I Moti del 1848-1849

 

 
    

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I Moti del 1848-1849

  

Storia Moderna - Indice

I Moti del 1848-1849

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STORIA MODERNA - I MOTI DEL 1848-1849

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I MOTI RIVOLUZIONARI IN ITALIA

Durante il biennio 1848-49 l'intera Europa fu scossa da una grande ondata rivoluzionaria, che in alcuni Paesi (Germania, Italia, Ungheria) assunse soprattutto il carattere di insurrezione nazionale contro il dominio straniero. In altri (Francia, Svizzera, Belgio, Gran Bretagna) assunse invece il carattere di manifestazioni democratiche contro governi conservatori, per rovesciarli o indurli a promuovere riforme sociali e politiche. Comunque il 1848 inaugurò una nuova età, quella delle masse che, un po' dovunque, forzarono la mano ai capi nazionalisti liberali assumendo l'iniziativa rivoluzionaria. Quanto ancora rimaneva dell'antico assetto feudale venne spazzato via, e tra i più importanti risultati politici vi fu la fine del dominio di Metternich e del suo "sistema". In Italia, a dare il via alla rivolta fu la sollevazione di Palermo, del 12 gennaio, promossa da elementi mazziniani. Il moto assunse dimensioni tali che Ferdinando II di Borbone fu costretto a concedere alla Sicilia la famosa Costituzione spagnola del 1812 e l'autonomia amministrativa. Anche a Napoli il fermento si fece vivissimo, tanto che re Ferdinando, alla fine di gennaio, promulgò una Costituzione modellata su quella francese del 1830. Essa prevedeva la libertà di stampa, e le garanzie dei diritti e delle libertà individuali, concedendo inoltre l'introduzione di un sistema bicamerale. Tumulti scoppiarono nelle maggiori città italiane e, nel tentativo di evitare il propagarsi della rivoluzione su tutta la Penisola, anche gli altri sovrani, ossia Carlo Alberto di Savoia, Pio IX e il granduca di Toscana Leopoldo II, si affrettarono ad accordare a loro volta Costituzioni simili. Tra queste, quella destinata a durare più a lungo fu lo Statuto albertino, che venne introdotto nel Regno di Sardegna restando in vigore fino al 1861.

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CARLO ALBERTO E PIO IX

Il fallimento dei ripetuti tentativi insurrezionali indusse i più realisti tra i liberali italiani ad abbandonare la via della rivoluzione e ad allearsi con le forze monarchiche e clericali moderate, per mettere fine al dominio austriaco nella penisola. Le speranze dei liberali italiani andarono perciò accentrandosi su due uomini: Carlo Alberto di Savoia e papa Pio IX. Il cardinale Giovanni Mastai Ferretti era succeduto nel giugno 1846 con il nome di Pio IX a Gregorio XVI, papa reazionario ed antiliberale. Contrariamente al suo predecessore, Pio IX dimostrò tendenze liberali, concedendo una serie di riforme nello Stato Pontificio quali quella della libertà di stampa (12 marzo 1847) e la formazione della guardia civica, scuotendo in tal modo lo Stato Pontificio dalla sua secolare arretratezza. Le riforme attuate da Pio IX scossero l'opinione pubblica italiana e diedero inizio ad un periodo di fermenti innovatori che allarmarono l'Austria. A scopo intimidatorio il cancelliere austriaco Metternich fece infatti occupare nel 1847 la città pontificia di Ferrara. Pio IX si affrettò a denunciare questa azione oltraggiosa alle potenze europee, e Carlo Alberto mise a disposizione le sue truppe per difendere gli Stati della Chiesa. Nel dicembre l'Austria si trovò costretta a ritirare l'esercito da Ferrara, subendo in tal modo una grave sconfitta diplomatica. Alla vigilia dell'ondata rivoluzionaria del 1848 il fronte patriottico italiano si presentava ancora profondamente diviso. Le sue diverse correnti guardavano infatti ciascuna in una direzione e ognuna disponeva di un proprio leader: Mazzini, Carlo Alberto e Pio IX. I programmi di ciascun movimento erano tra loro molto diversi. Quello monarchico-liberale era stato esposto dopo il 1840 da scrittori quali Cesare Balbo ("Speranze d'Italia", 1844) e Massimo d'Azeglio ("Degli ultimi casi di Romagna", 1845). Quest'ultimo aveva attaccato il potere temporale dei Papi, sostenendo che l'Italia, per conquistare l'indipendenza, avrebbe dovuto sconfiggere l'Austria e che tutti i patrioti avrebbero dovuto raccogliersi sotto la bandiera della monarchia sabauda, abbastanza indipendente e forte per poter sostenere questa battaglia. Il programma dei cattolici neoguelfi era stato esposto dall'abate Vincenzo Gioberti nel suo "Del primato morale e civile degli Italiani" (1843) in cui propugnava una confederazione tra gli Stati italiani presieduta dal Papa, con un comitato esecutivo composto dai principi in carica. Entrambi questi programmi erano avversati da Mazzini e dai suoi seguaci, che propugnavano una soluzione unitaria e repubblicana, da conseguire attraverso un'insurrezione popolare di massa che avrebbe portato alla soppressione del potere temporale dei Papi e alla nascita di una repubblica democratica.

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LA SECONDA REPUBBLICA FRANCESE

In Francia la monarchia orléanista (Luigi Filippo), instaurata dopo la rivoluzione del luglio 1830, aveva gradualmente attenuato le sue tendenze liberali. Il governo presieduto da Guizot si era attirato l'odio delle masse popolari e della piccola borghesia per la sua politica economica troppo scopertamente tesa a salvaguardare gli interessi della sola oligarchia finanziaria e affaristica. Soprattutto dopo la crisi economica del 1845-1847 era venuta formandosi una forte opposizione, che nel Parlamento si raccoglieva intorno al gruppo liberale, mentre nel Paese faceva capo alle correnti repubblicane e socialiste. Nel 1847 si erano tenuti migliaia di banchetti in tutta la Francia, nel corso dei quali erano state raccolte firme per una petizione che chiedeva la riforma costituzionale. Ma, pur di fronte a tanta mobilitazione, il governo aveva risposto con intransigenza, e anzi, in molti casi, era intervenuto sciogliendo queste singolari manifestazioni. Proprio l'ennesima proibizione di un "banchetto" organizzato il 21 febbraio 1848, provocò lo scoppio della rivolta popolare. Nelle strade di Parigi, e soprattutto nei quartieri popolari, vennero innalzate le barricate, mentre imponenti manifestazioni di piazza chiedevano le dimissioni del governo e la fine della monarchia. Nel tentativo di arrestare la rivolta, Luigi Filippo decise di congedare Guizot, e chiamò al governo ministri più moderati, quali Odillon Barrot e Thiers. Ma questo non fu sufficiente per arrestare la rivolta. La protesta si trasformò in vera e propria rivoluzione, dopo che una sparatoria sulla folla uccise e ferì varie decine di persone. La stessa Guardia Nazionale si schierò contro il re, che fu costretto ad abdicare il 24 febbraio. Venne costituito un governo provvisorio repubblicano presieduto dal poeta Alphonse de Lamartine, nel quale entrarono anche radicali e socialisti. Si creava così un compromesso tra i liberali moderati, facenti capo al giornale "Le National", e i radical-socialisti, redattori e collaboratori del quotidiano "La Reforme".

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I primi volevano semplicemente un governo parlamentare e costituzionale che non facesse concessioni alle masse, i secondi erano favorevoli al suffragio universale e sostenevano un programma democratico di riforme sociali. Sotto la pressione dei radicali e della folla dei dimostranti, il governo adottò misure quali la diminuzione della giornata lavorativa (da quindici ore si passò ad un limite di dieci), il riconoscimento del diritto al lavoro, l'istituzione dei cosiddetti ateliers nationaux, fabbriche statali che avrebbero dovuto garantire un lavoro agli operai disoccupati delle grandi città, ma che in realtà non trovarono mai un terreno maturo per la loro attuazione e vennero fortemente osteggiate dalla potente borghesia capitalistica. Venne inoltre stabilito che nelle elezioni per l'assemblea costituente il diritto di voto venisse esteso a tutta la popolazione maschile di età superiore ai ventuno anni, portando gli elettori da duecentomila a nove milioni. Le elezioni si tennero il 23 aprile e si rivelarono deludenti per il proletariato parigino che aveva combattuto sulle barricate. Contadini e piccoli proprietari di provincia, istintivamente conservatori e facilmente manovrabili, unirono infatti i loro voti a quelli dei proprietari fondiari, favorendo l'elezione di un'assemblea in cui i radicali e i socialisti riuscirono a conquistare solo un centinaio di seggi su 876. Pertanto, l'assemblea che si riunì il 4 maggio era in grande maggioranza composta da monarchici legittimisti e orléanisti, da liberali e repubblicani moderati, e quando la folla parigina manifestò chiedendone con forza lo scioglimento, si trovò puntate contro le armi della Guardia nazionale. Anche un centinaio di deputati di sinistra fu allontanato in seguito alla fallita insurrezione del proletariato parigino del 22-27 giugno, e si ebbe una totale riscossa conservatrice, sancita dalla nuova Costituzione repubblicana del novembre successivo.

 

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LA FINE DELLA SECONDA REPUBBLICA

Nelle elezioni presidenziali di dicembre, Luigi Napoleone Bonaparte, figlio dell'ex re d'Olanda Luigi, ottenne cinque milioni e mezzo di voti, e tale risultato assunse il significato di un rifiuto della repubblica liberale, segnando l'inizio della restaurazione monarchico-imperiale e della dittatura di stampo bonapartista. Luigi Napoleone era diventato capo dei bonapartisti dopo la morte del giovane figlio di Napoleone I, nel 1832. Per due volte, nel 1836 a Strasburgo e nel 1840 a Boulogne, egli aveva tentato dei colpi di mano, l'ultimo dei quali gli era costato una condanna al carcere a vita. In prigione aveva studiato e scritto di questioni sociali, acquistando persino la fama di filosocialista. Nel 1846 era riuscito ad evadere, rifugiandosi in Inghilterra da dove aveva continuato a dirigere il movimento bonapartista. Nel 1848 era stato eletto deputato, iniziando la sua scalata al potere. Nel dicembre del 1851 egli rovesciò il regime parlamentare, assunse i pieni poteri e, come già aveva fatto suo zio, decretò il prolungamento per altri dieci anni della sua presidenza. L'anno seguente diede al regime una forma pienamente monarchica, proclamando il Secondo Impero e assumendo il nome di Napoleone III.

Un ritratto di Napoleone III

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L'EUROPA CENTRALE

Gli avvenimenti francesi accesero in tutta Europa focolai di rivolta. Grandi dimostrazioni popolari si ebbero nel febbraio del 1848 in Renania, seguite da tumulti su tutto il territorio della Germania. Principali stimoli alla rivolta erano il nazionalismo e la volontà di riunire in un solo grande Stato l'intero territorio tedesco, abbattendo il dominio austriaco e quello dei vari principi sovrani. Le speranze dei nazionalisti tedeschi si rivolgevano ormai alla Prussia, dove nel 1840 era salito al trono Federico Guglielmo IV. Anche a Berlino scoppiarono tumulti che costrinsero il re a fare larghe concessioni e a formare un nuovo governo la cui presidenza fu assunta da Ludolf Camphausen, uno dei più noti esponenti liberali della Renania. Venne poi eletta un'assemblea costituente, ma il governo non perdette mai il controllo della situazione e l'ondata rivoluzionaria andò presto perdendo di intensità. Assai più grave si presentò la situazione in Austria e Ungheria dove le dimostrazioni assunsero dimensioni tali da costringere Metternich a dimettersi il 13 marzo 1848, e l'imperatore Ferdinando a convocare la Dieta, estesa ai rappresentanti borghesi, per discutere una nuova Costituzione. Frattanto era stato fatto un grande passo avanti nel raggiungimento dell'unità tedesca, attraverso l'istituzione di un organo rappresentativo centrale. Nel marzo del 1848 si era infatti riunita a Francoforte un'assemblea generale ("Vorparlament"), composta da 500 membri appartenenti alle assemblee parlamentari degli Stati del "Bund" tedesco, che decise di indire elezioni per un'assemblea permanente. Essa rappresentava le aspirazioni nazionali dei Tedeschi, ma era priva di qualsiasi potere esecutivo. Composta prevalentemente da liberali moderati, era divisa in due grandi partiti, uno maggioritario, detto dei Grandi Tedeschi, l'altro dei Piccoli Tedeschi. Il primo sosteneva che nel nuovo Stato federale dovessero essere inclusi anche i territori dell'Impero asburgico, fatta eccezione per l'Ungheria, affermando il diritto degli Asburgo alla corona federale. I secondi intendevano costituire un'entità statale più omogenea e interamente tedesca ed erano perciò favorevoli a una unificazione circoscritta ai territori della Germania, sotto il comando prussiano. Il movimento liberalnazionale si arenò presto nelle dispute dell'assemblea di Francoforte e andò perdendo di vigore, lasciando che a prendere il sopravvento fossero le forze controrivoluzionarie. In settembre scoppiò a Francoforte un'insurrezione popolare contro l'assemblea, domata dall'intervento militare austro-prussiano. In novembre, Federico Guglielmo di Prussia nominò primo ministro un militare, il conte di Brandenburg, e in dicembre sciolse l'assemblea costituente. I circoli liberali vennero chiusi e proibite le pubbliche riunioni.

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La debole assemblea di Francoforte ricevette il colpo di grazia nell'aprile del 1849, quando decise di offrire la corona imperiale di una Germania unita al re di Prussia. Federico Guglielmo IV rifiutò l'offerta, Austria e Prussia ritirarono i loro delegati e, approfittando dei tumulti scoppiati nell'Hessen-Kassel, il cancelliere austriaco Schwarzenberg inviò nel 1850 un esercito austriaco di duecentomila uomini, restaurando poi il Bund tedesco, presieduto e controllato dall'Austria. In Ungheria, a capo del movimento nazionalista si era posto Lajos Kossuth, avvocato e giornalista, che guidò i piccoli proprietari contro la grande aristocrazia fondiaria, con l'intento di fare dell'Ungheria uno Stato nazionale magiaro, mentre a capo dell'insurrezione popolare si poneva il poeta radicale Sándor Petöfi. Le autorità viennesi furono costrette ad aderire alle richieste del movimento rivoluzionario, accettando la costituzione di un governo ungherese autonomo, sotto la sovranità nominale degli Asburgo. L'intenzione di conservare l'unità della nazione magiara, benché gran parte del territorio ungherese fosse abitato da contadini slavi, rispetto ai quali i Magiari costituivano una minoranza, incontrava nel Paese forti resistenze, di cui seppero approfittare le autorità austriache. Passata l'ondata rivoluzionaria, il governo austriaco ebbe facile gioco, incoraggiando la rivolta antimagiara di Slovacchi, Serbi, Rumeni e Croati, e alleandosi poi con la Russia per annientare il movimento nazionalista magiaro (agosto 1849).

 

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LA PRIMA GUERRA D'INDIPENDENZA

Alla notizia dell'insurrezione di Vienna, il 18 marzo 1848 Milano insorse contro gli Austriaci e dopo cinque giorni di lotta - le famose "cinque Giornate" - il maresciallo Radetzky fu costretto a sgombrare la città. Le forze asburgiche si ritirarono nelle fortezze del Quadrilatero: Mantova, Peschiera, Verona e Legnago. Anche Venezia era insorta, costringendo la guarnigione austriaca a ritirarsi, mentre l'insurrezione dilagava in tutto il Lombardo-Veneto. Nei ducati di Modena e Parma-Piacenza, Francesco V, succeduto al padre nel 1846, e Carlo Ludovico di Borbone, succeduto a Maria Luisa d'Austria nel 1847, erano costretti a lasciare i rispettivi territori, mentre si costituivano in tutta Italia corpi di volontari pronti a combattere contro gli Austriaci. Carlo Alberto di Savoia, vinte le ultime esitazioni e caldamente invitato all'interventismo da parte dell'aristocrazia liberale italiana, dichiarò guerra all'Austria, nonostante il Piemonte fosse militarmente impreparato. L'esercito piemontese raggiunse subito Milano, mentre gli Austriaci si ritiravano indisturbati nelle fortezze del Quadrilatero. A Goito, Valeggio e Mozambano vi furono scontri vittoriosi per i Piemontesi, e questi successi contribuirono a risvegliare l'interesse e l'entusiasmo per la guerra di liberazione nazionale. Il granduca di Toscana, Leopoldo II, papa Pio IX e Ferdinando di Borbone inviarono infatti delle truppe in aiuto dei Piemontesi, mentre anche Mazzini si schierava apertamente dalla parte di Carlo Alberto. La vittoria conseguita dai piemontesi a Pastrengo (30 aprile), fu però seguita da una serie di temporeggiamenti da parte di Carlo Alberto, che permise all'esercito austriaco di riorganizzarsi e di passare decisamente al contrattacco. Pio IX, ritenendo di non poter partecipare ad una guerra tra stati cattolici e sostenendo inoltre che essa veniva condotta soltanto nell'interesse del Piemonte, ritirava in seguito le sue truppe; allo stesso modo si sarebbero comportati, più tardi, il granduca di Toscana e il re di Napoli, senza però essere obbediti da un gran numero di loro combattenti. Nonostante queste defezioni, vi fu comunque ancora qualche successo piemontese (a Goito e Peschiera), ma successivamente gli Austriaci passarono al contrattacco, ottenendo le importanti vittorie di Curtatone e Montanara. Lo scontro decisivo avvenne a Custoza, dove le truppe austriache ottennero una netta affermazione (25 luglio). Pochi giorni dopo, il generale Salasco firmava l'armistizio. In base ad esso veniva ristabilito il precedente confine austro-piemontese. Finiva così la prima guerra d'indipendenza e svanivano anche, per il momento, le speranze patriottiche di dar vita ad un nuovo regno dell'Italia settentrionale.

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La mediazione diplomatica di Francia e Inghilterra salvò il Piemonte da un'invasione austriaca e dovunque le forze controrivoluzionarie ebbero il sopravvento. A Napoli Ferdinando II revocò la Costituzione, restaurando il precedente sistema di governo reazionario. All'inizio del 1849 il movimento nazionalista era tuttavia ancora attivo in Italia, sebbene né Pio IX, rifugiatosi a Gaeta sotto la protezione borbonica nel novembre dell'anno precedente, né Carlo Alberto, accusato di aver tradito la causa italiana, potessero più aspirare alla "leadership" nazionale. L'iniziativa venne così assunta dai democratico-repubblicani, fedeli all'ideale mazziniano di liberare e unificare la Penisola attraverso un'insurrezione popolare e creare uno Stato repubblicano, nei mesi seguenti le vicende della Repubblica Romana, rappresentarono un avvenimento importante e significativo in tal senso. Nel febbraio del 1849 si riunì infatti a Roma un'Assemblea Costituente, eletta a suffragio universale maschile e comprendente anche trentasette deputati della Toscana, da dove era fuggito il granduca Leopoldo per raggiungere Pio IX a Gaeta. Il 9 febbraio l'assemblea decideva di dar vita alla Repubblica Romana, ma la Toscana non aderì alla proposta di entrare a farne parte, né Vincenzo Gioberti, divenuto primo ministro del Regno sabaudo, accettò di inviare rappresentanti piemontesi all'assemblea di Roma. Se l'opinione pubblica piemontese non era favorevole a una soluzione repubblicana e rimaneva in maggioranza fedele alla monarchia sabauda, i liberali piemontesi intendevano tuttavia rompere al più presto l'armistizio con l'Austria. Essi finirono col forzare la mano a Carlo Alberto, così che il 20 marzo ebbe inizio una nuova campagna, conclusasi tre giorni dopo con la disfatta di Novara. Umiliato, il re abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II, e si rifugiò in Portogallo dove sarebbe morto nel luglio successivo. La vittoria riportata a Novara da Radetzky consentì agli Austriaci di rafforzare il loro predominio sull'intero territorio italiano, dopo che il nuovo re sabaudo era stato costretto a firmare l'Armistizio di Vignale e la pace di Milano. I costituzionalisti moderati toscani sciolsero l'assemblea e richiamarono il granduca Leopoldo. Questi con l'aiuto delle truppe austriache riuscì a sedare gli ultimi focolai di resistenza, particolarmente forti a Livorno, dove i combattimenti si protrassero sino alla fine di luglio. Quanto a Roma, la situazione si presentava più complessa, e a forzarla fu soprattutto la Francia, volendo evitare che la restaurazione di Pio IX potesse avvenire con l'appoggio delle truppe austriache. Pertanto il 24 aprile '49 il generale Oudinot occupò Civitavecchia, e immediatamente anche Austria, Spagna e Napoli inviarono le proprie truppe, così che la Repubblica Romana venne a trovarsi assediata da quattro eserciti stranieri. La città resistette per più di un mese in una difesa disperata, ma ai primi di luglio fu costretta ad arrendersi.

 

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Nella breve e sfortunata vita della Repubblica Romana svolse un ruolo determinante anche Giuseppe Garibaldi. Rientrato nel 1848 dall'esilio uruguaiano, proprio Garibaldi aveva assunto infatti il comando delle truppe volontarie che erano accorse in difesa della nuova Repubblica. Non meno eroica fu la difesa di Venezia, dove sin dal marzo 1848 era stata proclamata la repubblica sotto la direzione di Daniele Manin, e la cui resistenza si protrasse sino al 23 agosto 1849. La caduta di Roma segnò la fine di una possibile soluzione repubblicana, consolidando l'opinione che solo una monarchia costituzionale sarebbe stata in grado di portare all'unificazione italiana. Anche in Italia, come nel resto dell'Europa, il 1849 segnò la fine dell'età delle rivoluzioni, alla quale seguì una nuova epoca caratterizzata da relazioni diplomatiche e conflitti tra Stati.

Il feldmaresciallo Radetzky

Un episodio della Guerra di Indipendenza

 

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LA REPUBBLICA ROMANA

La Repubblica Romana costituì l'unica attuazione concreta dei princìpi democratici del Mazzini. Essa svolse un ruolo determinante nella storia italiana non solo perché segnò l'inizio del crollo del potere temporale del papato, ma anche perché si avvalse della collaborazione dei più importanti uomini del nostro Risorgimento (Mazzini, Garibaldi, Manara). La lettura del brano che qui riportiamo, tratto dall'autobiografia del Mazzini, è interessante per comprendere l'entusiasmo che accompagnò l'Istituzione della Repubblica Romana e che si riassume nell'esclamazione spontanea "Viva la Repubblica!", scandita da Luciano Manara. Viva la repubblica! Il sentimento repubblicano poteva solo ispirare tanto valore agli Italiani. Sono parole contenute nella relazione scritta a nove ore dal combattimento del 3 giugno da Luciano Manara. Non so quanto i Romani ricordino oggi il 1849. Ma se le madri romane hanno, come dovevano, insegnato ai figli la riverenza ai martiri repubblicani, in quell'anno, della loro città - se additarono loro sovente il luogo ove cadde ferito a morte il giovine poeta del popolo, Goffredo Mameli - il luogo ove Masina, già indebolito da un colpo e con diciannove seguaci, avventò il cavallo contro una posizione difesa da 300 francesi e moriva - .... - Roma non sarà, sorgendo, profanata - o nol sarà lungamente - dalla Monarchia. Da Giuseppe Mazzini, Ricordi autobiografici, a cura di Menghini, Bologna 1938.

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PICCOLO LESSICO

NEOGUELFISMO

Movimento cattolico-liberale che si affermò in Italia tra il 1843 e il 1848. Esso identificava nel Papato la guida principale cui il popolo italiano avrebbe dovuto affidarsi per conseguire l'indipendenza e l'unità. I neoguelfi sostenevano pertanto la necessità di dar vita ad una confederazione di stati italiani con a capo il Pontefice. Il movimento fu detto neoguelfo in quanto guelfi si chiamarono, in epoca comunale, i sostenitori del Papato. Il fondatore di questa corrente di pensiero fu il sacerdote piemontese Vincenzo Gioberti.

QUADRILATERO

Con questo termine si designò il sistema difensivo approntato dall'Austria nel Lombardo-Veneto dopo il 1815. Esso comprendeva il territorio situato tra le piazzeforti di Verona, Peschiera, Mantova e Legnago, poste all'incirca ai vertici del quadrilatero. Il quadrilatero rappresentò una posizione chiave nelle mani dell'Impero austriaco, rendendo estremamente difficoltosi i movimenti dell'esercito nemico nella pianura padana: le piazzeforti potevano infatti controllare qualsiasi aggiramento proveniente sia da nord che da sud.

STATUTO ALBERTINO

È la costituzione concessa al Regno di Sardegna da Carlo Alberto il 4 marzo 1848. Essa fu estesa a tutti i territori del Piemonte e divenne poi la costituzione del regno d'Italia (1816), restando in vigore fino all'avvento della repubblica. Fu sostituita dalla nuova Carta costituzionale solo nel gennaio del 1948.

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PERSONAGGI CELEBRI

CARLO ALBERTO

(Torino 1798 - Oporto 1849). Re di Sardegna. Figlio di Carlo Emanuele e di Maria Cristina di Sassonia Coburgo, trascorse la giovinezza in Francia. Di idee liberali, in seguito all'abdicazione di Vittorio Emanuele I e favorito dall'assenza del nuovo sovrano, Carlo Felice, nel 1821 assunse la reggenza al regno di Sardegna, concedendo lo Statuto, che poco dopo Carlo Felice avrebbe annullato. Morto quest'ultimo nel 1831, salì al trono, suscitando le speranze dei liberali e dei liberali e dei nazionalisti italiani. Nel 1848 concesse definitivamente lo Statuto e dichiarò guerra all'Austria (I guerra d'Indipendenza). Il 23 marzo dell'anno seguente, giorno della tragica disfatta piemontese di Novara, abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II.

MASSIMO TAPARELLI D'AZEGLIO

(Torino 1798-1866). Scrittore e uomo politico italiano. Discendente da una delle più illustri famiglie della nobiltà piemontese, aderì al movimento liberale, partecipando attivamente alle vicende politiche del Risorgimento. Partecipò alla prima guerra d'indipendenza e, dal 1849 al 1852, mantenne la presidenza del consiglio dei ministri del regno sabaudo. Prima di ritirarsi dalla scena politica ricoprì anche gli incarichi di Commissario straordinario della Romagna e di Governatore di Milano. Tra le sue opere letterarie, particolare fortuna incontrarono i romanzi storici "La Disfida di Barletta" e "I Palleschi", e l'opuscolo politico "Ultimi casi di Romagna".

VINCENZO GIOBERTI

(Torino 1801 - Parigi 1852). Scrittore e uomo politico italiano. Dopo aver vestito l'abito talare nel 1826 divenne cappellano di corte dei Savoia ma, sospettato di aderire a società segrete, venne arrestato e costretto all'esilio (1833). Rientrato in Piemonte all'inizio dei moti del 1848, nel dicembre dello stesso anno assunse la presidenza del Consiglio dei ministri del regno sabaudo. In seguito alla disfatta militare di Novara fu però costretto a dare le dimissioni, per poi riprendere la via dell'esilio. A Bruxelles, nel 1843, scrisse "Del primato morale e civile degli italiani", opera nella quale formulò le teorie del neoguelfismo.

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JOHAN JOSEPH-FRANZ RADETZKY

(Boemia 1766 - Milano 1858). Colonnello austriaco. Prese parte alle campagne d'Italia del 1796-97, 1813-1815 contro Napoleone. Nominato feldmaresciallo nel 1831, da quel momento fino al 1857 guidò l'esercito austriaco, distinguendosi in particolar modo durante la I guerra di Indipendenza.

RIASSUNTO CRONOLOGICO

Giugno 1846: Pio IX sale al soglio pontificio. Gennaio 1848: Moti insurrezionali in Sicilia. Febbraio 1848: Rivoluzione in Francia: Luigi Filippo è costretto ad abdicare. Marzo 1848: Metternich si dimette: convocazione del Parlamento di Francoforte. Concessione dello Statuto nel regno delle Due Sicilie, in Toscana, nello Stato Pontificio e nel Regno di Sardegna. Scoppia la rivolta a Milano (5 giornate). Luglio 1848: I Piemontesi vengono sconfitti a Custoza. Febraio 1849: Si istituisce la Repubblica Romana. Marzo 1849: Carlo Alberto è sconfitto a Novara. Luglio 1849: Crolla la Repubblica Romana. Agosto 1849: Crolla la Repubblica di Venezia. Dicembre 1851: Colpo di Stato di Luigi Bonaparte.

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