potere legislativo e quelli del potere esecutivo, potendo essere ad ogni istante
paragonati con gli scopi di ogni istituzione politica, siano più
rispettati; affinché i reclami dei cittadini, fondati da ora in poi su
principi semplici ed incontestabili, siano rivolti sempre al mantenimento della
costituzione e della felicità di tutti. In conseguenza l'Assemblea
Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell'Ente
Supremo, i seguenti diritti dell'uomo e del cittadino:
1. Gli uomini nascono e vivono liberi ed uguali nei diritti. Le
distinzioni sociali non possono essere fondate che
sull'utilità
comune.
2. Il fine di ogni associazione politica è la
conservazione dei
diritti naturali e imprescrittibili dell'uomo.
Questi diritti
sono: la libertà, la proprietà, la
sicurezza e la resistenza
all'oppressione.
3. Il principio
di ogni sovranità risiede essenzialmente nella
Nazione; nessun
corpo, nessun individuo può esercitare
un'autorità che
non emani espressamente da essa.
4. La libertà consiste nel
poter fare tutto ciò che non nuoce ad
altri. Così
l'esercizio dei diritti naturali di ciascun
individuo non ha altri
limiti se non quelli che assicurino
agli altri membri della
società il godimento di questi stessi
diritti. Questi limiti
non possono essere determinati che
dalla legge.
5. La
legge ha il diritto di proibire soltanto le azioni nocive
alla
società. Tutto ciò che non è proibito dalla legge non
può
essere impedito, e nessuno può essere costretto a
fare ciò che
essa non ordina.
6. La legge è
l'espressione della volontà generale. Tutti i
cittadini hanno
diritto a concorrere personalmente o per mezzo
dei loro rappresentanti
alla sua formazione. Essa deve essere
eguale per tutti, sia che
protegga, sia che punisca. Essendo i
cittadini uguali dinnanzi a essa,
sono ugualmente ammissibili
a tutte le dignità, uffici ed
impieghi pubblici, secondo le
loro capacità e senza altre
distinzioni che quelle delle loro
virtù e dei loro
talenti.
7. Nessun uomo può essere accusato, arrestato o
detenuto, se non
nei casi contemplati dalla legge e secondo le forme
che essa
ha prescritto. Coloro che promuovono, trasmettono, eseguono o
fanno eseguire ordini arbitrari, debbono essere puniti; ma
ogni cittadino, chiamato o arrestato in forza della legge,
deve
obbedire all'istante. Egli si rende colpevole resistendo.
8. La
legge non deve stabilire che pene strettamente ed
evidentemente
necessarie, nessuno può essere punito se non in
forza di una
legge stabilita e promulgata anteriormente al
delitto e legalmente
applicata.
9. Poiché ciascuno è presunto innocente
finché non è stato
dichiarato colpevole, se è
giudicato indispensabile
l'arrestarlo, ogni rigore che non sia
necessario per
assicurarsi della sua persona, deve essere severamente
represso dalla legge.
10. Nessuno deve essere disturbato
per le sue opinioni anche
religiose, purché la manifestazione
di esse non turbi l'ordine
pubblico stabilito dalla
legge.
11. La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni
è uno
dei diritti più preziosi dell'uomo. Ogni cittadino
può dunque
parlare, scrivere e pubblicare liberamente, salvo a
rispondere
dell'abuso di questa libertà nei casi determinati
dalla legge.
12. La garanzia dei diritti dell'uomo e del cittadino
rende
necessaria una forza pubblica; questa forza è dunque
istituita per il vantaggio di tutti e non per l'utilità
particolare di quelli cui è affidata.
13. Per il mantenimento
della forza pubblica e per le spese di
amministrazione un contributo
comune è indispensabile. Esso
deve essere ugualmente ripartito
fra tutti i cittadini in
proporzione dei loro averi.
14. I
cittadini hanno il diritto di constatare da se stessi o per
mezzo dei
loro rappresentanti la necessità del contributo
pubblico, di
consentirlo liberamente, di controllarne
l'impiego e di determinarne
la quota, la distribuzione,
l'esazione e la durata.
15. La
società ha diritto di chiedere conto ad ogni pubblico
ufficiale
della sua amministrazione.
16. Ogni società nella quale non
sia assicurata la garanzia dei
diritti, e determinata la separazione
dei poteri, non ha
costituzione.
17. Essendo la
proprietà un diritto inviolabile e sacro, nessuno
potrà
esserne privato se non quando la necessità pubblica,
legalmente
constatata, lo esiga evidentemente, e sempre con la
condizione di una
giusta e preliminare indennità.
LA FUGA DEL RE
Anche dopo la definitiva sconfitta dell'ottobre
1789, la monarchia e l'aristocrazia non si rassegnarono ad accettare
passivamente il nuovo regime, anzi non esitarono ad organizzare un movimento
controrivoluzionario. Ad avere una parte fondamentale in tal senso furono
soprattutto i gruppi di nobili esuli. Questi infatti, una volta usciti dai
confini francesi, allestivano veri e propri piccoli eserciti e incitavano i
governi a prendere le armi contro la Rivoluzione. Anche all'interno del Paese,
tuttavia, le forze realiste, sfruttando il grave malessere delle masse
contadine, organizzavano ripetutamente tumulti controrivoluzionari.
Dal
canto suo, anche il sovrano si dimostrava irriducibile. Fu anzi proprio il
sovrano a causare l'improvviso precipitare degli eventi. Una svolta decisiva per
la Rivoluzione si ebbe infatti proprio in seguito al fallito tentativo di fuga
all'estero della famiglia reale (20 luglio 1791). I fuggiaschi vennero
riconosciuti e fermati a Varennes. Caduto in totale discredito, ricondotto a
Parigi in stato d'arresto e considerato ormai un potenziale traditore della
nazione, pronto ad affiancarsi agli eserciti stranieri, il re andò
perdendo anche quel poco che ancora rimaneva della sua influenza. L'opinione
pubblica si convinse del tutto che la Francia poteva fare a meno di avere un re.
Non era questo, ovviamente, il parere delle grandi potenze europee e in
particolare di Austria e Russia, solidali nella difesa degli interessi
monarchici in Europa, minacciati dal diffondersi degli ideali rivoluzionari.
L'azione dei repubblicani, che premevano per la fine immediata della monarchia,
fu però ostacolata dai moderati, che costituivano la maggioranza
nell'Assemblea. Venne così a crearsi una vera e propria frattura nel
movimento rivoluzionario, in quanto una parte della borghesia rivoluzionaria e
della nobiltà patriottica, terrorizzata dall'eventualità di una
scelta repubblicano-democratica, si schierò decisamente su posizioni
favorevoli all'accordo con la monarchia e con l'aristocrazia. La maggioranza
dell'Assemblea, capeggiata da La Fayette, e dal Triumvirato (Lameth, Barnave e
Duport) fece propria questa linea politica e ordinò una dura repressione
del movimento repubblicano. Al tempo stesso il Triumvirato assicurò
all'imperatore Leopoldo d'Austria che la monarchia francese non correva alcun
pericolo.
L'ASSEMBLEA LEGISLATIVA
In questo clima, gravido di tensioni sociali e di
dissidi politici, l'Assemblea Costituente votò la definitiva approvazione
della Costituzione (12 settembre 1791). Di conseguenza la Costituente si sciolse
e vennero in dette le elezioni per l'Assemblea Legislativa. Ad esse non
parteciparono l'aristocrazia e l'alto clero, che non avevano approvato la
Costituzione.
Della nuova assemblea, che tenne la sua prima seduta il
1º ottobre, fecero così parte i soli esponenti del Terzo Stato, ma
non per questo essa espresse un quadro politico omogeneo. Si delinearono infatti
tre raggruppamenti politici: a destra si formò il gruppo dei
monarchici-costituzionali, nel quale confluirono i rappresentanti della ricca
borghesia e della nobiltà liberale (La Fayette, triumvirato); al centro
si formò un gruppo numeroso di deputati «indipendenti»,
assolutamente fedeli ai principi rivoluzionari; a sinistra si collocò un
gruppo di deputati repubblicani, diviso nei due schieramenti dei giacobini
(Robespierre, Saint Just, Marat) e dei girondini (Brissot, Condorcet). Tra
questi gruppi politici i motivi di divisione e contrasto non mancavano, anche
perché la crisi economica e le agitazioni popolari in atto nel Paese
contribuivano a rendere più acuta la lotta politica. Proprio per placare
l'insoddisfazione degli strati popolari e dei contadini, l'Assemblea Legislativa
votò una serie di decreti contro coloro che nel Paese svolgevano una
attività controrivoluzionaria. Per arrestare le fughe all'estero delle
rendite degli «émigrés», il 9 novembre venne emesso un
decreto sulla base del quale i beni degli «émigrés», che
non fossero rimpatriati entro il 1º gennaio 1792, sarebbero stati
confiscati. Vennero inoltre prese misure contro i preti refrattari che
fomentavano manifestazioni controrivoluzionarie nella Vandea e nell'Alvernia.
Entrambi i decreti vennero respinti dal re, influenzato dai triumviri, e la
tensione tra il governo e l'Assemblea si acuì. La soluzione della crisi
portò alla formazione di un nuovo ministero, composto da esponenti
girondini e lafayettisti. Il conte Louis de Narbonne, che con Brissot divenne la
personalità di maggior rilievo di quel governo, assunse la carica di
ministro della Guerra. Egli era favorevole ad essa in quanto riteneva che
avrebbe inevitabilmente agevolato l'avvento di una dittatura militare e, in
seguito, la restaurazione della piena autorità di Luigi XVI. La sua, non
era la sola voce in favore del conflitto: sia pur per motivi opposti, anche
Brissot e i suoi seguaci erano su posizioni analoghe, poiché pensavano
che la guerra avrebbe avuto l'effetto di consolidare le istituzioni della
Rivoluzione e di smascherare, nel contempo, i suoi veri nemici.
Il solo
Robespierre era decisamente contrario alla guerra, poiché riteneva che
per consolidare la Rivoluzione non vi era che un modo: aprire al popolo tutte le
istituzioni e favorire così la sua diretta partecipazione al potere. Ma
Robespierre non godeva di un largo seguito nell'Assemblea Legislativa.
Così, quando il 20 aprile 1792 il re propose la dichiarazione di guerra
all'Austria, soltanto venti deputati giacobini votarono contro di
essa.
LA GUERRA
La guerra si aprì con una serie di
clamorosi rovesci francesi che provocarono gravi ripercussioni sul piano
politico interno. I moderati infatti, attribuirono la responsabilità
degli insuccessi alla politica delle correnti più radicali, che aveva
largo seguito nelle truppe, mentre dal canto loro i giacobini denunciarono il
tradimento di molti generali francesi. Il generale La Fayette, convinto che il
maggior pericolo non fosse rappresentato dagli Austriaci ma dai giacobini e dai
gruppi popolari che avevano assunto il controllo della capitale, proclamò
l'intenzione di marciare verso Parigi. Di fronte a questo pericolo le forze
giacobine reagirono allestendo un campo di ventimila soldati della Guardia
Nazionale presso Parigi. In un discorso tenuto il 29 luglio, Robespierre
presentò il programma dei giacobini: rovesciamento della monarchia;
sostituzione dell'Assemblea Legislativa con una Convenzione Nazionale eletta a
suffragio generale; convocazione frequente di assemblee primarie per sottoporre
al controllo popolare l'opera dei deputati; emarginazione di magistrati e
funzionari pubblici legati al vecchio regime. Queste proposte divennero la base
programmatica della insurrezione popolare parigina che portò alla caduta
della monarchia (10 agosto 1792), alla proclamazione della municipalità
rivoluzionaria di Parigi e alla abolizione della Costituzione del
1791.
GIRONDINI E GIACOBINI
Abolita la distinzione tra cittadini
«attivi» e «passivi» e introdotto il suffragio universale,
nel settembre del 1792 si tennero le elezioni per la Convenzione nazionale e i
girondini, sconfitti nella capitale, riuscirono a trionfare nei dipartimenti,
ottenendo la maggioranza della nuova assemblea. La Convenzione tenne la sua
prima seduta il 20 settembre, giorno in cui l'avanzata prussiana veniva
arrestata con la vittoriosa battaglia di Valmy. Il suo primo atto fu
l'abolizione della monarchia e la proclamazione della repubblica. Presto l'opera
della Convenzione fu turbata dall'insorgere di violenti e insanabili contrasti
tra i rappresentanti girondini e i giacobini, in parte dovuti ai dissensi
personali tra Brissot, capo riconosciuto dei girondini, e Robespierre, dietro ai
quali però sussistevano ben più profondi dissidi di
«classe». I due gruppi esprimevano infatti interessi contrapposti:
l'uno quelli della borghesia possidente, l'altro quelli di uno strato sociale
più eterogeneo nel quale rientrava anche la massa dei sanculotti. I
giacobini furono bollati come «anarchici» e Robespierre fu accusato di
mire dittatoriali. Essi erano detti anche «montagnardi», in quanto
nell'Assemblea sedevano nella parte alta, detta «montagna». In una
posizione intermedia, tra la Gironda e la Montagna, si ponevano i deputati del
«centro» che furono detti la Pianura o Palude. La risposta giacobina
alla campagna diffamatoria degli avversari fu il processo contro Luigi XVI.
Intentando il processo, essi costrinsero i girondini prima a tattiche dilatorie
per rimandare il giudizio, poi ad affannosi tentativi per salvare la vita del
re, quando apparve evidente che Luigi XVI non sarebbe potuto sfuggire a un
verdetto di colpevolezza. L'ex re venne giustiziato il 21 gennaio 1793 (la
regina Maria Antonietta nell'ottobre successivo) e la sua morte fece cadere
anche le ultime esitazioni di paesi come la Gran Bretagna e la Spagna che sino
ad allora si erano astenuti dal conflitto. La Rivoluzione francese divenne
guerra europea e lotta ideologica tra vecchio e nuovo ordine, ossia tra coloro
che si proponevano la difesa ad oltranza delle antiche istituzioni e coloro che
aspiravano a una nuova società. Nel novembre del 1792, la Convenzione
offriva «fraternità ed assistenza» a tutti i popoli che
intendessero seguire l'esempio francese e proclamarsi liberi. In dicembre veniva
affermato che la Francia avrebbe sostenuto ovunque i principi universali
rivoluzionari e che in tutti i territori occupati si sarebbe posto fine alle
costrizioni feudali, confiscando i beni dell'aristocrazia e del
clero.
Modello tridimensionale di ghigliottina francese
LA DITTATURA DI ROBESPIERRE
Con l'entrata in guerra della Gran Bretagna in
febbraio, della Spagna in marzo e dell'Ungheria in aprile, il conflitto si
estese all'intera Europa, fatta eccezione per i paesi scandinavi, risolvendosi
in una serie di disfatte per l'esercito rivoluzionario francese. La sconfitta
del generale Dumouriez a Neerwinden costò alla Francia la perdita
dell'Olanda e il 6 agosto, mentre il Paese era assalito da ogni parte, Dumouriez
passò dalla parte degli Austriaci, preparandosi a marciare su Parigi.
Questi avvenimenti segnarono la fine del predominio girondino e l'affermazione
dei giacobini (o montagnardi), fautori i una democrazia diretta e sostenitori
della necessità di difendere la nazione dagli assalti delle forze
controrivoluzionarie. Il 5 aprile si era costituito un Comitato di salute
pubblica presieduto da Danton, i cui sforzi per porre fine alla serie delle
disfatte fallirono completamente: ciò favorì l'ascesa di
Robespierre, personalità geniale e decisa che subentrò a Danton
quando questi fu escluso. Sospesa la Costituzione, il Comitato accentrò
tutti i poteri, affiancato dal Comitato di sicurezza generale. Insieme con la
Comune di Parigi, i due Comitati costituirono la base della «dittatura
rivoluzionaria» di Robespierre, legittimata dalla disperata situazione
interna ed esterna e decisa a schiacciare con la forza ogni opposizione, in
quanto considerata come tradimento e azione controrivoluzionaria. L'ideale di
Robespierre era una democrazia di cittadini leali e di uomini onesti, basata su
una nuova «religione» laica. Nel maggio del 1794 venne istituito il
culto dell'Ente supremo, con un decreto il cui articolo più importante
era costituito da una «Dichiarazione dei doveri dell'uomo e del
cittadino», improntata all'odio per la tirannia e al rispetto e aiuto dei
deboli e degli oppressi.
Robespierre e il suo «luogotenente»
Saint Just istituirono tribunali rivoluzionari per giudicare e condannare ogni
oppositore e, in genere, ogni persona sospetta di attività
controrivoluzionaria. Iniziò così il periodo che è passato
alla storia col nome di «terrore giacobino» (o terrore rosso), durante
il quale vennero giustiziate eminenti personalità politiche, come Danton
e Hébert.
Alla fine di giugno, alla notizia di un'importante
vittoria sugli austro-prussiani a Fleurus, la tensione rivoluzionaria si
allentò e i membri della Convenzione, che fino a quel momento avevano
appoggiato Robespierre, si resero conto che dovevano porre termine al periodo
del Terrore. La Convenzione ordì pertanto una congiura e il 27 luglio
fece arrestare il «dittatore». Il giorno dopo Robespierre venne
giustiziato.
Ritratto di Maximilien Robespierre
Ritratto di Georges Jacques Danton
IL TERMIDORO
Lo stesso giorno in cui Robespierre e i suoi
venivano ghigliottinati, circa ottantamila prigionieri politici venivano
scarcerati, e al «terrore rosso» si sostituiva il «terrore
bianco» della reazione termidoriana. La Convenzione rimase in carica sino
all'ottobre del 1795, riportando al potere i girondini che erano sopravvissuti,
mentre una parte degli «emigrati» rientrava in Francia. Ricomparvero
molte delle manifestazioni dell'«ancien régime», dilagò
la corruzione a ogni livello della vita pubblica, dominata soprattutto da
speculatori finanziari e da tutti coloro che avevano saputo approfittare della
rivoluzione e della guerra per arricchirsi e che intendevano consolidare le loro
fortune. Si riaprirono i salotti, in cui facevano mostra di sé le belle
donne e la «jeunesse dorée», il cui lusso sfacciato costituiva
una sfida per la plebe parigina. Ogni tentativo di rivolta venne duramente
soffocato, mentre nelle province meridionali infuriava il «terrore
bianco» ad opera di bande armate di fanatici contro il
«giacobinismo» rivoluzionario. La reazione clericale e monarchica non
riuscì tuttavia ad affermarsi e la Convenzione, per quanto dominata dai
moderati, mantenne il suo carattere repubblicano. Per evitare una nuova ondata
rivoluzionaria, i clubs giacobini vennero chiusi, la Comune fu sciolta e abolito
il tribunale rivoluzionario. Nell'aprile e maggio del 1795 la folla parigina
compì un ultimo tentativo insurrezionale, chiedendo «pane e la
Costituzione del 1793», e nell'ottobre la Convenzione ricorse alle truppe
del generale Barras per sedare un'insurrezione realista. Costui era affiancato
dal giovane Napoleone Bonaparte che, come riconoscimento del servizio reso,
ricevette il comando dell'armata d'Italia. Venne promulgata una nuova
Costituzione, entrata in vigore nell'ottobre del 1795 e destinata a durare sino
al novembre del 1799. Con essa venivano istituiti un regime elettorale ristretto
basato sul censo, e un sistema legislativo suddiviso in due assemblee: il
Consiglio dei Cinquecento e il Consiglio degli Anziani (Senato), un terzo dei
quali da rinnovarsi ogni anno. Il potere esecutivo veniva affidato a un
Direttorio eletto dagli Anziani su lista presentata dai Cinquecento e composto
di 5 membri.
LA CONGIURA DI BABEUF
L'ultimo episodio della Rivoluzione e l'ultima
battaglia per affermare l'ideale rivoluzionario dell'eguaglianza fu la
«congiura di Babeuf». I seguaci di Babeuf facevano capo alla
Società del Panthéon, un club costituitosi nell'ottobre del 1795
con l'intento di opporsi alla nuova Costituzione attraverso la quale il
Direttorio intendeva legittimare l'egemonia dei nuovi ricchi. Al club aderirono
molti ex giacobini e suo portavoce divenne il giornale «Le Tribun»
diretto dal giovane rivoluzionario François-Nöel Babeuf, noto con lo
pseudonimo di Caio Gracco. Nel febbraio del 1796 la sala delle riunioni venne
chiusa d'autorità dal Bonaparte e la società fu sciolta. I suoi
membri più attivi, capeggiati da Babeuf e Sylvain Marechal, reagirono
dando vita a un comitato d'insurrezione, denominato Direttorio clandestino, col
proposito di preparare un'insurrezione e proclamare la «Repubblica degli
Uguali», di ispirazione comunista. Ma il tentativo fallì e Babeuf fu
ghigliottinato, dopo aver accusato violentemente il Direttorio ed il nuovo
ordine sociale. Tuttavia le sue idee furono un punto di riferimento per i vari
tentativi insurrezionali seguenti, culminati nella rivoluzione del
1848.
IL DIRETTORIO
Presto il Direttorio cominciò a fare
affidamento sull'esercito come strumento di difesa contro i tentativi di rivolta
e contro la stessa opposizione parlamentare. Inoltre, a causa del perdurare
della guerra, le sorti del Direttorio, soprattutto in politica estera, erano
legate alle azioni dell'esercito, per quanto all'inizio del 1796 i soli Paesi
impegnati contro la Francia fossero l'Inghilterra (per mare), l'Austria e il
Piemonte-Sardegna.
Con le elezioni del 1797, il Direttorio si trovò
a dover fronteggiare la sua prima crisi politica, poiché il governo non
riuscì ad assicurarsi una larga maggioranza parlamentare.
Solo 13
dei 216 deputati uscenti vennero rieletti, a conferma del generale malcontento
per un governo che non era riuscito a risanare le finanze e a rafforzare la
moneta, mentre gli «assegnati» (la carta moneta emessa sulla vendita
dei beni ecclesiastici) continuavano a perdere valore e cresceva la miseria di
vasti strati di popolazione. La nuova maggioranza parlamentare era in larga
parte monarchica e ostile al Direttorio che, in settembre, risolse la crisi
ricorrendo all'aiuto del generale Bonaparte (che dal 1796 aveva francesizzato il
proprio cognome). Col colpo di Stato di fruttidoro, il Direttorio rinunciava a
ogni apparenza di legalità, appoggiandosi apertamente all'esercito. Nelle
successive elezioni, nel maggio 1798, la grande maggioranza dei moderati, per
protesta, si astenne dal voto, lasciando così via libera alla opposizione
di sinistra, per cui l'affermazione giacobina fu netta. Il Direttorio ricorse
allora all'annullamento dei risultati in alcune circoscrizioni.
Non fu
possibile annullare con la stessa disinvoltura le elezioni del maggio 1799, che
portarono nell'Assemblea legislativa numerosi oppositori, decretando il
fallimento del sistema politico instaurato nel 1795. Barras e Sieyès, che
figuravano fra i cinque membri del Direttorio, decisero allora di allearsi
apertamente col generale Bonaparte che si era nel frattempo guadagnato una vasta
fama.
LA RIVOLUZIONE D'EUROPA
Anche negli altri paesi dell'Europa, la
Rivoluzione francese e le guerre da essa condotte avevano prodotto effetti
politici di grande portata, paragonabili per la loro ampiezza e importanza a
quelli prodotti alcuni secoli prima dalla Riforma protestante e dalle guerre di
religione. Preceduta dal fermento di idee diffusesi con la cultura
illuministica, la Rivoluzione era stata accolta da radicali e democratici di
tutta Europa con grande entusiasmo. Essa aveva infatti abbattuto le antiche
istituzioni, posto fine al feudalesimo, distrutto il potere assoluto in nome di
nuovi principi universali, come quelli della sovranità popolare, della
libertà e dell'eguaglianza. Per quanto le antiche istituzioni rimanessero
molto forti, il messaggio della Rivoluzione andò diffondendosi dovunque,
minando gli antichi privilegi e inducendo i sovrani d'Europa a unirsi in nome
della difesa dell'assolutismo monarchico e dell'ordine stabilito. Dalla
primavera del 1792, quando l'Assemblea legislativa aveva dichiarato guerra a
Francesco II d'Asburgo in nome della «giusta difesa di un popolo libero
contro l'ingiusta aggressione di un re», sino all'ascesa di Napoleone nel
1799, la guerra si era intrecciata con la Rivoluzione e l'intera Europa ne era
stata coinvolta. A fianco dell'Austria si era schierato immediatamente
l'esercito di Federico Guglielmo di Prussia e successivamente quello di Vittorio
Amedeo di Savoia, ai quali si aggiunsero più tardi Olanda, Gran Bretagna
e Spagna, dando vita nel 1793 alla prima coalizione antifrancese. Alla
vittoriosa campagna militare francese, iniziata con l'invasione del Belgio, e
basata sul principio della «guerra di liberazione», erano seguite una
serie di sconfitte, aggravate dalle insurrezioni controrivoluzionarie interne,
tanto da minacciare la stessa Parigi. La controffensiva era avvenuta a partire
dal settembre 1793, con le vittorie riportate sugli austriaci a Hondschoote e
Wattignies, e nell'estate del 1794 il Belgio fu riconquistato. In gennaio venne
invasa l'Olanda e proclamata la Repubblica Batava. Sul fronte orientale gli
eserciti francesi occuparono Coblenza, Colonia, Treviri, Worms, mentre su quello
meridionale erano state occupate Nizza e la Savoia. Il 5 aprile 1795, con la
pace di Basilea, la Prussia rinunciava ai territori posti alla sinistra del
Reno. Il 16 maggio, col trattato dell'Aia, la nuova Repubblica Batava (Olanda)
cedeva alla Francia i territori posti sulla sinistra del Basso Reno,
impegnandosi a fornire aiuti contro l'Inghilterra. Anche la Spagna si ritirava
dalla guerra (22 luglio), ottenendo la parte spagnola dell'isola di Haiti (Santo
Domingo).
Si scioglieva così la «prima coalizione»
antifrancese e, all'inizio del 1796, i soli Paesi che ancora combattevano
attivamente contro la Francia erano l'Austria, il Piemonte-Sardegna e la Gran
Bretagna, mentre trattati di pace erano stati conclusi col Portogallo, con gli
Stati tedeschi della Sassonia e delle due Assie, con lo Stato pontificio e con i
sovrani di Napoli e di Parma. Il nemico più agguerrito rimaneva
l'Austria, tutt'altro che disposta a rinunciare ai Paesi Bassi (Belgio).
All'inizio del 1796 il Direttorio decise di impegnarsi a fondo contro di essa.
Approfittando dell'armistizio concluso dal generale Pichegru sul fronte del
Reno, le più forti armate francesi, agli ordini dei generali Moreau e
Jourdan, iniziarono una marcia su Vienna, attraverso la Foresta Nera e il
Danubio, mentre un'altra armata, al comando del giovane generale Bonaparte,
aveva il compito di svolgere in Italia una manovra difensiva contro le forze
austriache.
PICCOLO LESSICO
GIACOBINI
Con questo termine
vennero indicati, all'inizio della Rivoluzione, gli appartenenti alla
Societé des Amis de la Constitution, un club politico che, a partire dal
novembre del 1789, si insediò nell'ex convento dei frati domenicani
(detti, appunto, Jacobins) di rue Saint-Honoré a Parigi. I giacobini, che
rappresentarono poi la più potente e numerosa organizzazione politica di
quel tempo, restarono di tendenze monarchico-costituzionali fino alla
metà del 1790; in seguito, sotto l'influenza degli esponenti più
radicali, come Marat e Robespierre, fecero loro il credo repubblicano. Con la
conquista del potere da parte di Robespierre, assunsero la direzione del
movimento rivoluzionario, divenendo gli esecutori della politica terroristica
del dittatore. La reazione termidoriana mise fine alla loro egemonia politica. I
principali leaders giacobini vennero condannati a morte con Robespierre e, in
seguito, il club tentò invano di risollevarsi.
GIRONDINI
Gruppo di deputati dell'Assemblea Legislativa
francese eletta nel 1791. Erano così chiamati perché quasi tutti
provenivano dal dipartimento della Gironda. Politicamente e socialmente
esprimevano gli interessi della borghesia possidente. Vennero duramente
perseguitati durante la dittatura di Robespierre, e poterono tornare a far parte
degli organismi rivoluzionari soltanto dopo la reazione
termidoriana.
LA COMUNE
Con questo nome è passato alla storia
l'organismo rivoluzionario che diresse la città di Parigi dal 1788 al
1795. Si trattava di un'assemblea di eletti del popolo cui spettava il compito
di eleggere il sindaco, il procuratore e i «rappresentanti»,
nonché il Consiglio Municipale. A partire dall'agosto del 1792 la Comune
venne praticamente controllata dai giacobini di Robespierre e si
trasformò in un implacabile strumento di lotta e propaganda
rivoluzionaria.
PRESA DELLA BASTIGLIA
Il 14 luglio 1789 il popolo di Parigi, stanco di
subire le tergiversazioni del re, al quale aveva richiesto il riconoscimento
dell'Assemblea Costituente, assaltò ed espugnò la
fortezza-prigione della Bastiglia. Eretta nel XIV secolo, questa fortezza
rappresentava all'epoca uno dei simboli più manifesti dell'assolutismo
dispotico. Bastava infatti un semplice ordine del re (la lettre de cachet) per
far rinchiudere in essa una qualsiasi persona sospetta. Oltre che come prigione,
la Bastiglia serviva anche come luogo di conservazione del Tesoro regio. Ancora
oggi la repubblica francese celebra la festa nazionale nella giornata del 14
luglio.
La presa della Bastiglia
SANCULOTTI
Italianizzazione del termine francese «sans
culottes», che letteralmente significa «senza brache». Al tempo
della Rivoluzione gli aristocratici così definivano gli appartenenti ai
ceti popolari: contrariamente ai nobili, questi portavano infatti pantaloni
lunghi. I sanculotti portavano avanti le istanze più radicali e
democratiche della Rivoluzione, esprimendo le esigenze del proletariato
cittadino, e si riconoscevano politicamente nella Società degli amici dei
diritti dell'uomo e del cittadino (o club dei cordiglieri).
PERSONAGGI CELEBRI
GEORGES-JACQUES DANTON
(Arcis-sur-Aube 1759 -
Parigi 1794). Uomo politico francese, appartenente alla corrente dei giacobini.
Svolse un ruolo centrale negli avvenimenti che portarono alla caduta della
monarchia. Fu poi ministro della Giustizia dall'agosto all'ottobre del 1792.
Robespierre lo volle a capo del Comitato di salute pubblica, ma presto tra i due
si ebbero dissensi. Contrario agli eccessi dittatoriali di Robespierre, Danton
si attirò l'odio dei suoi ex alleati, sia hebertisti che robespierrani,
finché, accusato di deviazionismo dal dittatore, venne arrestato e
ghigliottinato (31 marzo 1794).
Ritratto di Georges Jacques Danton
MARIE-JOSEPH-PAUL DE MOTIER, MARCHESE DI LA FAYETTE
(Castello di Chavaniac, Alvernia 1757 - Parigi
1834). Generale francese. Partecipò, dapprima alla testa di un esercito
personale e poi guidando le armate francesi, alla guerra di indipendenza
americana, segnalandosi per la sua abilità militare. Tornato in patria,
partecipò agli Stati Generali del 1789, in seno ai quali assunse una
posizione di apertura verso le istanze del Terzo Stato. Dopo la presa della
Bastiglia ebbe il comando della Guardia Nazionale e, nel 1792, guidò
l'esercito francese contro l'Austria. Contrario alla repubblica, tentò,
senza riuscirvi, di promuovere un moto controrivoluzionario e, in seguito, fu
costretto ad abbandonare il Paese. Ostile a Napoleone, si astenne poi da ogni
attività politico-militare durante l'Impero. Rientrato in Francia dopo la
Restaurazione, divenne deputato liberale nel 1818 e nel 1827.
LUIGI XVI, RE DI FRANCIA
(Versailles 1754 - Parigi 1793). Re di Francia.
Figlio del delfino Luigi, successe al nonno Luigi XV nel 1774. Sottoposto alle
pressioni del Parlamento e della nobiltà, nel 1789 convocò gli
Stati Generali, ma essendo politicamente incapace non seppe poi far fronte con
efficacia agli avvenimenti che portarono alla Rivoluzione. Nel 1792 tentò
la fuga da Parigi per raggiungere le truppe del generale Bouillè, con le
quali si riprometteva di porre fine alla rivoluzione in atto. Scoperto nei
pressi di Varennes, venne arrestato, accusato di tradimento e sottoposto in
seguito ad un lungo e infamante processo che si concluse con la sua condanna a
morte. La sentenza venne eseguita, mediante ghigliottina, il 21 gennaio
1793.
JEAN-PAUL MARAT
(Boudry-Neuchéatel 1743 - Parigi 1793).
Uomo politico e pensatore francese. Nei primi mesi della Rivoluzione si
schierò apertamente con i giacobini, svolgendo una intensa propaganda
contro le correnti moderate dalle colonne del giornale «L'ami du
peuple», da lui fondato. Perseguitato dall'Assemblea Costituente, nel 1790
e nel 1791 fu costretto ad espatriare in Inghilterra. Rientrato successivamente
in patria, ottenne la direzione del club dei giacobini, e in prima persona
condusse la campagna contro i girondini ponendosi al fianco di Robespierre
durante il periodo del Terrore. Nel 1793 fu ucciso con una pugnalata da Carlotta
Corday, una giovane militante girondina.
La morte di Marat
MAXIMILIEN DE ROBESPIERRE
(Arras 1758 - Parigi 1794). Uomo politico
francese, recitò una parte di primo piano fin dagli inizi della
Rivoluzione. Eletto infatti deputato nel 1789, riuscì presto ad imporsi
in seno all'Assemblea Costituente per i suoi sinceri sentimenti democratici e
per il rigore politico delle sue proposte (uguaglianza dei diritti, suffragio
universale). Eletto presidente del club dei giacobini, dopo il fallito tentativo
di fuga del re sostenne apertamente la necessità di dichiarare decaduta
la monarchia. Nell'Assemblea Legislativa prima, e in seno alla Convenzione poi,
conquistò la «leadership» del gruppo repubblicano-giacobino e,
dopo la fine della prevalenza dei girondini nelle istituzioni rivoluzionarie
(giugno 1793), entrò nel governo quale membro tra i più influenti
del Comitato di salute pubblica. La Francia viveva in quel momento uno dei
momenti più drammatici della sua storia: gli eserciti nemici erano sul
suo territorio e minacciavano Parigi; i controrivoluzionari fomentavano ovunque
rivolte antigiacobine; la crisi economica era giunta all'apice. Di fronte a
questa situazione Robespierre assunse decisamente l'iniziativa e dopo aver
dichiarato decaduta la Costituzione del 1791, attribuì tutti i poteri al
Comitato di salute pubblica, cui affiancò il Comitato di sicurezza
generale. Ebbe così inizio l'epoca della cosiddetta «dittatura di
Robespierre», destinata a concludersi soltanto con la reazione termidoriana
(luglio 1794). In seguito ad essa, Robespierre venne arrestato e condannato a
morte. La sentenza venne eseguita il 28 luglio.
Maximilien Robespierre
RIASSUNTO CRONOLOGICO
1774: Muore Luigi XV, re di Francia, e
sale al trono il nipote Luigi XVI.
5 maggio 1789: Vengono convocati
gli Stati Generali.
17 giugno 1789: Il Terzo Stato si proclama
Assemblea Nazionale.
20 giugno 1789: Giuramento della
Pallacorda.
14 luglio 1789: Presa della Bastiglia.
3
agosto 1789: La nobiltà e il clero rinunciano ai loro
privilegi.
26 agosto 1789: Viene formulata la Dichiarazione dei
diritti dell'uomo e dei cittadini.
15-16 ottobre 1789: La folla
parigina si rivolta ed assalta la reggia di Versailles.
Luglio 1790:
Viene emanata la Costituzione civile del clero.
Luglio 1791: Il re
tenta di fuggire e viene fermato a Varennes.
Settembre 1791: Viene
emanata la nuova Costituzione Francese.
Aprile 1792: La Francia
dichiara guerra all'Austria.
Agosto 1792: Cade la monarchia francese:
il potere è detenuto dalla municipalità
parigina.
Settembre 1792: Nasce la Convenzione
nazionale.
Gennaio 1793: Luigi XVI è
ghigliottinato.
Aprile 1793: Viene nominato il Comitato di Salute
Pubblica e viene emanata la nuova Costituzione.
Settembre 1793: Si
forma la prima coalizione anti-francese.
Marzo-luglio 1794: Dittatura
di Robespierre.
27 luglio 1794: Robespierre è
giustiziato.
Ottobre 1795: Viene approvata la Terza
Costituzione.
Febbraio 1796: Si scioglie la società del
Panthéon.
Marzo 1796: Si scioglie la prima coalizione
anti-francese.